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linterferenza

La pèsca: la famiglia etero pescata nella rete

di Giacomo Rotoli

380825551 871119867714891 3810163388395234662 n 672x600.jpgPremetto che non sono d’accordo che i bambini vengano usati nelle pubblicità, si tratta di sfruttamento capitalistico gratuito dato che non sono in grado di capire cosa muove e quali sono gli interessi che sono dietro il sistema neoliberista. La pubblicità è uno dei molti generatori di plusvalore del sistema, essa non solo induce all’acquisto dei beni ma produce redditi in una enorme catena di filiere, detta anche gli schemi comportamentali che vengono veicolati attraverso i media, soprattutto definisce quasi esattamente cosa sia il mainstream e dove il sistema cerca di trovare il punto di equilibrio tra concezioni del mondo differenti per riproporsi come l’unica cosa naturale e giusta.

Vengo ora al motivo di questo articolo: lo spot è quello della pèsca di Esselunga [1], ma il mio vuole essere un commento non tanto allo spot in se, che può piacere o non piacere da un mero punto di vista estetico o etico, ma al bailamme che è nato sulla rete persino provocando una serie di prese di posizione addirittura ai vertici della politica. I commenti sono interessanti in se per il motivo che essi delineano molto bene alcune delle tendenze in atto nella concezione attuale della famiglia mononucleare di natura borghese, che è a tutt’oggi il modello dominante, ma come ho già scritto, è in crisi da almeno un cinquantennio. Questo articolo vuole quindi essere una naturale continuazione di “Gens Murgia” che scrissi riguardo alla presunta queerness della così detta famiglia non di sangue auspicata dalla nota scrittrice femminista.

Lo spot Esselunga penso che l’abbiano visto moltissimi, da questo punto di vista è un successo per i suoi creatori e per la nota catena di supermercati. Ma cosa ha di tanto speciale? Nulla di particolare, viene messa in scena una famiglia di separati, padre, madre e figlia, piuttosto che la solita unione stile “Mulino Bianco” alla quale nessuno fa più caso.

Inizialmente madre e figlia sono al supermercato dove la piccola ruba una pesca allontanandosi per un attimo dalla mamma. Dopo essere tornata a casa, deve andare con il padre il quale bussa al citofono, dopo pochi istanti la vediamo scendere e fare dono al padre di una pesca che ha preso all’Esselunga, dicendogli che è un “regalo della mamma”, lui ci pensa un po’ e poi dice che la ringrazierà. Padre e madre sono rappresentati come bravi genitori, anche se forse il padre è più simpatico perché a lui tocca la parte migliore, alla madre è comunque concesso qualche secondo in cui la vediamo ridere, giocare e scherzare con la figlia.

Dalla mia esperienza con i genitori separati devo osservare che la scena non è del tutto improbabile, nessun bambino desidera che i genitori si separino, specialmente a quell’età (nell’adolescenza le cose possono cambiare), questo è espresso sia dal volto della piccola attrice che ha sempre un atteggiamento pensoso se non triste, sia da alcuni istanti in cui lei osserva dall’auto della mamma una famiglia non separata per strada (poche frazioni di secondo decisamente di meno delle scene in cui si vede lei giocare con la mamma). Riguardo ai genitori ve ne sono molti che si rispettano tra loro e sono rimasti in buoni rapporti, difficilmente diverranno “amici” ma le separazioni consensuali esistono. Anche se volessimo interpretare con un poco più di cattiveria il gesto della bambina, potrebbe rappresentare un tentativo di conciliare piuttosto una freddezza di rapporti, posto che la separazione sia ormai irreversibile, comunque non certo una spinta a tornare indietro che certo non è nei mezzi della protagonista. Si tratta solo di un gesto gentile che ne produce un altro di umana empatia quando lui dice che la ringrazierà. Se gli autori avessero voluto fare uno spot sulla famiglia “tradizionale” perché non hanno usato il solito modello Mulino Bianco? Eppure è anche giusto che i media, e quindi anche la pubblicità, non mentano su quello che è la società attuale in cui i separati costituiscono una non trascurabile fetta della popolazione (le stime variano all’incirca dai due ai tre milioni di persone secondo se consideriamo solo i separati o separati e divorziati, ma il numero preciso qui non interessa, l’aumento considerevole delle convivenze e delle unioni civili aggiunge anche altri separati di fatto quando il rapporto si scioglie).

È quasi scontato che lo spot non piaccia alla c.d. “sinistra” per la quale la famiglia etero “tradizionale” è sinonimo di Meloni, fascismo, reazionari, conservatori, ultracattolici e così via. Ci sono state, su X specialmente, molte proteste contro lo spot, qui non voglio entrare nel merito dei commenti in rete (altri lo hanno fatto [2])mi limiterò ad analizzare, ad esempio, quanto scrive Giovanna Cosenza sul Fatto Quotidiano[3]: “… Il peggio, però, sono i significati e valori che esprime. Infatti, anche se lo spot mette in scena due genitori separati, il modello in filigrana è sempre lo stesso, e neppure tanto in filigrana, perché si vede chiaramente quando la bimba guarda fuori dal finestrino: coppia eterosessuale unita. La famiglia del Mulino Bianco, come ripetono in tanti, e infatti sì, sempre quella. Qualcuno si chiede: ma perché “unita” se i genitori sono separati? Rispondo: e perché mai la bimba dovrebbe essere così triste, se non perché l’ideale è quello e lei se ne sente esclusa? (Riguarda la scena fuori dal finestrino)”.

Ecco il “crimine” la famiglia Mulino Bianco era fuori dal finestrino! E’ un’interpretazione forzata, infatti, la stessa Cosenza è costretta ad aggiungere un Riguarda la scena fuori… altrimenti potrebbe sfuggirci? Una bambina di circa cinque anni ha ideali da cui si sente esclusa? Sarebbe bene lasciare questa forzatura a una parte della destra, diciamo “tradizionalista”, in modo che si renda ridicola da sola. Lo spot non è piaciuto perché non metteva sulla scena una famiglia Arcobaleno? O magari immigrata? No, quella no per carità sarebbe stata troppo “tradizionale”. Esagero? Non direi, ancora Giovanna Cosenza scrive: “Ebbene, in una società come la nostra, che ha ancora il culto della famiglia naturale, una famiglia che non porta felicità da decenni ed è (non a caso) sempre meno diffusa, ci mancava solo Esselunga a proporci questo modello, con il suo carico di colpa per chi divorzia e di tristezza per figlie e figli. Ci mancava pure questa, in un momento in cui anche la politica insiste sulle famiglie etero, unite e benestanti”.

Forse è rimasta a trent’anni fa, non mi sembra proprio che vi sia il “culto della famiglia naturale” proprio perché “non a caso” essa è in crisi (poco più un matrimonio su due è destinato a sciogliersi). Ne mi sembra che nello spot vi sia una colpa particolare imputata ai genitori, sembra che Cosenza sia rimasta come abbacinata da “colpa, tristezza, malinconia…emozioni negative”, forse ha visto un altro spot? Non è una tragedia greca, è solo una bambina che riflette sulla sua vita, la bambina non è triste per tutto lo spot. Non ha ideali da cui si sente esclusa perché a cinque anni non può concepire l’ideale della famiglia “tradizionale” alla quale pensa chi scrive, al massimo potrebbe provare invidia per il bambino che ha i due genitori vicini e sentirsi triste perché lei non li ha. La scena fuori dal finestrino serve solo a indicare la preferenza della protagonista, che è scontata, ma è funzionale a marcare che il punto di vista è il suo, è sintatticamente necessaria perché qualcuno potrebbe chiedersi per quale motivo sia triste. Anche ammettendo che vi sia un eccesso di tristezza questo è un sentimento normale, o pensiamo che veramente il mondo debba essere stile Mulino Bianco? Prima lo critichiamo e poi lo invochiamo? Era meglio solo buoni sentimenti e merendine?

Sinceramente però le proteste di questa “sinistra” di sinistrati sono per la verità scontate e per niente interessanti, pochi hanno segnalato che l’utilizzo dei bambini dovrebbe essere limitato o proibito. Molti si sono buttati sulla “povera bambina” non cogliendo che quella bambina non è affatto povera (questo almeno Giovanna Cosenza lo nota): ha due genitori che la amano e vive in una bella casa, ha padre e madre con belle macchine che fanno la spesa all’Esselunga (un amico di Milano, un insegnante con casa di proprietà, mi dice che lui non ci va mai perché è troppo caro, preferisce i discount). Non è figlia di poveri immigrati, sola con la madre e il padre rimasto al paese che non vedrà magari per anni, o appartiene a quel sottoproletariato urbano che vive nelle gomorre quotidiane di alcuni luoghi come il Parco Verde di Caivano in cui spesso più che famiglie vi sono frantumi di famiglie (negli strati più poveri vi è una grande massa di separati di fatto).

Non andrebbe mai trascurata quella che gli psicologi definiscono resilienza dei bambini e che gli permette di superare senza particolari difficoltà anche eventi come il divorzio dei genitori se questa viene condotta da costoro nei modi corretti. Quando questo non accade purtroppo dobbiamo ricordare i gravi difetti del nostro sistema giudiziario (con questo intendo l’intero indotto dalla magistratura, agli avvocati e tutti gli altri operatori psicologi, assistenti sociali) al quale negli ultimi dieci anni si è aggiunta la criminalizzazione del maschio a causa di un femminismo lamentoso e invadente, ma questo è un altro discorso, magari tutti i separati fossero corretti come quelli dello spot. Nella sostanza essi sono separati come coppia ma non sono separati dalla figlia, rispettano ancora il canone della famiglia mononucleare borghese il cui obiettivo centrale rimane, non l’amore romantico o il cazzeggio turistico, ma l’educazione dei figli e la loro (possibile) ascesa sociale al di sopra degli stessi genitori.

Quanto alla destra “tradizionalista”? Beh, certo la destra vive nel mondo delle favole, non quello reale. Camillo Langone scrive “Il divorzio è quella roba lì: ancor più di egoismo, entropia. Qualcosa che fa rima con idiozia. La politica partitica non c’entra molto ed è grottesco che ad applaudire lo spot Esselunga siano innanzitutto i meloniani, seguaci di una donna convivente ma non sposata. C’entra la realtà. Ben nota agli avvocati … e ai lettori della Bibbia: ‘Io detesto il ripudio, dice il Signore Dio d’Israele’ (Malachia 2,16). Almeno uno dei genitori dello spot è detestabile, prego che si ravveda” [4].

A parte la bacchettata alla Meloni perché convive e non è sposata (ben gli sta, era meglio tacere una volta tanto), quello che è interessante è la fragilità delle tesi di chi si oppone al divorzio. L’indissolubilità del vincolo matrimoniale può avere senso solo in ambito religioso, solo se è un precetto da osservare per restare nell’ambito della comunità. Dall’inizio dei tempi è il divorzio che è sempre esistito e non il matrimonio indissolubile, lo è per dèi ed eroi, e lo è stato per centinaia e centinaia di re, regine, principi e principesse, per la classe dei nobili, e per il popolo. Altrimenti non ci potremmo spiegare la nascita di sistemi legali di uscita dal matrimonio come il ripudio (citato proprio nello stesso passo biblico riportato da Langone) o, in alcune società, persino la “vendita” della propria moglie, anche in presenza di dogmi religiosi che lo ritenevano “indissolubile”. E’ curioso ad esempio che proprio laddove ci si aspetta un vincolo più stretto esso assume una connotazione strettamente religiosa: in Israele non c’è matrimonio civile, esiste solo quello religioso. Certo in luoghi lontani dalle grandi città, nelle campagne, vi erano meno motivi per lasciarsi tra le coppie, gli adulteri vivendo in una comunità ristretta avevano meno possibilità di nascondersi nell’anonimato. La comunità appianava le divergenze in funzione del bene comune. Ma non si può certo pensare di tornare a vivere nella Contea, quella di Tolkien, in cui sono tutti felicemente sposati e amanti della birra e della buona tavola, che sembra essere il mondo ideale di Langone e compagni (che poi anche nel famoso romanzo non è affatto chiuso).

Esiste una terza interpretazione, quella individualista e neoliberale. Già nell’articolo sulla famiglia queer ho citato un articolo di Guia Soncini su Linkiesta che interpretava la famiglia come un ostacolo alla realizzazione del sé. Dopo lo spot Soncini è tornata a scrivere sullo stesso argomento:“Però è chiaro che il punto che viene fuori con le separazioni non è «come ho fatto a stare con questo specifico cretino», ma: come ho fatto a mettermi un estraneo in casa? Come ho fatto a cedere al ricatto dei metri quadri condivisi, alla truffa della solitudine come problema e non come lusso?” [5]. Per chi crede al definitivo tramonto della famiglia tradizionale gli “altri” sono semplicemente una seccatura, è meglio stare soli, eventualmente facendo figli direttamente in provetta, cosa che già molte donne fanno tranquillamente senza troppi patemi d’animo (il padre è superfluo), o non farne affatto, così si hanno meno ostacoli per la propria autorealizzazione che, nel mondo iperliberista in cui viviamo, vuol dire diventare ricchi e vivere nel lusso in modo da mettere molti metri quadri e non fra noi e gli altri. Peraltro Soncini brutalmente dà una giustificazione alla maternal preference visto che scrive: “Come si fa a non invidiare quel padre che domani la figlia la riporta alla tizia che se la sorbisce tutti i giorni, e avrà la sua casa per sé, la sua vita per sé, la sua pesca per sé?”, anche se questa è una sottile frecciatina alla difesa a oltranza che il femminismo ha fatto del ruolo materno dall’epoca in cui Warren Farrell lasciò il movimento. Al padre le briciole, alla madre il mantenimento, ma anche l’onere del crescere la figlia. Se guardiamo alla forte ripresa delle separazioni dopo il Covid e al continuo calo delle nascite, il punto di vista della Soncini appare più aderente alla realtà, piuttosto che quello di Langone o delle numericamente marginali famiglie non etero, queer e altre scemenze dei “sinistri”.

In sostanza tutto quello che è stato scritto si traduce in due posizioni: matrimonio a vita, decisamente in calo, o singoli a vita, sempre più in aumento. La proposta dei “sinistrati”, non pervenuta. Nella realtà costoro guardano indietro, si preoccupano della famiglia etero ormai in crisi, senza indicare nessuna soluzione, salvo imprecarvi contro oltre a farlo per i maschi tossici, il gender gap, e Putin (tanto per gradire). Forse sperano che saremo tutti arcobalenati tra vent’anni, visto che i ricchi, la classe sociale di riferimento della “sinistra” attuale, latrano che Meloni vuole “togliere il diritto di vivere come desiderano, la libertà di amare chi si vuole” [6] (qualcuno si è chiesto perché ai funerali di Napolitano non ci fossero piazze piene? Qualcuno ricorda i funerali di Berlinguer o di Togliatti? I ricchi sono un po’ pochini per riempire una piazza).

Si dovrebbe fare uno sforzo per pensare piuttosto a come conciliare l’esistenza di famiglie e individui, visto che anche Marx tutto sommato puntava alla piena realizzazione dell’uomo. In questo senso forse un ritorno alla comunità potrebbe essere favorevole, ma non certo quella comunità angusta e isolata dal mondo che pretende la destra. Non si potrà fare molto nell’era del capitale assoluto, forse avrebbe senso rilanciare quei progetti nati anche in altre nazioni che alla fine degli anni duemila presero corpo, quando ci si rese conto che la legge sull’Affido Condiviso era monca e mancava di alcune parti sacrificate per il suo passaggio parlamentare. Sto parlando della mediazione familiare[7] come meccanismo di separazione tra coppie che contempli una strategia che sia effettivamente vincente per tutti, anche a favore delle bambine “tristi” per definire quella che viene detta a volte separazione mite. Il punto centrale del concetto di mediazione familiare è portare la coppia e i figli fuori dai tribunali in cui necessariamente vi è una tendenza al conflitto per quanto questo possa essere disinnescato dalle leggi. Ne segue che la mediazione dovrebbe essere affidata a elementi indipendenti dal sistema attuale per cui vi è in ogni causa un vincente ed un perdente. Naturalmente, anche la mediazione è stata attaccata dal femminismo (faceva parte della disgraziata proposta del senatore Pillon, anche se la discussione sulla mediazione risale a ben prima della stessa legge sull’Affido Condiviso) poiché per il femminismo il colpevole è sempre l’uomo, la separazione è parte della guerra dei generi e quindi lui deve perdere (i figli in prima battuta e tutto il resto in seconda) [8].

Ma di regole se ne possono inventare quante ne vogliamo, finché l’etica sarà quella dell’autorealizzazione individualistica, finché i figli saranno visti sotto il profilo di una sinecura economica e sociale, quale mediatore si sentirà investito da un delicato ruolo sociale e non dal fatto che deve comunque percepire un compenso per un mestiere in competizione con altri? Sarà difficile cambiare registro, e la tristezza delle bambine figlie di genitori separati sarà anche maggiore di quella, moderata, che abbiamo visto nello spot.


Note
[1] «La pesca», lo spot di Esselunga con i genitori separati
[2] Fabio Nestola e Davide Stasi, Quando la pesca è come l’aglio (per i vampiri) La Fionda, 29 settembre 2023.
[3] Giovanna Cosenza, Ci mancava pure Esselunga a insistere sulle famiglie etero, unite e benestanti, il Fatto Quotidiano, 27 settembre 2023.
[4] Camillo Langone, Prima dell’Esselunga, di divorzio parlava bene Bugaro . Il Foglio, 28 settembre 2023. Mi perdonino la blasfemia, ma i tradizionalisti dovrebbero ricordare che Gesù non viveva neanche lui in una famiglia “tradizionale”, prescindendo poi dal dibattuto problema dei fratelli e dal fatto che fosse anche lui un uomo convivente ma non sposato.
[5] Guia Soncini, L’invidia della pèsca – Pillon, lo spot dell’Esselunga e l’isteria del ceto medio divorzista , Linkiesta, 27 settembre 2023.
[6] Donatella Versace, il nostro governo sta cercando di togliere alle persone il diritto di vivere come desiderano, la liberta di amare chi si vuoleIl Fatto Quotidiano, 26 settembre 2023. L’articolo parla dei CNMI Sustainable Fashion Awards 2023con Julianne Moore, Bianca Balti, Jessica Chastain, Chiara Ferragni (fresca di nomina nel comitato consuntivo del CNMI Fashion Trust), Elodie, Marco Mengoni ed Alessandro Zan.
[7] La mediazione in tutte le proposte legislative, almeno dal 2008, viene adottata solo come primo passaggio onde organizzare i tempi e gli spazi di una famiglia separata e può eventualmente comprendere la parte economica. Nell’idea dei proponenti si può sempre dopo la mediazione rivolgersi al giudice, non è obbligatorio separarsi col mediatore, egli si limiterà a proporre alla coppia un modello, un piano familiare, ovvero un’organizzazione dei tempi e degli impegni tenendo conto di tutti i fattori (lavoro dei genitori, casa familiare, scuola dei figli e altro). Se la proposta viene approvata dalla coppia la separazione si attuerà secondo quel piano con la conferma della magistratura (a garanzia del benessere dei figli) altrimenti sarà lo stesso magistrato a istruire il procedimento. Si tratta di un passaggio preliminare, formalmente tecnico, la preparazione dei mediatori deve essere certificata e dovranno essere iscritti ad un albo nazionale (ancora inesistente nonostante numerose proposte).Riporto di seguito come esempio il testo che appare nella proposta di legge 53 della XVI Legislatura, nel 2008 a firma dei deputati Brugger e Zeller. Nella sostanza essa è simile a tutte le successive proposte.
Art. 709 bis (Mediazione Familiare)
  1. – (Mediazione familiare). In tutti i casi di disaccordo, nella fase di elaborazione del progetto condiviso, le parti hanno l’obbligo, prima di adire il giudice e salvo i casi di assoluta urgenza o di grave e imminente pregiudizio per i minori, di acquisire informazioni sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione familiare, rivolgendosi a un centro pubblico o privato, i cui operatori abbiano formazione specifica, nonché appartengano ad albi nazionali specifici pubblici e/o privati registrati nell’apposito elenco del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.
  2. Ove l’intervento, che può essere interrotto in qualsiasi momento, si concluda positivamente, le parti presenteranno al Presidente del tribunale il testo dell’accordo raggiunto. Gli aspetti economici della separazione possono far parte del documento finale, anche se concordati al di fuori del centro. In caso di insuccesso le parti possono rivolgersi al giudice, come previsto dal successivo articolo 709-ter.
  3. In ogni caso la parte ricorrente deve allegare al ricorso la certificazione del passaggio presso il centro o concorde dichiarazione circa l’avvenuto passaggio.
  4. In caso di contrasti insorti successivamente, in ogni stato e grado del giudizio o anche dopo la sua conclusione, il giudice segnala alle parti la opportunità di rivolgersi a un centro di mediazione familiare, di cui al primo comma. Se la segnalazione trova il consenso delle parti, il giudice rinvia la causa ad altra data in attesa dell’espletamento dell’attività di mediazione.
Va notato che con la riforma Cartabia un piccolo progresso è stato fatto con l’introduzione dei c.d. piani familiari, che tecnicamente sono materia di mediazione. E’ troppo presto per dire se questo cambiamento avrà un effetto significativo.
[8] Non è questa la sede dove discutere della concezione del diritto femminista. Basti dire che è primitiva e si sposa bene con ideologie pre-illuministiche medioevali, come mostra il fatto che l’onere della prova spetterebbe all’accusato e non a chi accusa. La questione della violenza domestica non rileva qui, nella maggior parte delle separazioni non vi sono comportamenti violenti dei genitori.

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