Israele come mondo
Il tecno-colonialismo 4.0
di Eddie e Ste
Riceviamo e pubblichiamo questo articolo, che uscirà a settembre nel terzo numero dell’aperiodico di critica sociale “il pensiero critico”. Cosa dimostra il massacro in corso a Gaza? Tra le altre cose, questo; «la sorveglianza automatizzata si trasforma in arma di guerra automatizzata» (Stephen Graham, Villes sous contrôle. La militarisation de l’espace urbain). Che significa affermare che il modello-Israele è la tendenza di tutte le società tecnocapitalistiche? Tra le altre cose, questo: de nobis fabula narratur.
Il conflitto globale in divenire, e in particolar modo il genocidio in atto a Gaza, oltre a suscitare doverose mobilitazioni, azioni di sabotaggio, occupazioni e boicottaggi in svariate parti del mondo, sta anche generando contributi alla messa in discussione dell’intero modello occidentale, rendendo maggiormente evidente come la sua ristrutturazione in chiave iper-tecnologica sia finalizzata alla gestione capillare degli individui e dei territori.
A nostro avviso non c’è niente di meglio del modello democratico israeliano che possa rappresentare ciò che è il fine ultimo del progetto denominato smart world. Come già ribadito in altre occasioni, siamo di fronte a una ristrutturazione sociale che avrà conseguenze devastanti sull’intero vivente, e ciò che comporterà lo possiamo vedere chiaramente in Palestina: analisi dei territori, raccolta dati sugli individui, elaborazione e predizione algoritmica, calcolo dei danni collaterali, confinamento e infine attacco militare.
E’ un dato di fatto che gli sviluppi tecnologici testati in Palestina (ma in generale nelle guerre) vengono venduti all’occidente per essere utilizzati all’interno dei contesti urbani, diventando parte fondamentale della trasformazione in corso. Lo Stato di Israele è a oggi leader mondiale per ciò che riguarda le tecnologie biometriche e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Traguardo raggiunto in decenni di occupazione, durante la quale ha potuto sperimentare tutto ciò direttamente sulla popolazione palestinese. Ci teniamo a sottolineare inoltre, che sono molteplici i progetti direttamente commissionati e finanziati da alcuni Stati occidentali, il che evidenzia ulteriormente quali strumenti si prefiggono di utilizzare anche qui da noi.
Le smart city, spacciate come eco-sostenibili e luoghi inclusivi, in realtà sono progettate e realizzate per monitorare, gestire, reprimere ed escludere gli individui proprio come accade in Palestina. Troviamo pertanto opportuno definire tale processo di trasformazione globale tecno-colonialismo, per via del fatto che l’implementazione dei sistemi bio-tecnologici-digitali stanno letteralmente colonizzando sia i luoghi che i nostri corpi, arrivando a modificare anche i nostri pensieri e le nostre percezioni, nel tentativo di imporsi come unico paradigma universale.
Smart city e confinamento digitale
A Hebron, nella West Bank, un muro divide l’area della città abitata dai palestinesi (H1) da quella in cui vivono gli israeliani (H2) in base agli accordi del “Protocollo” del 1997. Da allora centinaia di coloni vivono unicamente nel centro storico, a stretto contatto con migliaia di palestinesi lì residenti. Questi ultimi vedono la loro libertà di movimento limitata a poche strade controllate dai militari e mediante ventuno check-point fissi, sei dei quali dotati di strutture fortificate, metal detector e riconoscimento facciale. Sono inoltre presenti Watch-points: torrette militari per il controllo dall’alto, telecamere montate sui lati degli edifici, sui pali della luce, sulle torri di sorveglianza e sui tetti. Ogni attività quotidiana, come andare a scuola o al lavoro, fare o ricevere visite dai familiari, e perfino fare la spesa, per i palestinesi comporta stare in fila a questi check-point e subire costantemente un trattamento umiliante.
Alcune vie sono loro accessibili solo se registrati come residenti permanenti, titolo che devono ogni volta dimostrare.
Presso l’imponente check-point 56 di Al-Shuhada Street, costituito da barriere, grate metalliche ed un percorso automatizzato e obbligatorio, è stato installato un fucile automatico prodotto dalla compagnia Smart Shooter, il quale, attraverso l’intelligenza artificiale, è in grado di decidere autono mamente contro chi sparare granate assordanti e proiettili di gomma. Tra i palestinesi, che a centinaia frequentano l’area ogni giorno, c’è la consapevo lezza di essere diventati oggetto di “addestramento” per l’industria dell’alta tecnologia dell’esercito israeliano.
Alle nostre latitudini, la divisione del contesto urbano in zone accessibili solo da chi ne possiede i requisiti, non è stata solo una misura temporanea adottata durante il periodo del Covid, ma sta diventando una scelta strutturale nella pianificazione delle città moderne.1
Ripensare a quel periodo ci aiuta considerevolmente quando si tratta di smascherare quei progetti, promossi come vantaggiosi per l’ambiente e per le economie di prossimità, che hanno in realtà come fine ultimo la realizzazione di zone dalle quali per poterne uscire oppure entrare, saranno necessarie delle motivazioni, proprio come accadeva in quel contesto storico. La creazione dei cosiddetti quartieri dei quindici minuti, per esempio, riscuote un’accettazione generalizzata per via di come viene presentata: “Camminando, si percorrono in media 6 chilometri in un’ora, in quindici minuti, si arriva a circa un chilometro e mezzo”, ed è proprio in questo raggio che la propaganda dice che si potranno trovare tutti i luoghi in cui i bisogni essenziali potranno essere appagati. Ciò che sarà solamente una fase iniziale, volta ad abituare gli individui a lasciare sempre meno il proprio quartiere, diventerà poi una costrizione: quando al cittadino Carlo Rossi viene garantito di avere tutto ciò che per lui sono suoi bisogni essenziali, o meglio, che è stato deciso che lo siano, entro un raggio di quindici minuti, perché dovrebbe volersi allontanare oltre il raggio di garanzia e sicurezza per lui stabilito? Tale scelta verrà per lo meno in principio segnalata come sospetta, ma presto arriverà il momento in cui per poter oltrepassare quel confine sarà necessaria una giustificazione. Nelle smart city l’accesso e l’uscita dalle diverse zone delle città, oltre che sorvegliati, dovranno essere anche autorizzati. Inizialmente basteranno forse motivazioni più blande (permesso turistico o lavorativo), le quali potranno, una volta costruita l’infrastruttura, essere variate nel tempo sulla base di criteri legislativi o per via di dichiarate emergenze, ma non possiamo escludere che saranno decretate algoritmicamente (automaticamente) mediante l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Il caso attualmente più emblematico in Italia è senza dubbio quello riguardante la città di Venezia, nella quale si è iniziato a testare un sistema di limitazione e di controllo degli accessi, oltre che di monitoraggio sugli individui, mediante tecnologie digitali convergenti. 2 In poche parole per potersi muovere tra le diverse zone delle città sarà necessario possedere un pass da mostrare all’ingresso, il che assomiglia tanto ai checkpoint di Hebron.
In questa direzione si stanno muovendo anche le altre città italiane, con test di sistemi di monitoraggio dei passanti in vie e piazze. Queste sperimentazioni, finanziate a livello europeo, vedono la collaborazione tra università, industria e settori della sicurezza e militare.
Si pensi a quanto portato alla luce dai cittadini di Trento, dove in cinque piazze della città è stata attuata, senza informare le persone, la sperimentazione di una piattaforma tecnologica distribuita in grado di raccogliere dati attraverso telecamere e microfoni.
Questi dati, si sono poi premurate a giustificare le autorità locali, sono finalizzati a individuare potenziali pericoli, o situazioni come affollamenti e ingorghi del traffico; inoltre, per cercare di tranquillizzare l’opinione pubblica, è stato detto che non erano (non ancora) dotati di riconoscimento facciale o della voce, a tutela della privacy.
Lo scopo della sperimentazione a nostro avviso non è tanto il monitoraggio diretto qui ed ora per un obiettivo a breve termine, quanto ciò che viene chiamato il machine-learning, ovvero l’affinamento di metodi per l’apprendimento automatico dei software, in vista di una successiva implementazione e utilizzazione su larga scala.
Quanto avvenuto nella città di Trento non è un caso isolato, ma fa parte di un progetto Europeo per testare i sistemi Marvel e Protector (utilizzati anche da Israele) in diverse città e in diversi Paesi. Marvel è un sistema di raccolta dati tramite videosorveglianza e microfoni, per segnalare la presenza di poten ziali pericoli, mentre Protector analizza i dati raccolti dalla video-sorveglianza, e li sovrappone alle analisi dei social (Twitter e YouTube). Evoluzione di Protector è il sistema Precrisis, che punta alla valutazione predittiva di scenari possibili a partire dalla raccolta dati rielaborata dall’intelligenza artificiale.
L’adozione di queste applicazioni tecnologiche non arriva dal nulla, ma si ascrive alla trasformazione dei contesti urbani già prevista nel Rapporto Nato del 2017: il NATO Urbanization Project 2035. In quel documento viene pianificato l’affiancamento agli apparecchi comunicanti civili quelli esplicitamente militari della NATO. La raccolta dati dei due sistemi, quello cittadino capillare (dual-use convertibile a militare quando necessario) e quello nativo-militare installato solo in alcuni punti strategici, consentirebbe l’integrazione dei dati per un monitoraggio più preciso su richiesta, favorendo un pronto intervento con droni, o anche dei militari: ciò che si sta concretizzando è di fatto la militarizzazione preventiva delle città.
Affrontare tali questioni con le persone risulta essere sempre più ostico, per via del fatto che sono riusciti a permeare le menti della convinzione che chi ha il potere si prende cura di loro, e che ciò che viene decretato “bene collettivo” è più importante delle libertà individuali. In questa narrazione, tecnici, scien ziati e intelligenza artificiale sanno valutare cos’è meglio per tutti. Stanno convincendo sempre più individui dell’esistenza di un’infinità di nemici che mettono a repentaglio la salute, la sicurezza e la pace, mentre in realtà questi pretesti servono a legittimare l’incremento repressivo nei confronti di chiunque si opponga, o anche semplicemente metta in discussione, il dogma della propaganda. Per vedere quanto la soglia di tolleranza si stia abbas sando, basta osservare il duro accanimento nei confronti delle pubblicazioni critiche o la volontà politica di impedire le mobilitazioni di piazza; perfino i graffiti e le scritte sui muri a loro dire costituiscono un problema sociale da contrastare: nemici sono coloro che non si assoggettano e che si oppongono, non importa in che modo scelgano di farlo.
Sempre più muri virtuali si stanno innalzando attorno a noi, sistemi digitali diventano sempre più indispensabili per accedere a qualsiasi attività, a cominciare da quella riguardante la cosiddetta pubblica amministrazione. Avere un’identità digitale (per il momento lo SPID) sta via via diventando obbligatorio per accedere a tutta una serie di servizi o per ottenere il rilascio di un qualsiasi documento. Nel nome della privacy bisogna accedere a internet per svolgere qualsiasi operazione quotidiana che abbia a che fare con aspetti burocratici. La coda alle poste (con i suoi incontri umani e reali) viene progressivamente sostituita dalla coda virtuale davanti a uno schermo.
Qualsiasi problematica che prima poteva essere risolta o perlomeno affrontata confrontandosi con una persona in carne e ossa, ora viene rimbalzata da intelligenze artificiali o da operatori sottopagati.
A fianco dello SPID, la sostituzione della carta di Identità da foglio cartaceo a tessera con chip, consente a chi richiede di vederla, il collegamento diretto alla banca dati nazionale contenente tutte le informazioni del singolo soggetto (lavoro, storia, precedenti penali, salute, segnalazioni, titolo di studio, attivismo politico…), a cui una qualsiasi entità autorizzata può accedere. Se sommiamo questo al tracciamento mediante una moltitudine di apparecchia ture digitali e degli smartphone (tutti in grado di tracciare i movimenti e gli incontri tra le persone), davvero non c’è più nulla che si potrà tenere per sé.
Sempre a proposito di muri invisibili ed esclusione sociale, come non citare l’introduzione anche in Italia dei sistemi di credito sociale.
Il Comune di Bologna nel 2022 ha introdotto il Portafoglio del Cittadino Virtuoso, un’applicazione attivabile per ora su base volontaria e che, tramite la raccolta dei dati personali assegna dei punti a chi “si comporta bene”, il che significa non prendere multe dalla polizia municipale, usare i mezzi pubblici, fare la raccolta differenzia e così via. Un sistema che sembra innocuo all’apparenza, ma che estende il monitoraggio a ogni movimento e istante della vita del soggetto che l’attiva.
Quello che oggi è facoltativo, domani diventerà essenziale, forzoso, poi vincolante e infine obbligatorio. Un po’ come Il siero genico anti-Covid per cui non esisteva ufficialmente l’obbligo, ma senza il quale venivano progressivamente precluse, almeno legalmente, molteplici attività, il lavoro, gli spostamenti e libertà individuali.
Un altro esempio riguarda il comune di Fidenza, il quale ha introdotto la cosiddetta carta dell’assegnatario per la gestione degli alloggi popolari. Anche in questo caso, il Comune ha ideato un meccanismo a punti per valutare i comportamenti delle persone destinatarie degli alloggi pubblici.
A queste ultime sarebbero quindi riconosciuti sia benefici che sanzioni, tra cui anche lo sfratto. Nei documenti ufficiali compaiono le tabelle dei divieti e degli obblighi legati all’alloggio e agli spazi accessori. Tra i divieti figurano l’utilizzo di barbecue e griglie sul balcone (pena la perdita di 10 punti) o l’ospitare persone estranee al nucleo senza la preventiva autorizzazione del Comune e/o dell’Ente gestore, comportamento che si tradurrebbe in una multa di 50 euro e nella decurtazione di 25 punti dalla Carta dell’assegnatario. Per quanto riguarda gli spazi comuni, è vietato consumare alcolici o distribuire cibo alle popolazioni libere di colombi e volatili in genere, pena la perdita di 10 punti. Nel caso di segnalazioni e quindi di possibili comportamenti illeciti, il nuovo regolamento approvato dal Comune di Fidenza prevede l’intervento di un “agente accertatore” formato da ACER, la società che gestisce gli alloggi popolari in Emilia-Romagna. Al funzionario è assegnata la facoltà di ispezionare gli alloggi e sanzionare i nuclei familiari. Se lo scopo dichiarato è sempre quello di incentivare gli inquilini a comportarsi bene, i metodi sono quelli dello Stato autoritario e si rifanno esplicitamente a quelli del sistema del credito sociale Cinese. Come nei luoghi in Cina dove questo meccanismo a punti preclude tutta una serie di possibilità se il proprio punteggio scende al di sotto di un certo numero, in modo analogo le famiglie possono perdere il diritto abitativo ed essere sfrattate. Tutto ciò va inevitabilmente a minare la fiducia tra i vicini di casa, rendendo ulteriormente difficoltose le relazioni umane, ma se immaginiamo tutto ciò in un contesto più allargato, tale modello renderebbe ancor più difficoltoso lo svilupparsi di relazioni di profonda fiducia: chiunque sarà considerato un potenziale nemico.
Intelligenza artificiale (AI) vuol dire guerra
La delega a macchine presunte onniscienti sostituisce via via con dati e processi omologati esperienze e conoscenze, anche secolari, acquisite e tramandate in generazioni, diversificate sui territori, adatte alle necessità specifiche di ogni luogo. Culture di questo tipo sono sempre state fondamentali per l’autogestione e l’autonomia delle comunità e dei singoli.
A oggi purtroppo sempre meno persone comprendono quanto la loro perdita sia grave, nella convinzione indotta secondo la quale la trasmissione diretta di questi saperi non sia diversa dall’apprendimento mediante piattaforme digitali. Non si riesce ad afferrare per esempio che guardare mille tutorial iperveloci su instagram non potrà mai pareggiare i trucchi insegnati direttamente dalla nonna con le mani in pasta standole accanto. Si possono consultare le previsioni meteo minuto per minuto tramite il portale web, ma altra cosa è il capire il tempo di domani nella zona dove vivo valutando i movimenti delle nuvole, come facevano i miei predecessori. Causa di questo generalizzato cambiamento virtualizzante, è forse la convinzione diffusa della necessità e del diritto di poter accedere in qualsiasi momento della giornata a presunte verità universali, condivise, oggettive e soprattutto super partes.
Oggi la promessa di un ulteriore miglioramento sia personale che collettivo dovuto all’accesso pubblico all’intelligenza artificiale, ritenuta più neutrale di qualsiasi libro, ma anche più vera di qualsiasi esperienza soggettiva di vita vissuta, spiana la strada definitivamente alla totale dipendenza tecnologica. Quello del quale in pochi sono a conoscenza è il fatto che l’intelligenza artificiale e i sistemi di apprendimento automatico (machine learning) che sembrano oggettivi, sono in realtà programmati da esseri umani. L’impostazione iniziale è la parte fondamentale del processo perché condiziona tutto quello che segue ed è indirizzata per soddisfare gli scopi dettati dai finanziatori e risente direttamente dei pregiudizi personali, razziali e culturali, degli operatori che vi lavorano. Qualsiasi evoluzione successiva delle macchine auto-apprendenti, risulta pertanto influenzata dalle imposta zioni iniziali, il che si riversa anche nel processo di formazione dei database per incasellare i dati raccolti.
Lo scopo di raccogliere dati sulla popolazione a fini di sicurezza, richiesto come requisito dai finanziatori, porta inevitabilmente all’uso militare: si dà il caso infatti che i primi progetti di AI risalgano all’epoca della Guerra Fredda, su impulso dell’apparato militare americano.
La ricerca di una programmazione basata sull’imitazione del ragionamento logico, venne sostituita negli anni 80 dall’approccio statistico, per cui il computer non deve comprendere concetti, ma replicare o ricercare successioni più probabili di termini, diventando potenzialmente predittivo.
La metodologia dell’apprendimento automatico fa fare enormi balzi in avanti nell’evoluzione dell’AI fino ai giorni nostri, rendendo i super computer insaziabili di dati in tempo reale, cosa che spiega i crescenti investimenti globali volti al potenziamento delle comunicazioni in termini di quantità, potenza e velocità. Da decenni le agenzie di intelligence raccolgono informazioni sulla popolazione: i cosiddetti big data. Questa mole di dati grezzi viene analizzata dai software, individuando ad esempio la ripetizione di certe parole, il riconoscimento facciale, la comparsa di volti di persone in diversi contesti e tracciando spostamenti e conoscenze/incontri tra i soggetti.
Si pensi ad esempio a una persona che si oppone attivamente alla costruzione di una nuova devastante grande opera, oppure che si impegna per la difesa delle persone sfruttate.
La sua repressione sarà indubbiamente semplificata accedendo ai suoi dati di tracciamento rielaborati dall’intelligenza artificiale.
Se questa viene legalmente ritenuta inconfutabile, presunti legami, collaborazioni, correlazioni tra le sue parole (scritti, intercettazioni) e fatti (es. proteste, picchetti, sabotaggi) rilevati da telecamere e sensori, diventerebbero prove granitiche in sede giudiziaria pur in assenza di nessi causali tra loro.
Pensiamo a una svolta ancora un po’ più autoritaria, ove la mera diffusione di critiche al Governo o al sistema fosse ufficialmente vietata: questa infrastruttura di monitoraggio è già lì pronta da sfruttare, con la sua memoria di post online, critiche passate, affermazioni per ciascun individuo, e la potenzia lità di ordinarie rilevazioni in ogni ambito del quotidiano: un vero Grande Fratello nelle mani del tiranno di turno.
Per rendere ancora più chiaro il fatto che tali strumenti siano progettati e diffusi per la gestione capillare e la repressione degli individui, basta ricordare per esempio che dal 2013 iniziano a essere pubblicati e diffusi dall’ex dipendente della CIA Edward Snowden dati che riguardavano dettagli di diversi programmi top secret di sorveglianza di massa delle Intelligence USA e inglese. L’archivio di Snowden conferma che, in una logica di Stato sotto minaccia perenne, la raccolta dei dati era già allora arrivata a interessare telefoni, browser, social-media ed e-mail.
In pochi anni, sfruttando la diffusione capillare (e molto favorita) dei social a livello globale, e delle innumerevoli applicazioni digitali, il sistema di monito raggio è aumentato a dismisura.
L’esempio del sistema Palantir può rendere ancora più evidente ciò di cui stiamo parlando, anche perché parte da una collaborazione privato/pubblico (settore della difesa) e dal settore civile. Creato nel 2004 da Peter Thiel (cofondatore di PayPal), ufficialmente rivolto alla consulenza nell’ambito dell’assunzione del personale, il sistema, fondato su software e applicazioni con supporto anche di operatori umani, si muove sulla rete internet per raccogliere dati e dare valutazioni sui candidati, raccogliendo anche informazioni private (dai social) in ambiti che non interesserebbero normalmente l’aspetto lavorativo. Questa start-up della Sylicon Valley è stata utilizzata anche nella ricerca di obiettivi sensibili per il Pentagono e per la CIA nell’ambito del conflitto armato in Afghanistan e in Iraq, e per supportare la guerra interna nella gestione dei meccanismi di espulsione di migranti.
Le applicazioni derivate sono state date in dotazione alle polizie locali americane, rendendo cosa ordinaria un’attività di intelligence predittiva basata su rilevazioni statistiche. La sorveglianza territoriale, per esempio il monitoraggio delle gang e delle piccole mafie locali, si basa su un sistema a punti nel caratterizzare i soggetti degni d’attenzione. A ogni soggetto fermato o interrogato viene attribuito un punteggio: più punti e segnalazioni attivano l’attenzione per nuovi fermi, questo, unito a un forte pregiudizio classista e razziale, endemico alla società e nei poliziotti, comporta un concentrarsi maggiormente sugli strati poveri della popolazione, su comunità nere e di latinos. L’eccesso di attenzioni a determinate comunità etniche, viene giustificato col fatto che è il software (spacciato per oggettivo), a indicare ove intervenire e a determinare la concentrazione della repressione in determinati ambiti.
Questo esempio ha davvero molte coincidenze con il sistema Wolf Pack adottato da Israele per il controllo di massa della popolazione palestinese in Cisgiordania. Nel 2021, un rapporto del Washington Post ha svelato un programma dell'esercito israeliano noto come Sistema Wolf Pack; un vasto database contenente le immagini e tutte le informazioni disponibili esclusivamente sui palestinesi della Cisgiordania, come i permessi, i familiari, le targhe e se ricercati dalle autorità israeliane o meno.
Lo scopo del database è quello di memorizzare il volto di tutti loro sfruttando anche i sistemi di sorveglianza biometrica e di telecamere diffuse: esso contiene i dati identificativi di base dei palestinesi, il loro nome, dove vivono, identità dei familiari, le foto, etc . Le informazioni sono anche condivise e controllate dall'Agenzia per la Sicurezza di Israele (anche Shabak o Shin Bet), che determina, tra le altre cose, chi dovrebbe essere arrestato. Quando i soldati fermano un singolo palestinese, contattano la war room, una sala operativa con un operatore che ha accesso al database del Wolf Pack, e che decreta se la persona in questione può passare o no, oppure se deve o meno essere arrestata. Spesso i palestinesi sono stati trattenuti per molto tempo, fino a quando non è stata fornita una risposta dall'operatore nella war room. Blue Wolf (un richiamo al colore blu del famoso Facebook) è un’applicazione sullo smartphone che dà accesso alle informazioni del Wolf Pack senza ricorrere al contatto con la war room. Con questa applicazione i militari possono fare a gara, anche con raid senza mandato, nelle case private, per vedere chi raccoglie più dati biometrici e fotografie dei palestinesi fermati, integrando ulteriormente il database. I coloni, considerati civili anche se armati, possono sfruttare il medesimo database tramite l’applicazione White Wolf, per controllare i lavoratori palestinesi che arrivano a lavorare negli insediamenti israeliani.
Infine, presso il già citato checkpoint 56, è stato inserito un sistema di riconoscimento biometrico che scansiona ogni individuo e si connette in automatico, tramite il sistema Red Wolf, al database generale, bypassando l’intervento umano nella verifica dell’identità.3
Il sistema Palantir mostra come la digitalizzazione impiegata per il controllo dei territori determina una sorta di deresponsabilizzazione del soggetto. Già a oggi troppe persone per giustificare le nefandezze dei militari, o anche le cariche della polizia nelle manifestazioni, sostengono che la responsabilità è di chi dà loro gli ordini: nel momento in cui un sarà software a decidere chi reprimere o chi eliminare, come verrà percepito tutto ciò? Come oggettiva mente necessario perché le macchine a differenza degli esseri umani non sbagliano?
Questo ci riporta a ciò che sta accadendo a Gaza, dove l’esercito israeliano si sta avvalendo dell’intelligenza artificiale per bombardare il popolo palestinese. Il sistema chiamato Hasbora (vangelo), elaborando un’infinità di dati provenienti da registrazioni video effettuate coi droni e raccolti con diversi strumenti per l’intercettazione e il monitoraggio (smartphone compresi), arriva a decretare quali siano gli obiettivi e gli individui da attaccare: è in corso il primo genocidio automatizzato della storia e gli scenari futuri dopo questo sdoganamento sono a dir poco terrificanti.
Umanità’ eccedente
Se come detto in precedenza lo stato di Israele è diventato un leader mondiale per ciò che riguarda tecnologie di analisi e belliche per via del fatto che ha potuto sperimentarle per decenni direttamente sui palestinesi, in modo analogo riteniamo che in questa fase la popolazione venga mantenuta in un così elevato numero a livello globale, perché necessaria all’addestramento dei sistemi digitali e alla sperimentazione in vivo di tutta una serie interminabile di nocività. Crediamo che a un certo punto però, l’avere un così alto numero di individui verrà ritenuto, da chi detiene il potere, più un problema che un vantaggio, e pertanto pianificarne la gestione e la riduzione sarà inevitabile. Il primo e più comprensibile esempio di eccedenza umana è senza dubbio quello che riguarda l’ambito lavorativo. A ogni rivoluzione industriale c’è stata questa conseguenza, ma in passato la mano d’opera veniva poi convogliata in altri settori, e comunque, per via di alcuni limiti tecnici dell’automatismo produttivo, essa era ancora necessaria. Nella cosiddetta quarta rivoluzione industriale, per via dei livelli raggiunti dagli sviluppi delle tecno-scienze, la produzione, la gestione, e persino la riparazione e la costruzione dei macchinari stessi, puntano a essere completamente gestite da sistemi di calcolo e robot. Di fronte a questo scenario, che a questo punto sarebbe ridicolo definire futuristico, come affronterà il potere la questione dell’eccedenza umana?
In un contesto di disoccupazione umana generalizzata, come fase transitoria per contenere disordini sociali, verrà legalmente disposto il cosiddetto reddito universale, che sarà sicuramente accolto con favore dai chi è in difficoltà economica.
Oltre a mantenere le persone più tranquille, questo strumento servirà a rafforzare l’idea di Stato come garante e profusore di benessere, rendendo inoltre ulteriormente ricattabili tutti coloro che per sopravvivere dovranno dipendere dall’entrata mensile garantita da esso. In modo analogo alla creazione di fonti di reddito moderne (youtuber, influencer, servizi digitali, etc…), anch’esso rafforzerà la convinzione dell’indispensabilità di un certo modello sociale.
Chi avanza critiche allo “spreco di danaro” per finanziare i redditi universali ai “disoccupati-fannulloni”, non coglie una visione più ampia della fase storica nella quale ci troviamo. Oggi il denaro viene “creato dal nulla” su richiesta del mondo finanziario, inoltre, l’accumulo di ricchezze non è più la priorità della classe dominante, perché immettere denaro anche “a perdere” può essere un mezzo per mantenere ben salde le proprie posizioni sociali, passando pure come benefattori e filantropi: alla fine si tratta di un investimento con tornaconto non indifferente.
Detto questo, sul lungo periodo la misura del reddito universale non potrà più essere una soluzione valida, per questo crediamo che verrà implementata con ulteriori limitazioni alle libertà personali, comprese quelle riguardanti la riproduzione e persino la morte.
Le mani sulle vite…
In un contesto come quello italiano non è ancora il momento per chi detiene il potere di utilizzare metodologie radicali come quelle impiegate da Israele. Pertanto, la gestione degli individui in modo sempre più capillare passerà per step intermedi che interverranno direttamente sui corpi, e in un modello che va via via verso quello che potremmo definire totalitarismo 4.0 non potrà prescindere anche dalla gestione della riproduzione umana. A oggi tra i fattori che fanno in modo che ci sia un incremento considerevole di persone che scelgono di avvalersi delle diverse tecnologie riproduttive, c’è anche il rafforzamento dell’idea secondo la quale passare per un laboratorio sia garanzia di maggiore sicurezza: il contesto sociale contemporaneo ha costituito un capzioso idealtipo, ben pubblicizzato dai media, quello della “donna che vuole un figlio a tutti i costi”, che sembra giustificare l’omissione dei dati disponibili sugli aspetti negativi per la salute della madre e del feto da parte dell’industria medica e del suo indotto.4
Come sempre accade, ad affiancare il lavoro della propaganda c’è sempre un lavoro legislativo. In questo caso specifico, le continue modifiche alla legge 40 in Italia stanno allargando sia lo spettro delle tecniche consentite che i presupposti per poter accedervi.
Da parecchio tempo, col pretesto di evitare malattie genetiche ereditarie, si è fatta largo la diagnosi pre-impianto degli embrioni, strada che a oggi ha portato a poter intervenire anche sulle caratteristiche estetiche più diversificate: un vero e proprio processo eugenetico.
Da sempre, il pretesto di salvaguardare la salute funge da cavallo di Troia per ciò che riguarda la normalizzazione di certe pratiche, infatti, ciò che riesce a imporsi è la visione di un’eugenetica positiva, fatta passare come un qualcosa di diverso da quella dell’epoca nazista, dando l’impressione che non siano progetti determinati da certe lobby a dirigerne le finalità, ma si tratti di una scelta autonoma. Al contempo la capacità di riprodursi degli esseri umani viene intaccata su più fronti. Si dà il caso infatti che nocività quali campi elettromagnetici artificiali e pesticidi (ma l’elenco è ben più lungo) abbiano considerevoli ripercussioni sull’apparato riproduttivo; purtroppo in pochi ne sono a conoscenza, pertanto la crescente incapacità di procreare appare esclusivamente dovuta al caso. Guardando in ogni ambito ci si accorge che il sistema tecno-scientifico affina strumenti per editare esseri umani, sperimenta uteri artificiali, impianta chip cerebrali, manipola il DNA etc… In poche parole punta a ridefinire la stessa umanità e il modo in cui essa viene e sta al mondo: progressivamente si sta scivolando verso la completa delega della riproduzione e della vita all’apparato bio-tecno-medico.
Per ora c’è ancora la possibilità di scegliere la via naturale, ma in un futuro ormai prossimo, la propaganda farà in modo che l’unico metodo ritenuto sicuro sia per la futura madre che per i nascituri sarà considerato quello artificiale. E’ breve il passo che va dall’affidarsi a degli esperti, all’accettare che una legge, magari legittimata da una dichiarata emergenza, sancisca chi avrà il diritto di avere un figlio o una figlia; imponendo anche il numero massimo che se ne potranno partorire. Senza contare che proprio come ne il mondo nuovo di Aldous Huxley, le ricerche volte all’individualizzazione e alla soppressione di caratteristiche comportamentali, potrebbero dare la possibilità di bio-ingegnerizzare esseri umani che abbiano oltre a certe caratteristiche fisiche, anche quelle caratteriali più consone al ruolo deciso per loro all’interno della società.
A prescindere se ciò diverrà davvero possibile, il semplice tentativo è sufficiente a mostrarci quali siano gli obiettivi da loro perseguiti.
In un contesto nel quale gli sviluppi dell’apparato bio-tecnologico e digitale si pongono come risolutori di ogni sorta di problematica, oltre alle cosiddette scienze della vita, la soluzione smart comincia già a farsi strada.
Catriona Campbell, psicologa comportamentale ed esperta di Intelligenza Artificiale, è convinta che nei prossimi cinquant’anni i genitori potranno scegliere di avere dei figli digitali: "Dato che il metaverso si evolve, credo che i bambini virtuali diventeranno una realtà accettata e pienamente abbracciata della società in gran parte del mondo sviluppato". Con quelli denominati per ora Tamagotchi Kids5 sarà possibile interagire utilizzando dispositivi per la realtà virtuale come auricolari e visori, nonché guanti hi-tech che permettono di sperimentare sensazioni tattili. Gli utenti potranno impostare i parametri per fare in modo che l’aspetto sia simile al proprio, interagendo con essi nei luoghi virtuali che desiderano.
“Si potrà giocare con loro e coccolarli. Saranno in grado di simulare risposte emotive e discorsi, che andranno dai vagiti a discorsi più complessi man mano che le parole dei genitori saranno assimilate e inserite nel loro dizionario, grazie all'utilizzo dell'intelligenza artificiale ".
Potranno inoltre scegliere quanto velocemente far crescere i bambini: ad esempio un utente potrebbe optare per mantenere il bambino come neonato per quanto tempo desidera. E senza giri di parole dichiara che ci sono diversi vantaggi: “grazie a essi si può controllare la sovrappopolazione mondiale, inoltre, crescere i figli ha costi elevati, che vengono abbattuti con i bambini virtuali. Infine, i bambini virtuali consumeranno risorse molto inferiori rispetto ai bambini reali e avranno uno scarso impatto sull'ambiente. E qualora si dovessero presentare dei problemi, come la mancanza di tempo da dedicare al bambino online oppure lo sviluppo di un carattere non gradito, basterà annullare l'abbonamento oppure cancellare il servizio”.
Come solitamente accade, un qualcosa che appare inaccettabile, comincia a diventare un argomento di discussione, in un processo che porta gradualmente alla sua accettazione diffusa. Ovviamente questo processo subisce una potente accelerazione nel caso venga dichiarato uno stato di emergenza. L’esempio più recente è quello della dichiarata emergenza Covid-19, la quale ha reso di fatto accettabile non solamente limitazioni delle libertà individuali, ma anche la sperimentazione su larga scala dei sieri genici.
Abbiamo più volte ribadito come gli stessi responsabili del disastro socio-ecologico nel quale versa l’intero pianeta propongano soluzioni che in realtà porteranno ulteriori danni irreversibili. Purtroppo, per ignoranza, disinteresse o forse per risparmiarsi la fatica di indagare e di verificare ciò che viene raccontato dalla propaganda, la maggior parte delle persone accetta di buon grado ogni nuova nocività dipinta di verde.
Per questo motivo nell’articolo sopracitato si dice anche che questi bambini avranno minor impatto sull’ambiente.
In un contesto come quello attuale, dove una moltitudine di persone affiancano alla propria vita nel reale una componente virtuale, alla quale la maggior parte degli individui sta progressivamente concedendo sempre più spazio, non è così irrealistico che anche il creare ed il crescere i propri figli, da esperienza carnale si riduca a esperienza virtuale: non più genitori, ma meri utenti.
... Le mani sulle morti
Parlando di colonialismo tecnologico, non distogliendo però lo sguardo dal genocidio in Palestina, dobbiamo considerare anche l’eliminazione fisica come una componente che si inserisce in questo progetto. Una delle maggior novità degli ultimi anni in campo biotecnologico è il metodo del “gain of function” ovvero la tecnologia utilizzata nei bio-laboratori di tutto il mondo per potenziare la letalità e determinare il target preferenziale di alcuni virus: delle vere e proprie armi biologiche di distruzione di massa. Il loro rilascio potrebbe essere utilizzato per lo sterminio di intere popolazioni, di specifici gruppi etnici o certe fasce di età. In uno scenario del genere, anche per via della propaganda, risulterà estremamente difficile alla maggior parte degli individui comprendere che non si tratterà di un’epidemia casuale, e per com’è stato nel periodo del Covid-19, se ci saranno disordini sociali saranno per lo più direzionati verso coloro che metteranno in discussione la propaganda ufficiale. A oggi mediante la tecnologia chiamata “gene drive” si possono manipolare esseri viventi per far in modo che una volta rilasciati in natura, trasmettano tale modificazione genetica alle generazioni successive, col risultato di una totale sostituzione nel giro di qualche anno della specie naturale, portandola di fatto all’estinzione di massa. Non staremo qui a ribadire per l’ennesima volta come l’inserire all’interno di un ecosistema esseri viventi geneticamente modificati che interagiscono con tutto il resto del vivente avrà per forza delle conseguenze imprevedibili e irreversibili, e in questo caso è particolarmente inquietante solo pensarci. Quello che ci preme è mettere in luce che si sta sperimentando un’arma che è in grado di estinguere un’intera specie, o magari un’intera etnia se parliamo di esseri umani.La potenzialità fattuale di questi mezzi è dimostrata ad esempio dal progetto, presentato come benefico, denominato “target malaria”. La Fondazione Bill e Melinda Gates, la Defence Advanced Research Projects Agency (Darpa) ovvero l’agenzia del Dipartimento della difesa USA (attiva in tecnologie a uso militare) sono tra i maggiori finanziatori di questo progetto, che punta a rimpiazzare le zanzare che diffondono malaria con zanzare modificate geneticamente. Nella città di Bana in Africa sono stati rilasciati alcuni esemplari di zanzara per testarne gli effetti direttamente in natura.
Un altro esempio è quello dell’azienda MosquitoMate, la quale in alcune città del Vietnam, dell’Indonesia, della Malesia, del Brasile e dell’Australia ha rilasciato esemplari infetti di ambo i sessi, così che questi trasmettano il batterio ai propri discendenti, finendo un po’ alla volta per soppiantare le zanzare selvatiche, incapaci di riprodursi con successo con quelle infette. L’estensione di tali tecniche all’umano, avrà la potenziale capacità di ridurre o inibire del tutto la possibilità di riproduzione, spianando ulteriormente la strada alla totale riproduzione artificiale dell’umano.
I ricercatori affermano infatti che questa tecnologia è estendibile a qualunque essere vivente, sia animale che vegetale e persino ai batteri. Sono attualmente in corso progetti per l’eliminazione delle specie ritenute invasive (ratti, opossum, donnole, ermellini, furetti) in Nuova Zelanda, a loro dire per difendere le specie autoctone, in una paradossale idea di natura, che per essere tutelata e salvaguardata necessita di essere manipolata geneticamente. Il passo culturale che va a decretare l’eliminazione o la riduzione del numero degli animali dichiarati dannosi/pericolosi agli umani è brevissimo. Vorremmo ricordare che attualmente tra la moltitudine di immonde dichiarazioni, è stato detto che i Palestinesi sono da considerarsi subumani, categoria volta a legittimarne ulteriormente lo sterminio. Definizioni analoghe potrebbero essere utilizzate da chi sta al potere a giustificazione della repressione e perfino dell’uccisione di persone che decideranno di non accettarne le imposizioni. Gli scenari appena descritti sono terrificanti, ma se di genocidio si parla, allora non possiamo evitare di prendere in considerazione quello che è il cambiamento a livello internazionale per ciò che riguarda il cosiddetto “suicidio assistito”. Questo discorso meriterebbe un lungo approfondimento, ma seppur in modo parziale sentiamo l’urgenza di scriverne ora che ne abbiamo la possibilità: in tempi come quelli che stiamo vivendo il rimandare potrebbe voler dire non aver più l’opportunità di farlo. Le battaglie che da anni vengono portate avanti contro l’accanimento terapeutico e il diritto di scegliere quand’è arrivata la propria ora, allo stato attuale sono state completamente recuperate da chi sta al potere. Se si ha la convinzione, come noi, che il sistema non concede nulla se non per via di un’opposizione conflittuale, si dovrebbe già intuire che ciò che appare un’apertura, cela progetti di riduzione della popolazione umana.
In tutto il mondo stiamo assistendo a leggi o proposte di leggi che rendono accessibile tale pratica a pazienti psichiatrici, ai tossicodipendenti, a chi soffre di depressione, ai disabili, agli adolescenti e perfino agli anziani stanchi di vivere o a quelle considerabili vite concluse.
Anche in questo caso, l’autodeterminazione del proprio morire diventa una questione tecnica e a decidere saranno, come al solito, istituzioni mediche e psichiatri. La prima cosa che balza subito all’occhio è come la maggior parte delle categorie prescelte siano indubbiamente considerate un peso dalla società stessa. Ripensando al periodo del Covid-19, quelli che il potere ha definito no-vax sono stati non solo descritti come malati di mente, ma dichiarati tali in alcune trasmissioni televisive dove specialisti sentenziavano che essi soffrivano di una patologia che li rendeva incapaci di distinguere il vero dal falso, come in alcune forme di demenza. Ciò dovrebbe ritornare a far riflettere sul potere detenuto dal sistema psichiatrico, il quale può arbitrariamente decretare la follia in un essere umano qualunque. Se consideriamo che a oggi si spinge per far in modo che uno psichiatra possa alleviare ciò che a suo dire sono delle sofferenze incurabili, autorizzando l’uccisione di un individuo, le prospettive per chi verrà dichiarato malato di mente non saranno delle più rosee. Quello della sofferenza strumentalizzata è un tema ricorrente quando si tratta di promuovere pratiche direttamente sui corpi, questo ne è l’ennesimo esempio.
Saranno sempre tecnici a valutare se effettivamente gli anziani over 75 saranno stanchi di vivere, o a decretare se si tratta di vite concluse.
Noi restiamo fermamente convinti che la scelta di togliersi la vita sia una decisione che un individuo può prendere, ad esempio in alcune culture tale pratica fa parte dei riti condivisi che hanno un senso profondo. Ciò nonostante è interessante vedere come il sistema, che riteneva persona malata di mente chi tentava di suicidarsi, a oggi invece proponga tale pratica come una soluzione a diagnosticati disagi incurabili, terminologia che potenzialmente raccoglie uno spettro ampissimo di possibili candidati. Inoltre, come quando un detenuto si toglie la vita in carcere puntiamo il dito contro l’istituzione carceraria, accusandola di omicidio, allo stesso modo accusiamo questo modello di società dell’incremento delle persone che scelgono di andarsene.
La promessa che il sistema tecno-scientifico fa, ovvero di aiutare a eliminare le sofferenze attraverso questa pratica, sta incrementando il numero di persone che decidono di sottoporvisi: lo vediamo dai numeri nei Paesi dove le leggi già hanno allargato lo spettro di chi può accedervi, e ciò ci fa pensare che di libera scelta non si tratti affatto, ma di una decisione indotta.
Conclusioni
In conclusione, vorremmo semplicemente dire che la società del futuro non è quell’immagine da cartolina spacciata dai suoi promotori, ma è più una Gaza allargata: da una parte del muro smart city iper-tecnologiche e dall’altra, l’umanità eccedente, inutile, o forse utile semplicemente per sperimentare sulla loro pelle ogni sorta di tecnologia, per poi essere letteralmente eliminata in caso dia troppi problemi, magari mediante gli stessi sistemi di sterminio automatizzati che in questo momento sta utilizzando, addestrando e perfezionando lo stato israeliano a Gaza.
Siamo consapevoli che per alcuni queste nostre conclusioni possano apparire estreme, forse perché non si ha ancora ben chiaro con chi si ha a che fare, o forse perché la dura realtà in divenire è difficile da affrontare. Anni ormai or sono, chi parlava di chip cerebrali, ibridazione umano-macchina, uteri artificiali, etc… veniva tacciato con ogni sorta di etichetta denigratoria, ma a oggi, tutto ciò è di fatto una realtà effettiva e operante: ciò che ora può sembrare un’esagerazione, domani con molta probabilità sarà la realtà. Quello che vorremmo trasmettere è l’urgenza di lottare contro una società che corre verso un modello tecno-totalitario, che riesce a imporsi penetrando e modificando in primis la cultura generale, trasformando i pensieri così nel profondo da non essere percepito come portatore di un mondo nel quale la libertà sarà sinonimo di completo assoggettamento, e nel quale l’eliminazione di chi non accetterà tutto ciò verrà percepita come una necessità a tutela di ciò che verrà fatto considerare “bene comune”.
Detto questo, al contrario di ciò che ci vorrebbero far credere, non esiste un finale già scritto, non tutto è controllabile, i ribelli palestinesi ne sono la dimostrazione: sta a noi decidere se vivere da sudditi o ribellarci, consapevoli di poter anche morire, nella consapevolezza che la pratica della lotta è già di per sé l’espressione del proprio essere liberi.
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