Cicli secolari
di Fabrizio Russo
Rileggo continuamente, anche se a spezzoni, il bellissimo lavoro di Peter Turchin e Sergey A. Nefedov: “Secular Cycles” edito da Princeton Press. La rilettura mi provoca ogni volta (e, devo dire, mio malgrado) una scarica rutilante, una fiumana, di pensieri. Il primo però è certamente: “Abbiamo davanti ai nostri occhi la corretta interpretazione delle cause dei problemi che ci circondano, e questo è già avere a disposizione mezze soluzioni, ma non vogliamo leggerla!”. L’essere umano è fatto in questo modo: agisce secondo il principio di economia (continua ricerca del minimo sforzo e massimo risultato) e così facendo evita di affrontare i sentieri più difficili della vita, preferendo le “autostrade” che portano a cercare soluzioni evanescenti e illusorie di brevissimo periodo a problemi di lungo termine. Oppure all’altro estremo si spinge nelle varie forme di negazione della realtà: droga, alcool e dipendenze varie, edonismo para-patologico nelle sue varie forme, disperazione e lotta armata contro i mulini a vento!
Qual è il collegamento delle analisi di Turchin e Nefedov con la nostra realtà di tutti i giorni? Il punto è proprio questo: il collegamento è molto distante, quindi pressoché invisibile, ma fortissimo …… anzi, oserei dire che è un legame di tipo deterministico! Nel dettaglio, Turchin e Nefedov hanno analizzato “matematicamente” i cicli storici degli ultimi due millenni considerando le principali dinamiche sociali, demografiche e di risorse naturali ed hanno scoperto delle sconcertanti regolarità di processo, con un modello che approssimativamente risulta il seguente:
In un simile processo, ogni ciclo ha caratteristiche simili nel suo svolgimento. Dura secoli, con fasi articolate, a loro volta su più generazioni. Il processo prevede, al termine della fase di sviluppo e iniziale consolidamento, una fase di stagflazione: intesa come indebolimento progressivo del potere di acquisto del cittadino mediano. Non vi suona familiare con i problemi che oggi incontrano le famiglie un po’ in tutti i paesi occidentali?
Durante questa fase l’oligarchia è invece ancora in fase di accumulo, ma è un accumulo che avviene trasferendo dalla parte più debole a quella più forte. Ancora: questo non vi suggerisce nulla? Durante la fase di espansione “buona” – quella sino agli anni ’70, per intendersi: vedi sotto Galbraith – l’accumulo avviene, invece, prevalentemente attingendo al capitale naturale e/o all’esterno.
Ora, sebbene il ciclo attuale sia ancora in corso esso pare proprio seguire, con un’elevata approssimazione, lo schema di Turchin e Nefedov (nonché quello di Kondratieff, se definiamo in modo opportuno la lunghezza delle “stagioni”). L’economista James K, Galbraith nel suo recente “The End of Normal” giunge a conclusioni simili da un’angolazione prettamente economica, collocando il punto di massimo nell’espansione dell’economia americana attorno al 1970. Da allora si è entrati – parliamo del blocco occidentale, in cui l’Italia e l’Eurozona si trovano, ovviamente – in una fase di stagflazione, parzialmente mascherata dalla finanziarizzazione – tirata fuori dal cappello dal neo-liberismo – che ha provocato iperinflazione nel valore degli asseti finanziari ma deflazione del potere di acquisto mediano.
I paesi poveri e ora anche UK ed Europa sono la parte molle e più debole dell’impero nord-americano (in quanto possono essere “rapinate” al fine di trasferire quel che resta alle oligarchie del centro dell’impero), dove le avvisaglie del ciclo successivo (la distruzione dello stato) è già palese. Essi sono anche, analogamente, le pedine “sacrificabili” di un gioco alla “last man standing” contro le nascenti nuove potenze globali, gli “incumbent”: un aspetto non secondario di cui i poteri politici non sembrano riuscire – o non vogliono – a tenere in conto.
Il principale indizio è la perdita della compattezza all’interno delle classi dominanti. La frantumazione è diventata palese in UK dove, ad esempio, in passato (si parla del crimine quando tutti i colpevoli sono scomparsi … almeno politicamente), personaggi come Cameron e Boris Johnson – membri del top dell’élite – si sono affrontati a viso aperto senza esclusione di colpi. Sono palesi in Germania dove dietro AFD ci sono élite dal diverso orientamento, sono ovvie in Italia dove le élite locali sono divise tra chi ha avuto benefici dall’unione monetaria e chi invece è sceso verso il basso, sino a confondersi con la classe media.
In questo contesto si collocano i sogni quotidiani delle nuove generazioni che, ovviamente risultano incompatibili con il contesto di riferimento appena descritto e risulta perfettamente coerente la sensazione dell’uomo della strada che sente di “scivolare in basso”. Come succede, ad esempio, in Canada secondo la notizia pubblicata da “Deepdive”: “Canadian Pessimism Peaks: 70% Expect Lower Living Standards for Next Generation”.
Insomma: Le persone non sanno di cosa si tratta ma sentono che qualcosa non va. Il fatto di non sapere di cosa si tratta crea angoscia e disagio, per risolvere questo disagio è fondamentale guardare in faccia alla realtà. Se non si conosce il problema non è possibile cercare una soluzione e prevale il senso di impotenza.
A fronte del malessere sociale diffuso che si osserva – nei paesi occidentali – spesso vengono invece condotte analisi “moralistiche” e di costume o al più analisi che, potremmo dire, fanno riferimento all’ “Educazione civica”: “questo non va bene perché non è coerente con le regole, con le leggi, e la società è intrisa di ipocrisia e di media che ci forniscono una rappresentazione falsata della realtà” nel tentativo neo-liberista di far credere che tutto procede per il meglio.
Ancorché tutto ciò sia vero e corretto, adottando questo tipo di critica non credo che si faccia un buon servizio al cittadino comune (o al lettore) e, soprattutto, non credo che si arrivi da nessuna parte. Anzi, si fa il gioco di quei poteri che sono interessati fondamentalmente al mantenimento dello “status quo”. Come una pentola a pressione si permette infatti al vapore di uscire, emettendo un fischio ma sostanzialmente non si risolve nulla visto che “il fuoco rimane comunque acceso” e l’energia continua ad accumularsi dentro la pentola.
Dobbiamo invece comprendere che i comportamenti che osserviamo – ancorché dannosi e non risolutivi – sono il frutto dell’adattamento degli esseri umani alle condizioni oggettive e materiali in cui si trovano: si comportano in modo “non etico” o, banalizzando, “contrario all’educazione civica” perché l’istinto di sopravvivenza dell’individuo prevale sulla necessità di mantenere “in salute” il sistema sociale, evitando distorsioni che ne minano la regolare sopravvivenza e impediscono la prosperità (a cui aggiungerei la felicità dei singoli) sul lungo periodo. Insomma, il “speriamo che ma la cavo” prevale sulla bellezza e armonia di una crescita sana e dettata da regole condivise: la negazione del principio di felicità prevale a causa della paura e della reazione pavloviana alle ristrettezze/vincoli materiali contingenti. Il punto è che bisogna cercare, ammesso che esista ed io penso che esista, un assetto in cui la crescita e lo sviluppo tornano a essere guidati da un accumulo che avviene prevalentemente attingendo al capitale naturale, specie immateriale, e/o all’esterno dei confini nazionali/continentali.
L’energia in questo contesto gioca un ruolo chiave primario. Secondo Tim Morgan (Perfect storm, energy, finance and the end of growth) un fattore critico a livello di sistema è il rapporto tra l’energia estratta e quella consumata per il relativo processo di estrazione che si misura con l’equazione matematica EROEI (energy return on energy invested) che prevale nel determinare il buon funzionamento del sistema economico-sociale sul concetto di quantità assoluta di energia disponibile.
La funzione non è lineare e una volta scesi sotto un determinato livello critico vi è un drammatico crollo del surplus di energia, combinato con una forte escalation del relativo costo e per conseguenza di quasi tutti gli asset correlati all’energia stessa, compreso ovviamente anche il cibo.
Le contraddizioni occidentali, e i collegati scontri tra élite, sono diventate evidenti in USA con Trump di cui si tace essere espressione di élite con una visione isolazionista più vicina ad Andrew Jackson che alla linea emersa vincente durante il XX secolo.
Malgrado l’evidente interconnessione di ogni angolo del pianeta, fatto che condiziona ogni analisi storica che cerca di attingere da un passato molto diverso, i cicli storici di Occidente e Oriente sono sfalsati. Trenta anni fa l’economia dei paesi non occidentali contava per circa il 30% mentre ora è al 60% malgrado dollaro/euro siano monete di riserva e quindi sopravvalutate come potere di acquisto. E’ impossibile che un ribaltamento così profondo della “forza economica relativa” non sia accompagnato da un profondo cambiamento dei rapporti di forza nella finanza.
Brexit, clamorosa sconfitta dell’impero americano che ne esce indebolito, da solo sarebbe poco rilevante ma collegata alla miriade di fatti avvenuti dal 1970 in poi mi sembra puntare con evidenza alla fine del ciclo “occidentale”: paesi in crisi demografica, privi di capitale naturale sul quale costruire la leva operativa/finanziaria che è la base di un’economia solida e strutturata in grado di esprimere nuove potenzialità e impossibilitati dal “sottrarlo” (non usiamo il termine “rubarlo”, che può fare riferimento al colonialismo di antica data) al di fuori perché scarso o per la presenza di altri stati più indietro nel ciclo secolare e che non possono essere affrontare militarmente. Il dubbio della reale forza dell’occidente è palese dalla crisi del 2009 questo è solo un ulteriore spinta a procedere a una più forte integrazione tra le loro economie e a uscire dal dilemma euro/dollaro che pone rischi esiziali nel medio termine.
Una riprova lampante dell’attuale fase stagflattiva è la “stagnazione secolare” (definizione formulata nel 2014 da Laurence H. Summers mutuandola dall’economista Alvin Hansen, che lo coniò durante la Grande depressione degli anni ’30) in cui è entrata l’economia capitalistica, in particolare occidentale, con la crisi del 2007-2009 dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime.
La “stagnazione secolare” consiste di una crescita del Pil molto ridotta, ben al di sotto del potenziale. Secondo Summers, la bassa crescita è dovuta alla riduzione degli investimenti di capitale. Del resto, la crescita precedente alla crisi dei mutui subprime è stata sempre dovuta a una politica fiscale e monetaria eccessivamente espansiva, basata sul mantenimento di tassi d’interesse molto bassi da parte della Fed, la banca centrare statunitense. In sostanza, rileva Summers, negli ultimi quindici o vent’anni non c’è stato un solo periodo in cui si sia verificata una crescita soddisfacente in condizioni finanziarie sostenibili. Questo problema, però, non ha riguardato solo gli Usa, ma anche l’area euro e il Giappone.
Quanto scriveva Summers nel 2014 ha trovato conferma in quanto avvenuto fino a oggi. La crescita del Pil si è ridotta dappertutto e nel 2020 si è avuta, a seguito della pandemia, la più grave recessione dalla fine della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, il rallentamento è stato più accentuato nei principali Paesi avanzati e meno marcato in alcuni Paesi emergenti. Tale fenomeno può essere osservato mettendo a confronto i Paesi del G7 (Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Canada) con i Brics (Cina, India, Brasile, Russia e Sud Africa), sia nel periodo precedente alla crisi dei mutui subprime, tra 1980 e 2007, sia nel periodo successivo, tra 2007 e 2021.
La crescita dei Paesi della Triade, che comprende le tre aree storicamente dominanti del capitalismo mondiale, il Nord America, l’Europa occidentale e il Giappone, era già inferiore a quella dei Brics nel periodo 1980-2007, ma dopo il 2007 si è dimezzata. Gli Usa, ad esempio, tra 1980 e 2007 fanno segnare una crescita media annua del 3,1%, che nel 2007-2021 si dimezza all’1,5%. Dall’altra parte, Cina e India registrano una crescita molto superiore rispetto a quella Usa nel periodo 1980-2007, rispettivamente del 10,1% e del 6,1% medio annuo. Nel periodo 2007-2021 la crescita di Cina e India si riduce, ma molto meno di quella statunitense, rispettivamente al 7% e al 5,5% medio annuo, rimanendo così molto superiore a quella statunitense.
In questo contesto, non c’è dubbio che vedremo un intensificarsi della propaganda che vorrebbe convincere il cittadino occidentale che continuiamo a essere il perno del mondo; le oligarchie occidentali hanno già perso il controllo sul resto del mondo, la prova di forza militare dei russi in Siria e l’indifferenza con la quale i cinesi continuano a sviluppare la propria forza militare nei mari attorno al proprio paese, non lascia agli oligarchi americani altra alternativa che accettare che il mondo è multi polare o immolarsi in un immane pira nucleare.
Ora le oligarchie occidentali stanno perdendo anche il controllo sui propri paesi e saranno forzati a concentrare qui le proprie risorse oppure sfidare il buonsenso in un rilancio di una politica internazionale di confronto che la popolazione, almeno in Europa, non vuole assolutamente. Si apre un periodo lungo diverse generazioni dove l’attenzione non sarà sull’aumento del benessere materiale individuale ma sul tentativo di mantenere in piedi le strutture collettive necessarie al mantenimento di uno stato moderno.”
Arrivando al nostro Paese, la prima cosa che chi ha a cuore le sorti della nostra collettività nazionale dovrebbe fare è tenere conto proprio del quadro sopra descritto. Solo così sarà possibile trovare una soluzione ai problemi sociali che attanagliano il nostro Paese, inquadrandoli in un nuovo contesto che renda possibile una nuova ondata di sviluppo economico-sociale.
Ciò significherà comunque scelte coraggiose, che ci dovranno vedere uscire dall’alveo in cui attualmente ci troviamo …. E forse è proprio questo il principale problema oggi: non appiattirsi sull’adagio “Finché la barca va, lasciala andare”! Scegliendo un contesto in cui il nostro Paese – cosiccome l’Europa, o meglio l’Eurozona a cui possiamo allargare il perimetro del discorso – solo apparentemente gioca (giocano) un ruolo all’interno della comunità internazionale ma viene in realtà “sfruttato” dall’egemone del mondo occidentale e costituisce una pedina, potenzialmente sacrificabile in prospettiva, nel caso l’egemone si trovi in una situazione di difficoltà insormontabile, tale da richiedere il sacrificio di una parte periferica dell’Impero.
Questo, la capacità di effettuare scelte coraggiose, pare il principale ostacolo che si frappone tra la triste e complessa realtà dei nostri giorni e un futuro radioso per le prossime generazioni di italiani. Purtroppo la storia non si riesce a fermare, così come non si riesce a fermare un treno mettendosi in mezzo ai binari … magari di schiena! Quindi se non saremo noi a fare le scelte coraggiose ci verranno imposte dall’evolvere del contesto globale.
In effetti, sono personalmente convinto che: “O le società si adattano al cambiamento storico, o ne vengono travolte”. Un principio semplice e di buon senso, in fondo! Un principio che si applica in primo luogo sul ring, nelle arti marziali dove l’adattamento nel confronto fisico è fondamentale e il confronto globale odierno è certamente un confronto fisico tra due mondi! Ragionando in questo modo spicciolo, ma proprio per questo comprensibile a tutti, il destino di un paese – in primis del nostro Paese – dipende dalla capacità di adattarsi al nuovo contesto, scegliendo il posizionamento ideale, coerente con le sue caratteristiche strutturali e con le sue potenzialità: anche i piccoli, se combattono in modo corretto, possono mettere al tappeto – in senso figurato, ovviamente, nel nostro caso – quelli più grossi di loro, specie se “quelli più grossi” sono infarciti di ipotesi neo-liberiste, che si disfano come neve al sole di fronte alla forza del ciclo.
Comments
Cycles. A Theoretical, Historical and Statistical Analysis of the Capitalist Process" (1939), che
appartiene al novero dei classici del pensiero economico novecentesco. La teoria del ciclo elaborata da questo economista in un libro di più di mille pagine vuol essere infatti una spiegazione complessiva sia delle fluttuazioni brevi sia dello sviluppo di lungo periodo dell’economia capitalistica. Tale spiegazione ingloba nel suo modello non uno ma più cicli, cioè quello di Kitchin, quello di Juglar e quello di Kondrat’ev. Oskar Lange aveva ragione quando, nella sua recensione di "Business Cycles", per porre in
rilievo l’importanza di questo libro, lo paragonava al "Capitale". Del resto, come è stato giustamente
rilevato, le due grandi opere vanno ben al di là del campo vero e proprio dell’economia, si aprono su
problemi cronosofici e pongono in particolare il problema dei rapporti del presente, cioè del
capitalismo (caratterizzato ovviamente da ciascuno dei due autori a suo modo) con ciò che l’ha
preceduto ed anche con il futuro.
Non capisco il senso di questa proposizione tanto più che nel secolo scorso e anche ora questo capitale naturale, leggasi energia (uranio ecc) , è stato estratto dalla colonizzazione francese dell Africa. E ancor di più non capisco cosa intenda per capitale immateriale.
Mi sembra inoltre troppo generico il discorso sul posizionamento che il nostro paese dovrebbe ritagliarsi atteso il declino dell egemonia occidentale, considerando che tale questione richiederebbe una analisi specifica.
E in mezzo ai binari vedo gli Stati Uniti e il loro rottweiler, Israele.
Grazie per l'attenzione //Giorgio Stern
"...dipende dalla capacità di adattarsi al nuovo contesto, scegliendo il posizionamento ideale, coerente con le sue caratteristiche strutturali e con le sue potenzialità: anche i piccoli..." POSSONO!
Il punto e' centrato, ma nessuno a occidente ha conservato forme statuali che consentano di agire sull'economia e ricostruire le strutture collettive necessarie.
Anatema, anatema!!!
Decide il libero mercato e le oligarchie. Nessuna oligarchia e nessun libero mercato si preoccupa di fare strade secondarie senza pedaggio, reti elettriche se non prevedonomonopoli e strozzinaggio sugli utenti, ospedali in cui sei curato sempre e non in base ad assicurazioni che escludonk malattie pregresse e/o croniche e via strozzando qualsuasi pulsione verso strutture collettive.
Cambiare strada significa annullare oligarchie, privilegi, libero mercato ecc e avere le idee chiare sul minimo a cui tende (per il massimo si vedra' in corso d'opera) non sono dinamiche che nascono per generazione spontanea
Capire/agire per diffondere consapevolezza e soluzioni e' molto piu difficile che individuare costanti sulle crisi o prendere atto delle medesime.
Anche perche' a girare per le stade di molti centri cittadini sembra di stare sul titanic, si beve si chiacchera sino a notte fonda e si vive al presente anche se gli iceberg sono dietro l'angolo.
Grazie per l'analisi
Che fare?