Italia sull’orlo della bancarotta: governo Meloni ostaggio della PayPal mafia
di OttolinaTV
Fermi tutti! Fermi tutti che qui abbiamo lo scooppone del Foglio! PIL al ribasso, titola allarmato: l’economia italiana è entrata in una fase critica; incredibile ma vero, l’ufficio parlamentare di bilancio ha rivisto le stime sulla crescita del PIL per il 2024 e indovinate un po’? Incredibilmente l’obiettivo dell’1% non è stato raggiunto; anzi, non ci siamo manco avvicinati: 0,7, sentenzia il rapporto. Quando noi – e quelli che, come noi, non devono fare propaganda trionfalista filo-occidentale – lo dichiaravamo ormai quasi un anno fa, i sapientoni del Foglio, dall’alto dei loro curricula accademici in discipline economiche che da 30 anni non ne colgono una manco per sbaglio, ci davano dei gufi; propaganda putiniana, per creare una narrazione tossica sul declino dell’Occidente: “Fatti e numeri smentiscono l’eterna lagna nazionale” scriveva Marco Fortis il 26 marzo, forte del suo contributo alla rinascita italiana prima come consigliere di Mario Monti e poi di Matteo Renzi. Lo stesso Fortis che ancora in maggio rilanciava: “L’Italia ha scalato l’export mondiale”; “un bel successo per un Paese come il nostro che fino a una decina di anni fa era considerato in declino dalla maggior parte degli economisti e considerato come un perdente sicuro nel quadro della competizione globale”
Oggi lo stesso giornale la vede un po’ diversamente: “Il peggioramento della congiuntura è evidente già dallo scorso anno” scrivono, senza un minimo sussulto di dignità; quello che li ha spiazzati è che “nell’ultimo trimestre 2024 anche i servizi, che negli ultimi anni sono andati molto bene, hanno mostrato segnali negativi”. Ma te guarda a volte il caso… A parte gli economisti squinternati di regime che vogliono rilanciare l’Italia a suon di b&b e pizze gourmet, nessuna persona sana di mente può pensare che un Paese come l’Italia possa essere trainato dai servizi: se la produzione industriale crolla, inesorabilmente, a stretto giro, arriverà anche il turno dei servizi.
E la produzione industriale italiana, come prevedibile, non potrebbe andare peggio: Manifattura in ritirata, ribadiva con un titolone a piena pagina giusto lunedì scorso Il Sole 24 Ore; 59 mila attività perse negli ultimi 5 anni. L’accelerata, in particolare, è arrivata proprio negli ultimi 2 anni, proprio mentre Libero e Il Giornale titolavano un giorno sì e l’altro pure a sei colonne sui record italiani sull’occupazione: sì, dei braccianti a giornata, dei camerieri con tre quarti di stipendio fuori busta e dei fattorini a commissione. Le aziende sono state tenute in vita con l’ossigeno durante la pandemia e quando, grazie al governo dei patrioti, è tornata l’austerity proprio mentre, per fare da zerbini a Washington, lasciavamo esplodere la crisi energetica e l’inflazione uccideva i consumi, son cadute giù come pere. E non sono state sostituite da una seganiente: Nuove imprese, titola ancora Il Sole; natalità zero in 478 comuni. Significa che in 6 Comuni italiani su 100 quest’anno non è nata neanche un’impresa, manco una partita IVA: “Ogni sistema industriale è un organo vivente” scrive il sempre attento Paolo Bricco sempre sul Sole; “ogni organismo vivente ha delle funzioni vitali, e la capacità di generare nuova vita è una delle più importanti”. “Fa impressione constatare come in un Comune su dieci del Piemonte, non sia nata nemmeno una impresa. Piemonte: Fiat, Olivetti, Gruppo finanziario tessile, i cuori dell’industrializzazione italiana del novecento che, oggi, non ci sono più. Il 2025 sarà un anno durissimo”: concetti banali alla portata di qualsiasi massaia, ma che non coincidono con il fanatismo neoliberista, che rimane spiazzato.
Ora che ci sono i dati ufficiali, avranno imparato la lezione? Macché; manco il tempo di prendere fiato ed ecco che ricicciano un’altra puttanata colossale: “Restano i consumi” scrive ancora Il Foglio “visto il recupero del potere d’acquisto che dimostrano i salari”. Sembra lo facciano per scherzo: eccovi, infatti, il recupero del potere d’acquisto dei salari. Milano Finanza: Salari in frenata nell’eurozona. Il quadro, come prevedibile, è impietoso: “I salari nell’eurozona stanno frenando” si legge nell’articolo; “L’indice anticipatore della BCE che raccoglie gli accordi contrattuali nell’area euro, ha segnalato un aumento degli stipendi dell’1,5% per il quarto trimestre 2025, in forte calo rispetto al 5,3 dello stesso periodo del 2024”. Altro che recupero del potere d’acquisto! Nei 2 anni di iper-inflazione da guerra per procura degli USA contro la Russia e contro l’Europa, in media i salari italiani hanno perso circa un altro 7% di potere d’acquisto; padroni e governo ci avevano rimpallato promettendo che avremmo recuperato col tempo, perché aumentare i salari tutti d’un botto avrebbe innestato la famosa spirale salari-prezzi, un po’ come quando promettevano che prima dovevamo accettare la flessibilità e, poi, sarebbe arrivato il nuovo welfare per l’uomo che non deve chiedere mai. Ora una fetta consistente di quegli uomini è in fila alla Caritas. D’altronde, i salari non aumentano per gentile concessione: aumentano solo se i lavoratori s’incazzano come bisce, ma ora, come ha osservato il capoeconomista della BCE Philip Lane, “I lavoratori preferiscono conservare il posto piuttosto che chiedere incrementi salariali per compensare l’inflazione degli ultimi anni”.
Salari che non recuperano potere d’acquisto non significa soltanto l’ennesima ingiustizia sulla pelle della gente che lavora per gonfiare le tasche delle oligarchie, ma, appunto, anche meno consumi, proprio mentre – come ammettono anche gli analfoliberali del Foglio – “per l’export non tira buona aria con un commercio internazionale minacciato dai dazi di Donald Trump”. Aumentare il potere d’acquisto dei salari, quindi, non è più solo un problema di equità: è proprio un problema di sostenibilità economica e, per aumentarlo, serve più conflitto, cioè (banalmente) più scioperi; qui, invece, il senso comune è quello alla Salvini che ce ne sono troppi e che è legittimo riportare l’ordine con un po’ di misure autoritarie, tipo quella schifezza del DDL sicurezza. Al netto delle scaramucce in famiglia, finto-sovranisti e analfoliberali condividono una cosa importante: non avere la minima idea di come affrontare i problemi strutturali del Paese e quindi buttarla sistematicamente in caciara sulle puttanate; ora in ballo c’è il negoziato su quanto profondamente inchinarci di fronte a Forrest Trump per evitare che ci meni troppo forte.
Ma inchinarsi potrebbe non essere la strategia migliore perché, nel frattempo, la cricca del presidente è in ben altre faccende affaccendata; martedì scorso, come sempre ero alla ricerca di qualche titolo USA messo in ginocchio dalla concorrenza cinese. Sì, lo so; ognuno ha le sue perversioni: la mia è cercare esempi che dimostrano che il sistema criminale e plutocratico statunitense non solo fa schifo, ma è anche meno efficiente del socialismo di mercato cinese. Purtroppo, invece, mi sono imbattuto su un titolo di un’azienda – che pagherei per vedere o fallita o commissariata – che era letteralmente esploso: sto parlando di Palantir, il colosso dell’analisi dati fondato da Peter Thiel; Peter Thiel è probabilmente l’incarnazione stessa del male, il guru del peggior anarco-capitalismo transumanista, la cosa probabilmente più vicina antropologicamente a un gerarca nazista che vi possiate immaginare (a parte Victoria Nuland, intendo). Nella sola giornata di martedì, Palantir ha guadagnato 24 punti percentuali, ai quali poi se ne sono aggiunti altri 7 il giorno dopo: un caso da manuale per capire le priorità dell’amministrazione chiamata a Make America Great Again; grazie a questa impennata, oggi Palantir capitalizza 245 miliardi che, per un’azienda che l’anno scorso ne ha fatturati poco più di 3 e ha prodotto utili per meno di 350 milioni, non è tanto. E’ proprio una bestemmia, anche rispetto ai valori gonfiati della gigantesca bolla finanziaria USA.
Ma cos’è che piace così tanto agli investitori di Palantir? Per dirla in una parola, la mafia; più precisamente la PayPal Mafia e, cioè, la cricca dei multimiliardari che hanno fondato insieme, ai tempi, PayPal e che, da allora, si sostengono l’un l’altro nel tentativo di derubare quanti più soldi possibile dalle casse dello Stato e dalle tasche dei risparmiatori: di questa PayPal Mafia Peter Thiel è il capo indiscusso insieme a Elon Musk. Il punto è che ora Elon Musk si trova a capo di un ministero, creato ad hoc da Forrest Trump, il cui scopo è tagliare 2 mila miliardi di spesa pubblica: a parte i soldi che leveranno dai sussidi ai disgraziati, una bella fetta verrà anche dai tagli alla macchina amministrativa che, a parte qualche centesimo qua e là, come sempre non significa una beata minchia. Si legge risparmio, ma, in realtà, è solo esternalizzazione verso i privati e, giustamente, tutti sono convinti che (tra quei privati) un posto al sole spetterà a Palantir. Ma la vicenda Palantir rischia di essere soltanto la cima dell’iceberg di una rapina generalizzata senza precedenti nella storia: da capo del DOGE, infatti, Elon Musk sta rapidamente entrando in possesso di tutti i dati sui 6 mila miliardi di spesa che ogni anno transitano attraverso le casse del Tesoro, dati che riguardano i suoi diretti concorrenti e che, potenzialmente, sono alla base della più grande operazione di insider trading della storia dell’umanità.
Per trarne il maggiore profitto possibile, Elon il Grande ha affidato il lavoro sporco a gente fidata che più fidata non si può, a partire da Tom Krause, l’impiegato speciale del governo nominato (non si sa bene in base a cosa) da Musk per piantarsi nel cuore del sistema informativo del Dipartimento del Tesoro e avere accesso a tutti i dati: Tom Krause è l’amministratore delegato di Cloud Software Group, un’azienda leader nella fornitura di soluzioni software per le imprese; tra i principali azionisti dell’azienda ci sono Vista Equity Partners e Elliott Investment Management. L’amministratore delegato di Vista Equity Partners è il multimiliardario Robert Smith, accusato nel 2020 dal Dipartimento di Giustizia di essere al centro di uno schema internazionale di frode finanziaria che andava avanti da oltre 15 anni, procedimento che poi si è risolto con una multa da 139 milioni di dollari; il fondatore di Elliott Investment Management, invece, è Paul Singer, che ha contribuito alla campagna di Trump con una donazione da 5 milioni di euro (spesi benissimo, direi). Ma per trasformare definitivamente l’amministrazione USA in una gigantesca macchina per l’insider trading mancava ancora un tassello, perché – con tutti i difetti possibili immaginabili – per consolidare il suo ruolo di piazza finanziaria globale, gli USA comunque, nel tempo, hanno dovuto mettere in piedi meccanismi di controllo piuttosto avanzati; tra questi, un ruolo di primo piano a partire dal 2011, come una delle risposte al disastro del 2008, l’ha svolto il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB, per gli amici): con i suoi 1500 impiegati, l’agenzia si occupa di indagare ed emettere sanzioni contro pratiche scorrette e ingannevoli messe in atto da banche e attori finanziari.
Solo per citare alcuni casi recenti eclatanti, il dicembre scorso è intervenuta nel caso della piattaforma di pagamenti digitali Zelle, accusando Bank of America, JP Morgan Chase e Wells Fargo di non aver implementato le misure necessarie per difendere i loro clienti da una serie infinita di frodi che sono costate ai correntisti oltre 870 milioni di dollari; il 14 gennaio ha avviato un’inchiesta contro Capital One, colpevole di aver truffato i suoi correntisti per qualcosa come 2 miliardi di interessi sui depositi non riconosciuti e il 16 gennaio ha ordinato alla società tecnologica Block, del co-fondatore di Twitter Jack Dorsey, di pagare 175 milioni tra sanzioni e rimborsi per le truffe avvenute sulla piattaforma di pagamenti peer to peer Cash App. Ed è tutto merito di questo tizio qua: si chiama Rohit Chopra ed è una delle pochissime note positive di tutta l’amministrazione Biden; da direttore del CFPB, Chopra infatti non si è limitato a mazzuolare i truffatori di ogni sorta, ma ha anche lavorato a testa bassa per rafforzare i diritti dei cittadini sommersi dai debiti studenteschi e, soprattutto, era a un passo da ottenere l’eliminazione dei debiti dovuti alle cure mediche dai rapporti sul credito. Un problema gigantesco: i debiti medici sono spesso caratterizzati da errori di fatturazione o controversie assicurative di vario genere; i debitori, però, sono spesso costretti a turarsi il naso e mettere mano al portafoglio perché, altrimenti, il mancato pagamento diventa una macchia indelebile sulla loro storia creditizia, ostacolandone l’accesso a nuovi crediti. Poi, però, è arrivato il paladino dei popoli liberi Re Donald; a Chopra è stato dato il benservito e, al posto suo, la direzione del CFPB è andata ad interim al nuovo segretario al tesoro: lo speculatore, ex braccio destro del rettiliano leader indiscusso dei globalisti George Soros, Scott Bessent che, come prima cosa, ha sospeso tutte le inchieste aperte da Chopra e tutte le riforme in discussione a tutela dei consumatori contro la dittatura dei monopoli finanziari.
D’altronde, Chopra a Forrest Trump stava sul gargherozzo da tempo: prima di andare a dirigere il CFPB, infatti, Chopra dal 2018 al 2021 è stato uno dei due consiglieri di minoranza della Federal Trade Commission e, da quella posizione, ha sempre accusato i tre consiglieri di maggioranza repubblicani di essere dei veri e propri zerbini al servizio dei grandi monopoli tecnologici, dei quali poi Forrest Trump, per compiacere la sua fan base, diceva peste e corna. A partire da Meta: i consiglieri voluti da Trump alla Federal Trade Commission, infatti, tra le varie nefandezze avevano concesso a Zuckerberg di uscire dallo scandalo Cambridge Analytica pagando una semplice multa. Ma avevamo detto che Chopra era una delle pochissime cose sensate fatte dall’amministrazione Biden: l’altra riguarda, appunto, proprio la Federal Trade Commission, a capo della quale Biden aveva messo la bravissima Lina Khan; come abbiamo sottolineato decine di volte in questi anni, Lina Khan è stata uno dei pochi ingranaggi a provare a ostacolare il tentativo dell’amministrazione Biden di trasformare il governo degli USA nel più classico dei comitati d’affari a disposizione dei monopoli tecnologici. Immancabilmente, anche per lei, con Forrest Trump è arrivato il benservito; al suo posto, proprio uno degli ex consiglieri che avevano salvato il culo al compagno Zuckerberg ai tempi di Cambridge Analytica. A questo giro, però, Forrest Trump non si è limitato a sgomberare il campo alla rapina dei monopoli in casa sua: ha creato la giusta rete di protezione anche all’estero; contro le minacce di dazi, infatti l’Unione, europea potrebbe avere un piccolo sussulto di dignità e provare (finalmente) a chiedere agli invasori digitali che hanno colonizzato il Vecchio Continente di pagare dazio.
Ma ormai, in Europa, l’ondata dei finto-sovranisti, che si sono riscoperti felicissimi di servire Washington contro gli interessi nazionali e continentali, sembra inarrestabile; ed ecco così che la lobby a difesa dei privilegi dei monopoli digitali USA, campioni in elusione fiscale e in violazione di ogni regola antitrust, è ormai arrivata fino al cuore dei paladini dell’informazione schierata contro i poteri forti: Coi dazi alle big tech – titolava La Verità stamattina – l’Ue si prepara al suicidio. Se hai il portafoglio gonfio e nessuno scrupolo, puoi trovare avvocati difensori anche negli angoli più remoti dell’impero…
Contro questa nuova narrativa contraria agli interessi dell’Italia e degli italiani, che ha preso il posto in men che non si dica della vecchia fuffa analfoliberale, dobbiamo organizzare una vera e propria resistenza culturale; per farlo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che lasci da parte i fanatismi ideologici di analfoliberali e analfotrumpisti e continui a seguire il denaro, per dare voce ai bisogni concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
Comments
Ottolina pensi all'enorme contributo che il sostegno sinistrato all'invasione extracomunitaria ha dato allo smantellamento dei diritti del lavoro, al punto che i lavoratori non vogliono più sentir parlare di sussidi pubblici (!) perché vanno per il 90% a negri e mezzi negri.
O a quanto il loro sostegno ai diritti di froci & company abbia pesato nel sostegno prestato dalla povera gente (e spesso degli stessi immigrati) alla destra sovranista e specificamente alla rielezione di Trump.
Cercate di fare un po' di sana autocritica ed evitate di mettere tutta l'erba in un sacco. Vi attirerete l'odio della ex-post-sinistra colorata e la stima delle rare persone pensanti.