Russia-Usa, uno storico bilaterale
di Gianmarco Pisa
È presto per dire cosa porteranno i prossimi sviluppi; ma vi è ragione di considerare questo vertice storico, sullo sfondo del “cambio di paradigma” internazionale che l’ascesa del Sud globale sta portando con sé.
Non c’è dubbio che il vertice di ferragosto tra i due presidenti, quello russo, Vladimir Putin, e quello statunitense, Donald Trump, passerà alla storia, ma forse non per le ragioni che diversi analisti e opinionisti hanno segnalato in recenti, articolati e interessanti, commenti. Per farsene un’idea, al di là delle forme del cerimoniale e del protocollo, pur interessanti (il piccolo applauso di Trump all’arrivo di Putin allo scalo, gli onori militari, il clima positivo dell’incontro, il passaggio del presidente russo sull’auto presidenziale statunitense, il primo intervento in conferenza stampa affidato all’ospite, Putin, anziché, come generalmente usa, al padrone di casa, Trump), è la sostanza di quanto detto in conferenza stampa a segnare carattere e misura degli sviluppi portati dal vertice. Con una premessa, a tal proposito: il carattere e la misura degli sviluppi delineano un quadro generale dei temi su cui si è registrato un consenso bilaterale di massima, un clima generale di ripresa delle relazioni bilaterali tra le due maggiori potenze nucleari del pianeta, non certo una piattaforma definita, dal momento che dettagli, circa i singoli temi e le singole questioni affrontate nell’incontro a due, non sono stati forniti.
Il vertice è iniziato, com’è noto, alle 11,30 ora di Anchorage (21,30 in Italia) il 15 agosto, ed è durato quasi tre ore nel formato a porte chiuse cosiddetto “tre e tre”: per la parte russa, il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov e il consigliere presidenziale Yuri Ushakov (oltre al presidente Putin); per la parte statunitense, Steven Witkoff e il Segretario di Stato Marco Rubio (oltre al presidente Trump).
Sul carattere “storico” dell’incontro tanto si è detto e se ne possono mettere a fuoco i riscontri: primo incontro diretto tra i presidenti di Russia e Usa dal 2019; primo incontro strategicamente (almeno in via potenziale) significativo tra i due capi di Stato, russo e statunitense (all’epoca Joe Biden) dal 2021; e soprattutto incontro, per le questioni che ha posto al centro del tavolo di confronto (non solo la risoluzione del conflitto ucraino ma anche la cooperazione bilaterale tra Russia e Stati Uniti su alcuni dossier di grande rilevanza, dal commercio internazionale, alle risorse strategiche, alla questione dell’Artico), di grandissima portata, tra le due principali potenze nucleari (secondo stime, la Russia possiede ca. 5500 testate, gli Stati Uniti ca. 5200, che significa, sommando gli arsenali di questi due soli Paesi, oltre l’85% dell’intero arsenale nucleare mondiale). Non c’è dubbio, di fronte allo scenario di una guerra conclamata su vasta scala e alla minaccia del precipizio nucleare, che il ritorno della politica e la ripresa del confronto diplomatico tra questi due attori strategici non possa essere in alcun modo sottovalutato.
Cosa è emerso dunque in conferenza stampa? È stato il presidente russo a evidenziare che le relazioni tra i due Paesi, nel corso degli ultimi anni (a partire, va detto, dal colpo di stato di Euromaidan in Ucraina e in particolare dall’avvio delle operazioni militari russe in Donbass), hanno raggiunto il punto più basso dai tempi della Guerra Fredda. In merito al primo punto (la risoluzione del conflitto ucraino), ancora Putin ha sottolineato che la situazione in Ucraina è legata a fondamentali questioni di sicurezza della Federazione Russa e allude a una più generale questione di ridefinizione dell’architettura di sicurezza in Europa, sulla base dei principi fondamentali della “indivisibilità della sicurezza” (come riportato anche nella recente Dichiarazione di Rio de Janeiro del XVII Summit dei Brics: “Sottolineiamo che la sicurezza tra tutti i Paesi del mondo è indivisibile e ribadiamo il nostro impegno per la risoluzione pacifica delle controversie internazionali attraverso il dialogo, la consultazione e la diplomazia”, quindi non può essere garantita e sostenuta la sicurezza di un Paese o di una regione a scapito delle altre e la via politica è la via maestra nella risoluzione delle controversie internazionali).
Per questo, come opportunamente è stato ribadito dal presidente russo anche nell’occasione della conferenza stampa in Alaska, affinché la soluzione della crisi ucraina sia sostenibile e duratura, è necessario eliminare tutte le cause profonde della crisi, tenere conto di tutte le preoccupazioni della Russia, nonché garantire la sicurezza della stessa Ucraina, e raggiungere un giusto equilibrio. Non è possibile immaginare di garantire la sicurezza, tanto della Russia quanto dell’Ucraina, in un contesto di insicurezza, minacce alla sicurezza altrui e squilibrio strategico in Europa, e non è possibile costruire pace e sicurezza in un quadro di perdurante minaccia strategica nel continente. A tal proposito, è appena il caso di ricordare che i soli Stati Uniti mantengono centinaia di basi militari nel nostro continente (oltre cento solo in Italia e oltre sessanta solo in Germania) e che diverse basi europee ospitano ordigni nucleari statunitensi nell’ambito del programma di condivisione nucleare (“nuclear sharing”) della Nato. I Paesi partecipanti al programma sono ancora Italia (35 bombe B-61 nelle basi di Ghedi e Aviano) e Germania (15 bombe nella base di Büchel), e poi ancora Belgio (15 bombe nella base di Kleine Brogel), Paesi Bassi (15 bombe nella base di Volkel) e Turchia (20 bombe nella base di Incirlik) per un totale di circa 100 ordigni dispiegati in questi Paesi, sotto il totale controllo degli Stati Uniti.
Quanto al secondo punto (la cooperazione bilaterale tra Russia e Stati Uniti su alcuni dossier di grande rilevanza strategica), è stato ancora il presidente russo a sottolineare la necessità che le due superpotenze nucleari voltino pagina e tornino alla cooperazione, avviando il percorso per la stipula di nuovi accordi che si pongano come punto di riferimento non solo per la risoluzione della crisi ucraina, ma anche per il ripristino di “relazioni pragmatiche” tra Mosca e Washington. È un aspetto di cruciale importanza: non implica la ridefinizione delle regole del gioco nell’ambito complessivo delle relazioni internazionali, come, forse con enfasi eccessiva, è stato pure osservato negli ultimi giorni e settimane, ma allude, non di meno, alla possibilità di un nuovo quadro di relazioni e alla definizione di nuovi accordi che, superando quelli passati e non più attivi, possa offrire un nuovo contesto e sancire un nuovo contributo alla definizione di un nuovo, diverso, panorama internazionale.
I Brics sono, da questo punto di vista, il fattore più significativo, più incisivo e più rilevante, e non è un caso che, ancora una volta, questo orientamento strategico trovi un riscontro anche nella Dichiarazione di Rio, poc’anzi ricordata, dove, tra le altre cose, si legge: “Ribadiamo il nostro impegno a riformare e migliorare la governance globale promuovendo un sistema internazionale e multilaterale più giusto, equo, agile, efficace, efficiente, reattivo, rappresentativo, legittimo, democratico e responsabile, in uno spirito di ampia consultazione, contributo congiunto e benefici condivisi. […] Tenendo presente la necessità di adattare l’attuale architettura delle relazioni internazionali per riflettere meglio le realtà contemporanee, riaffermiamo il nostro impegno per il multilateralismo e il rispetto del diritto internazionale, compresi gli scopi e i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, nella loro interezza e interconnessione, quale suo imprescindibile fondamento, nonché il ruolo centrale delle Nazioni Unite nel sistema internazionale, in cui gli Stati sovrani cooperano per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, promuovere lo sviluppo sostenibile, garantire la promozione e la protezione della democrazia, dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, nonché una cooperazione basata sulla solidarietà, il rispetto reciproco, la giustizia e l’uguaglianza”.
Un punto strategico, in questo quadro, ancora evidenziato dal presidente russo, è l’importanza della cooperazione bilaterale nell’Artico e l’importanza ancora dei contatti interregionali, anche tra l’Estremo Oriente russo e la Costa Occidentale statunitense. L’Artico, tuttavia, è una delle nuove, grandi, frontiere strategiche del XXI secolo. In primo luogo, l’Artico è una rotta strategica per il commercio internazionale: sulla base della cooperazione russo-cinese, ad esempio, la Nuova Via della Seta (la Belt and Road Initiative) prevede una articolazione nella Via della Seta Artica (Polar Silk Road) che, a sua volta, comporta imponenti investimenti infrastrutturali (porti e vie di comunicazione e di transito di risorse) e porta con sé il potenziamento della flotta russa di rompighiaccio a propulsione nucleare (fondamentale sia per l’apertura delle rotte sia per l’esplorazione dell’area), con il potenziamento della classe russa Arktika nel quadro del Progetto 22220, che porterà la flotta nucleare russa, entro il 2026, a un totale di sette rompighiaccio nucleari operativi, facendone il primo Paese al mondo con una capacità operativa così rilevante e avanzata nel campo dei rompighiaccio nucleari.
Nel caso dell’Artico, dunque, non parliamo solo di una rotta (con la possibilità di ridurre la distanza di viaggio fino al 38% rispetto alla rotta tradizionale del Canale di Suez), ma anche di un giacimento strategico (solo in termini di risorse tradizionali, l’Artico ospita risorse stimate di petrolio pari al 13% delle risorse globali non sfruttate e risorse stimate di gas pari al 30% di tutte le risorse globali non ancora sfruttate, ma è anche ricco di nichel, fosfato, bauxite, cobalto, rame, platino e le ormai famose “terre rare”). Ricordate Trump quando dichiarò l’intenzione di annettere la Groenlandia, con la sua “popolazione molto piccola, di cui ci prenderemo cura, la ameremo, e tutto il resto”? Ebbene, la Russia possiede oltre 24 mila chilometri di costa oltre il Circolo Polare Artico, controlla il 53% della superficie artica (Russia e Canada da soli controllano circa il 78% dell’intera superficie artica) e gli Stati Uniti, nel giugno scorso, hanno immediatamente provveduto a riorganizzare il comando militare artico, mettendo la Groenlandia nel territorio sotto la giurisdizione del Comando Nord degli Stati Uniti.
Se, dunque, l’Alaska non è stata scelta a caso come sede del vertice bilaterale, è evidente che sull’Artico si gioca una partita, ancora poco nota all’opinione pubblica, ma di grandissima portata strategica per gli anni a venire. La riapertura del canale diplomatico, al netto del confronto tra i rispettivi interessi strategici di potenza, risponde quindi anche all’esigenza di una composizione politica dei conflitti potenziali che possono raggiungere livelli di escalation e di pericolosità che sarebbe superficiale sottovalutare, proprio per la portata (e la asimmetria) dei diversi fattori in gioco. E ancora in conferenza stampa sono stati poi richiamati i numerosi ambiti di cooperazione potenzialmente esistenti tra le due potenze nucleari: commercio, alta tecnologia, esplorazione spaziale. Ancora nell’aprile scorso, del resto, è stata annunciata l’estensione fino al 2027 dell’accordo tra la Nasa e la Roscosmos per la cooperazione nelle missioni spaziali sulle rispettive navette verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). È presto per dire cosa porteranno i prossimi sviluppi; ma vi è ragione di considerare questo vertice storico, sullo sfondo del “cambio di paradigma” internazionale che l’ascesa del Sud globale sta portando con sé.