Camionisti e soggetto
di Michele Castaldo
Carissimi compagni,
capisco che in una fase molto complicata, come più volte l’ho definita, si possa essere attratti da qualsiasi cosa si muova contro lo stagno della lotta di classe secondo almeno certi canoni, ma occorre lucidità proprio in certi frangenti per evitare di prendere abbagli.
Mi riferisco alla posizione dei compagni di Assemblea militante sulla lotta dei camionisti canadesi che, attratti da una mobilitazione contro le misure restrittive dell’agibilità sociale più che politica, si schierano con essa, la esaltano e si augurano « Che l’atto di forza in corso sul teatro canadese dia fuoco alle polveri, in una serie di pronunciamenti di massa e di piazza a catena in grado di far crollare il castello di menzogne e la realtà da incubo nella quale siamo piombati ».
Visti i tempi, sono costretto a parlare in prima persona, che non è buona cosa, ma quando è necessario esporsi è giusto farlo. Il mio approccio alla questione - ripeto molto complicata e chi la semplifica sbaglia e i fatti si incaricheranno di dimostrarlo – si rifà al metodo che usò Rosa Luxemburg rispetto alla mobilitazione dei contadini in Russia nel novembre del 1917, che pur appoggiando le ragioni del sostegno dei bolscevichi alla causa rivoluzionaria dei contadini, mise in guardia Lenin dicendo: « questi saranno i tuoi aguzzini».
L’aquila reale Rosa prese anche qualche abbaglio quando criticò lo scioglimento dell’Assemblea costituente, e molti comunisti di scuola trockista e democratici occidentali usano proprio la critica di Rosa contro Lenin, per denigrare la Rivoluzione russa e il comunismo.
I compagni di Assemblea militante nel tentativo di giustificare la loro posizione politica tirano in ballo la Domenica di sangue del gennaio 1905 per dimostrare che i comunisti devono tenere in conto le ragioni oggettive – cioè la forza del moto sottostante – piuttosto che l’espressione formale, ovvero di chi è in testa al corteo (che andava a supplicare lo zar, non a rivoluzionare il modo di produzione che oggettivamente marciava a gonfie vele). E a tal riguardo dicono correttamente che si trattava di una mobilitazione da sostenere senza se e senza ma, come si usa dire oggi.
Se questo principio è giusto, e lo è, i compagni di Assemblea militante lo dovrebbero applicare anche nei confronti dello stato d’animo del proletariato occidentale che esprime certe organizzazioni politiche e sindacali o è ad esse acquiescente, piuttosto che sparare ad alzo zero indicandole come fattori esterni introdotti nella classe per frenarne gli impulsi, perché sempre disposti alla lotta e alle rivoluzioni. Se non lo fanno risultano contraddittori.
Ciò detto in premessa, chiedo ai compagni di Assemblea militante: cosa hanno in comune «la supplica allo zar della Domenica di sangue » con la lotta dei camionisti canadesi?
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a) nel 1905 i manifestanti erano operai, e per meglio dire, espressione di un proletariato in via di formazione con alle spalle solo 40 anni dall’abolizione della servitù della gleba, e perciò galvanizzato per la nuova condizione che lo vedeva contemporaneamente con un salario che prima non aveva, e il senso di “libertà” che in condizione di schiavitù gli era vietata.
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b) La rivendicazione maggioritaria durante il corteo consisteva nel supplicare allo zar un intervento contro la nuova schiavitù ad opera degli industriali europei, dove marciava a gonfie vele il modo di produzione capitalistico ed era più avanti la rivoluzione industriale.
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c) Il pope/poliziotto che si era fatto portatore di tale protesta-supplica cercava di interpretare quel sentimento “nazionalista” degli operai russi contro le potenze industriali straniere.
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d) L’azione feroce da parte della polizia “zarista” corrispondeva all’atto di forza esterno degli industriali europei alla cui testa c’era un russo che diede l’ordine del massacro. Altrimenti detto: una mano russa al servizio di interessi stranieri.
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e) È vero che una parte dello sfruttamento e perciò dell’accumulazione andava anche nelle casse dello Stato e ad ingrassare l’aristocrazia in assenza di una borghesia non ancora formata, ma gli operai – ecco il punto centrale d’analisi e le esplicitazioni politiche – vedevano nel capitale straniero il loro nuovo affamatore e rivolgevano allo zar la supplica perché intervenisse per placare l’appetito degli sfruttatori stranieri.
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f) Dal che ricaviamo che l’atteggiamento di quei lavoratori era quello del “minimo sforzo”, ovvero del modo d’agire della stragrande maggioranza degli uomini.
Ora, partendo dai fatti storici a chiare lettere qui esposti, cosa avrebbero in comune i camionisti canadesi con quella mobilitazione supplichevole repressa nel sangue? Niente, perché sono epoche e fasi completamente diverse, e quella attuale è espressione della crisi generale del modo di produzione capitalistico. Quella – del 1905 – era ascendente, questa è discendente. Quella era di un proletariato in via di formazione, questa è di un ceto medio in via di frantumazione.
I compagni di Assemblea militante, se proprio vogliono rifarsi alla Rivoluzione russa per qualche esempio significativo, dovrebbero citare quello della Rivoluzione di novembre del 1917 quando i contadini seminarono il terrore nei confronti dei pomescichi, ma giustamente se ne tengono a debita distanza perché conoscono i problemi che una categoria sociale in ascesa non la puoi irreggimentare in una struttura ideologica, come pensavano di fare Lenin e gran parte dei bolscevichi; e Stalin fu chiamato poi a usare certe maniere forti per non finire al rogo insieme ai bolscevichi. Controrivoluzionario e dittatore Stalin? Chiacchiere da botteghe di barbieri occidentali. È la storia impersonale che utilizza gli uomini secondo le sue determinazioni.
Dunque se non ci è consentito usare paragoni con quello che è stato il più grande evento della storia moderna, cerchiamo di guardare in faccia la realtà per come si presenta oggi, senza lenti ideologiche, per rintracciare una linea di tendenza che ci presenta l’insieme del soggetto storicamente determinato in crisi irreversibile, cioè il modo di produzione capitalistico.
Cosa rappresentano oggi i camionisti non solo in Occidente, ma anche nella modernissima Cina? Una categoria sotto le mire di quella Aristocrazia 2.0 di cui parla Abravanel, ovvero dei grandi poteri che virano verso un balzo che miri a ridurre, se non eliminare, drasticamente l’ascensore sociale: Amazon e Alibaba sono gli esempi da seguire.
È del tutto evidente che un potere economico maggiore cerca di utilizzare tutte le armi in questa direzione per elevarsi a casta e come tale sopravvivere contro le tempeste della crisi dell’intero sistema. Mentre i compagni di Assemblea militante scambiamo l’aspetto formale, cioè lo strumento per instradare il processo della nuova aristocrazia, per un’azione di controllo fine a sé stessa.
I camionisti canadesi, come nella storia della tradizione della categoria, vogliono porsi al servizio della propria libertà di piccoli imprenditori, dove la memoria ci riporta al Cile del 1973 e al colpo di Stato dove i camionisti si prestarono a un gioco piuttosto losco, mentre il proletariato cileno non ne uscì più forte da nessun punto di vista. E fa specie il fatto che pochi anni dopo qualche illustre intellettuale identificasse proprio i camionisti come soggetto sociale rivoluzionario. D’accordo con la demenza senile, ma dal 1973 al 1980 erano trascorsi solo 7 anni.
Nella presa di posizione di Assemblea militante sui camionisti canadesi c’è un riferimento all’offerta del governo per farli smettere di lottare e che essi hanno rifiutato. « Offerte non da poco a quanto apprendiamo », dicono i compagni, « aumenti della paga fino al 15% per i salariati delle compagnie di spedizione e fino al 7/8% per gli “ owner-operators ”, cioè per i “padroncini”. (cfr. https:/ /cantruck.ca/vaccine-mandate-leading-to-better-driver-pay-carrier/ )».
Beh, volendo essere un po’ cattivelli potremmo dire che ritengono di guadagnare di più agendo in “libertà”. È dunque una categoria di ceto medio che si ribella perché nella crisi deve sopportare alti costi per sopravvivere come categoria imprenditoriale o di lavoratori di un certo livello che un tempo avremmo definito di “aristocrazia operaia”. Rispettabilissima posizione di individui categorializzati, che non intendono arretrare dalle attuali posizioni di “classe” e il cui impoverimento costituisce anche un impoverimento di masse di familiari, che perciò si mobilitano per sostenere la loro lotta, il che è del tutto naturale, ma non c’entra niente con la supplica operaia del 1905, mentre ha a che vedere forse con i marinai di Kronstadt del 1921, la cui rivendicazione era quella dei contadini medi che chiedevano di poter commercializzare i prodotti agricoli che producevano nelle terre che il governo bolscevico aveva loro assegnato. Eppure molti compagni e militanti si affrettano a condannare l’azione repressiva del governo bolscevico, ma nessuno si domanda se condivide – a posteriori – quella rivendicazione dei marinai contro cui i bolscevichi aprirono il fuoco. Giustificazionismo d’accatto? No, è la ricerca della causa dei fatti e non l’impressionismo individualistico che misura la storia secondo la propria volontà. La storia non la possiamo volgere secondo i nostri voleri, e dunque dico: nel 1921 sarei stato contro lo Stato bolscevico che reprimeva i marinai che erano stati parte attiva nella rivoluzione; ma non avrei sposato ed esaltato la loro rivendicazione, perché in essa c’era l’accumulazione della piccola e media azienda agricola. E oggi è necessario denunciare il percorso del modo di produzione capitalistico avviato verso una nuova aristocrazia; che è costretto perciò anche a impoverire i ceti intermedi nel tentativo di battere la concorrenza. Ma non sposiamo le rivendicazioni di chi si oppone.
In chiusa della presa di posizione i compagni scrivono: « La lotta si avvia verso momenti cruciali. Se (se) i camionisti e la massa popolare stretta attorno ad essi non accetteranno di smobilitare fino al conseguimento degli obiettivi (o una credibile garanzia di revisione delle politiche governative) è il potere del governo ad essere messo in discussione. E un cedimento del governo canadese, tanto più dovuto ad un movimento di massa e di piazza, difficilmente potrà essere “gestito” entro i confini nazionali e cioè non dilagare, contagioso esempio di lotta e di galvanizzazione per milioni e milioni di uomini e donne oppressi e traumatizzati, in specie nei paesi occidentali, dal presente incubo ».
A grandi linee possiamo dire che la questione si pone nei seguenti termini: è una mobilitazione determinata dalla contraddizione di fondo per cui regole rigide per il trasporto merci nei due sensi, dal Canada verso gli Usa e viceversa, indebolirebbero la capacità di ripresa del mercato statunitense, da un lato, mentre da un altro lato, c’è un altrettanto tentativo nazionalista di difendere per il Canada quel certo grado di autonomia dal vicino super potente. L'azione non scatta per via di una legge tipo il green pass, ma per lo scadere bilaterale dopo la metà di gennaio dell'esenzione al vaccino anti covid per i camionisti di entrambi i paesi che attraversano il confine.
Per concludere dico:
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a) tutte le lotte sono come il vento, hanno un inizio, un gonfiamento e un riflusso. Per cui non è stata risolutiva la lotta per l’uccisione di G. Floyd negli Usa, di ben altra portata sul piano politico, di classe, e di durata, e rifluita verso un riformismo obbligato di tipo elettoralistico e non credo che la lotta dei camionisti possa avere la potenzialità dirompente di sconquassare il modo di produzione capitalistico fino al punto desiderato dal compagni.
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b) francamente ritengo illusoria la posizione che pone l’impazzimento di alcune categorie di ceto medio, come ad esempio i camionisti, quale soggetto capace per la sua portata di libertà di resistere a tal punto da fungere da detonatore per una deflagrazione più generale e in modo particolare in Occidente. Non lo furono i minatori in Inghilterra e i cantieri navali e tutte le altre categorie operaie in Polonia negli anni ’80 del secolo scorso.
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c) ritengo tale illusione, espressione impaziente di un malessere incapace di razionalizzare una critica profonda alla crisi del modo di produzione capitalistico rispetto alla nuova fase.
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d) perciò, anche questa ribellioni dei camionisti, come l’assalto al Capitol Hill, confermano la tesi che: tutte le mobilitazioni di questa fase sono causate dalla crisi del modo di produzione capitalistico che agisce come soggetto impersonale nella storia presente e lo porterà all’implosione.
Sicché: i camionisti canadesi vogliono continuare a esseri liberi di poter guadagnare quanto possono anche in condizioni disumane? Facciano pure. Noi non li sosteniamo perché nella nostra prospettiva non c’è la libertà di tutte le categorie proiettate verso l’accumulazione, ma ci dovrà essere un nuovo modo di produrre non per il mercato ma per l’uso, dunque non lo scambio ma la concentrazione e la centralizzazione delle risorse e una equa distribuzione per dare dignità a una comunità umana affinché superi la sua stessa mercificazione in cui è finita col modo di produzione capitalistico.
Stia tranquillo, non schiumo di rabbia verso di lei, che non conosco. Però non sia pudico, non è un'impressione la mia schiuma di rabbia, essa è vera!
Schiumo di rabbia verso questo mondo, il mondo sbagliato in cui sono nato, fatto di servi dei servi dei servi e di padroni dei padroni dei padroni. Volevo e voglio dibattere con i miei compagni, con coloro che schiumano rabbia come me, quella rabbia che scintilla dal cozzo fra il nostro senso personale, la nostra esistenza e l'infame meccanica impersonale da lei illustrata e, forse, tanto adorata (?).
Scelgo l'anonimato sia perchè non son nessuno di importante, ma soprattutto per spostare l'attenzione dallo scrivente al significato. Qui è più importante dibattere il senso dei pensieri e delle cose, non tanto adornarsi di paramenti personali. E lo scrivo a mio memento.
Strano, non trova? Lei è un qualcuno di personale, con tanto di corredo personale di competenze, di decoro e di carriera, immagino, e io un nessuno che cerca complicità di lotta impersonali, anonime, ma vive e cariche di tensione in cerca di obiettivi concreti contro l'impersonale meccanica della gerarchia sociale, del dominio, dello sfruttamento.
Chissà se il suo buon Marx fosse stato un intercambiabile fesso qualunque, senza spirito, senza senso e senza arbitrio, avrebbe allora potuto partorire le sue teorie di analisi e i suoi incitamenti politici all'emancipazione degli sfruttati? Non era l'unico ad aver avuto la possibilità di un'istruzione ampia e profonda, ad aver potuto vedere concretamente da dentro certi meccanismi di produzione, eppure è stato l'unico a produrre tutto quel cumulo di analisi e teorie. oppure crede che abbia semplicemente scopiazzato quanto già intuito in sua precedenza?
Questo tripalio personale/impersonale è tutto suo. Uno dei tanti modelli binari di cognizione umana di cui ci serviamo. A forza di scambiare i fini con i mezzi, si finisce per far diventare gli strumenti di ricerca degli altari devozionali.
La realtà e la verità stanno sempre quattro passi, almeno, oltre le nostre velleitarie rincorse filosofiche. E non è destino solo dei filosofi. E' destino anche degli esploratori. E' destino umano prendere una via e finire dove non si prevedeva. E' una possibilità umana ovvia, banale, perciò mi sembra veramente stupido costruirci un'ineluttabile legge storica, perchè resta una possibilità, non l'unica per sempre data. Altrimenti han sempre fatto bene gli indù: queste sono le caste sociali, così e per sempre, alla faccia pure delle dinamiche sociali descritte dal povero Marx e delle sue prospettive rivoluzionarie per il proletariato!
Sono andato a rivedere il vocabolario e mi sembra di aver utilizzato bene la parola teleologia rispetto a questa sua precisa frase "È la storia impersonale che utilizza gli uomini secondo le sue determinazioni." che mi pare finalismo bell'e buono. Comunque se sbaglio, mi e ci illumini nel dettaglio, di questa siderale differenza tra finalismo e determinismo oggettivo.
Se è la storia che ci utilizza, allora di che stiamo a parlare? bastavano gli astrologi e gli auruspici, non certo Carlo Marx, non le pare?
Riguardo a Kronstadt, la frittata l'avevano fatta coloro che si erano appropriati dlela guida dlela rivoluzione sociale. Se il principio era che i soviet decidevano perchè (e quindi per chi), cosa e quanto produrre, la nuova costruzione rivoluzionaria sovietica voleva significare che ogni soviet (consiglio dei lavoratori) di ogni unità produttiva decideva sulla produzione,ma va da se che non era una decisione delirante e autistica, bensì simbiontica e armonica con gli altri soviet. E questo si che è un determinismo oggettivo armonico. Armonico a patto di lasciarlo svolgere da sè per sè.
Se invece ti ritrovi in inverno che quelli nelle fabbriche non hanno da mangiare e quelli nelle campagne non hanno le scarpe allora vuol dire che i soviet delle fabbriche e i soviet delle campagne si trovavano non solo isolati e non comunicanti, ma anche messi in contrasto laddove sarebbero dovuti essere in simbiosi! E io penso che allora qualche cricca di stronzi si era messo in capo di gestire soggettivamente il determinismo oggettivo armonico e simbiotico e di sostituirsi ad esso. Infatti questa risma di stronzi altro non seppero tirar fuori dal cilindro rivoluzionario che la violenza e la repressione.
Mi sembra che non ci vogliano molte lauree per capirlo.
Tornando all'attualità, mi spiace che i compagni di Assemblea militante si siano agganciati troppo alla questione peculiare dei camionisti canadesi. Per carità, hanno ragione a citarli per far capire come sia possibile smuovere le acque. ma qua il discorso è generale e la rivolta è alla portata di tutti, non solo dei camionisti, dei portuali e della logistica. Perchè tutti, compresi loro e tutto il circo della logistica vivono grazie alle pene degli ultimi, dei più sfruttati e degli spossessati.
Niente di male, solo che si incappa in queste vecchie trappole come il signor Cataldo che sono buoni solo a confondere e demoralizzare gli animi purchè tutto resti com'è già.
PS: non ci sono più le Black Panthers, la storia delle proteste per il caso di Floyd era già pre-determinata fin dall’inizio ai fini elettorali. Black Live Matters è roba dei democratici americani.
Signor Cataldo lei mi pare un "esperto navigatore" che però rimane sempre nel porto, senza il rischio di incorrere mete inesplorate e col vantaggio di raccontare tante storie su luoghi lontani nel tempo a coloro che non prendono mai la via di nessun mare, neanche dello stagno sotto casa.