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asimmetrie

Stagnazione secolare o caduta tendenziale del saggio di profitto

di Vladimiro Giacchè

N027 101111 9989 Arnold and Carlo B cklin Die Toteninsel 19101. Il ritorno dello stato stazionario: la stagnazione secolare”

La teoria economica ha recentemente riscoperto il concetto di «stato stazionario». È accaduto nel novembre 2013, allorché l’economista statunitense Laurence Summers ha parlato di «stagnazione secolare» (secular stagnation) in un discorso al Fondo Monetario Internazionale, per tornare sul tema pochi mesi dopo, nel febbraio del 2014, davanti agli economisti d’impresa statunitensi. In verità non si tratta di una teoria originale, ma di un revival: perché di «stagnazione secolare» aveva parlato nel 1938 l’economista Alvin Hansen rivolgendosi al presidente degli Stati Uniti1 .

Dopo Summers, l’idea è stata ripresa da altri economisti ed è attualmente al centro di un vivace dibattito, il cui contesto è stato così sintetizzato:

«Sei anni sono passati dallo scoppio della Crisi Globale e la ripresa non è ancora soddisfacente. I livelli di prodotto interno lordo sono stati superati, ma poche economie avanzate sono tornate ai tassi di crescita pre-crisi nonostante anni di tassi d’interesse praticamente a zero. Inoltre, cosa preoccupante, la crescita recente ha un vago sentore di nuove bolle finanziarie. La lunga durata della Grande Recessione, e le misure straordinarie necessarie per combatterla, hanno originato una diffusa sensazione, non meglio definita, che qualcosa sia cambiato. A questa sensazione ha dato un nome a fine 2013 Laurence Summers, reintroducendo il concetto di ‘stagnazione secolare’»2 .

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pianoinclinato

Il leone del capitalismo diventa ministro della pianificazione

di Beneath Surface

correzioniMi ha sempre fatto sorridere l’idea che il riconosciuto araldo del capitalismo, Leon Walras , venisse innalzato agli onori degli altari della teoria delle economie pianificate tipiche degli stati collettivisti, come l’Unione Sovietica e i suoi ex satelliti. Come è possibile? Eppure è così.

Forse qualche lettore smaliziato lo avrà notato, leggendo il funzionamento del sistema di equazioni del EEG. Per tutti gli altri ricordiamo che, se fosse possibile risolvere i problemi di calcolo del sistema walrasiano, allora sarebbe, in via teorica, possibile programmare a priori tutte le scelte di produzione e scambio, sicuri che ciò determinerebbe la massima utilità di ogni operatore, concetto che, almeno economicamente parlando, è analogo a quello di bene collettivo cui ogni Stato Etico di tipo hegeliano che si rispetti (ironico, NdA) dovrebbe tendere.

I primi che spinsero in tal direzione il pensiero del povero Walras furono Enrico Barone, Oskar Lange e Maurice Dobb, che si scontrarono fin da subito con il rifiuto dei liberali F.von Hayek e L.von Mises che ciò fosse possibile. Il problema era che nè Marx nè Engels pur riconoscendo, al pari di Schumpeter , la necessità di una economia pianificata, si erano occupati di descriverne il funzionamento.

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moneta e credito

Crisi e centralizzazione del capitale finanziario

 Emiliano Brancaccio, Orsola Costantini e Stefano Lucarelli*

16104 a348061. La centralizzazione del capitale: un concetto marxiano

Tra le numerose questioni sollevate dalla “grande recessione” internazionale esplosa nel 2008 (Fondo Monetario Internazionale, 2012), sembra esser tornato in auge anche il tema della possibile esistenza di un nesso tra la crisi economica e quella che Marx e Hilferding definivano “centralizzazione del capitale”, con particolare riferimento al “capitale finanziario” (Marx, [1867] 1994; Hilferding, [1910] 2011).

Nella letteratura accademica, sia di stampo critico che mainstream,1 il termine “centralizzazione” viene spesso sostituito dall’espressione “concentrazione”. Gli stessi Marx e Hilferding in alcune circostanze adoperano questi termini alla stregua di sinonimi. A ben guardare, tuttavia, i due concetti hanno significati diversi. Nell’accezione originaria di Marx la “concentrazione” del capitale corrisponde alla creazione di nuovi mezzi di produzione e alla crescita conseguente della loro massa complessiva, sia in termini assoluti che in rapporto alla forza lavoro disponibile: la “concentrazione”, in altre parole, “è basata direttamente sull’accumulazione, anzi è identica ad essa” (Marx, [1867] 1994, p. 685).

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nazione indiana

I luoghi dell’etica economica

[Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo la postfazione al volume L’Europa dei territori. Etica economica e sviluppo sociale nella crisi a cura di Emanuele Leonardi e Stefano Lucarelli, Orthotes, 2014]

di Stefano Lucarelli

8262008644 bf6568594f zHeidegger: Così come non si possono tradurre le poesie, non si può tradurre un pensiero. Si può tuttavia in ogni caso parafrasarlo. Ma appena si tenta una traduzione letterale, tutto viene modificato.
Spiegel: È un’idea scomoda.
Heidegger: Sarebbe bene si prendesse sul serio e su grande scala questa scomodità e si meditasse finalmente su quale trasformazione, ricca di conseguenze, abbia subito il pensiero greco attraverso la traduzione nel latino dei Romani, un evento che ancora oggi ci impedisce un sufficiente ripensamento delle parole-base del pensiero greco.

Postfazione
Tra l'economia politica e la politica economica: i luoghi dell'etica economica

I luoghi dell’etica economica

Parlare di etica economica comporta innanzitutto un lavoro di comprensione non banale di questa coppia di parole – il sostantivo “etica” e l’aggettivo “economica” – parole che sorgono molti anni fa all’interno del pensiero filosofico greco, e, in particolare all’interno della riflessione di Aristotele (Stagira, 384 a.C. o 383 a.C. – Calcide, 322 a.C.).

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ripensare la sinistra

Concorrenza fiscale o regolazione fiscale del Capitalismo?

Un bilancio europeo1

di Salvatore Biasco

21clt2paul klee jumperIntroduzione e sintesi

E’ bene iniziare con una sintesi su ciò che tratta il saggio. Non é di percezione comune nella sinistra che in campo fiscale si giochino pezzi della regolazione del capitalismo mondiale. Ed é sfuggito a molti che - sempre in campo fiscale - é stata varata l’unica vera regola mondiale da molti anni a questa parte, siglata da un concerto di paesi a ottobre 2014, quella che porta allo scambio automatico di informazioni tra amministrazioni fiscali (di cui dirò). Pur essendo una rivoluzione da non sottovalutare, che pone qualche serio problema ai grandi patrimoni, a evasori e al denaro sporco, é una regola incompleta. Non pone, infatti, altrettanti problemi alla capacità della multinazionali di sfuggire legalmente alla tassazione, di sottrarre quest’ultima al paese in cui hanno prodotto reddito e sostanzialmente tenerla per sé, Non solo un danno di gettito, ma un'alterazione conseguente della concorrenza a proprio favore. Dovrà pure essere affrontata una situazione che vede imprese come Amazon, Apple, Starbrook e tantissime altre riuscire a pagare, sì e no, il 2% sui propri profitti, mentre altre sono soggette a tassazione piena e il lavoro é ipertassato.

Si insiste molto sulla perdita di efficacia dello Stato nazionale di fronte alla globalizzazione finanziaria. Ma, in questo campo, é così solo in parte. Gli Stati nazionali (soprattutto europei) non hanno perso potere impositivo a causa della globalizzazione, ma a causa della competizione fiscale.

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manifesto bologna

Il fascino discreto della crisi economica

Noi Restiamo intervista Simon Mohun

20141019 130758Continua il ciclo di interviste ad economiste ed economisti eterodosse-i a cura degli attivisti della campagna “Noi Restiamo”. Siamo ormai arrivati alla settima puntata. È la volta di un’economista inglese, Simon Mohun. Mohun è professore emerito di economia politica presso l’Università Queen Mary di Londra. Di tradizione marxista, influenzato dal lavoro di Duncan Foley, Dumenil e Levy, Mohun ha concentrato la sua ricerca sulla misura, la descrizione e la spiegazione dei trend del profitto aggregato nelle economie capitaliste sviluppate. Ha pubblicato su varie riviste accademiche, fra cui il Cambridge Journal of Economics e Metroeconomica. Ha curato il libro “Debates in value theory” (1994, Macmillan). 

 

Domanda: L’emergere della crisi ha confermato la visione di alcuni economisti eterodossi secondo la quale il capitalismo tende strutturalmente ad entrare in crisi. Tuttavia, le visioni sulle cause del disastro attuale divergono. Una posizione piuttosto diffusa (appoggiata ad esempio dai teorici della rivista “Monthly Review”) è quella che attribuisce la crisi al seguente meccanismo: la controrivoluzione neoliberista ha portato ad un abbassamento della quota salari; per sostenere la domanda privata è stata quindi necessaria un’enorme estensione del credito e lo scoppio della bolla nel 2007 ha interrotto il meccanismo. Altri pensatori, come il marxista americano Andrew Kliman, ritengono invece che le cause della crisi non si possano trovare nella distribuzione dei redditi e che la depressione sia spiegabile tramite la caduta del saggio tendenziale di profitto, che è una visione tutta improntata sulla produzione. Lei cosa ne pensa?

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inchiesta

Un libro di scritti di Minsky

Francesco Garibaldo

minsky-aÈ uscita, per i tipi della casa editrice Ediesse, l’edizione italiana di una raccolta di scritti editi e inediti di Hyman Philip Minsky (1919-1996) pubblicata l’anno scorso negli Stati Uniti a cura del “Levy Economic Institute of Bard College”. Gli scritti, che spaziano dal 1965 al 1994, riguardano la lotta alla povertà, i problemi dello Stato Sociale e come raggiungere la piena occupazione.

Il lettore, oltre agli scritti di Minsky, dispone di tre saggi introduttivi che arricchiscono in modo significativo il contenuto di conoscenza del volume. Il primo saggio è stato scritto per questa edizione italiana da Riccardo Bellofiore e Laura Pennacchi; il secondo, la vera e propria prefazione, e il terzo, l’introduzione, sono stati scritti per l’edizione originale, rispettivamente da Dimitri Papadimitriou, presidente dell’Istituto Levy, e da Randall Wray, senior scholar dell’Istituto, oltre che professore di economia. Il saggio di Bellofiore e Pennacchi vuole aiutare i lettori italiani a “un possibile utile uso di Minsky oggi in Italia”, per usare le loro stesse parole. Il saggio di Papadimitriou illustra il contenuto dei sette capitoli del libro mentre quello di Wray contestualizza il volume nel dibattito statunitense.

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poliscritture

“Navigazione a vista” di G. La Grassa

di Paul Robert Spadoni

Portolano homemQui di seguito pubblico un’accurata presentazione del nuovo libro di Gianfranco La Grassa, “Navigazione a vista”,  a cura di Paul Robert Spadoni. Le tesi dello studioso di una vita dell’opera di Marx  sono arrivate a conclusioni drastiche per quanti nel marxismo si sono formati o ne sono stati influenzati. E anche tra chi gli riconosce onesta e rigore intellettuale non mancano perplessità e sconcerto. Sullo stesso sito CONFLITTI E STRATEGIE, ispirato alle idee di La Grassa, si leggono  ad esempio queste parole sintomatiche di un assiduo commentatore: “Alla fine mi domando sempre: ma “dove va a parare” il discorso di La Grassa? Cosa ci offre di nuovo per il futuro? Non si è realizzata la previsione marxiana della formazione del rivoluzionario “operaio collettivo”? va bene! La classe borghese è scomparsa sostituita da una più anonima classe di “funzionari del capitale”? va bene anche questo! Dobbiamo abbandonare anche l’idea della classe operaia come “soggetto rivoluzionario”? Va bene! Dobbiamo abbandonare l’idea del comunismo? …mbè qui la cosa si complica e riesce meno facile da accettare specie in un periodo (come quello attuale) in cui il capitalismo (dei funzionari del capitale) mostra con sempre maggiore evidenza la sua incapacità di risolvere i problemi … intendo per la GENERALITA’ delle persone, non certo per i ristretti gruppi dominanti.” (gm:dicembre 29, 2014 at 1:44 am). A me pare giusto non fare orecchie da mercanti a un discorso scientifico e impegnarsi a conoscerlo e a discuterlo a fondo ( il che richiede studio e fatica!). Per accettarne o rifiutarne l’amaro realismo. Sulla base però di “altre ragioni” più valide (se siamo in grado di trovarne). Non per un attaccamento fideistico e passivo a un passato glorioso ma inerte. [E. A.]

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keynesblog

L’imbroglio della disoccupazione di equilibrio

Nel progetto di bilancio inviato alla Commissione Europea il ministro Padoan ha contestato i calcoli dell’Unione europea sul PIL potenziale e la disoccupazione di equilibrio. Vediamo di cosa si tratta

austerita-510Come è noto i paesi aderenti all’Unione Monetaria Europea devono rispettare rigide norme in materia di bilancio pubblico derivanti dal Patto di Stabilità e Crescita e dal più recente Fiscal Compact. In particolare essi devono assicurare il pareggio di bilancio “strutturale” come obiettivo di medio termine. La ratio della norma sarebbe la seguente: durante una recessione le spese aumentano (si pensi ai sussidi di disoccupazione) mentre le entrate diminuiscono (le imprese hanno meno profitti e i lavoratori meno redditi da tassare). I calcoli sul bilancio pubblico nel medio termine in rapporto al Pil vengono “aggiustati” tenendo conto del ciclo economico e si ammettono delle temporanee deviazioni. Per tenere conto del ciclo, invece del Pil attuale si prende come riferimento il Pil potenziale, cioè il Pil che si avrebbe se tutte le risorse produttive (capitale e lavoro) fossero pienamente impiegate nella produzione. Poiché il Pil potenziale è sicuramente maggiore di quello attuale durante una recessione, il rapporto così calcolato risulta minore. In questo modo, durante una recessione, i governi hanno un piccolo spazio fiscale aggiuntivo, mentre durante un’espansione devono ridurre la spesa o aumentare le tasse per “raffreddare” l’economia. A prima vista sembra una regola accettabile, persino keynesiana. Ma nei fatti le cose stanno diversamente.

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economiaepolitica

Quel capitale pericoloso: tutte le formule di Piketty

Giorgio Gattei

blogdilifestyle e977e038c7c08225ac7baeb170ee9dfe1. Se si fa tanto di arrivare alla fine del Capitale nel XXI secolo (Bompiani, 2014, ma le indicazioni bibliografiche del testo sono dall’edizione inglese) di Thomas Piketty il godimento è assicurato – però che fatica! S’imparano tante cose, tranne forse l’impianto analitico che le regge, che può sfuggire al lettore sommerso com’è da una quantità di grafici e tabelle. Eppure quell’impianto teorico è ben presente a partire dalla conclusione teorica che dice che, quando il tasso di rendimento del capitale (al netto delle tasse) supera il saggio di crescita del reddito, le diseguaglianze economiche aumentano fino a poter risultare «incompatibili con i valori meritocratici e i principi di giustizia sociale su cui si fondano le moderne società democratiche» (p. 26). Infatti, quando «l’imprenditore tende inevitabilmente a diventare un rentier sempre più dominante su coloro che non posseggono altro che il proprio lavoro, il capitale si riproduce più velocemente dell’aumento della produzione e il passato divora il futuro» (p. 571).

Ora questa «contraddizione centrale del capitalismo: r > g» (p. 571), che sta «alla base di una società di rentier» (p. 564), si è mantenuta per tutto il Sette e Ottocento e fino al 1913 (a che serve, come fa l’autore, cominciare dall’anno zero d.C.?), salvo però franare sotto l’urto delle due guerre mondiali e di una Unione Sovietica vista quale concreto competitor rispetto al capitalismo. Fu allora che vennero introdotte politiche economiche di welfare e redistribuzione della ricchezza che portarono a (r < g), ma è stata una parentesi nella storia economica (cfr. fig. a p. 356) perché, non appena scomparsa l’URSS, è ritornato trionfante (r > g) con tendenza del differenziale a crescere illimitatamente anche nel XXI secolo. Ma dove la causa della diseguaglianza tra r e g? Secondo Piketty bisogna partire dal rapporto del capitale sul reddito:

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antiper

La bella mente e la gelida manina. Strategie competitive e strategie cooperative. Capitalismo vs comunismo

di Antiper

orgarhythm-ps-vita 118378 ppJohn Nash è divenuto noto al grande pubblico per essere stato impersonato da Russell Crowe nel film A beautiful mind che racconta la sua vita e la sua sofferenza psichica; Nash, afflitto per molti anni da schizofrenia paranoide, internato, sottoposto ad elettroshock, è stato a lungo convinto di lavorare per la CIA alla decifrazione di messaggi in codice dei sovietici. Un particolare significativo, questo, che parla di un uomo che pensava di aiutare il proprio paese a combattere i comunisti. Eppure, proprio le sue intuizioni a proposito della Teoria dei giochi (che gli sono valse il Premio Nobel per l'Economia nel 1994) possono essere considerate, da un certo punto di vista, un formidabile argomento a favore del comunismo.

Nel film, mentre è al pub con gli amici, Nash espone la sua idea su quale dovrebbe essere la strategia da adottare per fare la corte alle ragazze:

“Adam Smith va rivisto! ...Se tutti ci proviamo con la bionda, ci blocchiamo a vicenda. E alla fine... nessuno di noi se la prende. Allora ci proviamo con le sue amiche, e tutte loro ci voltano le spalle, perché a nessuno piace essere un ripiego. Ma se invece nessuno ci prova con la bionda, non ci ostacoliamo a vicenda, e non offendiamo le altre ragazze. È l'unico modo per vincere. ...L'unico modo per tutti di scopare! ...Adam Smith ha detto che il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé, giusto? Incompleto. Incompleto! Perché il miglior risultato si ottiene... quando ogni componente del gruppo farà ciò che è meglio per sé, e per il gruppo! Dinamiche dominanti, signori. Dinamiche dominanti! Adam Smith... si sbagliava!” [1]

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cronache laiche

Dall'Homo oeconomicus al fascismo finanziario

Federico Tulli intervista Andrea Ventura

enrico quarto 10L'inganno del Pil, il miraggio della felicità. La grave crisi economica che da anni attanaglia i cosiddetti Paesi avanzati affonda i suoi colpi senza soluzione di continuità provocando disoccupazione, iniquità sociale, clamorosi fallimenti e crack finanziari. Sin dai primi evidenti segnali di collasso (generalmente individuati nella truffa dei mutui subprime elaborata negli Usa oramai quasi 10 anni fa) la soluzione invocata in maniera praticamente univoca dagli economisti più in voga è la crescita. Questo nonostante negli ultimi decenni essa si sia legata a squilibri crescenti e di diversa natura: distribuzione del reddito sempre più disuguale, alterazione degli equilibri ambientali, perdita del legame tra aumento del Prodotto interno lordo e qualità della vita.

Sono molti gli elementi che chiamano pertanto a una riflessione su quale crescita debba essere cercata, superando l'idea che non sia necessario qualificarla e che i danni da essa provocati - quando non è pensata in modo armonico con il sistema in cui si inserisce - siano inevitabili e da affrontare separatamente.

Per orientarci in questo complesso scenario Cronache Laiche ha rivolto alcune domande ad Andrea Ventura, ricercatore presso la facoltà di Scienze politiche "Cesare Alfieri" dell'Università degli Studi di Firenze, curatore con la collega Anna Pettini, della raccolta di saggi Quale crescita. La teoria economica alla prova della crisi (L'Asino d'oro edizioni, 2014). Un volume che, con un linguaggio chiaro, concreto ed efficace, intreccia questioni centrali per il dibattito teorico - come la natura dei bisogni e la loro distinzione dalle esigenze, il tempo libero, la moneta, il ruolo degli economisti - con i temi dello sviluppo storico e dell'impegno politico.

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sebastianoisaia

Economia, alzati e cammina!

Riflessioni disarticolate intorno alla crisi economica

Sebastiano Isaia

07I capitalisti e gli economisti mainstream, soprattutto quelli di scuola keynesiana, sostengono che il calo dei prezzi può portare a una prolungata stagnazione economica, com’è avvenuto ad esempio in Giappone dalla seconda metà degli anni Novanta fino a qualche anno fa. Ora, non solo questo non è vero in termini assoluti, ma qui assistiamo a un vero e proprio capovolgimento dei termini della questione: l’effetto della crisi (la caduta del livello dei prezzi) viene posto come sua causa. Dal punto di vista marxiano questo rovesciamento è tipico dell’«economia borghese volgare», la quale rimane impigliata alla superficie dei fenomeni economici e sociali.

Anche Keynes fu un severo critico della deflazione, e ai fini di un armonioso processo di accumulazione (cosa che presupponeva la presenza discrezionale dello Stato nella sfera economica) egli riteneva adeguata una moderata e costante inflazione. Nella sua infinita filantropia, il celebre economista inglese sosteneva la necessità di un’inflazione tesa a salvaguardare il livello dei profitti perché «i vantaggi che ne traggono il progresso economico e l’accumulazione di ricchezza sopravanzano gli elementi di ingiustizia sociale» (Trattato sulla moneta).

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sollevazione2

Keynes o Marx?

di Moreno Pasquinelli

20110927-La-EconomiaL’attuale crisi sistemica del capitalismo occidentale sta mandando in pezzi la scuola monetarista di Milton Friedmann e con essa l’ortodossia liberista e i suoi due massimi assiomi.  Il primo è di natura squisitamente filosofica e consiste in questo: ogni uomo, perseguendo egoisticamente la propria felicità contribuirebbe a realizzare quella di tutti. Il secondo, di carattere economico, considera il mercato  il sistema che meglio di ogni altro contribuisce alla ricchezza generale e alla sua equa distribuzione. Ci si poteva attendere che una crisi di tale portata avrebbe rinvigorito spinte anticapitalistiche di massa e riportato velocemente in auge l’ideale del socialismo. Non è stato così. Troppo fresche le devastanti ferite subite dal movimento rivoluzionario a causa del crollo, catastrofico quanto inglorioso, del “socialismo reale”, troppo profondo il processo di imborghesimento sociale e coscienziale del proletariato occidentale maturato negli ultimi decenni. Questo contesto spiega perché il pensiero di Carlo Marx, il principale studioso del capitalismo e delle sue contraddizioni, nonché il principale assertore della necessità e fattibilità del suo superamento, lungi dal risorgere, resti confinato nell’oblio, con lo sconsolante effetto collaterale per cui gli stessi intellettuali di sinistra, tranne rare eccezioni, quasi si vergognino di dichiararsi marxisti.

Assistiamo, di converso, ad una prepotente rinascita del pensiero economico di J. M. Keynes a tal punto che è possibile affermare che la maggior parte degli economisti (di quelli seri, non per forza di quelli che usufruiscono di una cattedra in qualche blasonata università) si considera keynesiana.

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politicaecon

Produzione di austerità a mezzo di austerità

Sergio Cesaratto

Che l'austerità fosse un circolo vizioso l'abbiamo detto dal 2010. Ora è dominio quasi comune. Forse per questo ora scriviamo di meno. Allora eravamo in pochi a denunciarlo. In un ottimo articolo Boitani e Landi riprendono quanto già denunziato in un articolo di Fantacone et al. che i metodi di calcolo europei delle violazioni dei vincoli di bilancio sono tali per cui l'austerità ti allontana dal rispetto dei parametri giustificando la richiesta di ulteriore austerità. Se Renzi o Padoan fossero persone politicamente serie contesterebbero questa roba, rimuovendo i funzionari italiani incapaci di denunciarle. Ma naturalmente la scelta è politica, e ci si deve credere, e avere l'intelligenza per crederci. Padoan l'avrebbe, in astratto, ma si sa, la poltrona è la poltrona (ma forse lo sopravvaluto).

Data la pigrizia a scrivere (ma sto preparando un paper su l'MMT, e assolutamente simpatetico almeno nei riguardi del punto discusso) riporto qui uno scambio di e mail che ho avuto con Lanfranco Turci, Giancarlo Bergamini e l'ottima Antonella Palumbo (UniRoma3), allieva di Garegnani, naturalmente.