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linterferenza

La svolta moderata (e annunciata) del M5S

Fabrizio Marchi

Luigi Di Maio sarà il candidato premier del M5S. Era scontato ma ora è ufficiale.

La sua candidatura è la conferma della svolta moderata del M5S. Sia chiaro, non che sia mai stato un movimento rivoluzionario. Del resto abbiamo prodotto molte analisi sul M5S. Ne riportiamo alcune, per chi volesse approfondire:

http://www.linterferenza.info/editoriali/luigi-maio-pensiero/

http://www.linterferenza.info/attpol/qualche-breve-considerazione-sul-m5s/

http://www.linterferenza.info/attpol/maio-almirante-berlinguer-la-post-ideologia-postmoderna-del-m5s/

Tuttavia non si deve pensare che la nostra posizione sia stata aprioristica o condizionata da pregiudizi ideologici. Al contrario, abbiamo seguito fin dalle origini la nascita e la crescita del movimento, lo abbiamo osservato e studiato con attenzione nel tempo e in taluni casi, pur non condividendo il suo orizzonte ideale, lo abbiamo anche individuato come un grimaldello, sia pure da un punto di vista squisitamente tattico, per scardinare l’attuale assetto politico (che al momento vede ancora il PD come baricentro), per “muovere la classifica”, come si suol dire in gergo calcistico.

Mi pare di poter dire che dieci anni o giù di lì siano sufficienti per farsi un’idea di che cosa sia un movimento o un partito. Non entro nel merito perchè l’abbiamo ampiamente già fatto in quei tre articoli di cui sopra.

La candidatura di Di Maio è quindi l’ufficializzazione della linea “governista” e moderata del M5S. Alla recente kermesse di Cernobbio, davanti ad un pubblico di imprenditori e figure istituzionali di vario genere, Di Maio ha fatto riferimento in modo esplicito al premier conservatore e filo UE spagnolo, Mariano Rajoi, come di un modello a cui guardare. Un intervento rassicurante per quella platea (quella che conta…) alla quale ha sostanzialmente chiesto una sorta di investitura.

Resta da vedere come risponderà l’anima più “movimentista” del M5S che si incarna nella figura di Alessandro Di Battista. Ma escludo che ci saranno particolari sommovimenti nel breve periodo, per lo meno fino alle prossime elezioni. Dopo di che dipenderà anche dal risultato elettorale.  Una eventuale flessione potrebbe restituire fiato ai “movimentisti” e indebolire i “moderati”. Ma è solo un’ipotesi. C’è anche da dire che in questi anni il movimento, grazie anche al carisma e alle doti comunicative del suo leader, Beppe Grillo, è riuscito a costruire una forte identità e una notevole omogeneità, diciamo pure uno spirito di corpo, al punto tale che è molto difficile entrare in una relazione dialettica con il militante grillino medio. Sia chiaro, è un fenomeno che ha caratterizzato tanti altri partiti, anche e soprattutto nel passato, sia di sinistra che di destra, ma che oggi è particolarmente accentuato nel M5S rispetto agli altri attuali partiti. Il che potrebbe apparire contraddittorio per una forza politica che si professa antiideologica per eccellenza, ma in realtà è proprio questo presunto carattere post-ideologico che fa del M5S un partito ideologizzato, esattamente come tutti gli altri, né potrebbe essere altrimenti.

Questo farà sì che anche di fronte a delle scelte che potrebbero non essere gradite a tanti attivisti ed iscritti, questi stessi faranno buon viso perché convinti che comunque anche quelle saranno in qualche modo obbligate, necessarie per il raggiungimento di un fine superiore. Un fine che in realtà non esiste perché il M5S è del tutto sprovvisto di una weltanschauung, cioè di un orizzonte ideale forte di trasformazione della realtà. Per questa ragione non solo non impaurisce nessuno ma potrebbe in un prossimo futuro anche essere individuato dalle classi dirigenti come il garante della tanto amata “governance”, cioè la pace sociale, da sempre cara ai padroni del vapore.

Un amico mi faceva notare che anche il PCI non era certo un partito rivoluzionario.  Verissimo, però l’esistenza di quel partito che sia pure fra mille contraddizioni era rappresentativo di un movimento operaio organizzato e ancora relativamente solido, costituiva comunque un deterrente, un ostacolo alle politiche liberiste e neoliberiste. Le classi dominanti non potevano fare il bello e il cattivo tempo così come lo fanno oggi e non avevano la forza per attaccare in modo così violento e sistematico come accade ormai da anni, il mondo del lavoro. Eppure quel partito, il PCI, aveva all’incirca la stessa forza elettorale che ha oggi, per lo meno in percentuale, il M5S. E negli ultimi vent’anni l’attacco neoliberista al lavoro e allo stato sociale è stato durissimo. Ciò dimostra che la presenza del M5S è del tutto irrilevante sotto questo aspetto, e non è in grado di costituire nessun fattore di contenimento in tal senso. Del resto, come potrebbe essere altrimenti, per una forza politica il cui unico valore di riferimento è dato dall’ “onestà” e dalla gestione trasparente della cosa pubblica?

Diventa quindi evidente come i suddetti valori, onestà e trasparenza, non solo non siano sufficienti a creare un argine nei confronti del neoliberismo, ma possano anche diventare a quest’ultimo del tutto funzionali. Del resto, abbiamo capito come periodicamente il sistema dominante abbia necessità di un ricambio della classe politica; è avvenuto con il passaggio dalla prima alla seconda repubblica e potrebbe avvenire ora. Il capitalismo ha dimostrato di essere un sistema estremamente flessibile ed è del tutto indifferente alle “variabili” politiche e culturali, purchè queste siano funzionali ai suoi interessi e alla sua riproduzione.

Un ricambio di classe politica, dunque, anche in considerazione del fatto che il ceto politico che ha governato la cosiddetta seconda repubblica è del tutto screditato (e di gran lunga peggiore di quello della prima…), all’insegna dell’onestà, della trasparenza e del rinnovamento, potrebbe essere funzionale e anche auspicato dalle classi dirigenti nazionali ed europee.  Tanto più che il M5S, con Di Maio in testa, ha decisamente attenuato la sua vis antieuropeista (come del resto anche la Lega di Salvini…).

Se, dunque, il PD riuscirà, dopo le elezioni, a fare un accordo con Forza Italia e con i vari cespugli di centro e centrodestra (con l’esclusione della Lega), avremo una sostanziale continuità. Ed è in fondo l’ipotesi più realistica. Però non possiamo escludere a priori l’ipotesi di un M5S al governo del Paese. La quale ipotesi, come ripeto, nonostante quello che i grillini si sforzano ovviamente di dimostrare, non rappresenterebbe affatto una fattore traumatico o destabilizzante per il sistema capitalista e per le classi dominanti nazionali ed internazionali.

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