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politicaecon

Tragico ma non serio

Il surreale documento dei 14 economisti franco-tedeschi

di Sergio Cesaratto

E' uscito su Il fatto del 24/1/18 un mio pezzo di cui trovate qui l'originale, più lungo

C’è un solo tema che sembra veramente ossessionare i vertici tedeschi ed europei: come costringere l’Italia a ridurre il suo debito pubblico, costi quello che costi (all’Italia). Prima abbiamo avuto il non-paper di Schauble, ora abbiamo il paper di 14 economisti franco-tedeschi radunati allo scopo da Merkel e Macron (AAVV 2018). Leggerlo è un viaggio nel surreale. I nostri economisti partono invero col piede giusto giudicando le attuali istituzioni e regole della politica fiscale europea macchinose, arbitrarie e pro-cicliche. Fatto è che le proposte avanzate nel paper sono ancor di più cervellotiche e vessatorie, con lo sguardo rivolto esclusivamente a mettere l’Italia sotto scacco. Se applicate probabilmente destabilizzerebbero i mercati. Dei veri problemi, crescita e occupazione, il documento non fa menzione. Keynes non è mai esistito.

Nello specifico il paper si pone l’obiettivo di rafforzare la disciplina fiscale in cambio di una qualche “condivisione dei rischi” fra i partner. Il rigore non basta mai, evidentemente. E per non sbagliarsi i Paesi ad alto debito dovranno avere più disciplina e meno “risk sharing” degli altri, non sia mai che se ne approfittino.

Il documento si compone di tre parti, la prima dedicata al completamento dell’unione bancaria, la seconda alle regole di bilancio, la terza al quadro istituzionale. Quest’ultimo, in sostanza, riguarda fondamentalmente il modo più efficace di attribuire i ruoli, rispettivamente, dell’accusatore e del giudice nelle procedure di violazione, ruoli al momento troppo soggetti alle scelte politiche. La Francia sembra aver abbandonato l’idea coltivata anni fa di trasformare l’Eurogruppo (il consiglio dei ministri finanziari) in un luogo di coordinamento delle politiche fiscali anticicliche, ora si è abbandonata completamente al rigore tedesco.

Sulle banche la vicenda è nota: la costituzione di un'assicurazione europea sui depositi a completamento dell’unione bancaria, che già prevede sorveglianza e procedure di risoluzione delle crisi bancarie comuni (il famoso bail-in), è subordinata allo smaltimento da parte delle banche (leggi italiane) dei titoli pubblici e delle sofferenze bancarie in loro possesso sotto una certa soglia (pena sanzioni). Qui il paper dimentica che nel 2011-12 le banche italiane furono spinte a impiegare la liquidità della BCE per accollarsi i titoli di Stato italiani di cui le banche franco-tedesche si stavano sbarazzando, evitando il crollo dell’euro. Se la BCE fosse intervenuta prima questo non sarebbe accaduto. Così come dimenticano che le sofferenze sono in gran parte dovute alle (controproducenti) politiche di austerità. Ci si scorda anche dell’ammontare spaventoso di titoli speculativi che gravano sulle banche tedesche e francesi, come documentato dalla Banca d’Italia lo scorso dicembre. Per gli economisti franco-tedeschi i titoli di stato sono considerati un problema, i derivati no. Si tratta comunque di misure destabilizzanti per il debito pubblico e per il sistema bancario italiani. E circa la promessa garanzia sui (vostri) depositi, l’assicurazione europea interverrà solo se una crisi bancaria in uno o più Paesi esaurisce la quota del fondo assicurativo comune che è di loro pertinenza (e che essi avranno versato attraverso “premi assicurativi” commisurati al rischio-Paese), dunque una condivisione dei rischi limitata a crisi sistemiche.

Ma è nella parte fiscale che il surrealismo dà il meglio di sé. Qui si propone di sostituire al pareggio di bilancio (aggiustato per il ciclo secondo con regole economicamente arbitrarie) un obiettivo di crescita della spesa pubblica che dovrebbe essere in linea con la crescita di lungo periodo del PIL, ma minore di quest’ultima nei Paesi ad alto debito di modo che lentamente rientrino nel rapporto debito/PIL (smantellando progressivamente il welfare). La carota sarebbe che il trend fissato per la spesa è indipendente dal ciclo sicché nella fase di bassa quando le entrate fiscali diminuiscono si farà deficit spending in automatico, compensato da surplus di bilancio nella fase alta.

Dio solo sa quanta arbitrarietà teorica e pratica v’è tuttavia nel calcolare la crescita di lungo periodo del PIL di un Paese. Inoltre alla luce di un modello Keynesiano di lungo periodo è la spesa pubblica, fra le altre spese autonome, a guidare il PIL. Se quest’ultimo sta crescendo al 2% e fissiamo la crescita della spesa all’1%, la crescita del PIL probabilmente diminuirà (e con essa le entrate fiscali mortificando l’aggiustamento dei conti). Siamo così alle solite fatiche di Sisifo impostici degli apprendisti stregoni di Bruxelles. E se ci trovassimo a violare la (nuova) regola, ogni nuovo indebitamente lo dovremmo finanziare emettendo dei titoli di serie B (junior bonds) che sarebbero i primi a soffrire in caso di ristrutturazione del debito e sui quali dovremo dunque pagare tassi più elevati.

La logica punitiva offre il massimo di sé nel cavallo di battaglia tedesco per cui ogni assistenza finanziaria da parte del fondo salva-Stati European Stability Mechanism, assistenza che può rendersi indispensabile nel caso che per uno Stato fosse proibitivo rifinanziarsi sul mercato a tassi accettabili, andrebbe subordinata a una ristrutturazione del debito (che ne allunghi le scadenze e se necessario ne cancelli una quota, per esempio relativa alle junior bond di cui sopra). Il passaggio chiave dell’intero documento e rappresentativo della posizione tedesca è l'affermazione che in seguito alla riforma proposta “i Paesi insolventi perdono accesso ai mercati finanziari più rapidamente se la clausola di non-salvataggio è credibile che se non lo è” (p.12). Vale a dire, sotto la spada di Damocle di una ristrutturazione dei debiti saranno i mercati a vigilare sul rigore fiscale dei Paesi ad alto debito, che saranno così automaticamente sotto controllo, senza bisogno di applicare sanzioni, operazione politicamente sempre complicata. Nella prospettiva della dismissione dell’ombrello protettivo della BCE (Draghi scade nel 2019), l’ESM rimarrà come il solo scudo e così congeniato è evidente che esso destabilizzerà (più che stabilizzare) il mercato dei titoli italiani. Ça va sans dire che, invece, i Paesi che avranno dato prova di virtù fiscale sono premiati e avranno accesso incondizionato all’ESM per affrontare, presumibilmente, temporanei rialzi dei tassi di interesse sui loro titoli di Stato ricorrendo ai più vantaggiosi tassi sui prestiti erogati dal fondo. L’Europa c’è quando v’è meno bisogno.

Lo specchietto per le allodole del documento è nella creazione di un (piccolo) fondo di stabilizzazione del ciclo a cui potrebbero ricorrere i Paesi il cui tasso di disoccupazione superasse determinate soglie. I caveat sono così vessatori da rendere la proposta offensiva. Il sostegno è una tantum, quindi non volto a contrastare la disoccupazione strutturale, e disponibile solo ai Paesi che si attengono scrupolosamente alle regole. Alla faccia del “risk sharing”, la contribuzione al fondo sarà maggiore per gli Stati che più probabilmente vi ricorreranno. Infine cultori di Keynes non mancheranno di notare come la costituzione stessa nel tempo del fondo attraverso contributi dagli Stati sia una misura deflativa. Ci si può consolare pensando che tanto si tratta di poca cosa.

Da dove uno degli esponenti di punta di Liberi e Uguali (Fratoianni su Huffington Post) abbia potuto dedurre che nel documento si propone il superamento dei vincoli europei non è dato sapere, a ulteriore testimonianza che il surrealismo è il tratto dominante della vicenda europea.


Riferimenti
Bénassy-Quéré, A, M Brunnermeier, H Enderlein, E Farhi, M Fratzscher, C Fuest, P-O Gourinchas, P Martin, J Pisani-Ferry, H Rey, I Schnabel, N Véron, B Weder di Mauro and J Zettelmeyer (2018), “Reconciling risk sharing with market discipline: A constructive approach to euro area reform”, CEPR Policy Insight No. 91.
Fratoianni, N. (2018) L'Europa dei pochi e quella dei molti, http://www.huffingtonpost.it/nicola-fratoianni/leuropa-dei-pochi-e-quella-dei-molti_a_23336780/

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