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ilsimplicissimus

Lo spettacolare fallimento dell’Europa

di ilsimplicissimus

Se c’è qualcosa che può scrivere un degno epitaffio all’impotenza geopolitica e ideale dell’Europa è la vicenda delle sanzioni all’Iran, nella quale Bruxelles pur tra grida e maledizioni perché si tratta di commerci miliardari che coinvolgono migliaia di aziende e anche giganti come Total e Airbus, si è dovuta piegare alla volontà americana dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, che questo impietoso collage di 28 Paesi non favorisce la forza come era nelle illusioni, ma è invece fonte di estrema debolezza: il continente non conta ormai più nulla, è geopoliticamente assente, prende batoste dovunque, si è persino lasciato trascinare nella guerra siriana dalle assurde tentazioni neocoloniali e ora che Assad è uscito vincitore, non sa che pesci pigliare quando la stessa Israele riconosce che bisognerà trattare con Damasco. Ma invece di riconoscere gli errori, la provenienza dei propri guai e del bastone a cui si deve piegare, la cricca di Bruxelles, mediocre nei sogni come nella concretezza, trasferisce la propria impotente frustrazione sulla Russia in un grottesco crescendo di aggressive vacuità, di bugiarde narrazioni e argomentazioni patetiche che fanno di Putin la fonte di tutti mali. Con l’informazione dei padroni che fa a gara per non steccare nel coro e cercare di metterci del suo in questa mattana. Del resto anche da noi non sono mancate penose e allo stesso tempo vergognose espressioni di tutto questo.

Né si può dire come capita ai più ottusi, tra i quali rifulge Macron, che per rimediare a questa condizione di sudditanza, inazione e minorità occorre una maggiore integrazione, perché è proprio il modo con tale integrazione è stata cercata e messa in cantiere che ha determinato il fallimento al quale assistiamo: proseguire su questa strada significa di fatto sparire in un mondo che si è fatto improvvisamente incerto e agitato. Lasciamo stare per il momento che l’unione dell’Europa è stata fin dall’inizio un progetto sostenuto dagli Stati Uniti in funzione della guerra fredda, quindi un sogno deformato già sul nascere tanto che ancora oggi, anzi più che mai, la Ue è inseparabile sia ideologicamente che istituzionalmente dalla Nato, vale a dire dagli Usa per cui non può assolutamente difendersi né dai nemici, né – che è anche peggio – dagli amici. Il fatto è che l’unione ha completamente fallito il tentativo di affrancarsi da questa situazione tentando alla cieca un’unione monetaria che non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che erano stati immaginati: era stato detto che l’euro avrebbe promosso la crescita, ma in realtà, dall’introduzione della moneta unica nel 1999, gli Stati Uniti hanno in gran parte soppiantato l’area dell’euro. Si era promesso che avrebbe protetto l’Europa da shock esterni, ma il crollo della produzione è stato altrettanto importante nel continente a seguito della crisi finanziaria del 2008. Soprattutto, era stato detto che l’euro avrebbe iniziato a sostituire il dollaro come strumento del commercio internazionale. Venti anni dopo, il dollaro continua ad essere la valuta del commercio globalizzato, mentre l’euro è quasi inesistente, soprattutto nel settore petrolifero. Anzi è proprio a causa di questo fallimento che gli Usa si possono permettere la tracotanza nel castigare gli affari europei con l’Iran che avvengono tutti in dollari, come è successo per la multa di 9 miliardi inflitta a BNP Paribas nel 2015. Del resto cosa si poteva sperare da una moneta unica calata in un’area con così grandi differenze tanto da finire per compromettere qualsiasi processo di integrazione reale e non semplicemente burocratica o nominale?

Però degli effetti letali ci sono stati e anche macroscopici: quelli di favorire la disuguaglianza e la caduta sociale con una moneta totalmente in mano ai poteri finanziari, di innescare una profonda divisione continentale tra un centro che si è via via avvantaggiato e una periferia nella quale la flessibilità monetaria di un tempo si è tradotta in precarietà del lavoro e caduta dei salari: insomma invece del riequilibrio che si immaginava si è avuta un acutizzazione delle differenze fra le varie aree. L’euro è servito solo alle elites per perfezionare la lotta di classe alla rovescia e trasformare le democrazie in un ensemble farraginoso e sempre più ostile a guida oligarchica , mentre le forze che dovevano e potevano opporsi sono apparse incapaci di uscire dal recinto delle favole e si sono abbandonate a un ridicolo infantilismo ideologico post moderno dimenticando come si fa politica nel mondo reale.

E’ troppo tardi per mettere mano a questo edificio fatiscente che va interamente riprogettato a partire dal basso, dai bisogni delle persone, dai diritti del lavoro, da stati che non siano solo incubatori di pensiero aziendalistico e riacquistino sovranità per garantire la cittadinanza e la partecipazione. Qualunque forza politica dotata di una visione che non sia semplicemente e volgarmente reazionaria o intrisa di poveri miraggi, in qualsiasi Paese dell’Unione ( vedi Aufstehen: la nuova sinistra tedesca si risveglia ) non può avere altra prospettiva che concordare una graduale e accorta demolizione di questa Europa allevata a stelle e strisce per ricostruire una vera casa comune.

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Eros Barone
Wednesday, 15 August 2018 11:44
Ma "concordare una graduale e accorta demolizione di questa Europa allevata a stelle e strisce per ricostruire una vera casa comune" non significa essere "incapaci di uscire dal recinto delle favole e abbandonarsi a un ridicolo infantilismo ideologico postmoderno dimenticando come si fa politica nel mondo reale"? E' il serpente che si morde la coda. «La sopravvivenza dell’euro nel breve e nel medio termine…non può che danneggiare il lavoro e le classi popolari. Senza peraltro che vi sia garanzia alcuna che la moneta unica sia davvero in grado di costituirsi su base stabile, fuori dalla tempesta, nel lungo termine. Per quanti siano gli sforzi, l’euro non potrà che rimandare la sua fine, se non cambia pelle e natura, o passare, più che attraverso crisi, attraverso catastrofi.» Così scrivevano, qualche anno fa, Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo in un loro acuto intervento, riconoscendo, un po’ a denti stretti, la portata epocale della sempre più probabile deflagrazione dell’eurozona. Sennonché la loro analisi, molto ricca e articolata dal punto di vista storico, si rivelava, sul piano politico, utopistica a causa della persistente opzione euro-federalista, non aliena peraltro da qualche simpatia per la linea Draghi, e del tutto irrealistica sul piano sindacale là dove evocava, in una congiuntura in cui è difficile organizzare anche un semplice sciopero aziendale, «lotte transnazionali in grado di imporre un vincolo sociale e un cambio di rotta». Vi è poi un aspetto fondamentale della crisi dell’euro e della Ue che, nel contesto della pur ampia disàmina condotta allora dai due autori dell’intervento in parola, non ricevette un adeguato approfondimento – né lo poteva ricevere - proprio per il contrasto in cui questo aspetto così rilevante si poneva non solo rispetto alla prospettiva
euro-federalista, sia pur declinata a sinistra, che quella disàmina implicava, ma anche rispetto alla legge economica e politica dello ‘sviluppo ineguale’ che di quella prospettiva rappresenta la più evidente smentita. Eppure, per definire e misurare le crescenti "divergenze" generate da un regime di accumulazione del capitale che ha il suo vettore strategico nel mercato finanziario, i dati statistici relativi alla produzione, all’occupazione e alle insolvenze non mancano, e si tratta di dati che non hanno precedenti storici. Non deve quindi destar meraviglia se lo scenario che si è venuto delineando offre spazio ad una partita che può svolgersi solo fra due destre: quella libero-scambista e tecnocratica, oggi soccombente, è quella
neo-nazionalista, oggi vincente, che può assumere varie forme nei diversi paesi europei (va da sé che in Italia la forma assunta è quella fascisteggiante). Sennonché sorge la seguente domanda: qual è il ruolo del movimento operaio in questo scenario? Esiste un'alternativa capace di battere in breccia sia il selvaggio nazionalismo socialsciovinista sia un universalismo kantiano ormai obsoleto? Non ho dubbi circa la risposta a tale quesito: esiste, si chiama leninismo e autonomia di classe.
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