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I tedeschi scoprono che il loro modello è fallito

di Pasquale Cicalese

Sta suscitando scalpore in tutta Europa il documento preparato dal ministro dell’economia tedesco Peter Altmaier – “Piano Industria 2030” – perché prevede l’intervento dello Stato nell’economia, sia come “arrocco” per difendere i campioni nazionali da scalate ostili (si pensa ai cinesi, ma non solo), sia per avviare un salto tecnologico nelle grandi e medie industrie tedesche.

In particolare si parla di formare una sorta di “nuova Iri” per entrare in colossi quali Deutsche Bank, Bosch, Daimler ecc.

Altmaier, nel suo documento. parla di investimenti pubblici nei settori dell’intelligenza artificiale, nelle piattaforme di connessione informatiche, nelle biotecnologie, nella guida autonoma e nell’aerospaziale. Tutti settori dove dominano colossi americani e cinesi. Inoltre ritiene che entro il 2030 l’apporto dell’industria rispetto al pil debba aumentare dal 22 al 25% in Germania e dal 16 al 20% in Europa, considerando un grave errore la deindustrializzazione di molte aree europee a cui bisogna porre rimedio.

Da che pulpito viene la predica, verrebbe da dire…

Solo accennando al Trattato di Lisbona, esso prevedeva che l’UE a 500 milioni di abitanti divenisse entro il 2020 l’area economica più innovativa del mondo. Dalle parole di Altmaier scopriamo invece che il cuore industriale europeo è dietro di almeno 20 anni rispetto ai grandi sommovimenti produttivi mondiali.

Decenni a tagliare salari, a fare i “mini-job”, con il delirio dell’alternanza scuola-lavoro, prontamente presa da Renzi in Italia, Agenda 2010 di Schroeder, con deflazione salariale ed estrema flessibilizzazione, per poi scoprire cosa? Che non hanno agganciato la rivoluzione industriale degli ulitmi venti anni.

Verrebbe da dirgli: dove eri, tu, in questi decenni? E’ noto: ai vertici del potere tedesco e dell’Unione Europea

Vediamo un dato: il tasso di investimento in Germania è pari al 19% contro il 42% della Cina. Il surplus delle partite correnti tedesche in questi decenni è stato indirizzato alla bolla tech del 2001, ai subprime, alle case spagnole, ai sommergibili greci. Il surplus cinese è servito invece per finanziare il salto tecnologico.

Se poi andiamo a vedere il sistema di istruzione, in Cina sfornano 6 milioni di laureati l’anno, di cui il 50% in materie scientifiche. Negli ultimi anni 500 mila ricercatori cinesi sono rientrati dagli Usa nel loro paese.

Mao, dopo la Lunga Marcia, realizzò due capolavori: la bomba atomica e l’alfabetizzazione di massa, con la lotta all’analfabetismo. Chi si legge il saggio di Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino, di 15 anni fa, noterà che l’economista racconta dei primi capitalisti di Hong Kong e Taiwan, dopo l’apertura di Deng, sbalorditi dalla preparazione tecnica della forza lavoro cinese.

Il sistema di istruzione tedesco è invece fortemente classista. I figli degli operai vengono sin dalla scuola media indirizzati alla formazione professionale, mentre all’università ci va la classe medio alta. C’era un sistema di istruzione all’avanguardia: era quello della DDR, smantellato dopo l’89 dalla RFT, come racconta bene Vladimiro Giacchè nel saggio Anschluss.

Il futuro è una questione di istruzione e di qualificazione della forza lavoro, prima ancora di poter fare il salto tecnologico. Si tratta di ripudiare le riforme scolastiche e universitarie degli ultimi 20 anni, fortemente elitarie e assolutamente inservibili rispetto alla rivoluzione tecnologica e produttiva in corso.

Fa quasi pena leggere il documento di Altmaeir, che sull’istruzione non dice nulla. E allora, senza di questo, il nuovo capitalismo monopolistico di stato tedesco serve solo come arrocco e protezionismo.

I nuovi cartelli, come sosteneva Lenin, visto che non hai la capacità di competere con i colossi americani e cinesi, servono a prepararti ad una sola cosa: la guerra.

E quindi dopo il mercantilismo degli ultimi decenni, basato sulla deflazione salariale, avremo il protezionismo basato sui cartelli.

E dopo?

Si tratta di abbattere anche da noi questo modello, che Altmaier stesso quasi definisce fallimentare. E l’Italia lo ha imitato, affossandosi del tutto.

Epilogo infame di un modello che ha portato solo povertà salariale. E culturale…

Il rapporto Altmaier completo, ovviamente in lingua originale.

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