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sinistra

Lettere dal Sahel IX

di Mauro Armanino

 

Il collezionista di sabbia

Niamey, 28 luglio 2023. C’è chi collezionava francobolli, quando le poste erano ancora come Dio comanda e chi colleziona etichette, tappi di bottiglie, farfalle, cartoline d’epoca, cellulari, magliette o semplicemente medaglie ricordo. Noi nel Niger, invece, collezioniamo sabbia. Quella delle strade che ci giunge fresca dal deserto col vento e che, dopo la pioggia, si infiltra dappertutto senza ritegno. C’è quella dei cortili, dei fiume Niger e degli affluenti, quella dei campi e quella dei deserti … la sabbia che cambia i suoi colori e la consistenza secondo il luogo e il momento. La sabbia è mobile, fragile, resistente, insistente, resiliente, migrante, richiedente asilo, sfollata, perduta e ritrovata dove meno la si aspetta. Anche la politica del nostro paese è di sabbia.

Qui collezioniamo anche i colpi di stato o i tentativi di compierlo. Dall’anno dell’indipendenza, nel 1960, sono almeno cinque gli effettuati senza contare i tentativi reali o immaginari di destabilizzazione istituzionale da parte dei militari.

L’ultimo della serie, ancora in atto e senza una conclusione accertata, attende il proprio compimento. In effetti tra la politica e la sabbia ci sono attinenze, complicità, accordi, connessioni e financo interdipendenze. Le caratteristiche sopra enunciate della sabbia sono pure riferibili alla politica del Paese e forse dell’intero Sahel. Il pregio di questa realtà è che svela quanto altrove invece si nasconde. Voi lontani e stranieri, fareste meglio a non fidarvi, non siamo ancora l’oasi di stabilità attesa.

Dalle nostre parti, almeno, siamo coscienti dei nostri limiti e possibilità mentre altrove si finge che la democrazia sia inossidabile, granitica, immutabile e scontata. Qui, invece, la nostra sa bene di essere sabbiosa, precaria, adattabile, manovrabile e funzionale agli interessi di arrivisti del momento. Lo assumiamo come un dato di fatto e per questo, ad intervalli regolari, rimettiamo il gioco democratico alla linea di ripartenza per un’altra tornata che si sa d’anticipo, limitata nel tempo e nello spazio. Cose come i partiti, smantellati col loro consenso, la società civile, comprata e svenduta a piacimento e gli intellettuali, membri onorari del campo dei vincitori, fanno sì che l’ambito politico sia sparito, liquidato, confiscato.

Rimane allora lo spazio per i venditori di sabbia. L’organo scritto ufficiale del partito di governo, la cui sede di Niamey è stata bruciata proprio ieri, il noto ‘Sahel Dimanche’, riporta la notizia che alcuni giovani scolari si danno alla vendita di sabbia e di ghiaia. In effetti alcuni studenti poco abbienti, onde preparare il prossimo rientro scolastico, fanno all’antica e cioè spalano sabbia e poi la vendono con carrette tirate da asini agli autisti di passaggio. Dall’impresa si possono ricavare tra 2.500 e 4.000 franchi locali al giorno (da 4 a 6 euro). La politica del Paese potrebbe ispirarsi da questa onesta attività lavorativa. In attesa di scoprire come si muoverà il presidente del Comitato Nazionale per la Salvaguardia della Patria, CNPS, carretti, asini e anche tricicli motorizzati, appaiono come punti di riferimento per una nuova politica, appunto, di sabbia.

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Personaggi in cerca d’autore ovvero il golpe del Niger

Niamey, 31 luglio 2023. I confini tra realtà e finzione, come Luigi Pirandello bene evidenziava nella sua drammaturgia, sono sempre molto labili. Quando sta accadendo nel Niger, dopo la relativa presa di potere di un gruppo di militari delle Guardia Presidenziale mercoledì scorso, assomiglia ad un gioco nel quale tutti i personaggi sono in cerca d’autore. La politica anzitutto, intesa come partecipazione nella costruzione del bene comune, non è di fatto mai realmente accaduta. Essa è stata interpretata come perenne lotta per il potere, con la stessa logica di quello coloniale della Francia che ha potuto continuarsi nel Paese del ‘suo’ uranio grazie a politici compiacenti. Quando, questi ultimi, hanno cercato di prendere le distanze dal Padre Padrone francese sono scaturiti, non per caso, i primi colpi di stato di autore senza nome. Il prossimo 3 agosto sarà l’anniversario dell’indipendenza del Niger e faranno 63 anni di cammino nel deserto attraversato dal fiume omonimo.

Gli altri personaggi del dramma sono stati i partiti politici che, oggi, si contano a decine e il cui numero e consistenza varia a seconda delle stagioni del potere. Si fanno e disfanno aggregazioni di compiacimento che solo assicurano qualche garanzia ‘alimentare’ in più per i membri dei partiti. Uno di essi, al governo da dieci anni, si denomina PNDS e cioè il Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo. Presentatosi alle elezioni del 2004 e del 1999 era risultato perdente e solo dopo il penultimo colpo di stato nel 2010, aveva vinto le elezioni l’anno seguente. L’attuale presidente Mohamed Bazoum è il successore (e da lui prescelto) di Mahamadou Issoufou, entrambi fondatori del PNDS. Il decennio di potere del suo mentore, contrariamente all’opinione occidentale e africana, ha gradualmente contribuito ad affossare la fragile democrazia nel Paese. Demoliti i partiti, eliminato l’oppositore principale Hama Amadou, divisa per compravendita la società civile e, infine, l’operazione seduzione ‘pecuniaria’ per la classe intellettuale del Paese, la democrazia si è trasformata nel regno tentacolare e fondamentalmente corrotto del PNDS.

Bazoum, malgrado la complicità degli osservatori internazionali che hanno ratificato i risultati dello scrutinio delle ultime presidenziali del 2021, è stato eletto in modo fraudolento. Dopo circa due anni, alla vigilia della festa dell’Indipendenza, è stato deposto da una giunta militare e si trova prigioniero di elementi armati della Guardia Presidenziale, voluta e curata dal suo predecessore. Tra i personaggi della vita politica del Niger e in Africa Occidentale, si trovano i militari, personaggi in cerca d’autore di tutti i golpe e dei tentativi andati a male, nel frattempo. Per carenza di democrazia reale, intesa come sistema che rende possibile il gioco di alternanze politiche senza ricorrere alla violenza, essi sono coloro che ‘azzerano’ il contagiri e permettono alla democrazia di riattivarsi. Questo spiega perché, in generale, da questa parte del mondo i colpi di stato sono assai ben visti e appoggiati dal popolo che vedi in essi un’opportunità di rimessa in moto della recita a soggetto in questione.

Il grande escluso di tutto ciò, per assenza di autori e cioè di cittadini riconosciuti e riconoscibili, è proprio il popolo che in tutti questi anni è stato preso, volutamente o meno, in ostaggio dai vari regimi politici che si sono succeduti. Lo stesso popolo della città di Niamey e di altre città del Niger che ha appoggiato il golpe e che si è spinto ieri fino alla zona delle ambasciate e soprattutto quella della Francia, ne è stata il bersaglio principale. La situazione, al momento è ancora incerta. La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e l’Unione Africana (e la Francia in particolare) hanno ovviamente condannato il golpe e deciso di applicare con inusuale rapidità un arsenale di sanzioni economiche e politiche. Non si esclude neppure un intervento armato nel caso in cui il presidente eletto non venga rilasciato e prenda le funzioni a lui spettanti prima del colpo di forza.

Non casualmente, questo gioco delle parti si evidenzia nel Niger, Paese tra i più poveri economicamente del mondo ma ricco della sua geopolitica. L’uranio per la Francia, il petrolio per la Cina e altre materie prime da definirsi. L’esternalizzazione delle frontiere per controllare e bloccare la mobilità umana. L’oasi di stabilità per accogliere i militari di Francia, Stati Uniti, Germani e Italia, fanno del Niger, come detto all’inizio, un Paese in cerca d’autore e, invece delle stelle, sono le sirene russe che ora stanno a guardare.

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Cronache dalla capitale del golpe militare

Niamey, 9 agosto 2023, Visto da lontano, qui a Niamey dovrebbe esserci l’inferno o poco meno. Golpisti, ribelli, militari, possibilisti, massimalisti, filogovernativi, irriducibili e in tutto ciò il paventato (e per ora accantonato) intervento armato per ristabilire l’ordine democratico. C’è, di contorno, il rinvio al mittente dei mediatori dell’organizzazione regionale CEDEAO, dell’Unione Africana e dell’Onu, la chiusura delle frontiere alle mercanzie e le reiterate (e non inedite) interruzioni all’erogazione dell'energia elettrica. Il tutto e molto altro, specie nella conosciuta ‘radio trottoir’, cioè le dicerie, che si moltiplicano come le minacce e i timori che camminano assieme come fratelli gemelli. In tutto ciò, durante il progressivo colpo di stato del mercoledì 26 luglio del 2023, si affermano due costanti che a prima vista potrebbero sembrare fuori posto visto il contesto.

La prima è quella delle rituali piogge di agosto che cadono, regolarmente e apparentemente senza fare differenze di sorta tra un regime e l’altro, nella capitale e in campagna. Ciò va a tutto vantaggio dei contadini e soprattutto del miglio, in fase di crescita, che ne costituisce l’alimento principale, assodato e inamovibile. La seconda realtà, che si evidenzia in questa particolare transizione, è quella dei pulitori di strade dalla sabbia che, caparbia come solo lei sa essere, occupa, invade, decora, delimita e interroga le strade della capitale. Con i giubbetti verdi e gialli del colore della municipalità di Niamey Nyala (la civettuola, nella lingua Zerma), addobbati con ramazze, pale e altri strumenti simili, tolgono la sabbia dalle strade asfaltate del centro città per accantonarla al margine delle stesse. Prima o poi passerà un camion o, più facilmente, delle carriole che cercheranno di tenerla a bada, provvisoriamente, dal manto stradale.

Tra le due costanti appena disegnate e la terza citata sopra, cioè le interruzioni intempestive ma fedeli e costanti allo stesso tempo, nell’erogazione della corrente elettrica, si sviluppa il golpe militare tra nomine, arresti e tentativi di raccogliere il massimo di consensi da parte dei cittadini. Pioggia, sabbia e corrente, coi prezzi dei generi alimentari in rialzo e il senso di paziente sottomissione alla volontà divina, che tutto provvede, marcano i giorni nell’attesa cha accada quanto nessuno ancora sa bene cosa. Forse, ma si tratta solo di una remota possibilità, anche il golpe, come la politica e la democrazia, è di sabbia.

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Come in uno specchio: alcune rivelazioni del golpe

Niamey, 13 agosto 2023. Anche un colpo di stato militare ancora in transito può evidenziare, come in uno specchio, ruoli e caratteri nei personaggi del dramma in atto a Niamey e altrove. Uno specchio, per vocazione propria, riflette la nostra immagine e, appunto per questo, appare come un riflesso di ciò che siamo. I giorni scorrono, dal 26 luglio fino ad oggi e noi, cittadini per scelta in Niger, vediamo passare sul palcoscenico del golpe protagonisti e comprimari della vicenda. Siamo diventati, malgrado noi, specchi rivelatori del nostro e loro volto reale. Non si sono dubbi:... ’Il volto è lo specchio dell’anima’, diceva tempo addietro la saggezza.

La prima realtà a rivelarsi, nella crisi attuale, sono le risorse del Niger. Non si tratta dell’uranio, dell’oro, del gas, del petrolio o di altre amenità simili che destano appetiti nelle multinazionali. La grande ‘risorsa’ del Paese, evidenziatasi una volta ancora, è il popolo. La capacità di esistere perché resiste ai regimi, ai colpi di stato sulla Costituzione che ha preceduto di gran lunga quello del 26 luglio passato. La chiamano resilienza mentre occorrerebbe chiamarla dignità che permette di attraversare le peggiori avversità che un popolo potrebbe immaginare. Le carestie ricorrenti, la stabilità della povertà nell’instabilità politica, l’insicurezza alle frontiere e poi la reazione ad anni di forzato silenzio dopo le manipolazioni elettorali dei potentati di turno. Il popolo in questione, cioè chi non più nulla da perdere e rivendica rispetto e ascolto si è ripresa la parola da tempo confiscata. Questo avvenimento è il vero nome della democrazia non formale. Ciò è quanto lo specchio ha rivelato del popolo finora.

L’altra faccia, nel complesso squallida, apparsa in piena luce in questi giorni nel Niger, è quella della Comunità Internazionale che ha probabilmente orientato l’azione della Comunità Regionale. Fino a pochi anni fa il Niger non esisteva affatto nelle cartine geografiche dei media e nelle cancellerie di chi conta nel mondo. Aveva ragione di dire, in circostanze analoghe, il subcomandante Marcos, porta parola degli insorgenti zapatisti del Chiapas nel Messico. Per apparire (sugli schermi e nella cronaca) occorre prima ‘scomparire’ e cioè passare momenti nei quali tutto sembra perduto. Non si è mai parlato così tanto del Niger come dal 26 luglio di quest’anno! La stessa Comunità internazionale, così giustamente attenta alle condizioni di vita del presidente detenuto in ostaggio dai militari, non sembra altrettanto attenta e preoccupata dalle condizioni di vita ‘degradanti’ di buona parte del popolo. Ci sono milioni di persone che non hanno nulla e non sono nulla … ‘Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei’, diceva un amico.

Infine, nella serie di personaggi che lo specchio rivela, si distingue la reazione di chi, a livello politico, dovrebbe esprimere il sentire dell’Unione Europea e del suo millantato attaccamento ai diritti umani. Detta persona, rappresentante dell’Unione nel Sahel, non rappresenta affatto chi scrive e vive da 12 anni nel Niger.Per il tipo di scelta operata finora, di prossimità col popolo nigerino, ha il diritto di parola almeno quanto lei. A suo parere le sanzioni decretate in seguito al golpe che portano come conseguenza la carenza di medicine, cibo ed elettricità sono utili ed efficaci perché indebolirebbero la giunta al potere. Questa affermazione è aberrante per due almeno due motivi. Il primo è legato al cinismo di chi, da lontano e dall’alto, non ha probabilmente mai sofferto qualcosa di simile nella sua vita. Cibo e medicine sono essenziali per la vita della povera gente. Ci sarebbe da chiedersi se il discorso fosse lo stesso nel caso in cui una persona a lei cara (o lei stessa) si trovasse a soffrire le carenze da lei elogiate. Il secondo motivo, altrettanto grave, è quello di pensare che, nell’attuale processo del golpe, la giunta militare sia la sola al comando della transizione. Sono ormai molti i cittadini che, nella saggia stoltezza del momento presente, credono e sperano che un altro Paese sia possibile.

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Come una bandiera al vento

Niamey, 23 agosto 2023. Si celebra oggi, il 23 agosto, la giornata internazionale della memoria della tratta degli schiavi e della sua abolizione. Chissà quale bandiera sventolava nell’isola di Santo Domingo, oggi la Repubblica di Haiti, la notte tra il 22 e il 23 agosto del 1791. La stessa bandiera, calpestata, tradita e mistificata da contemporanee schiavitù e commerci umani, non ha perso la sua caparbia e dolorosa attualità. Già, le bandiere, come simboli riconosciuti di entità politiche che di esse si gloriano e ad esse si affidano per affermare la propria fragile identità. Metafore delle nazioni che danno l’impressione di essere esistite da sempre, nel vento.

Il giorno seguente, il 24 agosto, si festeggia la bandiera della Liberia con una sola stella e le strisce sul tipo della bandiera degli Stati Uniti, secondo il numero delle ‘contee’ o regioni. Una bandiera che i migranti liberiani di Niamey si tramandano dall’uno all’altro. Attorno ad essa, per un giorno, sentono e condividono la fierezza di una patria che li ha bruscamente allontanati da sé. Dopo la festa lei, lei tornerà da qualche parte in attesa che un’anima buona si prenda cura di lei. L’amore della libertà ci ha portati qui, sta scritto sulla bandiera liberiana. A scriverlo furono alcuni schiavi liberati d’America che poi inventarono il Paese.

Da quando continua il processo del colpo di stato a Niamey la capitale, nei crocevia e alle rotonde della città si vedono bambini e giovani che offrono bandiere di varie dimensioni agli autisti in transito. La bandiera tricolore del Niger, arancio, bianco e verde con in mezzo un disco di colore arancione che rappresenta il sole e poi tante altre bandiere strette assieme. Gli Stati dell’Africa Occidentale e, novità assoluta dal 26 luglio scorso, pure quella della Russia che nessuno aveva prima sognato. A volte le bandiere passano veloci, indossate da motociclisti o da tassisti che sfidano il codice stradale e i vigili coi cellulari.

Sembrano definire i confini degli Stati e insinuano l’esistenza immutabile delle frontiere che ad essi si confanno. Le bandiere che sventolano sanno di affermare l’immortalità del territorio e della politica che esse disegnano in qualche colore messo assieme. Quanto alla bandiera dell’abolizione della schiavitù, lei si tesse ogni giorno che i fili della dignità si intrecciano coi sogni dei bambini appena nati.

 

Memoria della tratta degli schiavi

C'est dans la nuit du 22 au 23 août 1791 qu'a commencé à Saint Domingue, aujourd’hui République d'Haïti, l'insurrection qui devait jouer un rôle déterminant dans l'abolition de la traite négrière transatlantique.

C'est dans ce contexte que la Journée internationale du souvenir de la traite négrière et de son abolition est commémorée le 23 août de chaque année. Les premières commémorations de la Journée ont eu lieu dans plusieurs pays, notamment le 23 août 1998 à Haïti et le 23 août 1999 à Gorée au Sénégal.

Cette Journée internationale vise à inscrire la tragédie de la Traite dans la mémoire de tous les peuples. Conformément aux objectifs du projet interculturel « Les Routes des personnes mises en esclavage », elle doit être l'occasion d'une réflexion commune sur les causes historiques, les modalités et les conséquences de cette tragédie, ainsi que d'une analyse des interactions qu'elle a générées entre l'Afrique, l'Europe, les Amériques et les Caraïbes.

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Le frontiere del golpe nel Niger

Niamey, agosto 2023. Sono confini tracciati col lapis della storia coloniale e assunti dalle cartine geografiche appese con uno spago nelle scuole elementari e superiori. Il Mali, l’Algeria, la Libia, il Ciad, la Nigeria, il Benin e il Burkina Faso, così chiamato dal capitano Thomas Sankara, definiscono a modo loro il profilo del Niger. Si tratta delle frontiere esterne del Paese alcune delle quali parzialmente o seriamente chiuse in seguito alle sanzioni applicate dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, in breve Cedeao. Il trasporto fluviale dal vicino Mali è derisorio e il Niger, Paese senza sbocco sul mare, si è visto privato dell’indispensabile commercio di mercanzie che transitano dai porti della costa atlantica per arrivare a destinazione tramite centinaia di camion. La fila di questi ultimi, bloccati al confine con Benin, è di parecchi chilometri e la situazione di insicurezza legata ai gruppi armati nel Burkina Faso non offre valide alternative. Persino la corrente elettrica, fornita dalla Nigeria, si trova confinata dall’altra parte con conseguenze deleterie per le attività lavorative e le condizioni di vita dei cittadini sotto embargo. Per le strutture sanitarie è un dramma.

Ci sono poi le frontiere interne del Paese e sono quelle che pesano di più nella ridefinizione del popolo e dei suoi attributi essenziali. Quelle geografiche hanno la loro importanza perché ciò che il deserto o la savana creano nell’immaginario non è lo stesso di chi vive lungo il fiume Niger. Così pure influiscono sull’assetto sociale le frontiere etniche, culturali, religiose e linguistiche. Quanto a quelle economiche esse hanno marcato e segnano a tutt'oggi il paesaggio sociale del Paese. La prima e discriminante frontiera è tra coloro che hanno diritti e coloro che non sanno di averne. Dunque il fossato tra chi ha (ed è) e chi non ha (e non è nessuno). Seguendo questa linea di confine si trova la politica che, secondo ben noti principi, dovrebbe costituire il migliore baluardo contro le ingiustizie e le disuguaglianze che crescono e si affermano in ogni società. La crisi della politica che ha, nel complesso, fallito il duplice compito appena citato, ha contribuito a rendere ancora più robuste le barriere che dividono i cittadini. Con gli anni si è andato disegnando un sistema di apartheid interno al Paese che ha, nel tempo, creato esclusi, invisibili e vendibili.

Tra le frontiere interne non si dovrebbero sottostimare quelle inventate ad arte per ‘arginare’ la mobilità umana nello spazio nigerino. L’esternalizzazione delle frontiere europee nel cuore del Paese si è definita come argine al movimento libero dei migranti e dei rifugiati. Molti di loro, senza volerlo, passano da guerra a conflitto armato e da espulsione a deportazione. Attraversano il Niger per poi trovarsi circondati da muri e fini spinati invisibili ma non meno efficaci. Le forze dell'ordine che operano lungo le strade e soprattutto alle frontiere, si specializzano nell’intimidire, derubare e rimandare indietro quanti osano avventurarsi su sentieri inospitali. C’è nondimeno da riconoscere che il Paese si è gradualmente trasformato in una terra di approdo per centinaia di migliaia di rifugiati e sfollati e, in questo caso, le frontiere interne si sono trasformate in porte. Case di transito per migranti e richiedenti asilo, un campo per essi adibito à Hamdallay, villaggio non lontano dalla capitale, capanne fabbricate di plastica e di nulla e soprattutto, per molti, l’attesa del temuto ritorno al Paese natale, perso e ritrovato con mani nude e libere.

Queste ed altre sono le frontiere che attraversano il golpe e dalle quali esso è attraversato. Da non dimenticare soprattutto quelle definite dai Gruppi Armati che in pochi anni, nella zona delle Tre frontiere (Burkina, Mali e Niger) hanno occupato territori, villaggi, scuole, dispensari e creato il temibile muro del terrore! La frontiera della casa presidenziale dove si trova a tutt’oggi detenuto il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale, è a sua volta complice di nuove barriere. Quella dei militari del golpe che vorrebbe riaprire le frontiere, già citate, della politica inceppata nel Paese. Quelle che i giovani attraversano con trombe, bandiere e incosciente voglia di altro che ridoni spazio alla loro vita. Quella del quotidiano, così marcatamente precario in città mentre nelle campagne basta la pioggia per quanto seminato a coltivare un futuro possibile. Anche perché, come ampiamente accettato, le nostre frontiere sono mobili come zolle di polvere che il vento si diverte a disegnare a forma di speranza.

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