Segnali di insubordinazione da parte di Israele?
di Antonio Magariello
Quantunque la stampa nostrana – e, a onor del vero, anche quella straniera – sovrabbondi di articoli sulla sororale relazione tra Trump e Netanyahu, salutando con giubilo in questi giorni l‘avveramento della tanto agognata, e più volte differita, pace in Palestina, a ben vedere è stato eclissato un aspetto decisivo dell’evoluzione di questo rapporto: il progressivo sbilanciamento a vantaggio del secondo e a scapito del primo.
Diversi nodi problematici erano già vistosamente emersi con la precedente amministrazione a stelle e strisce. Basti pensare per esempio ai duri e accorati – rivelatisi poi del tutto inefficaci – ammonimenti che Biden aveva rivolto a Netanyahu, sperando di dissuaderlo dal varcare la “linea rossa” rappresentata da Rafah; oppure alla ridicola minaccia americana di non fornire bombe di grandi dimensioni, cui ha fatto seguito la replica secca del primo ministro: “se necessario combatteremo da soli e con le unghie”.
Con la vittoria presidenziale di Trump, il quale aveva proclamato durante la sua campagna elettorale di portare a termine tanto la guerra russo-ucraina quanto il massacro palestinese (da questi eufemisticamente definita guerra contro Hamas), pareva configurarsi uno spazio, sebbene difficile e con molti caveat, per la trattazione quanto meno di una tregua all’immane eccidio in Medioriente.
La situazione invece non ha fatto che deteriorare. Il governo israeliano si è sentito libero addirittura di accelerare il processo di eliminazione del nemico (cioè l’eliminazione di una intera popolazione), ammantandosi della ipocrita e turpe bonomia di chi si sente vocato al compito di salvare le genti dall’infame onta del terrore. Sono comparse però ancora una volta frizioni tra Usa e Israele: a fine agosto 2025 Trump si è infuriato al telefono con il primo ministro israeliano, intimandogli di smetterla di negare l’esistenza di una crisi umanitaria; a metà settembre sono sorti nuovi dissapori, in seguito all’attacco israeliano contro i leader di Hamas in Qatar, operazione della quale gli Stati Uniti erano all’oscuro e il cui mancato preavviso ha fatto imbestialire Trump. Come dimenticare poi la guerra senza sconfitti tra Iran, Israele e Usa, scoppiata perché Israele aveva lanciato un attacco contro l’Iran proprio durante i delicati colloqui tra quest’ultimo e gli Usa riguardanti il nucleare, sancendo così la fine delle trattative?
Cosa dovremmo desumere da tutto questo? Solamente follia omicida e sanguinaria? Sarebbe una lettura superficiale e orba, perché ci impedirebbe di prendere in considerazione un aspetto ormai apertamente dichiarato e decisivo: il desiderio, da parte dell’ultradestra israeliana, di realizzare il Grande Israele. Ispirandosi e pervertendo il passaggio biblico di Genesi 15.18, sulla base dell’esegesi sionista di Herzl, Netanyahu ambisce a riunire la terra promessa “dal Nilo all’Eufrate”, area che corrisponderebbe all’incirca ai seguenti territori: Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria meridionale con Damasco, parte dell’Iraq, parte dell’Egitto e parte dell’Arabia Saudita. Dando una rapida occhiata a questi nomi si potrà immediatamente notare la tragica e quasi completa corrispondenza con gli attacchi e le aggressioni che sono stati effettivamente compiuti da quando il conflitto è scoppiato. Tuttavia, anche questa lettura ci lascia a metà. Perché la seconda, ulteriore, domanda da porsi è: a che scopo creare il Grande Israele? Solo per fideismo religioso? Forse, la realtà ci sta palesando una ben più profonda e diversa risposta, ovvero il tentativo da parte di Netanyahu, e dell’ultradestra che lo sostiene e che però lo avversa anche per le sue misure non sufficientemente radicali (sic!), di dare vita a un’organizzazione statale così forte da diventare un’incontrastata potenza regionale, tanto da potersi porre come autonoma e indipendente, dal punto di vista geostrategico, probabilmente finanche dagli Stati Uniti. Stiamo dunque assistendo ai prodromi della configurazione di nuovi rapporti di forza non solo in Medioriente, ma anche tra Israele e gli Stati Uniti? Presto per dirlo, ma è indubbio che questi ultimi, lasciando perdere le cerimonie patetiche e pompose con le quali si complimentano per l’operato del governo israeliano, hanno subodorato che il loro alleato potrebbe avere di mira la conquista di un potere tale da garantirgli di avere una propria agenda di politica estera, indipendente dai dettami a stelle e strisce. Basti pensare che Netanyahu non ha lasciato trascorrere neppure 24 ore dall’annuncio di Trump che magnificava il proprio operato per aver reso possibile l’inizio della prima fase del cessate il fuoco, per rimettere subito all’opera l’IDF e le forze aeree con il loro arsenale di bombe e carri armati. Il primo ministro israeliano si trova infatti tra due fuochi: da un lato ci sono Ben Gvir e Smotrich, membri dell’ultradestra, che non hanno alcuna intenzione di accettare le condizioni della tregua, poiché la sola conditio sine qua non per loro è la completa espunzione della popolazione palestinese; dall’altro l’alleato americano, che vuole imporre quanto prima un cessate il fuoco per potersi accreditare davanti ai suoi concittadini e al mondo come il pacificatore. Questa lacerazione interna al governo israeliano pone gli Usa in una condizione scomoda, visto che per questi ultimi il grande nemico nell’area mediorientale è l’Iran. Difatti, senza la certezza dell’obbedienza e della lealtà di Israele, non godrebbero più dei benefici strategici e commerciali su cui hanno potuto finora contare, perdendo un’alleanza decisiva che da più di trent’anni ha favorito i loro interessi proiettivi verso l’Asia e di cerniera contro la Russia.
L’America, infine, teme, forse sopra ogni cosa, che in questo potenziale futuro anfratto si possa collocare la Cina per guadagnare influenza e detronizzare il trentennale predominio d’oltreoceano. Quale sarà dunque la strategia che gli Usa adopereranno per cercare di mantenere una posizione di predominanza in Medioriente ora che il loro rampollo sembra iniziare a dare segni di insubordinazione, tentando di eludere le rosse sbarre della bandiera americana?
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