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La soggettività critica alla prova di un nuovo ciclo storico

Il ritratto politico della crisi e l’interpretazione scientifica del mondo

Mario Agostinelli

moebius grandeProvo ad esprimermi sulla portata e sulla profondità di un “nuovo ciclo storico”, che, per la densità delle parole usate, supera evidentemente le dimensioni della globalizzazione, dello strapotere della finanza o della riduzione degli spazi democratici fin qui considerati, mi concedo l’occasione per un intervento “irrituale”. Con una modalità inconsueta di esposizione, quasi provocatoria, provo a svolgere una riflessione su un aspetto forse sorprendente per alcuni, ma che a me sembra sottostare ad ogni approccio alla crisi in corso: la scienza moderna sta ridefinendo la rappresentazione della realtà che ci circonda, in base a concetti che si discostano totalmente dall’assolutezza e dal determinismo che la cultura tradizionale ha ereditato dai tre secoli che hanno percorso lo sviluppo industriale dell’Europa. Così, l’economia politica e l’ideologia del progresso illimitato sono andate in affanno quando – ad esempio – si è considerato che energia e materia sono sottoposte alle leggi della termodinamica e quindi riportate al tempo fisico.

L’ecologia diventa politica già a fine Novecento
o, almeno, sarebbe dovuta essere riconosciuta tale, Ma c’è dell’altro in emersione, che è stato fin qui trascurato.

La nuova fase del pensiero scientifico si caratterizza per una discontinuità nelle premesse che si applicano alla relazione tra osservatore e oggetto osservato, considerati tra loro sempre interagenti. E’ l’osservazione che crea la realtà che percepiamo, che non è detto che corrisponda all’effettività del mondo fisico che ci circonda. Non si tratta di una sensazione generica, ma addirittura della necessità di considerare l’osservatore umano come elemento essenziale, che arriva a comprendere le proprietà della natura soltanto interagendo con essa. Ciò significa che l’ideale classico di una oggettività del mondo esterno non vale più. Tra gli atomi sempre più divisibili e l’universo in espansione lo scienziato ammette l’incertezza della sua osservazione, la dipendenza delle sue misure dalla velocità relativa con cui si muove, assumendo che i punti di vista perdano la loro assolutezza perfino nella sperimentazione del mondo naturale. Per la prima volta abbiamo lasciato l’interpretazione geometrica, il riduzionismo e il determinismo che la scienza occidentale ha perseguito, salvo rare eccezioni, dal mondo greco fino a tutto l’800, per accostarci ad un approccio molto più contiguo a quello delle filosofie orientali. Si tratta di un riavvicinamento che colma la separazione che la rivoluzione scientifica del Seicento aveva operato tra Europa, Cina e India, che era stata assunta e rafforzata dai “secoli americani” e che rimette in discussione molte delle certezze sulla natura, sullo svolgimento causale degli eventi, sulla benefica capacità trasformativa del lavoro, che hanno caratterizzato tanta parte dell’evoluzione del conflitto sociale anche dopo Marx.

Il mutamento che fa del mondo naturale un soggetto a se stante
e non conoscibile in assoluto, avviene dentro la scienza, ma risulta talmente complesso e specialistico da aver prodotto straordinari progressi sul piano conoscitivo e applicativo senza una consapevolezza generale. E, quel che è più colpevole, nell’assoluta indifferenza della politica, interessata solo alle ricadute militari e alla crescita materiale frutto delle nuove tecnologie. Per la verità è soprattutto il mondo politico a estraniarsi dalla portata di una inedita e originale interpretazione che la nuova fisica, la biologia o la neuroscienza hanno avanzato e che introduce elementi intrinseci di soggettività, incertezza, probabilità. Principi che sono all’opposizione dell’approccio che l’economia tradizionale, la finanza ed i dominatori del mondo intrattengono con la società e la natura, fatti ad immagine di orologi da regolare meccanicamente secondo regole indiscutibili per il mercato e l’accumulazione capitalista a qualunque costo. Noi non dominiamo, ma dipendiamo da un mondo che l’umanità ha trasformato in perenne contesa per la redistribuzione della ricchezza accumulata, ma senza tener conto della dissipazione del capitale naturale e dei suoi effetti sulla vita. Il mondo concreto – ovviamente – si comporta verso di noi in base alle leggi naturali che lo regolano e in base ad esse riconfigura le condizioni chimiche, biologiche e fisiche entro cui si può o meno riprodurre la specie umana. Al contrario, il capitale finanziario celebra la sua vittoria senza voler pagare alcun prezzo né alla società né all’ambiente, né ai moniti della scienza, come se fosse da essi avulso. La classe dirigente trascura il fatto che nel nuovo contesto in cui la scienza ottiene avanzamenti fantastici il “punto di vista” non è più esclusivamente una imposizione e una questione di classe, ma anche di interazione “con” e di possesso “degli” strumenti che lo plasmano, della velocità e dell’energia con cui può essere imposto, come vedremo più avanti. Eppure una reazione sta prendendo piede, per ora entro i limiti di una soggettività diffusa ma idealmente coesa. Da dove trae altrimenti forza l’idea dei beni comuni, se non dalla certezza per qualsiasi donna o uomo che sia impossibile in un mondo finito e deperibile aumentare a dismisura le produzioni di merci, ridistribuire ricchezza all’infinito? A meno che si giochi con la sopravvivenza di intere specie viventi, con la continuità di fornitura di energia utile che i cicli vitali assicurano per il mantenimento della biosfera, con la povertà non ricompensabile con il sogno di un accesso ai consumi. Si capisce allora perchè i leader del mondo che non cambia impongono le regole più assurde sull’esigibilità del debito finanziario e non si occupano affatto del debito che questo sistema politico economico sociale crea nei confronti della natura.

Per queste ragioni vorrei che trovassero spazio anche le ragioni di chi, come me, pensa che un terzo soggetto – il mondo naturale, così come la scienza da oltre un secolo lo descrive con la fine di ogni residuo antropocentrismo e su cui i politici continuano a celiare – stia cercando rappresentanza con la stessa determinazione con cui nei secoli scorsi si sono manifestati il capitale e il lavoro, in un conflitto che da due diventerà presto e definitivamente a tre e rispetto al quale il lavoro e la natura devono stare dalla stessa parte per dare futuro al mondo e alla civiltà umana. Sotto questo profilo, la politica è un’appendice esaurita di un ciclo storico precedente. Ma non solo per colpa dei dirigenti che la guidano in questo frangente. Mentre è in formazione una soggettività critica – e in questo convegno ci sono state molte testimonianze al riguardo – che è ancora imprevedibile nelle sue forme organizzative, anche perché sta costruendo dal locale e dal particolare un’idea diversa del mondo futuro possibile, il mondo politico, dell’impresa e della finanza tramanda un sedimento “classico”, che presume di non doversi mettere in discussione, in particolare di fronte alle rivoluzioni scientifiche che occupano ormai il campo della filosofia. Invero, si vorrebbe perpetuare e cristallizzare un pensiero formidabile, che ha fornito un primato anche politico e economico all’Occidente – da Cartesio, Galileo e Newton, all’Illuminismo, ai grandi filosofi che hanno dato radici alla cultura europea, agli iniziatori dell’economia classica – ma che oggi attraverso il modello meccanicista non è in grado di relazionarsi appieno con la vita, né di comprendere che è impossibile controllare processi non lineari –di fronte cui siamo posti in tutti gli aspetti della crisi attuale – quando noi stessi li forziamo oltre l’equilibrio. Bolle finanziarie, catastrofi climatiche, emigrazioni incontrollabili, disuguaglianze sociali estreme, esaurimento delle risorse, scarsità e spreco, vengono visti come eccezioni e mai come conseguenze di un comportamento umano e di uno squilibrio naturale oggetto di responsabilità politica. Credo che due tipi di grafici descrittivi dei parametri che ci interessano svelino la rotta del mondo e della crisi epocale che ci riguarda: si tratta, nel primo caso, di curve che, dopo un andamento quasi piatto per millenni, si impennano negli ultimi decenni e assumono un andamento asintotico e, nell’altro caso, di curve a campana, con il massimo situato nel nostro presente. Sono, le une, curve che descrivono, ad esempio, la popolazione, i consumi, i fabbisogni, il tasso di disoccupazione giovanile; le altre, linee che definiscono, ad esempio, le risorse residue, lo spazio vitale a disposizione, i rendimenti in agricoltura, l’andamento del lavoro stabile. Infine, possiamo seguire andamenti di indicatori che, correlati in passato, divergono sempre più sensibilmente a partire dal dopoguerra: è il caso del benessere e del PIL, della produttività e dell’occupazione, del tempo occupato dal lavoro e della sensazione di felicità. Basterebbe un colpo d’occhio per renderci conto delle priorità da mettere in fila per guardare al futuro. Altro che l’andamento dello spread, oscillante al batter di ciglio di un esponente della troika…

Quale è il decisore che conosce non le equazioni, ma gli scritti divulgativi di Boltzmann, Einstein, Bohr, Heisenberg, Prigogine, Watson, Rita Levi Montalcini o Hubble,
che hanno valutato il degrado irreversibile di energia e materia, escluso l’indipendenza tra tempo e spazio, introdotto una definizione probabilistica delle proprietà fisiche, reso dipendente la realtà dall’osservazione, considerato il risvolto dissipativo delle forme viventi, dato forma ai “mattoni” della vita e ai meccanismi del pensiero, prevista una storia e una data di inizio per l’universo che ci sta sopra la testa e sotto i piedi? Eppure, tutta la tecnologia che ci dà i telefonini, il GPS all’estremo grado di precisione, l’ultimo iPad sempre collegato al “cloud”, gli schermi televisivi ad alta definizione fino ai droni assassini, fa continuo uso del contesto e dei concetti inediti sopra riportati. La cultura popolare nell’era dei consumi si limita ad apprezzare le ricadute materiali (gadget, prodotti) di un’interpretazione del mondo che invece non comporta solo un risvolto applicativo. L’assenza della politica e di un programma educativo per le nuove generazioni, impedisce di cogliere come la rivoluzione scientifica in corso condizioni le relazioni e la vita sociale. Il gap di conoscenze al riguardo, ci aiuta a comprendere l’accresciuta incomunicabilità tra scienze umanistiche e tecniche anche dopo gli allarmi di Snow; la distanza insuperabile nei rapporti di potere; la tolleranza verso la formazione di oligarchie mondiali, nell’impudente uso di “revolving doors” tra finanza, eserciti, corporation e politica; perfino la crisi democratica. Per essere più verosimile e senza pretese di essere esente da critiche interpretative, vorrei indicare ora qualche percorso di riflessione, che traduce in esperienze concrete le suggestioni di sopra.
 
1) Ogni azione è un prodotto di energia per tempo. Ebbene, cosa sono “diventati” e che dipendenze creano oggi energia e tempo, i fattori che producono qualsiasi cambiamento che noi percepiamo o subiamo e che in natura è quasi sempre irreversibile, segnando lo scorrere del tempo? Si pensi al lavoro: alla complessità delle azioni che lo compongono, con una saturazione totale dei tempi del lavoratore a risparmio netto di energia, proprio in virtù del controllo e dell’elaborazione digitale delle prestazioni con l’uso di computer a bassissimo consumo. Eravamo convinti che fosse l’energia il fattore sostitutivo del lavoro, ma forse ci dobbiamo in parte ricredere. D’altra parte chi contratta più i tempi reali e perché non è all’ordine del giorno la riduzione dell’orario, visto che l’aumento della produttività non viene più redistribuito e finisce ormai totalmente all’impresa?

2) Ancora riguardo al tempo: si dilata – scorre più lento – in base alla velocità relativa con cui si muovono osservatori diversi e tanto più quanto uno si avvicina alla velocità della luce (è il caso delle telecomunicazioni)
. Di conseguenza, gli eventi vissuti da fermo o osservati ad elevate velocità “viaggiano” in sostanza su diverse traiettorie del tempo che non si incrociano. La differenza tra lo spettatore e il comunicatore che parla da uno schermo TV e la condizione di inferiorità dello spettatore hanno motivazioni psicologiche, ma non c’è dubbio che abbiano radici anche in questi ragionamenti. Il punto di vista lo sceglie il comunicatore e lo spettatore non lo può modificare perché sta su una traiettoria del tempo che non lo ricongiunge. Come sono lontani la democrazia ateniese – l’agorà – e il teatro greco – attori, coro, spettatori – che si svolgevano come eventi coincidenti nello stesso spazio-tempo! Così come, alla luce delle precedenti deduzioni, si potrebbe indagare sull’handicap di una decisione presa nei tempi di un’assemblea – sia in campo amministrativo che finanziario – rispetto alla risposta fornita da un algoritmo impostato su un calcolatore ultraveloce; o sull’impossibilità per un afgano bloccato in un nascondiglio di sfuggire alla telecamera che viaggia su un drone manovrato con impulsi radio da un ragazzino nel Minnesota.

3) Viviamo il presente, l’unica cosa reale che c’è.
Del passato abbiamo solo memoria e dovremmo occuparci del futuro anche sulla base delle esperienze passate. Tra contemporaneità, memoria e predizione del futuro oggi si colloca uno strumento potentissimo: la rete di elaboratori e memorie artificiali crete per la trasformazione del mondo in dati. La maggior parte delle attività umane dà luogo ad una grande produzione di dati digitalizzati. Non solo testi, ma immagini, sequenze, suoni che possono essere conservati per sempre e la cui proprietà rischia di diventare una minaccia per la libertà degli individui, come mostra la NSA, il programma di sorveglianza delle comunicazioni sostenuto da Obama. Le questioni che si pongono sono: chi “riedita” la mole ridondante di informazioni che viene conservata o distrutta con criteri non pubblici o addirittura segreti? Cosa sarà della nostra memoria? E quanto sono efficaci o neutri gli algoritmi di previsione del comportamento futuro basato sulla proiezione dei comportamenti medi del passato, in base a modelli arbitrari e riservati a specialisti penetrabili solo alle logiche del mercato e della potenza economica e militare? (Si pensi al caso Snowden). Se il futuro è predeterminato sulla proiezione dei comportamenti del passato custoditi in enormi data base da Google, Microsoft o Apple e non sottoposti a controllo sociale, la democrazia ne risentirebbe e i governi privilegerebbero il continuismo rispetto al rischio del cambiamento. Le destre hanno trovato potenti alleati in questi enormi apparati tecnologici soggetti all’andamento delle borse e dei mercati.

4) Rispetto all’energia,
Einstein non ha soltanto previsto la più nota equivalenza tra energia e massa (E=mc2) alla base della ricerca nucleare, ma ha quantificato anche l’energia che la luce del sole porta al suo arrivo sulla terra (E=h), obbligandoci a riflettere sulla differenza profonda tra le fonti fossili e quelle rinnovabili. Gli eventi, nella teoria della relatività, accadono in uno spazio che sarebbe irriconoscibile senza l’aggiunta di un orologio (lo spazio-tempo a quattro dimensioni tra loro indistinguibili) e questi eventi, anche se accadono nello stesso luogo, possono essere separati nel tempo e non coincidere affatto. Chi attacca una spina ad una presa non osserva differenze tra l’elettricità che proviene da una centrale a petrolio o da un pannello solare. Ma nel primo caso l’elettricità che si consuma proviene dalla combustione di fossili formatisi per l’attività del sole milioni di anni fa; nel secondo caso dall’incidenza della luce del sole generata solo 8 minuti prima. I due eventi sono separati da un tempo grandissimo. Quando petrolio o carbone vengono bruciati, è come se, nello spazio-tempo di Einstein, si attraversasse in un batter di ciglia la storia della vita sulla terra. Naturalmente, l’ambiente viene turbato e i cicli naturali, coi loro tempi biologici “lenti”, non riescono a smaltire l’effetto della combustione odierna di quella “energia antica”. Per questo diciamo che le fonti naturali danno “energia pulita”, senza corpose e ineliminabili tracce di riscaldamento e inquinamento della biosfera. Per analogia, si pensi che l’uranio si è formato nell’universo in tempi ancora più lontani: l’effetto della fissione artificiale sarà perciò ancora più pesante sul nostro ambiente.

5) Un’ultima considerazione riguarda il “punto di vista”.
Per la quantistica nessun fenomeno è tale se non viene prima osservato e lo strumento di osservazione usato dall’osservatore interagisce con l’oggetto, rendendo impossibile la definizione contemporanea di tutte le sue caratteristiche. Nella scienza moderna la questione della coscienza è sorta in rapporto all’osservazione dei fenomeni atomici, compresi come anelli di processi che terminano nella coscienza dell’osservatore umano. Lo schema quantistico suggerisce che anche i concetti umani interagiscano con le menti umane. Niente di nuovo? Si, se si pone l’accento sui concetti, spazzati via dalla “fine della storia” e dall’attacco alle ideologie. Osservare la società con un punto di vista riconoscibile e dichiarato fa parte di una interpretazione scientifica del mondo che sta al di fuori di noi. Continuando per analogie, il confronto tra punti di vista permette di avvicinare maggiormente la verità e di tradurla in concetti che sono accreditati dal consenso. Si potrebbe dire che l’attività democratico-partecipativa ed il conflitto assumono la funzione di affinare continuamente i concetti che stanno alla base della convivenza e che in questo schema prendono il posto delle “idee innate” che svaniscono come l’universo immobile in continua espansione.

In chiusura, ci si può domandare se si può trarre spunto anche da queste considerazioni “ardite” per meglio comprendere il contesto in cui abbracciare un programma politico di rottura e di alternativa.
Credo di sì. Naturalmente non con l’approssimazione di queste note, preparate per un convegno che fissa punti di partenza e piste di ricerca prima che conclusioni. Nel prenderci il tempo di un approfondimento siamo aiutati dall’inconsistenza del petulante richiamo alla ripresa del PIL: l’illusione della crescita, invocata come se si potesse pagare il conto senza sofferenze è diventata la copertura per mantenere uno stato di profonda ingiustizia ogni giorno più insostenibile. Ci soccorre poi la constatazione che oggi almeno i movimenti locali e le loro reti vivono “nella” e tengono conto “della” dimensione “fisica” che ho descritto. Ma anche riflettere sul fatto che la precarietà così diffusa induce sì un’idea del tempo in cui l’unica realtà è quella presente, ma produce contemporaneamente la convinzione radicale che la via di uscita stia nel rimpadronirsi del tempo: quella cosa di cui è fatta l’esistenza e che nemmeno il miglior amico ti può restituire. Peraltro, una economia riportata al tempo fisico, non può che tenere conto dei beni relazionali, dei beni comuni, del degrado di materia e energia, del necessario spostamento d’interesse dal consumo a valle al lavoro a monte. Già queste indicazioni sono una traccia per una alternativa, per il consolidamento di movimenti sociali e per una ripresa della lotta di classe. Aggiungo che, dal punto di vista fiscale, introdurre la carbon tax equivarrebbe alla tutela dei bassi redditi e alla redistribuzione di profitti in lavoro; sotto il profilo della conservazione del suolo e contro la speculazione del cemento, lo stoccaggio della CO2 nel terreno e nella biosfera con pratiche agricole e forestali pianificate sosterrebbe le rivendicazioni dei movimenti contadini; per quanto riguarda infine la politica industriale, il solo passaggio ad un sistema energetico rinnovabile e a basso consumo e la ridefinizione di una mobilità “dolce” creerebbe nuova occupazione stabile, e aprirebbe spazi a che la crisi economica, con il suo portato di scarsità del lavoro, diventi un’occasione di riconversione ecologica, considerando che l’attuale eccesso di capacità trasformativa del lavoro deve condurre alla riduzione dell’orario.

Quando cambia, come in questa stagione storica, l’immagine del mondo, prima o poi si sviluppa un’interdisciplinarietà che tocca tutto il sapere, il mondo della conoscenza, l’immaginario comune, anticipato in ogni fase di transizione dalle manifestazioni artistiche (basta pensare alla pittura del Novecento o al cinema contemporaneo).
E’ compito della politica – o almeno lo sarebbe – accelerare e non ritardare il cambio di fase. La trasparenza di cui ha parlato ieri Burgio e la riappropriazione dello spazio pubblico in forma partecipata sono il primo compito da assolvere. Le privatizzazioni producono falsa efficienza nel medio periodo e distruggono capitale comune irrecuperabile proprio alla luce delle precedenti constatazioni. La rappresentanza va totalmente ricostruita e non riesco a discostarmi dalla bontà dei sistemi proporzionali assistiti e corroborati da esperienze di democrazia diretta. Il nodo della produzione deve essere sciolto dalla democrazia e dalla rivalorizzazione sociale del lavoro, tenuto conto che non esistono più confini tra diritti umani, sociali e della natura. Forse la questione del clima ormai uscita di controllo, con il suo portato di ingiustizia sociale e di critica ai monopoli capitalistici, (solo 90 aziende hanno causato due terzi delle emissioni responsabili del riscaldamento globale prodotto dall’uomo!) farà valere le priorità del mondo fisico sulle velleità del mondo economico e, forse, la politica tornerà a pensare in grande.

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