L’UE prospera sulla paura. Prima il Covid, ora la Russia
di Thomas Fazi
“Tutto ciò suggerisce che le élite occidentali abbiano imparato una lezione importante durante la pandemia: la paura funziona. Se una popolazione viene resa sufficientemente ansiosa – che si tratti di malattie, guerre, disastri naturali o di un cocktail di policrisi che comprenda tutto quanto sopra – può essere indotta ad accettare quasi qualsiasi cosa.”
Nelle scorse settimane, un lieve senso di panico ha indotto l’Unione Europea, con i cittadini esortati a prepararsi all’imminente disastro. Riempite le vostre dispense! Elaborate piani di emergenza! No, non è l’inizio di un mediocre romanzo distopico: è la nuova ”Strategia dell’Unione per la Preparazione” dell’UE. Questa grandiosa iniziativa è progettata, a quanto pare, per proteggere gli europei da inondazioni, incendi, pandemie e, naturalmente, da un’invasione russa su vasta scala.
La strategia trae ispirazione dalla Polonia, dove i costruttori edili sono ora legalmente obbligati a includere rifugi antiaerei nelle nuove costruzioni, e dalla Germania, che sta rilanciando i programmi di protezione civile dell’era della Guerra Fredda con un’app di geolocalizzazione dei bunker. Nel frattempo, la Norvegia consiglia ai cittadini di fare scorta di compresse di iodio in caso di attacco nucleare.
L’UE vuole che i suoi cittadini siano autosufficienti per almeno 72 ore, raccomandando alle famiglie di fare scorta di cibo, acqua, medicine e – perché no ? – carte da gioco e power bank. Perché, naturalmente, se dovesse scoppiare una guerra nucleare, una bella partita a poker e un telefono completamente carico ci basteranno.
Eppure, per quanto ridicoli possano sembrare questi preparativi, dovrebbero preoccuparci tutti. La strategia “Preparedness Union” è solo l’ultimo livello di un’architettura di controllo in costruzione da decenni. Si basa saldamente sul recente rilancio della politica di difesa dell’UE, “ReArm Europe”, ora ribattezzato in modo meno inquietante “Readiness 2030”.
La narrativa fondamentale dietro questa spinta è semplice e ripetuta all’infinito: l’idea che la Russia probabilmente lancerà un attacco su vasta scala contro l’Europa nei prossimi anni, soprattutto se Putin non verrà fermato in Ucraina. La risoluzione del Parlamento europeo a favore del programma ReArm Europe ha avvertito che “se l’UE dovesse venir meno al suo sostegno e l’Ucraina fosse costretta ad arrendersi, la Russia si rivolterebbe contro altri paesi, compresi forse gli Stati membri dell’UE”. Come ha recentemente affermato Macron, la Russia è un paese “imperialista” che “non conosce confini… rappresenta una minaccia esistenziale per noi, non solo per l’Ucraina, non solo per i suoi vicini, ma per tutta l’Europa”.
“L’idea che i russi si stiano ammassando ai confini, con mire su Parigi o Berlino, è una fantasia.”
Ma l’idea che i russi si stiano ammassando ai confini, con mire su Parigi o Berlino, è una fantasia. In effetti, quando ci viene detto di prepararci alla guerra portando con noi un power bank e una custodia impermeabile per i nostri documenti d’identità, è difficile non ricordare assurdità della Guerra Fredda come “Duck and Cover”, la “strategia di preparazione” dell’epoca, concepita per proteggere gli individui dagli effetti di un’esplosione nucleare, ordinando loro di accovacciarsi a terra e coprirsi il capo. Anche quella campagna vendeva l’illusione di sicurezza di fronte all’annientamento. E sotto la patina clownesca di questa spinta si cela un obiettivo calcolato: il tentativo dell’UE di consolidare ulteriormente il potere a livello sovranazionale, elevando il ruolo della Commissione nella sicurezza e nella risposta alle crisi, ambiti tradizionalmente sotto il controllo nazionale.
Il piano di preparazione dell’UE si basa sulle raccomandazioni di una relazione dell’ex presidente finlandese Sauli Niinistö, che chiede l’istituzione di un “polo” operativo centrale per le crisi all’interno della Commissione europea; una maggiore cooperazione civile-militare, anche attraverso lo svolgimento di esercitazioni periodiche in tutta l’UE che uniscano forze armate, protezione civile, polizia, sicurezza, operatori sanitari e vigili del fuoco; e lo sviluppo di protocolli di emergenza congiunti UE-Nato.
Considerato insieme ai piani di riarmo dell’UE, suggerisce una militarizzazione globale e a livello sociale, qualcosa che negli anni a venire diventerà il paradigma dominante in Europa: tutte le sfere della vita – politica, economica, sociale, culturale e scientifica – saranno subordinate al presunto obiettivo di sicurezza nazionale, o meglio sovranazionale. Procedendo con la scusa di proteggere i cittadini, nella pratica, porterà a ulteriore censura, sorveglianza e all’erosione delle libertà civili, il tutto giustificato dall’onnipresente spettro dell’ingerenza russa.
I governi occidentali ricorrono da tempo alla paura come mezzo di controllo. In effetti, è una coincidenza significativa che l’annuncio dell’UE coincida con il quinto anniversario dei lockdown per il Covid, che hanno inaugurato l’esperimento più radicale mai tentato di politica basata sulla paura.
La risposta alla pandemia ha utilizzato una narrazione totalizzante che ha gonfiato selvaggiamente la minaccia del virus per giustificare politiche senza precedenti nella storia. Come ha affermato il Direttore Generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, era dovere morale di tutti “unirsi contro un nemico comune” e “dichiarare guerra al virus”. In questa lotta per il bene comune – la salute pubblica – praticamente qualsiasi azione era giustificata.
Dal punto di vista della “politica di crisi”, l’uso diffuso della metafora bellica per inquadrare la pandemia di Covid non è stato casuale: la guerra è, dopotutto, l’emergenza per eccellenza. In tutto il mondo, abbiamo assistito a una svolta autoritaria, con i governi che hanno utilizzato l'”emergenza sanitaria pubblica” per spazzare via procedure democratiche e vincoli costituzionali, militarizzare le società, reprimere le libertà civili e attuare misure di controllo sociale senza precedenti.
Durante la pandemia, abbiamo assistito — e la popolazione ha ampiamente accettato — all’imposizione di misure che fino a quel momento sarebbero state impensabili: la chiusura di intere economie, la quarantena di massa (e la vaccinazione forzata) di milioni di individui sani e la normalizzazione dei passaporti Covid digitali come requisito regolamentato per partecipare alla vita sociale.
Tutto ciò ha preparato il terreno per la reazione collettiva delle società occidentali all’invasione russa dell’Ucraina – una guerra finalmente vera, dopo anni di tentativi di guerra metaforica. In termini di comunicazione, abbiamo immediatamente assistito all’emergere di una narrazione altrettanto totalizzante: era dovere morale delle società occidentali sostenere la lotta degli ucraini per la libertà e la democrazia contro la Russia e il suo malvagio presidente.
Tuttavia, mentre diventa sempre più evidente che l’Ucraina sta perdendo la guerra, e mentre il mondo si trova ad affrontare il tentativo di Trump di negoziare la pace, le élite europee stanno ricalibrando la loro narrativa: non è in gioco solo la sopravvivenza dell’Ucraina, ma quella dell’Europa nel suo complesso. La minaccia non è più là, ma proprio qui in casa: non solo la Russia si sta preparando ad attaccare l’Europa, ma, ci viene detto, sta già conducendo una vasta gamma di attacchi ibridi contro l’Europa, che vanno dagli attacchi informatici alle campagne di disinformazione fino alle interferenze elettorali.
Tutto ciò suggerisce che le élite occidentali abbiano imparato una lezione importante durante la pandemia: la paura funziona. Se una popolazione viene resa sufficientemente ansiosa – che si tratti di malattie, guerre, disastri naturali o di un cocktail di policrisi che comprenda tutto quanto sopra – può essere indotta ad accettare quasi qualsiasi cosa.
La strategia dell’UE per la preparazione alle emergenze potrebbe quindi essere letta in questo contesto più ampio. Non si tratta tanto di borracce e power bank. È una continuazione del paradigma dell’era Covid: un metodo di governance che fonde manipolazione psicologica, militarizzazione della vita civile e normalizzazione dello stato di emergenza. In effetti, l’UE parla esplicitamente della necessità di adottare, in caso di crisi future, lo stesso approccio “di governo” e “di società” avviato per la prima volta durante la pandemia.
Questa volta, però, il tentativo di fomentare l’ennesima psicosi di massa sembra fallire. A giudicare dalla reazione sui social media a un video imbarazzante di Hadja Lahbib, Commissaria europea per l’uguaglianza, la preparazione e la gestione delle crisi, sembra esserci un diffuso scetticismo riguardo alla propaganda allarmistica del blocco. Ma se da un lato questa è una buona notizia, dall’altro la preoccupazione è che, con il fiasco della propaganda, chi detiene il potere stia ricorrendo sempre più a tattiche repressive per mettere a tacere i rivali politici – come dimostra il divieto elettorale imposto a Le Pen. Questa strategia di crescente autoritarismo, tuttavia, è insostenibile a lungo termine: paura e repressione non possono sostituire il consenso effettivo, e nel vuoto di quest’ultimo sono destinate a emergere nuove forme di resistenza.