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albertomicalizzi

Sfatiamo gli equivoci e prendiamo coraggio!

di Alberto Micalizzi

bce98tt5Una serie di equivoci di fondo sul funzionamento dell’Unione Europea sta creando un’enorme confusione tra i non addetti, lasciando che i nostri rappresentanti agiscano nello spazio compreso tra ignoranza e malafede.

 

Equivoco N. 1 – La BCE non è una banca centrale

Pochi hanno compreso che il sistema bancario europeo non ha una banca centrale. Affinché la BCE fosse tale, dovrebbe poter fare due cose esplicitamente vietate dai trattati istitutivi:

i) Il prestito di ultima istanza agli Stati mediante l’acquisto diretto dei titoli di Stato, così come fa la Banca d’Inghilterra, la FED americana o la Bank of China.

ii) Perseguire l’obiettivo della crescita economica, anziché quello della stabilità dell’inflazione.

Dunque, cos’è la BCE? E’ una stanza di compensazione tra banche commerciali finalizzata prioritariamente al buon funzionamento del mercato interbancario. Andrebbe ridenominata “Organo di armonizzazione del mercato interbancario”.

 

Equivoco N. 2 – Il Quantitative Easing è uno strumento per il mercato interbancario

Un altro equivoco strutturale riguarda il Quantitative Easing (QE), che potremmo italianizzare chiamandolo “agevolazione creditizia”.

Si crede che la BCE attui l’agevolazione creditizia a favore delle banche affinché queste portino liquidità all’economia reale (famiglie e imprese). Sbagliato.

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coniarerivolta

Il sogno europeo condannato a morte dall’Eurogruppo

di coniarerivolta

marmotta“Amarti m’affatica, mi svuota dentro”. Dovrebbe essere questo il ritornello che da anni riecheggia negli animi di migliaia di elettori di sinistra, impegnati nella costruzione del sogno europeo. Un sogno a cui la realtà, e non il virus, ha in questi giorni inferto il colpo finale. Chi ha seriamente la volontà di spostare le condizioni di vita delle classi subalterne su un sentiero di progresso e uguaglianza non può che prendere atto di come la miseria delle scelte politiche di queste ore, ed in particolare le recenti risultanze dell’Eurogruppo, sia certificata dal marchio CE. Un Eurogruppo che è stato chiamato a pronunciarsi, vale la pena ricordarlo, in un contesto sanitario, quello della Covid-19, che neanche la generazione che ha vissuto l’ultimo conflitto mondiale aveva mai visto, con ormai 50mila morti in Europa, di cui 20mila solo in Italia.

Alla questione sanitaria però, con sempre più cogenza, si stanno affiancando le questioni economiche e sociali. Questioni che, per definizione, sono questioni politiche, e che pertanto non possono prescindere dal contesto istituzionale, quello dell’Unione Europea, nel quale ci troviamo ad agire, e che oggi più che mai ci impone di fare i conti con la storia. Il progetto europeo, infatti, ha radici profonde, e si sostanzia quasi subito come un progetto di unione monetaria. Questo processo, che fino all’inizio degli anni ’80 aveva visto l’opposizione delle sinistre italiane, è l’unica gamba di un soggetto volutamente zoppo. In barba a tutti i rapporti specialistici che suggerivano di avviare la fase di unificazione partendo dalla politica fiscale (tra cui il Rapporto Werner, un report della Commissione Europea del 1977 e il Rapporto Delors), le classi dominanti e i loro rappresentati politici hanno scientemente sviluppato la sola unione monetaria.

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lantidiplomatico

"Il ceto politico italiano deve affrancarsi dalla servitù del vincolo esterno"

L'Antidiplomatico intervista Alberto Bradanini

L'ex diplomatico è attualmente presidente del Centro Studi sulla Cina contemporanea dichiara all'AntiDiplomatico: "Per non sprofondare nell'abisso di un paese sottosviluppato, occorre recuperare immediatamente (almeno in parte) la sovranità monetaria"

c5531da2663fcfb0c34ff41b175f758f"I chimerici Stati Uniti d’Europa. Tale futuribile istituzione politica non è alle viste, perché semplicemente è assente il sottostante, vale a dire un popolo europeo. I popoli non nascono da un qualunque Eurogruppo". A dichiararlo all'AntiDiplomatico prima del vertice Ecofin di oggi e in vista del Consiglio europeo di giovedì che dovrebbe decidere una strategia europea alla crisi è Alberto Bradanini*, ex ambasciatore italiano a Pechino e Teheran. E l'Ambasciatore Bradanini non ha dubbi su quello che l'Italia dovrebbe fare per uscire dall'armageddon economico che si profila. "Il ceto politico italiano è chiamato ad affrancarsi dalla servitù del vincolo esterno, mettendo al centro il perseguimento di un diverso destino per il nostro Paese. Occorre recuperare immediatamente (almeno in parte) la sovranità monetaria e quanto più possibile quella istituzionale-democratica". E per farlo l'ex diplomatico italiano avanza una proposta precisa: "Emettere biglietti di Stato a corso legale circolabili solo in Italia (che come fatto negli anni ‘60 e ’70) legalmente compatibili persino con i trattati europei (art. 128 comma 1, del TFUE)".

Abbiamo chiesto poi all'Ambasciatore Bradanini, attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea, un giudizio sul ruolo che ricoprirà Pechino dopo la crisi, una riflessione sulla mancanza di solidarietà dai nostri alleati nel momento di maggior emergenza per il nostro paese dalla Seconda Guerra Mondiale e, infine, un commento sulle sanzioni criminali che gli Stati Uniti continuano ad imporre in una fase di lotta globale alla pandemia. "L’impero ideocratico messianico fondamentalista, quello americano, non ha alcuna pietà per i popoli che soffrono. Solo s’interessa all’espansione del proprio potere. Le nazioni che resistono alla sottomissione vengono attaccate politicamente, economicamente e quando serve anche militarmente."

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micromega

Il fondo europeo contro la disoccupazione? Un bluff per far accettare il Mes

di Alessandro Somma

conte merkel macron eurobond coronabondLa Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen chiede scusa a Italia e Spagna per l’assenza di empatia finora dimostrata nella gestione dell’emergenza sanitaria e annuncia trionfalmente un cambio di rotta. Lo fa presentando un piano da cento miliardi per il sostegno alla disoccupazione, fiore all’occhiello di una nuova “solidarietà europea”. La cortina fumogena di questa retorica nasconde però una realtà ben diversa: il piano è un bluff, probabilmente pensato per far rientrare le richieste di emissione di bond europei e magari anche per far accettare un intervento del famigerato Meccanismo europeo di stabilità. Vediamo perché.

 

Un fondo per crisi asimmetriche

Disponiamo al momento di una proposta di regolamento “che istituisce uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza (Sure)[1], che pone innanzi tutto problemi per la sua base legale. Lo strumento viene infatti creato ai sensi della stessa disposizione utilizzata per l’assistenza finanziaria fornita dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) ai Paesi colpiti dalla crisi del debito prima dell’istituzione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes): Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. La disposizione è l’art. 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e in particolare il suo comma 2:

Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un'assistenza finanziaria dell'Unione allo Stato membro interessato.

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economiaepolitica

Gli eurobond fra logica economica, sofismi e difficili mediazioni

di Stefano Lucarelli

coronabond eurobond coronavirusIntroduzione

In questo contributo sottoponiamo a critica la seguente tesi recentemente avanzata da Bisin et alii (2020): gli eurobond senza condizionalità sono uno strumento di gran lunga inferiore al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il nostro è un esercizio di critica interna. Pertanto, non mettiamo inizialmente in discussione l’idea degli autori che l’emissione di eurobond sia riconducibile ad un contratto fra un assicuratore e un assicurato. Pur riconoscendo che questa rappresentazione è di per sé opinabile, ci concentriamo innanzitutto sulla robustezza logica della tesi di Bisin et alii (2020), per chiarire in che senso si possa davvero parlare di moral hazard in questo contesto. Mostriamo allora in che modo il moral hazard possa essere superato, giungendo così a svelare la natura sofistica della tesi che abbiamo sottoposto a critica.

Nei paragrafi conclusivi cercheremo di suggerire alcuni spunti di riflessione che riteniamo utili per comprendere il difficile processo di mediazione che impegnerà nei prossimi giorni i rappresentanti del nostro Governo.

 

Il contesto

La videoconferenza informale dello scorso 26 Marzo sulle misure di politica economica da porre in atto per affrontare la Pandemia da Covid19 ha, come noto, messo chiaramente in luce le divisioni interne ai 27 Paesi dell’Unione Europea.

La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si sono assunti il compito di presentare entro il 5 Aprile delle proposte di lungo periodo da concordare con le altre istituzioni europee.

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micromega

Economia e pandemia: domande e risposte sull’Italia e l’Europa

Intervista a Sergio Cesaratto

economia coronavirus italia germania coronabond eurobonds merkel conte“A successful and long lasting union, like the US, helps its members in need. When New Orleans was hit by Hurricane Katrina, the initial faltering response horrified the nation. Congress then sent $71bn in aid, equivalent to more than a third of Louisiana’s gross domestic product. It did not content itself with waiving a balanced budget clause and allowing the state to plunge into debt. Other US states did not complain that Louisianans were lazy and corrupt, or wasted money on drinks and women, as the former head of the eurogroup of finance ministers, Jeroen Dijsselbloem, infamously said of southern Europeans.” Luigi Zingales (University of Chicago). [1]

Perché l’Europa dovrebbe salvare l’Italia che è stato un paese cicala?

Contrariamente a quanto dipinto dai mass media e, in maniera inqualificabile, da Jeroen Dijsselbloem, l’Italia è da trent’anni un paese frugale. Questa frugalità è misurabile dai surplus primari del bilancio pubblico [i saldi al netto della spesa per interessi] che sono in attivo dall’inizio degli anni novanta. In altre parole, da trent’anni gli italiani pagano più tasse di quanto ricevono come servizi pubblici o pensioni. E’ la spesa per interessi che manda in disavanzo lo Stato italiano, non una spesa pubblica allegra (naturalmente molta spesa pubblica è indirizzata male, ci sono sprechi, c’è molto da migliorare come efficienza ma, per esempio, il numero dei dipendenti pubblici in Italia è in rapporto alla popolazione molto inferiore alla Germania, come anche evidenziato dalla crisi sanitaria).[2] Anche David Folkerts-Landau, capo economista della Deu­tsche Bank ha ammesso due anni fa che “contrariamente a un diffuso pregiudizio, l’Italia è stato un Paese frugale".[3] Queste sono fra le poche voci “oneste” che si sono levate.

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lafionda

La truffa del MES “senza condizionalità”

di Thomas Fazi

AI ue e1585314365824Mentre in Italia continua la drammatica conta quotidiana dei morti, l’Unione europea e i nostri “partner” continentali sembrano avere una sola preoccupazione: come approfittare della tragica situazione in cui versa il nostro paese per stringerci ulteriormente il cappio del debito attorno al collo. Pare infatti che Francia e Germania abbiano trovato un accordo in vista dell’Eurogruppo di martedì prossimo (7 aprile), basato sull’attivazione del Meccanismo europeo di stabilità (MES) a “condizionalità limitate”, sul potenziamento delle linee di credito della Banca europea per gli investimenti (BEI) e sul nuovo fondo “anti-disoccupazione” SURE. 

Come volevasi dimostrare, insomma, alla prima occasione la Francia si è sfilata dal cosiddetto fronte “anti-rigore”, che in realtà vedeva opposti due nemici delle classi popolari: da un lato le classi dirigenti della Germania e dei paesi del nord che maggiormente beneficiano dall’attuale architettura europea – e che ritengono di avere sufficienti “cartucce” a disposizione per rispondere autonomamente alla crisi provocata dal COVID-19 – e dunque premono per mantenere sostanzialmente inalterata tale architettura; dall’altro le classi dirigenti dei paesi del sud (e fino a poco fa della Francia stessa), Italia in testa, che invece ravvedono nel collasso socioeconomico provocato dal COVID-19 una minaccia per la loro stessa sopravvivenza e dunque spingono per l’introduzione di nuovi strumenti – eurobond” et similia – che garantirebbero un po’ di ossigeno alle loro economie (e a loro stessi) ma nei fatti rafforzerebbero il carattere oligarchico della UE, accentrando ulteriore potere nelle mani di istituzioni anti-democratiche quali la Commissione europea, senza apportare alcun beneficio concreto per le classi lavoratrici e popolari dei paesi del sud. 

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tempofertile

Circa Marco Revelli, “Draghi, lupi, faine e sciacalli”. Cronache del crollo

di Alessandro Visalli

pantolambdaSiamo davvero in tempi strani. Davanti all’improvviso accelerare della storia, per effetto del venire al pettine sotto l’impatto di un minuscolo organismo di tutte le catastrofi del neoliberismo e della mondializzazione senza limiti e freni di questo ultimo ventennio, tutti si sentono sollecitati. E capitano posizionamenti inaspettati. E’ la quinta volta che parlo di un testo di Marco Revelli[1], registrando via via un progressivo arruolamento sul fronte di un antifascismo di maniera e piuttosto stridente. Una posizione sempre più anti-popolare, man mano che l’abbandono della sinistra da parte di questi si faceva più evidente (sotto l’etichetta di “populismo”). Nell’ultima occasione ero stato piuttosto brusco.

Ma in questo intervento, molto politico e come sempre schierato contro i suoi due nemici preferiti, i due Matteo, ritrovo invece elementi più che condivisibili. Avevo parlato già dell’intervento di Mario Draghi in un recente post[2] ed in quella occasione mi ero soffermato su una lettura del testo dell’articolo sul Financial Times concentrata sugli elementi di discontinuità, che sono numerosi e significativi, e non sulle numerose ambiguità (che sono decisive).

Probabilmente l’esatto significato di questa lettera sarà chiaro solo a posteriori, quando gli eventi si saranno incaricati di definirla e la polvere della mischia si sarà posata. Come accadde, peraltro, in occasione del suo famoso discorso a Jackson Hall[3], o del suo più famoso “Whatever it takes”, del luglio 2012[4]. Di entrambi qualcosa è restato, qualcosa no.

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nuovadirezione

La lettera di Draghi

di Gabriele Pastrello

shutterstock 1241033824L’analisi della lettera aperta che Draghi ha inviato il 25 marzo al Financial Times, sulla crisi economica e politica aperta dall’epidemia del coronavirus, cerca di spie­gare e argomentare come nascono e come si giustificano i due punti cruciali della lettera. Già dal titolo Draghi suggerisce che siamo in una situazione di ‘guer­ra’. La situazione è straordinaria e richiede di uscire dai modi di pensare ordinari.

Innanzitutto uscire dall’austerità come modo di affrontare la crisi. Una guerra, dice Draghi, si affronta facendo debiti e non con tasse. E il rapporto debito/PIL elevato che ne seguirà dovrà diventare un carattere permanente delle economie. Tradotto, niente MES e condizionalità.

Anche la soluzione che Draghi propone è fuori dagli schemi: il sistema bancario, di­ce, deve diventare il veicolo delle politiche pubbliche (cioè nazionali ed europee). Una proposta che sconta l’inaggirabilità di due vincoli: il divieto di finanziamento diretto dei bilanci statali da parte della BCE, e l’altro politico, la presumibilmente totale indisponibilità della Germania ad accettare qualsiasi forma o dimensione di mutualizzazione del debito.

Non resta altro, dice Draghi, che fare dei sistemi bancari nazionali il perno del fi­nanziamento dei programmi che gli Stati dovranno attuare per contrastare una crisi economica che si annuncia gravissima.

* * * *

1. La pars destruens

Il punto di partenza della lettera aperta di Draghi al Financial Times è secco: molti ri­schiano la vita, scrive Draghi, e ancor di più rischiano i mezzi di sussistenza. Da cui la sequenza di conclusioni immediate: ‘una recessione è inevitabile’, ‘la risposta ri­chiede un aumento significativo del debito pubblico’, e da cui segue una delle due frasi chiave della lettera: “Much higher public debt levels will become a permanent feature of our economies”.

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economiaepolitica

L’Italia, L’Europa e la crisi da coronavirus

di Antonella Stirati

coronavirus unione europea 640x342Nelle ultime settimane in Italia e in Europa si è affacciata con prepotenza la questione economica legata alla pandemia in corso, e si sono moltiplicate le prese di posizione relative a come questa dovrebbe essere affrontata.[1]

Pur in una situazione in continua evoluzione, provo qui a mettere in ordine i problemi e gli strumenti disponibili, sia in via di principio che in concreto, con l’auspicio che questo possa aiutare a chiarire i termini delle questioni in discussione.

 

1. Il contesto

E’ sempre più evidente che la pandemia e le misure di contenimento del contagio adottate in tutto il mondo provocheranno una profonda recessione in conseguenza del blocco di una parte importante dell’attività produttiva e la scomparsa dei redditi generati da quelle attività. Molte previsioni sono concordi nell’affermare che si avranno riduzioni del PIL maggiori di quelle causate dalla crisi finanziaria globale del 2008, e che esse non saranno transitorie.

In tutti i paesi la combinazione della caduta significativa del PIL e degli aumenti di spesa pubblica e riduzione delle tasse per fronteggiare l’emergenza faranno lievitare il rapporto tra deficit e PIL e tra debito pubblico e PIL.

Si deve notare tuttavia un elemento di estrema importanza fino ad oggi spesso sottovalutato o addirittura ignorato – in modo totalmente anti-scientifico – nel dibattito politico su questi temi: il denominatore (il PIL) non è indipendente dalla politica di bilancio pubblico, cioè dalle variazioni della spesa pubblica o delle tasse. In altri termini, più spesa pubblica implica minore caduta del PIL.

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orizzonte48

Il "mutamento apparente" del quadro delle regole dell'eurozona nell'emergenza coronavirus: troppo poco e troppo ESM

di Quarantotto

berlino001. Proviamo a decifrare la situazione che si sta creando a seguito dell'emergenza sanitaria causata dall'epidemia di coronavirus.

Come possiamo constatare dalle azioni annunciate dagli altri Paesi Ue, in particolare aderenti all'eurozona, in simultanea alle misure straordinarie di prevenzione e terapia sanitaria, si sta verificando un evidente "fermo" di una parte consistente e crescente delle attività economiche che producono il reddito e che, nel loro complesso, formano il c.d. PIL.

Si produrrà pertanto una forte recessione la cui misura potrà arrivare a livelli senza precedenti, a seconda degli attualmente imprevedibili sviluppi nella prosecuzione del contagio, dell'ondivaga risoluzione a livello strutturale dell'emergenza assoluta dell'organizzazione medico-sanitaria, e della connessa durata ed estensione crescente dell'arresto delle attività produttive.

Per capirci: un blocco del sistema economico al 40% (come esemplificazione indicativa), prolungato per 3 mesi, porterebbe a una perdita di PIL di circa 175 miliardi, cioè di circa il 10% del PIL del 2019.

Quali siano le possibilità di successiva ed immediata ripresa della crescita non è allo stato esattamente pronosticabile; sia perché non è possibile preventivare quanta parte delle limitazioni emergenziali, e quindi dei limiti all'attività produttiva, dovranno essere mantenute nel tempo (o, in caso di riaccendersi di focolai di contagio, re-incrementate), sia perché, ogni ripresa successiva ad una recessione di rilevante entità dipende dall'adeguatezza e dalla fattibilità, giuridica e finanziaria, di un combinato di misure che inevitabilmente dovrebbe essere lo Stato a poter adottare.

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tempofertile

Le prime manovre: Von der Leyen, Bce, mobilitazioni, riposizionamenti. Cronache del crollo

di Alessandro Visalli

fisher905 675x904Giorni pieni e convulsi.

Venerdì si è tenuto in teleconferenza il Consiglio Europeo, che ha visto uno scontro frontale e prolungato tra Spagna e Italia contro Olanda e Germania, la Francia leggermente defilata e gli altri spettatori attoniti. Al termine un veto di Spagna e Italia ha determinato il rinvio di quindici giorni con mandato alla Commissione ed alla Bce di elaborare proposte da riportare al tavolo.

Sabato, con un’inaudita dichiarazione la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha dichiarato che il suo mandato è di elaborare un “piano di ricostruzione” e non di lavorare sull’emissione di bond comuni. Questi, dice, sono ostacolati da “chiari confini giuridici” in quanto dietro c’è “la questione delle garanzie”. Ovvero la vecchia questione secondo la quale la Germania e gli altri paesi rifiutano quella che chiamano “un’unione di trasferimenti”, ovvero di garantire con le proprie risorse fiscali trasferimenti, in una forma o nell’altra, ovvero anche sotto forma di garanzie, ad altri paesi. Dunque, continua, “su questo le riserve della Germania come di altri paesi sono giustificate”. L’economista Sergio Cesaratto ha avuto una parola sola e semplice per questo: traditrice. Il Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, invece in una conferenza stampa di qualche minuto fa ha detto, rispondendo[1] ad una domanda del giornalista del Corriere della Sera, che “il compito di elaborare la proposta non l’abbiamo dato alla Presidente della Commissione Europea, all’esito abbiamo dato all’Eurogruppo 14 gg per elaborare delle proposte che poi il prossimo Consiglio Europeo possa prendere in considerazione. Quel che mi permetto di dire e sarò inflessibile: qui c’è un appuntamento con la Storia, l’Europa deve dimostrare se è all’altezza di questa chiamata della storia. Uno shock simmetrico che riguarda tutti i sistemi degli stati membri. Si tratta di dimostrarsi adeguati o no”.

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economiaepolitica

L’Italia e l’Unione Europea alla prova del Coronavirus

di Salvatore Perri

200303192318 20200304 coronavirus conspiracy theory large 169La pandemia causata dal Covid-19, oltre alle perdite umane, provocherà un tracollo economico difficilmente quantificabile in valore ed in durata. Il declino produttivo, il pesante debito pubblico, le disuguaglianze economiche, rendono l’Italia sempre più dipendente dalle scelte che saranno compiute in sede europea. Gli interventi per salvare l’Italia, e l’Europa, dovranno avere necessariamente due caratteristiche: dovranno mobilitare risorse a lungo termine per gli investimenti e dovranno essere sostenibili politicamente anche per i paesi del nord Europa alle prese con pulsioni sovraniste. Non può essere più rinviata la questione di una figura Europea politicamente forte, con poteri e budget, in grado di concordare con la BCE interventi in una prospettiva decennale di reale integrazione sistemica.

 

Il Coronavirus e l’Economia Italiana

L’Italia affronta la crisi del coronavirus da una posizione di estrema debolezza. Il sistema produttivo non aveva ancora recuperato dagli effetti negativi della crisi finanziaria globale del 2007, il debito pubblico ha continuato la sua corsa, la produttività è stagnante e non ci sono segnali di convergenza interna dal punto di vista territoriale, e inoltre, si stanno consolidando differenze stratificate anche all’interno del mondo del lavoro con la crescita dei c.d. working poors[1] (Dell’Arringa, 2019). La contrazione economica ed il blocco della produzione di molte merci potrebbe accentuare anche dinamiche negative ben note, dalle delocalizzazioni industriali alle esterovestizioni societarie[2], perché è inevitabile che le aziende tentino di ridurre le perdite con ogni mezzo consentito.

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militant

Il desiderio dell’uomo decisivo

di Militant

1543254843185.jpg draghi parla gia da premier fare piu debito per salvare l economia Che Mario Draghi trovi sostegno in un certo ambiente economico, è nelle cose. Che su Mario Draghi stia convergendo tutta la politica italiana, è un’altra cosa. Dal Pd alla Lega al vasto mondo della critica keynesiana, il quadro politico sembra chiudersi attorno alla soluzione migliore per tutti (o quasi: l’unico a rimanere col cerino in mano sarebbe Conte, e con lui il M5S). I motivi di questo interesse sono facilmente intuibili. Meno i problemi politici che verrebbero a generarsi dall’unità nazionale attorno all’uomo delle banche.

La crisi economica, già in corso e che seguirà la fine o il contenimento dell’epidemia, sarà di vaste proporzioni. Tutti i paesi, nessuno escluso, subiranno il contraccolpo dell’arresto dei flussi commerciali misurandolo in vari punti percentuali di calo del Pil. Per l’Italia, questo non potrà non aggirarsi in una forbice che va dal -5 al -15%. Percentuali da economia di guerra, come evidente e come stanno dicendo un po’ tutti, Draghi per primo. Se in tempo di pace la questione poteva essere affrontata (e aggirata) attraverso l’accelerazione export oriented dell’economia del paese, dinamica che ha portato l’Italia alla ventennale stagnazione economica, le soluzioni per questa crisi non potranno replicare quanto è stato fatto fino ad ora. Per risollevare un paese in profonda recessione è inevitabile stimolare la domanda interna, rafforzando il mercato domestico di produzione e circolazione di beni e servizi. Altrimenti quel -15% lo recuperiamo nel 2050, come infatti (non) è avvenuto con la crisi scoppiata nel 2008: il Pil dell’Italia nel 2019 non ha ancora raggiunto i livelli a cui era arrivato nel 2007. Ci stiamo rimpicciolendo drasticamente e troppo velocemente nel tempo, e questo è uno dei motivi dello scarso peso politico dei nostri governi in Europa.

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antropologiafilosofica

La resa dei conti

di Andrea Zhok

GettyImages 12016474801) Premessa

Come ampiamente previsto, l’incontro dell’Eurogruppo di ieri si è concluso con un nulla di fatto.

Che gli incontri europei si concludano con un nulla di fatto è peraltro oramai una tradizione consolidata. Settimane fa si erano concluse con un nulla di fatto le trattative per una variazione dello zero virgola nel budget europeo. Per anni si erano concluse con un nulla di fatto le richieste di rivedere le regole sull’accoglienza dei migranti da parte dei paesi dell’Europa meridionale. Incartarsi ad arte per rinviare sine die ogni decisione è una specialità in cui le istituzioni dell’UE hanno dimostrato da tempo straordinario talento.

E naturalmente non è un caso.

Il sistema dei trattati è stato disegnato per funzionare precisamente come una tonnara: una volta entrati non esiste nessuna possibilità di uscirne sani né di cambiare niente di significativo. (L’unanimità necessaria la puoi raggiungere solo su imperdibili iniziative simboliche come l’equiparazione di comunismo e nazismo.)

 

2) Prima del diluvio

L’emergenza coronavirus tende a farci dimenticare che l’UE non è mai davvero uscita dalla crisi del 2007. L’economia è rimasta lenta, e anche la famosa ‘locomotiva tedesca’ aveva iniziato ad arrancare.

Ben prima che il virus comparisse all’orizzonte si discuteva animatamente di una perdurante stagnazione dell’economia europea (con Italia e Germania in fondo alla classifica della crescita).