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tempofertile

Nadia Urbinati, “Utopia Europa

di Alessandro Visalli

medieval crusadersUn altro libro di occasione, nel quale un’intellettuale di fama si presta alla difesa di ufficio della causa europea in vista delle elezioni. Non servirà a fermare la Lega, ma forse questo alzare gli stendardi compatta l’esercito un poco attempato e certamente molto demoralizzato della sinistra.

A questo fine il testo ripercorre nella prima parte, la più interessante, la storia della lunga costruzione europea, mettendo in evidenza la fonte inaspettata (per una sinistra che ormai ha dimenticato tutto) delle sue radici, ma nella seconda si mette la cotta di maglia e va alla guerra.

Come capita a chi fa il suo mestiere, professoressa di teoria politica alla Columbia University, tutta la ricostruzione si muove sulle nuvole del pensiero, non tocca il volgare terreno degli interessi, tanto meno geopolitici. Quindi può dire, entro le regole della sua disciplina, che l’Europa è il prodotto delle idee degli “illuministi” e dei “cattolici” e che queste si muovono attraverso il protagonismo dei paesi sconfitti (e dunque, necessariamente, con l’autorizzazione dei vincitori, che sarebbe altrimenti curioso il progetto più ambizioso della storia europea nasca da chi ha meno potere e meno sovranità). Sono due i piani che propone: la creazione di una polis pacifica e democratica, e il rispetto delle sfere di influenza. Ma l’ordine è palesemente invertito, il fatto rilevante del primo dopoguerra è evidentemente la divisione dell’Europa sconfitta e ridimensionata in due sfere di influenza nette, quella americana e quella sovietica. Il progetto di una “polis” pacifica (ovvero disarmata e subalterna) è l’ideologia di copertura e insieme la necessità pratica del progetto della parte americana[1], ovvero parte della tradizionale politica dell’indirect rule anglosassone e strumento della riduzione dello sforzo e del costo di protezione e di controllo. Lo dice, del resto, anche la nostra politologa: “il progetto nacque anche in funzione antisovietica” (solo che “anche” è di troppo).

Certo non è del tutto infondato che l’idea di un’unificazione europea fosse più antica, e radicata in utopie settecentesche, poi rialzata negli anni venti (anche se non solo da intellettuali antifascisti), e poi tanti altri, l’elenco è lungo. E, se ci si sposta agli anni trenta, coinvolge anche gli stessi nazisti (ma questo è politicamente scorretto e meglio non insistervi).

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lantidiplomatico

Sulle origini fasciste dell'UE

di Thomas Fazi

39406aed83f0e6ee747750284454758bOggi, in seguito alla nomina di Boris Johnson a nuovo primo ministro britannico, molti stanno riprendendo una sua celebre intervista del 2016 in cui affermò che l'Unione europea sta perseguendo un obiettivo simile a quello di Hitler nella creazione di un sovrastato europeo.

Detta così, può sembrare un'assurdità.

In verità, come spiego in Sovranità o barbarie, l'affermazione di Johnson non è così lontana dalla realtà.

È opinione comune che il moderno pensiero federalista nasca dalle ceneri della seconda guerra mondiale. Ma le teorie federaliste risalgono a ben prima del conflitto mondiale e persino lo stesso federalismo “antifascista” di Spinelli presenta inquietanti elementi di contiguità con le teorie che ispirarono quel conflitto e in antitesi alle quali, secondo la vulgata, si sarebbe sviluppato il pensiero federalista.

L’ideologia europeista, antisovranista e sovranazionalista – e il sogno dell’unificazione economico-politica del continente – erano infatti aspetti centrali della stessa filosofia nazifascista, nelle sue molteplici varianti, nonché della propaganda hitleriana.

Come scrive lo storico inglese John Laughland, autore di un corposo volume sul tema, “non solo i nazisti, ma anche i fascisti e i loro collaboratori in giro per l’Europa, hanno fatto ampio uso dell’ideologia federalista ed europeista per giustificare le loro aggressioni”. Ciò potrebbe meravigliare. È opinione comune, infatti, che i nazifascisti, in quanto ultrasciovinisti e imperialisti, esaltassero lo Stato-nazione e la sovranità nazionale; in verità, osserva Laughland, “essi nutrivano una profonda avversione per la sovranità nazionale; non solo, come può sembrare ovvio, per quella delle altre nazioni, ma per il concetto stesso”.

Il rifiuto della sovranità nazionale è molto esplicito nel pensiero nazifascista; fatto ancor più interessante, tale rifiuto si fondava sulle stesse argomentazioni dei federalisti odierni. Uno dei principali punti in comune dell’europeismo nazifascista tanto con l’europeismo spinelliano quanto con quello odierno era l’idea secondo cui gli Stati-nazione conducono inevitabilmente alla guerra e che dunque la presenza di una moltitudine di “piccole patrie” sul continente europeo fosse un elemento foriero di instabilità.

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paginauno

Per chi sta realmente lavorando questa economia?

di Giovanna Cracco

IMG 20190128 WA0002Il 3 luglio scorso la Commissione europea ha ritirato la proposta di aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia (1), dichiarando che terrà il Paese sotto stretta osservazione e se ne riparlerà in autunno, in fase di manovra finanziaria 2020. L’ha fatto perché l’Italia ha messo sul piatto 7,6 miliardi, modificando le proprie politiche economiche così come la Commissione aveva richiesto. Problema risolto? No. E per comprendere quanto sia irrisolto, occorre fare un passo indietro e tornare sul Rapporto con cui il 5 giugno la Commissione Ue aveva proposto l’apertura della procedura d’infrazione.

Per leggerlo (2), la sola volontà non è sufficiente; occorre saltare lo steccato ed entrare nel territorio dell’ostinazione, per poi accettare di muoversi nello spazio dell’incredulità. Dapprima è la fatica a dominare, per la sequela di cifre e percentuali che in modo ossessivo si ripetono, dopodiché arriva la sensazione di essere finiti in un mondo parallelo, nel quale le coordinate con cui dovremmo misurare il reale, non esistono.

Da parte sua, con titoli di scatola in prima pagina, editoriali, analisi e aperture di telegiornali che rappresentano come legittima la posizione della Commissione Ue, nemmeno l’informazione mainstream ha aiutato a giugno e non aiuta tuttora a restare aggrappati alla realtà, anzi contribuisce a eliminare dal discorso pubblico ogni riflessione che entri nel merito. La narrazione sulla bontà dei ‘vincoli di bilancio’ introdotti da Maastricht è pensiero dominante da quasi tre decenni, dunque non stupisce l’acritico recepimento del ‘torto’ e della ‘ragione’; eppure la capacità di ragionamento, per quanto atrofizzata, avrebbe dovuto avere un sussulto davanti alla lettura del Rapporto, e la realtà, per quanto negata, si presenta oggi agli occhi in modo talmente drammatico e prepotente che dovrebbe essere impossibile evitare di guardarla.

Se l’applicazione di una teoria economica allarga la forbice della diseguaglianza sociale e aumenta la povertà, deve essere messa in discussione. Alla radice, nella sua impostazione di base, non in superficie, cercando compromessi che non ne modificano l’impianto. “Per chi sta realmente lavorando questa economia?” ha affermato a fine giugno Elizabeth Warren, senatrice democratica in corsa alle primarie del partito, al primo dibattito televisivo della campagna elettorale:

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economiaepolitica

Perché il Movimento 5 stelle ha perso le elezioni europee?

di Vincenzo Alfano

Analisi del voto e correlazione con le domande del reddito di cittadinanza per provincia

europee movimento 5 stelle m5sIl reddito di cittadinanza è stata la policy-bandiera per il MoVimento 5 Stelle sin dalla campagna elettorale per le elezioni politiche del 2018. Difatti la promessa di attuazione del reddito pare esser stata un elemento decisivo per l’affermazione di quel partito nelle urne. Dopo l’attuazione, i cosiddetti grillini hanno appena un anno dopo visto drammaticamente ridimensionarsi il loro elettorato. E’ ciò dovuto ad un malcontento per l’attuazione della politica? Era questa stata sopravvalutata sin dall’analisi dell’esito del 2018? Oppure le elezioni politiche e quelle europee non sono davvero comparabili? Questo articolo si propone di fare chiarezza sul fenomeno rispondendo a queste domande, proponendo un’analisi formale della correlazione tra voti e domande del reddito di cittadinanza per provincia.

 

Introduzione

Le ultime elezioni europee, svoltesi appena pochi giorni fa nel nostro Paese, hanno visto un radicale cambio nelle preferenze accordate dagli elettori ai principali partiti. In particolare, il grande sconfitto è il MoVimento 5 Stelle (d’ora in avanti M5S), primo partito alle elezioni politiche di appena un anno prima, e solo terzo partito alle europee, avendo perso circa sei milioni di voti.

Fig. 1 Voti alle politiche del 2018 per il M5S nelle diverse province italiane. Elaborazione da dati Ministero degli interni

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coniarerivolta

La riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità: come si perfeziona l’austerità

di coniarerivolta

jepLa crisi che ha messo in ginocchio l’Italia insieme all’intera periferia d’Europa si sviluppa su due livelli. Un primo livello è quello della lotta senza quartiere contro i diritti e i salari dei lavoratori, una battaglia che ogni giorno erode pezzi di stato sociale sotto la scure dell’austerità, retribuzioni e tutele del lavoro date in pasto all’accumulazione del profitto, tempi e ritmi di vita sacrificati sotto il ricatto della precarietà. Questo è l’aspetto del problema di immediata percezione, quello che molti di noi sperimentano sulla propria pelle, che incide direttamente sulle nostre vite. Il secondo livello è caratterizzato dal fatto che questa lotta di classe contro i lavoratori non è improvvisata ma si articola in una strategia. E le strategie, come ben sappiamo, si disegnano a tavolino e poi si traducono in azioni coordinate. Esiste, dunque, un piano della crisi in cui lo sfruttamento viene organizzato, in cui il dominio esercitato dai mercati sulle nostre vite definisce le istituzioni necessarie alla sua realizzazione, un piano che in questa parte del mondo assume la forma storica dell’Unione Europea, dei suoi trattati, delle sue regole e dei suoi strumenti operativi. Vale la pena, ogni tanto, sollevare lo sguardo dalle nostre battaglie quotidiane e provare ad anticipare le mosse del nemico; provare a decifrare i piani di chi lo sfruttamento lo impone dall’alto per essere in grado di opporre al sistema basato su povertà, precarietà e disoccupazione una strategia politica altrettanto solida e articolata – per passare, al momento giusto, al contrattacco.

Per questo è utile analizzare il disegno di riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) discusso nei giorni scorsi dall’Eurogruppo (l’organo che riunisce i Ministri delle finanze dei 19 Stati che adottano l’euro) e destinato a perfezionare ulteriormente il dominio dei cosiddetti mercati sulla politica, e dunque sull’organizzazione della nostra società, attraverso un più capillare e pervasivo sistema di controllo delle economie nazionali da parte delle istituzioni europee. Il MES è la versione più recente del ‘fondo salva Stati’ istituito in varie successive configurazioni per gestire la crisi del debito pubblico, a partire dalla Grecia nel 2010.

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Tra cronaca e Storia: perchè scricchiola l’asse franco-tedesco

di Guido Salerno Aletta

hkbksjdocajdhyuuijiroekorqer 428x300Distrarre “gli itagliani” dai problemi veri è facilissimo, basta scegliersi un diversivo facile facile. Farli appassionare alle vicende internazionali, invece, è difficilissimo; anche se sono queste, quasi sempre, le vere cause di problemi che poi ci si affanna a scaricare sui più deboli.

Il conflitto attuale nell’Unione Europea per rinnovare tutte le cariche istituzionali principali è accuratamente tenuto lontano dai riflettori. Intanto perché mostra con enorme evidenza il fatto che questo governo, a Bruxelles, conta quanto il due coppe quando regna denari. E molto perché – dal tourbillon delle cariche di rilievo – questo governo è di fatto escluso. Sarebbe difficilissimo anche per dei mentitori professionali come loro, infatti, far passare come “vittoria” la perdita di ben tre poltrone importanti (presidente del Parlamento europeo, pesidente della Bce, “ministro degli esteri” europeo) senza alcuna compensazione.

Ma c’è molto di più in ballo, e determinerà il corso dei prossimi anni.

Questa analisi dell’attento Guido Salerno Aletta smonta molta retorica “europeista”, indicando interessi, esigenze, rapporti di forza che si tende invece a nascondere sotto la maschera dell’”Europa unita”. Cugini coltelli, nel migliore dei casi. Perché nella logica del capitale multinazionale non ci sono valori né leggi, solo occasioni di business oppure perdite.

Buona lettura [redaz.].

*****

Un passato senza futuro: era il 19 giugno 2018, appena un anno fa, quando Francia e Germania firmarono congiuntamente la Dichiarazione di Mesenberg, un testo dal titolo promettente e dai contenuti ancor più accattivanti: “Rinnovare gli impegni europei di sicurezza e prosperità”. Era già un compromesso rispetto alle ambizioni francesi, ma almeno sembrava una via di uscita dalla morta gora in cui l’Unione si era trascinata per anni.

Parole incise sul marmo, un epitaffio verrebbe da dire oggi: già dalle prime parole, infatti, si capiva che il vento del neo-liberismo, quello delle riforme strutturali a tutti i costi, non era affatto calato. Enfasi assoluta:

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Cosa accadrà adesso?

di Leonardo Mazzei

pugni ue 1Cresce in Europa l'interesse per le vicende italiane dopo le elezioni europee. Cosa accadrà adesso? Ci saranno elezioni anticipate? Quali sono le vere intenzioni del governo giallo-verde riguardo all'Unione europea? Davvero saranno lanciati i MiniBoT? Reggerà l'alleanza M5s Lega? Di che natura è il populismo di Salvini? A queste ed altre domande poste dal sito in lingua tedesca EUREXIT risponde Leonardo Mazzei del Comitato centrale di P101. L'intervista è di Wilhelm Langthaler.

* * * *

Le elezioni europee hanno rovesciato i rapporti di forza nel governo populista. Perché è avvenuto?

I rapporti di forza interni si sono invertiti, ma la maggioranza giallo-verde ha perfino guadagnato consensi. Alle elezioni politiche del 2018 aveva il 50,03% dei voti, alle europee ha ottenuto il 51,40%. Considerato che per il governo non è certo stato un anno facile, si tratta di una differenza minima ma significativa.

Credo che il rovesciamento dei consensi sia da attribuirsi a tre fattori. In primo luogo la Lega ha potuto incassare molti consensi grazie allo stop all'immigrazione clandestina nel Mediterraneo. In secondo luogo, mentre il Reddito di cittadinanza ha prodotto una forte delusione nell'elettorato M5S, l'intervento sulle pensioni — "Quota 100" — voluto in primo luogo dalla Lega, ha spinto molti lavoratori a votare per la prima volta questo partito. In terzo luogo, non bisogna dimenticarsi del ruolo dei media, che per un anno intero hanno fatto ricorso ad ogni argomento per attaccare i Cinque Stelle ancor più che il governo nel suo insieme.

Come se non bastasse, Di Maio ha sbagliato tutto nell'ultima parte della campagna elettorale quando, per dimostrare la propria autonomia da Salvini, ha operato una sorta di "svolta a sinistra". Purtroppo questa sterzata includeva anche un profilo assai più europeista di quello tradizionale del movimento. Una mossa pagata nelle urne.

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laboratorio

Come l’euro alimenta la divergenza tra i paesi europei

di Domenico Moro

Relazione all’assemblea “Ue e euro: dalle promesse di pace e stabilità alla realtà dei trattati e dell’austerità”, presso l’Istat, il 12 giugno 2019

John Henry Fuseli The NightmareL’integrazione economica e valutaria europea (Uem), secondo i suoi artefici, avrebbe dovuto condurre alla convergenza tra le economie dell’Europa ed essere di aiuto nell’affrontare le crisi economiche. In realtà, a distanza di vent’anni dall’introduzione della moneta unica, le divergenze tra i Paesi europei si sono accresciute. Inoltre, a più di dieci anni dallo scoppio della crisi economica si è dimostrato come le economie europee siano ancora stagnanti e anzi sempre pronte a ripiombare nella crisi. Di recente, infatti, l’Istat ha valutato come probabile una nuova contrazione del Pil italiano nel secondo semestre dell’anno in corso1.

Tutti gli indicatori più importanti ci mostrano come la divergenza tra Germania, da una parte, e gran parte dei Paesi dell’area euro si sia accresciuta. Di particolare evidenza è la divergenza tra Germania e Italia. Per quanto riguarda il Pil pro capite, calcolato a prezzi costanti e a parità di potere d’acquisto, la differenza, che nel 1998 era minima, nel 2018 è più che decuplicata. Infatti nel 1998 il Pil pro capite italiano rappresentava il 119,2% del Pil pro capite della Ue mentre quello della Germania era il 121,7%, con una differenza di poco più di due punti percentuali. Nel 2018, invece, il Pil italiano rappresentava appena il 93,7% del Pil Ue, mentre quello tedesco di attestava al 120,8%, con una differenza di 27 punti (Graf.1).

Graf. 1 – Confronto Italia Pil Pro capite a prezzi costanti e a parità di potere d’acquisto (in % su Pil pro capite Ue; Fonte: nostre elaborazioni su dati Oecd)

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e l

Con le elezioni sconfitta la politica europea

di Antonio Lettieri

I risultati elettorali testimoniano il fallimento della linea adottata negli ultimi dieci anni. Un cambiamento radicale è richiesto e possibile. Ma rimane incerto 

spural time 1 600x400Uno dei meriti più evidenti di un regime democratico è che il periodico svolgimento delle elezioni consente di definire la continuità o l'alternanza dei governi. Ciò è particolarmente evidente nel sistemi bipartisan come negli Stati Uniti e, con alcune variazioni, in Giappone e, fino in tempi recenti, in Germania nel Regno Unito, dove uno dei due partiti principali può, da solo o in coalizione con un secondo partito, formare un nuovo governo.

Nel caso dell'Unione europea, la maggioranza del Parlamento europeo è stata stabilmente formata, nel corso di 40 anni, da due partiti dominanti: il conservatore e il socialdemocratico. La novità è che con le elezioni di maggio questi due partiti per la prima volta non hanno più la maggioranza assoluta. Una svolta storica importante. Ma che non impedisce la creazione di una nuova maggioranza, ricorrendo a uno o due partiti collaterali su una piattaforma comune sostanzialmente orientata alla continuità della vecchia politica europea.

Tomasi di Lampedusa, autore del "Gattopardo", avrebbe potuto ribadire, riferendosi alle elezioni europee di maggio, che "se vogliamo che le cose rimangano come sono, le cose dovranno cambiare".

 

Qualche interrogativo

Ma i risultati elettorali ci forniscono effettivamente un quadro in grado di avvalorare una prospettiva di pura continuità? Se diamo uno sguardo ai principali quattro paesi dell’Unione europea, che da soli comprendono la maggioranza della sua popolazione, i colori diventano molto più sfumati e il futuro molto meno certo.

Per cominciare, in Gran Bretagna il Brexit Party di Nigel Farage ha stravinto la prova elettorale col 31 per cento dei voti. Non sappiamo se l'uscita della Gran Bretagna dall'UE sarà decisa entro il prossimo autunno o se sarà aperto un nuovo negoziato. Ma qualcosa di nuovo è già successo: i Laburisti e i Conservatori, da oltre mezzo secolo tra i protagonisti della politica europea, escono dalla prova elettorale con la più grave sconfitta della loro storia.

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scenari globali

Le asimmetrie della zona euro. Ci vuole più Europa e meno Europa?

di Sergio Farris

81OMWL6Sq1LIl processo di aggregazione dei paesi europei è il portato dell’ideologia del libero mercato, condotta ai suoi estremi. L’unificazione monetaria rappresenta l’apice di tale processo.

La storia che ha condotto all’euro è una storia tutta incentrata su tentativi di ricostituire un accordo di cambio valutario dopo la cessazione del sistema di Bretton Woods, avvenuta nel 1971. Risiede alla sua base il postulato che – innanzitutto – l’integrazione dei mercati incentivi gli scambi internazionali e rechi vantaggi generalizzati; oltreciò, tale risultato si otterrebbe tramite l’abolizione di fattori di impedimento o di incertezza per gli scambi commerciali e la circolazione finanziaria.

L’euro, in particolare, è il risultato di diverse esigenze, condensate in un compromesso: da un lato la Germania – da sempre titubante per via della propria concentrazione sul pericolo dell’inflazione -, la quale ha acconsentito all’istituzione della moneta unica dopo varie proposte avanzate nei decenni, da parte francese. Pare che, alla fine, la Germania abbia acconsentito all’istituzione della moneta unica con l’occhio rivolto alla possibilità di difendersi dalle svalutazioni competitive dei vicini e, si dice, anche per ottenere il via libera alla riunificazione. Dall’altro lato la Francia, con le sue mire rivolte a contenere il potere del marco e altri paesi – come l’Italia – preoccupati dell’inflazione, dovuta anche alle svalutazioni e alle fluttuazioni dei tassi di cambio (oltre che mossa dalla richiesta padronale di frenare la dinamica salariale).

Ne è emerso un modello fondato sull’esasperazione della concorrenza e sull’ossessione per l’inflazione (i sistemi di cambio valutario fisso hanno infatti – quale costante giustificazione, il timore per l’inflazione e per i presunti danni che l’incertezza derivante dalle oscillazioni del cambio arrecherebbe alle relazioni di mercato).

Nell’ambito del mercato comune è, come si sa, consentito il libero movimento di capitali, lavoro, beni e servizi. La politica monetaria è unica, è cioè valida per l’intera unione.

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La verità (che li spaventa) sui minibot

di Piemme

euro feticismoMartedì 28 maggio il Parlamento ha approvato all'unanimità una mozione che impegna il governo a rendere possibile il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese creditrici con titoli di Stato di piccolo taglio, altrimenti denominati MiniBoT.

Contro i MiniBoT è giunta fulminea la scomunica di Draghi — «O sono moneta, e allora sono illegali, oppure sono debito e quindi lo stock sale. Non vedo altra possibilità» — si sono scatenati contro, oltre a Moody's, non solo i suoi mastini di guerra — a cominciare dal ministro Tria con piddini, berluscones e giornalisti al seguito — ma pure comunisti presunti, gli improbabili economisti di Coniare Rivolta, e neofascisti in pectore come l'avvocato (del diavolo) Marco Mori.

 

Ma andiamo con ordine

Cosa sono infatti i Buoni ordinari del Tesoro (BoT)? Spiega il Mef:

«Sono titoli a breve termine, ovvero con durata non superiore a un anno, privi di cedole; il rendimento infatti è dato tutto dallo scarto d'emissione».

Detto in parole semplici: chi compra un BoT presta i suoi euro allo Stato in cambio di un titolo, ma non incasserà alla scadenza alcun interesse, otterrà un guadagno solo ove il valore d'emissione sia inferiore a quello nominale — può evidentemente accadere il contrario. Ogni anno lo Stato lancia dei BoT e li mette all'asta. Per la cronaca: l'ultima asta, che c'è stata proprio ieri (BoT con scadenza al 12 giugno 2020) ha avuto una domanda per quasi 10 miliardi di euro.

Un "MiniBoT" (salvo "sorprese", che più avanti vedremo) è un BoT come gli altri, niente di più niente di meno. Il suffisso "mini" sta ad indicare, così recita la mozione parlamentare, che con la liquidità ottenuta lo Stato non va a finanziare il debito pubblico (in essere o futuro) ma ci rimborsa le aziende che per lo Stato hanno prestato dei servizi. Come mai una misura tanto modesta, del tutto lecita e tutt'altro che eversiva (non a caso votata, salvo patetici mea culpa successivi in modo bypartisan) sta suscitando tutto questo grande casino?

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Il nostro “no” socialista all’Unione europea

di Thomas Fazi

folla di concerto 6996410Sarebbe un errore considerare il processo di processo di integrazione economica europea un fallimento. Dal punto di vista degli obiettivi delle classi dominanti – indebolimento delle classi lavoratrici ed esautoramento della democrazia – si è rivelato uno straordinario successo. L’Unione europea e in particolare l’architettura di Maastricht, infatti, possono essere considerate la risposta delle oligarchie europee alla crisi della democrazia – intesa come “eccesso di democrazia” – denunciata dal celebre rapporto del 1973 della Trilateral Commission. I vari “vincoli esterni” europei – dal cambio semifisso del Sistema monetario europeo (SME) alla liberalizzazione dei movimenti di capitali per mezzo della creazione del mercato unico fino all’introduzione della moneta unica – hanno permesso alle varie élitenazionali (in particolare quella italiana) di perseguire obiettivi di politica economica – finalizzati all’esautoramento delle conquiste democratiche ed economico-sociali che erano state precedentemente raggiunte dalle classi subordinate – che altrimenti sarebbero stati molto più difficili, se non impossibili, da realizzare. Come ammise lo stesso Guido Carli, l’Unione europea è stata lo strumento per «sconvolgere la Costituzione materiale del paese», obiettivo che sarebbe stato impossibile da ottenere «per le vie ordinarie del governo e del Parlamento»[1].

In questo senso, risulta estremamente superficiale la lettura che vede l’Europa come un Moloch che impone il proprio volere agli Stati nazionali: al contrario, il più delle volte (sebbene non sempre) “l’Europa” è precisamente il dispositivo attraverso il quale una parte della comunità nazionale – l’élite – impone le proprie politiche al resto della comunità nazionale. È il celebre “ce lo chiede l’Europa”. In questo senso, la moneta unica incarna quello che Edgar Grande chiama il «paradosso della debolezza», per cui le élite nazionali trasferiscono una parte del potere a un decisore sovranazionale (apparendo in tal modo più deboli) per essere in grado di sopportare meglio la pressione da parte degli attori sociali, asserendo che «lo vuole l’Europa» (e divenendo così più forti)[2]. Come dice Andrew Moravcsik: «Gli impegni vincolanti della UE permettono ai governi di varare riforme impopolari nei loro paesi, e nel contempo darne la colpa alla UE, anche se essi stessi desideravano attuarle[3].

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utopiarossa2

Euro al capolinea?

Sul libro di Bellofiore, Garibaldo e Mortágua

di Michele Nobile

copertina9086È necessario uscire dall’euro? Potrebbe essere questa, se non la panacea per i problemi sociali italiani, almeno la condizione necessaria per iniziare a invertire l’orientamento antipopolare della politica economica e sociale? È questo un obiettivo per cui devono battersi lavoratrici e lavoratori, giovani e pensionati in Europa?

Se si vuole approfondire la questione è utilissimo il libro Euro al capolinea? La vera natura della crisi europea, Di Riccardo Bellofiore, Francesco Garibaldo e Mariana Mortágua (Rosenberg & Sellier, Torino 2019), strutturato in due lunghi saggi e due appendici. È convinzione degli autori che

«l’euro faccia parte di una strategia più ampia - condivisa dalle élite economiche e finanziarie nazionali - di riorganizzare i capitali singoli e di comprimere i diritti della classe lavoratrice, attraverso l’accelerazione della liberalizzazione fianziaria e la maggiore esposizione delle economie nazionali alla concorrenza internazionale» (p. 81).

E tuttavia, pensare di por fine al cosiddetto neoliberismo uscendo dall’euro è un’illusione. Il libro spiega bene perché sia sbagliato il presupposto economico alla base di questa idea e perché, per cambiare la direzione prevalente delle politiche economiche e sociali, una strategia politica realistica debba avere una dimensione internazionale. Di seguito ne espongo le tesi principali, con qualche mia considerazione; le conclusioni politiche dell’ultima sezione sono mia unica responsabilità personale.

Uscire o no dall’euro è in realtà un dilemma falso e fuorviante, quando si considerino il livello d’integrazione dei capitalismi europei, le ragioni di fondo della cosiddetta crisi del «debito sovrano» e la dimensione dei problemi strutturali su scala continentale. La risposta di Bellofiore, Garibaldo e Mortágua a questi ultimi è che

«Essi resuscitano il conflitto sul “come”, “quanto” e “per chi” produrre, che furono al centro delle lotte del mondo del lavoro negli anni Sessanta e Settanta del Novecento. A esse deve rispondere una politica di socializzazione dell’economia (socializzazione dell’investimento, socializzazione dell’occupazione, socializzazione della banca) e di “buoni” disavanzi statali, “programmati” e mirati alla produzione di valori d’uso sociale per il tramite di un intervento sulla composizione della produzione e di occupazione diretta dello Stato, un vero e proprio “piano del lavoro”» (p. 86).

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politicaecon

Europeisti no, realisti sì

Risposta ai critici

di Sergio Cesaratto

Indossato l'elmetto per le bombe che pioveranno, ecco una risposta più articolata alle critiche all'intervista al sussidiario.net

CESARATTO LIBROUn mia recente intervista ha fatto sollevare più di un sopracciglio ai miei amici, per metterla all’inglese. Uno di questi, che ringrazio, mi ha dedicato addirittura un editoriale su Sollevazione (luogo appropriato per la detta espressione facciale). Leonardo Mazzei riassume quanto dico in quattro punti:

1) «i parametri di Maastricht hanno perfettamente senso».

2) “alla lettera UE bisogna dare «una risposta ragionevole con proposte ragionevoli e non sgangherate, come sbattere i pugni sul tavolo o minacciare di ribaltare i trattati»”.

3) un “invito al governo italiano affinché lavori al seguente compromesso: «L’Europa dovrebbe aiutarci ad abbassare drasticamente i tassi d’interesse sui nostri titoli pubblici e l’Italia impegnarsi, firmando un memorandum, a una stabilizzazione, non riduzione, del rapporto debito/Pil».

4) “lo strumento "per cambiare l'Europa", ... per Cesaratto è l'aumento progressivo del "bilancio federale", obiettivo da raggiungere anche alleandosi con Macron”.

Forse è bene ricontestualizzare certe affermazioni che, come le mette Mazzei, mi farebbero preoccupare di me stesso.

 

1. L’analisi economica delle unioni monetarie

Sono sempre stato sospettoso dell’attacco semplicistico ai “parametri di Maastricht”. Facciamo un passo indietro. Le unioni monetarie si dividono in sostenibili (o complete) ovvero insostenibili (o incomplete).

Sono sostenibili le unioni monetarie che: a) sono fra paesi abbastanza omogenei da avere bilance commerciali fra loro in equilibrio (non importa che siano in equilibrio quelle verso l’esterno dell’unione, questa può sempre svalutare la propria divisa per aggiustare il disavanzo esterno); o che b) sebbene non completamente omogenei economicamente, sono sufficientemente omogenei politicamente per cui si dotano di meccanismi compensativi degli squilibri che l’unione monetaria può portare. Gli Stati Uniti sono una via di mezzo fra i casi a) e b).

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Quei pregiudizi sul debito

di Claudio Conti

1024x576LaStampa.itPer una volta ci perdonerete. Vi proponiamo l’editoriale di Guido Salerno Aletta su Milano Finanza praticamente senza ulteriori commenti e riflessioni.

Viene qui smontata, tecnicamente, la narrazione sulle cause strutturali del debito pubblico eccessivo dell’Italia, alla vigilia dell’apertura della procedura di infrazione. Si tratta di una prima assoluta, e come tale destinata a fare scuola e giurisprudenza europea. Così com’è stato per la “tutela della Troika” sulla Grecia, con Tsipras alla guida.

Qui c’è un governo di destra, ma lo schema contro le ambizioni di “cambiamento” si applica lo stesso. Per recuperare – come con Tsipras – c’è sempre tempo…

Come per la Grecia, probabilmente “dopo” ci chiederanno scusa per avere esagerato. Ma è il principio “puniscine uno per educarne 26” (gli altri membri dell’Unione Europea): a chi tocca non s’ingrugna…

L’analisi tecnica aiuta a individuare la ragione politica dietro decisioni e giustificazioni che vengono presentate come “scientifiche”, come dati oggettivi e ricette (“buone pratiche”) per cui non esisterebbe alternativa. E invece proprio l’analisi tecnica mostra e dimostra che di “oggettivo”, nei trattati europei e nella governance attuale, non c’è neanche l’odore.

La ragione politica, però, non sta in un presunto “odio per l’Italia”. Anzi, è dettata da fin troppo amore. Non per il paese o la sua popolazione, ma per le sue ricchezze, il suo know how, il patrimonio immobiliare ed il risparmio.

Risorse calcolate in oltre 9.000 miliardi di euro, quote di mercato globale più complicate da calcolare ma comunque ancora rilevanti, marchi e merci che si vendono ad occhi chiusi, ecc; ma che fanno gola a un sistema finanziario con l’acqua alla gola (basti guardare la tecnicamente fallita Deutsche Bank che si è appropriata di 20 tonnellate di oro venezuelano) e a multinazionali manifatturiere arretrate sul piano tecnologico e in difficoltà estrema nella “competizione” che si è aperta tra Stati Uniti, Cina e altri grandi attori.