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La crisi Europea
di Sam Fleming, Jim Brunden, Michael Peel
“Sotto la crisi cui è in preda il mondo si possono scoprire gli indizi di una logica all’opera e questo ci permette di conservare fiducia nello sviluppo futuro”
Figure dell’immanenza. Una lettura filosofica del I Ching, François Jullien
Pubblichiamo la traduzione dell’articolo: Crisi in Europa: l’audace offerta di von der Leyen per nuovi poteri, apparso nella sezione “the Big Read” del prestigioso quotidiano economico finanziario britannico “Financial Times”.
Si tratta di un articolo, scritto a “sei mani” dai tre corrispondenti del giornale a Bruxelles, che ricostruisce l’attuale dibattito nei centri decisionali dell’Unione Europea rispetto alla politica economica da adottare.
Un momento topico, quello che sta attraversando l’UE, che rischia di mettere in discussione le sue aspirazioni, o come si esprime un anonimo funzionario intervistato dai giornalisti: “una questione di sopravvivenza per il mercato interno e il progetto europeo”.
Il contributo fa emergere tra le righe lo stile di lavoro della presidente della Commissione Europea, mostrandoci quale sia il reale processo decisionale nelle “stanze dei bottoni” a Bruxelles. In un passaggio preceduto da ciò che i latini avrebbero definito captatio benevolentiae – “procurarsi la simpatia” – i giornalisti ci informano che:
“Tuttavia, questa attenzione ai dettagli è stata affiancata da ciò che alcuni critici vedono come una mancanza di coordinamento politico ai vertici della commissione e una dipendenza eccessiva da un piccolo gruppo di consulenti di fiducia – alcuni dei quali sono venuti con lei da Berlino – per condurre un gruppo amministrativo di 32.000 membri.”
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La Corte costituzionale tedesca spinge l’Italia tra le braccia del Mes
di Alessandro Somma
Uso e abuso della politica monetaria europea
Le misure di politica monetaria hanno sempre effetti di politica economica: la prima è una irrinunciabile componente della seconda. Proprio per questo l’Unione europea, competente in via esclusiva a dettare la politica monetaria, è riuscita ad imporre agli Stati membri scelte concernenti la politica economica, che pure è formalmente di loro esclusiva competenza. Determina cioè effetti in linea con l’approccio neoliberale alla spesa pubblica nel momento in cui stabilisce il costo e la disponibilità del denaro per promuovere la stabilità dei prezzi, e dunque per tenere bassa l’inflazione. Impedendo così di perseguire finalità contrastanti, come in particolare la piena occupazione, anche quando questa figura tra gli obiettivi di politica economica contemplati dalle Carte fondamentali nazionali: come affermato ad esempio nella Costituzione italiana (art. 4).
Se così stanno le cose, la recente sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Quantitative easing, quello varato dalla Banca centrale europea sotto la Presidenza Draghi, non dice certo nulla di nuovo. Afferma che la misura, formalmente adottata per favorire il raggiungimento di un tasso di inflazione funzionale a ottenere la stabilità dei prezzi, produce effetti di politica economica. E non potrebbe essere altrimenti: l’acquisto di titoli sul mercato secondario inevitabilmente «migliora le condizioni di rifinanziamento degli Stati membri perché questi possono ottenere credito nel mercato finanziario a condizioni decisamente migliori», e questo «indubbiamente sgrava» il loro bilancio e aumenta gli spazi di manovra fiscale (sentenza del 5 maggio 2020).
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Economia e situazione dell’Unione Europea
di Marco Zuccaro
La crisi attuale, nata come emergenza sanitaria, avrà effetti devastanti sul piano economico e sociale, investendo la costruzione stessa della UE. Per capire cosa ci prospetta il futuro, occorre prendere in considerazione delle visioni alternative rispetto ai luoghi comuni del nostro tempo.
La MMT, spesso bollata come pseudo-scienza, è invece stata recentemente nominata nientemeno che da Mario Draghi come una nuova concezione da discutere in seno alla BCE. Perciò è possibile iniziare a ripensare alcuni concetti-guida sotto la sua prospettiva.
Per spiegare in modo semplice i principi esposti da teorie come la MMT o il Circuitismo occorre che tutti i cittadini, anche quelli che non si sono mai interessati all’economia, prendano piena consapevolezza di che cosa sia il “debito pubblico”, giacché tale argomento è stato l’assoluto protagonista della narrazione politica e giornalistica degli ultimi decenni: una vera costante, che ha finito col confondere molti.
Anzitutto va chiarito che il debito pubblico non è il debito dei cittadini, perciò ogniqualvolta ci si ritrovi a leggere che esso “pesi sulle spalle” dei cittadini (o delle generazioni future), quasi fosse un debito pro capite, si rammenti che cittadini e famiglie che acquistano titoli di debito pubblico non contraggono alcun debito privato, anzi, è vero l’opposto: divengono creditori verso lo Stato. Si potrebbe giustamente dire che al debito dello Stato corrisponda un credito di famiglie, banche, aziende, investitori e così via.
Ci si potrebbe chiedere quale sia la funzione del debito; ebbene, per rispondere a questa domanda ci si dovrebbe interrogare sulla provenienza della moneta e sul funzionamento del sistema economico tutto.
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Hans-Werner Sinn, “La costituzione tedesca e la sovranità europea”. Cronache del crollo
di Alessandro Visalli
Avevo chiuso l’ultimo post[1] individuando come via di uscita dalla ordalia[2] chiamata dalla Germania un’uscita unilaterale della stessa, o la resa latina (con conseguente aggressione finale dei mercati ai più deboli). Certo ci sono anche una serie di possibilità di mezzo e di rinvii, ma rimandano solo l’inevitabile definizione della battaglia finale per l’Europa che è stata avviata.
Per rendere più chiaro il terreno di gioco e le poste designate interviene una delle voci più autorevoli della destra economica tedesca, ovvero Hans-Werner Sinn. In un breve articolo[3] su “Project Syndacate” diffida la Commissione dall’avanzare una procedura di infrazione verso la Germania, conferma la natura eminentemente politico-istituzionale dello scontro, e indica quale unica via di uscita la creazione di un’unione politica realmente indipendente, nella quale si parta dalla protezione militare e nucleare autoctona. Ovvero propone uno scambio di unione fiscale verso condivisione della capacità nucleare, e dei relativi eserciti, alla Francia.
Bisognerà richiamare un lontano antefatto. Quando terminò la Seconda guerra mondiale la Germania era distrutta fisicamente, umiliata moralmente, ed occupata militarmente da tutte le potenze alleate. Si avviò un lungo gioco egemonico e di confronto militare nel quale, fino al crollo sovietico, la posta principale era il controllo dell’Europa, per impedire che potesse passare nel campo avverso. Cruciale in questo gioco è sempre stato il controllo delle due potenze sconfitte, sia militarmente sia ideologicamente. Ovvero di Germania e Italia. Ma, ovviamente, soprattutto della prima. Non è affatto un caso che la “guerra fredda” abbia coinciso con la pace europea e con l’occupazione militare perdurante dei paesi di cui sopra citati. Ci sono alcuni corollari: l’Europa non è più da considerare il centro del mondo, dopo il “suicidio” determinato dalle due grandi guerre questo si è spostato fuori (inizialmente Usa e Urss, ed ora Usa e Cina, con la Russia a fare da terzo ballerino).
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... E Mes-sia!
di Massimiliano Bonavoglia
Con la sentenza del 5 maggio, la corte costituzionale tedesca ha sostenuto che la BCE, nell’attuare misure come il Q.E. voluto da Draghi dal 2015 che applicavano il whatever it takes, abbia infranto la misura della proporzionalità nel sostenere i Paesi dell’eurozona. Non solo, si è anche rivolta sia al governo tedesco, sia al parlamento tedesco, rilevando che queste istituzioni nazionali non hanno vigilato ed eccepito in merito, a difesa degli interessi nazionali. Non solo. Si è anche rilevato che la corte di giustizia europea non ha vigilato sull’operato della BCE e non ne ha limitato l’azione. Quindi riassumendo, in una articolata e complessa sentenza, la corte costituzionale tedesca, ossia il massimo organo giuridico nazionale di un paese europeo, anzi, del paese egemone in Europa, ha criticato diverse istituzioni nazionali e internazionali: il parlamento tedesco, il governo tedesco, la BCE e la corte di giustizia europea. Nessuna di queste quattro istituzioni, due nazionali, due europee, hanno fatto il proprio dovere secondo la corte costituzionale tedesca. Nonostante i numerosi trattati europei, dice la corte tedesca, la sovranità spetta ancora agli Stati nazionali che hanno solo conferito mandati con la sottoscrizione dei trattati, per spazi d’azione limitati che, qualora dovessero risultare violati da parte della azione della BCE, o del MES, che ne sostituisce l’azione di politica monetaria attraverso la politica economica di aggiustamenti macroeconomici per i Paesi in difficoltà, la corte costituzionale tedesca si riserva il compito di indagare e chiedere spiegazioni. Interessante che secondo la corte costituzionale tedesca, la sovranità appartiene ancora agli Stati della UE, non è stata ceduta a titolo originario, ma solo con un mandato, che in quanto tale è rivedibile. Si gettano le fondamenta per la Germanexit, in un conflitto istituzionale tra un Paese membro (e quale Paese!) e la Corte Costituzionale europea delegittimata e messa sul banco degli imputati. Lo stesso per la banca centrale europea.
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La sentenza della Corte tedesca. Chi ha orecchie per intendere, intenda
di Vadim Bottoni
La Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe il 5 maggio ha emesso una sentenza che ha prodotto uno scossone nelle testate d’informazione internazionali, da Bloomberg al Financial Times, che l’hanno etichettata come “dichiarazione di guerra” o “bomba” verso le istituzioni dell’UE. I media nostrani sembrano invece ancora un po’ balbettanti, ma tant’è che la Corte tedesca ha inviato un vero e proprio diktat alla BCE per giustificare, entro tre mesi e alla luce di principi che vedremo poi, la parte più rilevante del famigerato Quantitative easing (più correttamente PSPP), avviato circa cinque anni fa.
Ci stiamo riferendo a quella misura di politica monetaria non convenzionale che agli occhi di molti aveva “minimamente” reso la BCE assimilabile alle Banche centrali degli altri paesi avanzati e che oggi, in piena crisi economico-sanitaria, rappresenterebbe l’ultimo baluardo di sostegno alle economie dei paesi del sud Europa.
Avviato nel 2015 il PSPP è un consistente programma di acquisto da parte della BCE di titoli emessi da Stati sovrani dell’Eurozona per contrastare il sentiero deflattivo segnato dal crollo della domanda aggregata imputabile, in gran parte, all’austerità imposta ai Paesi periferici dell’Eurozona, oltre che a un rallentamento generale dell’economia post-crisi. Alcuni dubbi accompagnarono tale misura, infatti diversi analisti sottolinearono tanto il ritardo nell’implementazione di una operazione considerata indispensabile quanto la criticità della mancata condivisione dei rischi, per volere innanzitutto della Germania: per tale criticità la grandissima parte dei rischi derivanti dall’acquisto titoli avrebbe dovuto essere sopportata dalle stesse banche centrali nazionali e quindi ricadere sui singoli Stati membri, nonostante il cosiddetto sistema unico delle Banche centrali che vede al vertice la BCE.
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Verso lo scontro finale? Germania, Ue e cronache del crollo
di Alessandro Visalli
Era atteso, la parte dominante della società tedesca, quella che vive delle rendite derivanti dall’enorme surplus commerciale che l’euro ha contribuito in modo decisivo a regalare in questi anni, non sopportava più di vedere messi a rischio, e comunque annullati, i suoi rendimenti. La rudimentale visione delle interconnessioni e delle relazioni causali che l’opinione pubblica tedesca ha non riusciva a comprendere che la disperata compressione della domanda interna, imposta a tutta Europa dalla ortodossia ordoliberale, produce come effetto sia i surplus commerciali (e quindi il flusso dei profitti) sia la necessità di annullare i tassi ed il costo del denaro per sostenere disperatamente il sistema sull’orlo del crollo. Quindi non riusciva a capire che gli odiati tassi negativi, che distruggevano le rendite finanziarie degli anziani compatrioti, mettevano in costante sofferenza gli istituti di credito e assicurativi del paese, erano il verso della necessaria moneta con la quale i lavoratori privilegiati dei settori di esportazione e le grandi fabbriche di successo, orgoglio del paese, ottenevano i loro successi.
Hanno quindi deciso di rompere il giocattolo.
Ma quando i tedeschi fanno una cosa, tendono a farla fino in fondo, radicalmente, non sono come noi latini, che teniamo sempre un’aria sfocata, lasciamo che tutto resti indeciso e siamo pronti a cambiarlo. Quindi al livello più alto possibile, quello che non ha appello possibile, hanno rotto tutto.
La Corte Costituzionale ha dichiarato niente di meno che la gerarchia delle fonti europea va rovesciata e che la Banca Centrale Tedesca deve rispondere a loro, invece che al sistema della Bce alla quale appartiene da quando la Germania stessa ha firmato il Trattato di Maastricht.
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L’Europa spiegata semplice
di Giovanni Dall'Orto
Parlando con amici di quanto stanno discutendo i giornali rispetto a MES, monetizzazione del debito, eurobond, sentenza della Corte Costituzionale tedesca, mi sono reso conto del fatto che i termini della questione tendono a sfuggire a molti, perché i giornali, intenzionalmente, non vogliono presentare il problema nei suoi termini. Che sono semplici, ma che vengono resi complicati per non fare crollare la favola bella dell’euro e del “più Europa”.
Iniziamo dal denaro. Quasi tutti coloro che conosco parlano di “Stato che stampa denaro” o che “non deve stampare denaro se no abbiamo l’inflazione come la Germania di Weimar”.
Ma il denaro non viene “stampato” dallo Stato. Il denaro viene “creato“. Dalle banche. Il cosiddetto “circolante”, cioè monete, e banconote effettivamente a stampa, costituisce solo una piccola parte di tutto il denaro esistente (non ricordo più esattamente quanto, l’ultima volta che ne avevo letto era una percentuale sotto il 10%).
Capire il concetto è in realtà facile. Quanto denaro liquido possedete in tutto? E quanta parte di esso ha forma fisica di banconote e monete, e quanta invece è una semplice registrazione di un numero sul vostro conto corrente di una banca o ufficio postale? O di un credito presso un’assicurazione? O di un investimento? Ecco, quello è tutto denaro “non stampato”. Ma che esiste. Ed è il 90% del denaro. In pratica, il denaro “stampato” “dallo Stato” è l’eccezione, non la regola. Il denaro è oggi, per la gran parte, una scrittura contabile, un’annotazione in un computer.
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La bomba è l’Italia. La crisi dell’UE è imminente
di Wolfgang Streeck*
“Noi vorremmo sapere… per andare dove dobbiamo andare… per dove dobbiamo andare?”
La battuta di Totò resta inarrivabile come sintesi del dibattito politico nella “sinistra” italiana, soprattutto quando si tratta di affronatre le coordinate fondamentali della realtà in cui ci troviamo a vivere. Ossia su struttura e gerarchia dei poteri (economici, politici, militari), stato della crisi capitalistica, ruolo dello Stato e quel “piccolo vincolo esterno” rappresentato dalla stratificazione di Trattati e istituzioni che costituiscono l’Unione Europea.
Senza un briciolo di chiarezza su questo mondo – certamente complesso – si è condannati a brancolare nel buio della regione. Tra patetici tentativi di usare le antiche categorie per nuovi fenomeni, o all’opposto di buttare a mare un patrimonio di idee e chiavi di lettura che non si riesce ad utilizzare.
Di base, quel che manca è lo studio della realtà empirica. Che è complicata, praticamente inaffrontabile con le risorse solo individuali e anche di piccoli gruppi. Ma camminare su un terreno sconosciuto espone ogni momento a rischi enormi, e a figuracce frequenti.
La scorsa settimana, solo per quanto riguarda l’ultimo (e persino il meno potente) dei “poteri forti” prima nominati, l’Unione Europea, si sono registrati due momenti importanti. Il primo è stata la sentenza della Corte Suprema tedesca, che ha dato tre mesi di tempo alla Bce per “giustificarsi” sulle politiche monetarie troppo “lassiste” degli ultimi anni.
Il secondo è stato l’”accordo” raggiunto nell’Eurogruppo per imporre il Mes (Meccanismo Europeo di Statbilità) come unico – al momento – strumento finanziario a disposizione dei governi per far fronte ai costi e ai danni della pandemia. Abbiamo smontato più volte la menzogna spudorata sull’”assenza di condizionalità”, e quei contributi rimandiamo senza tornarci.
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La sentenza di Karlsruhe del 5 maggio e l'evocazione del MES
Cosa vuole veramente la Germania?
di Quarantotto
Come già avvenuto per il precedente post, pubblichiamo un brano, del libro di prossima pubblicazione, concernente la più stretta attualità; si tratta di un estratto di alcune delle complessive considerazioni che derivano dall'analisi del contenuto e degli effetti della sentenza della corte costituzionale tedesca del 5 maggio 2020 (compiuta dopo la sua pubblicazione).
La parte qui riprodotta riguarda più direttamente il merito economico di tale effetti.
Ma, come vedremo, una disamina logicamente rigorosa fa emergere l'abile strumentalità (tattica), della presa di posizione ostentata con la sentenza, rispetto a un più ampio obiettivo: quello di restaurare la German dominance nell'Unione europea.
Un obiettivo che in realtà non esige neppure l'integrale recepimento da parte della BCE.
La Germania, infatti, alzando la posta in gioco nella contesa sulla flessibilità di applicazione delle regole dell'eurozona, si pone in una situazione win-win: da adesso in poi, la BCE e la Commissione dovranno assolvere un onere della prova molto più rigoroso riguardo alla necessità di interpretazioni flessibili ed "evolutive" del quadro normativo dell'eurozona.
E questo appesantimento delle cautele imposte per poter legittimare le varie forme di tolleranza nell'allentamento della morsa deflazionistica, rafforzandosi la priorità di un pronto ritorno alla logica del consolidamento fiscale, è già una vittoria per la Germania.
Quantomeno nel suo impatto sulla visione che, già di suo, possiede la classe politica italiana.
...
f) In coerenza con l’anomalia di quanto appena evidenziato, risulta pure il passaggio della pronuncia relativo alla specificazione degli effetti di politica economica il cui “proporzionale” accertamento sarebbe mancato da parte della BCE e che la CGUE sarebbe stata metodologicamente incapace di rilevare.
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La Covid19 Economics e il trionfo europeo dei Chicago Boys
di Sargent Pepper
Effimera è venuta in possesso di alcune lettere scritte da un conservatore americano lobbista a Bruxelles e amante dei Beatles – che, per rispetto della privacy, abbiamo ribattezzato con uno pseudonimo: Sargent Pepper. Sono lettere indirizzate a un suo anziano collega ricoverato in una casa di riposo … In tempi di corona virus i postini a volte si disfano della corrispondenza per evitare luoghi pericolosi come le case di cura lombarde, ove è facile rimanere contagiati. Hans Iacob Stoer l’ha trovata e ora Effimera pubblica la traduzione del testo apparso a Gottingen in lingua inglese, traduzione del prof. Ferrante Pallavicino
“See the worst thing about doing this
Doing something like this
Is I think that at first people sort of are a bit suspicious
‘You know, come on, what are you up to?’
The Beatles, A day in the life, 1967
1. Caro XXXXX è difficile immaginare il futuro quando si resta a casa a guardare dalle finestre.
È ancora più difficile quando si è in preda ad un bombardamento mediatico che ripete incalzante ritornelli insopportabili.
Fra questi ce ne sono alcuni che abbiamo costruito con dovizia proprio noi: i Chicago Boys.
Ed io sono uno di loro che, come tanti, ha trovato lavoro in Europa. Faccio parte di quel mondo di confine fra i funzionari di Bruxelles e le Università in cui si insegnano soprattutto le nostre teorie economiche. Teorie economiche che dominano la vostra visione politica. È ciò di cui mi hai chiesto di parlare durante la nostra ultima telefonata, e allora, sperando che possa mantenere vivo il tuo antico senso critico, parliamone, ricorrendo alle nostra amatissima carta da lettere.
2. Siamo in deflazione da molto tempo, soprattutto in Europa: siamo cioè in una situazione di diminuzione generale del livello dei prezzi. La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè deriva da un freno nella spesa di consumatori e imprese.
Qualche dato: l’inflazione della zona euro a marzo è calata di mezzo punto percentuale rispetto al mese precedente, scendendo dall’1,2% allo 0,7%: cibo, alcol e tabacco hanno il tasso annuale più alto (2,4% rispetto al 2,1% di febbraio), seguono i servizi (1,3% dall’1,6% del mese precedente), i beni industriali non energetici (stabili allo 0,5%) e l’energia (-4,3% dal -0,3% di febbraio).
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Dal coronavirus al debito
di Alessandro Somma
Come l’emergenza sanitaria consolida le relazioni di potere tra Paesi europei
Rapporto di debito e governance europea
Se dal punto di vista formale il rapporto di scambio è una relazione tra pari, lo stesso non può dirsi per il rapporto di debito. Esso è sempre una relazione tra diseguali: tra un creditore egemone e un debitore subalterno, il primo interessato a protrarre nel tempo lo stato di soggezione per assicurarsi un regolare flusso di denaro, ma anche e soprattutto per mantenere a lungo il controllo sul secondo. Questo vale per le persone, ma non solo per esse: pure le comunità politiche, inclusi evidentemente gli Stati, utilizzano il debito per esercitare potere. E anche in questo caso il rapporto debitorio costituisce un dispositivo di governo della produzione e riproduzione di soggettività[1], quelle individuali esattamente come quelle collettive.
L’Unione europea ha elevato il rapporto di debito a paradigma delle relazioni tra gli Stati membri. Lo ha fatto alimentando politiche monetarie e di bilancio concepite ad arte per riservare ad alcuni Paesi lo status di creditori e imprigionare altri nel ruolo di debitori. Certo, tutti gli Stati sono debitori, se non altro perché l’indebitamento sovrano si è imposto come espediente attraverso cui il capitalismo ha guadagnato tempo: ha consentito di finanziare il welfare e di rimandare così la sua crisi in quanto ordine in costante frizione con la democrazia[2]. Non tutti sono però debitori allo stesso modo: alcuni Paesi sono capaci di controllare la produzione della disciplina monetaria e di bilancio e di utilizzarla per rendere cronica e irreversibile la condizione di inferiorità degli altri Paesi[3].
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L’Unione Europea uccide più del covid-19
di Massimiliano Bonavoglia
L’indice S&P, che era precipitato da 3390 a 2190, sembra segnare una parziale ripresa del tonfo dovuto al COVID-19. Questa risalita viene tuttavia definita una Bull trap, ossia una falsa ripartenza da un interessante articolo di Chris Vermeulen che, comparando l’attuale pattern grafico (schema di andamento) con quelli degli ultimi 150 anni, conclude che l’attuale ripresa sia solo apparente, una bull trap, ossia una trappola che ingabbierà il toro (che in finanza rappresenta il valore in salita). Come mostra il grafico, prima del ritorno alla sensatezza di un mercato impazzito, sarà molto probabile un nuovo minimo su S&P500.
Se questa funesta previsione fosse vera, saremmo legittimati a pensare che il peggio per i mercati internazionali deve ancora arrivare. Gli ultimi interventi delle banche centrali (FED BCE e non solo) hanno adottato il Quantitative Easing, ossia l’allentamento quantitativo volto ad agevolare innanzitutto gli Stati nazionali entrati già nel 2019 in recessione, riduzione dei tassi di interesse, acquisto di titoli di Stato, di titoli finanziari, di corporate bonds (ossia titoli di grandi aziende mediante gli ETF) eccetera. Tutto questo prima del blocco forzato che oggi si estende a circa quattro miliardi di persone nel mondo, che ha fermato le produzioni globali e rallentato di due terzi i consumi. Per un sistema economico fondato essenzialmente su consumi, produzione di beni e obsolescenza programmata, questa situazione è indubbiamente preoccupante per la sopravvivenza del sistema stesso, oltre che degli esseri umani. Basta guardare gli indici del petrolio, che hanno segnato un nuovo minimo nonostante gli sforzi dell’OPEC di limitare le produzioni, per compensare il calo vertiginoso della domanda.
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“L’Italia deve dire no al Mes. Senza di noi la Ue si scioglie”
di Alessandro Di Battista
L’ex deputato del M5S: “Proveranno a farci indebitare e a metterci all’angolo, ma abbiamo carte da giocare, come il rapporto con la Cina”
Caro direttore,
l’emergenza COVID-19 e l’inconsistente reazione dell’Europa – sopratutto se paragonata agli interventi economici cinesi, britannici e nordamericani – ha trasformato in euroscettici anche i più ferventi fanatici dell’Unione. Tuttavia non vi è nulla di puro nelle loro conversioni. Politici e commentatori senza spina dorsale seguono il vento e prendono posizione solo dopo aver letto l’ennesimo sondaggio commissionato e, spesso, pagato con denaro pubblico. Oggi, per la stragrande maggioranza degli italiani, l’Unione europea è un’organizzazione inutile per non dire dannosa. Per questo una schiera di sepolcri imbiancati da sempre trombettieri del sistema inizia a usare termini che fino a poche settimane fa utilizzavano solo quelli che lorsignori accusavano di populismo.
«Che Europa è se non c’è solidarietà adesso?» si domanda Romano Prodi. Francamente la solita Europa, l’unica che conosciamo, quella che ha strangolato la Grecia per depredarla. Fino al 2057, infatti, 14 dei principali aeroporti greci (tra cui Corfù, Creta, Zante, Rodi, Mykonos e Santorini) saranno gestiti dalla Fraport, un colosso dei trasporti tedesco con sede a Francoforte i cui azionisti principali sono il Land dell’Assia, la holding della città di Francoforte, Lufthansa e la merchant bank americana Lazard. Anche l’aeroporto di Atene è saldamente in mano teutonica, o meglio lo sarà fino al 2046, quando scadrà la concessione ad AviAlliance, società aeroportuale con sede a Düsseldorf. Gli aeroporti greci hanno permesso alla Fraport, tra il 2017 e il 2018 di aumentare i ricavi del 18,5%. «Non vi è nulla di male, è la logica del profitto» potrebbe obiettare qualcuno.
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Nascita della Nato e della Comunità Europea, un parto gemellare
di Alessandro Visalli
Ci sono eventi noti, raccontati in tutte le salse e tranquillamente pacifici. Tra questi la connessione tra il progetto di unificazione europea e la necessità atlantica di tenere unito il fronte contro l’Unione Sovietica.
Poi ci sono dei documenti storici che ce li fanno guardare da vicino.
Questo documento messo a disposizione, con alcune esplicative carte, da Limes è di questo genere.
Il 3 aprile 1949 i vertici politico militari degli Stati Uniti e i ministri degli esteri dei paesi dell’Alleanza Atlantica si incontrano, su invito del Presidente Truman, per discutere della geopolitica di contrasto alla minaccia sovietica. L’occasione è la firma del Patto Atlantico. Vi presero parte il presidente americano Harry Truman, il segretario di Stato Dean Acheson, il segretario alla Difesa Louis Johnson e i ministri degli Esteri del Patto Atlantico: Carlo Sforza (Italia), Ernest Bevin (Gran Bretagna), Robert Schuman (Francia), Dirk U. Stikker (Olanda), Paul-Henry Spaak (Belgio), Halvard Lange (Norvegia), Lester B. Pearson (Canada), Gustav Rasmussen (Danimarca), José Caeiro de Mata (Portogallo). Nella riunione, di cui è disponibile oggi il verbale[1], il presidente americano detta con una certa decisione l’agenda del dopoguerra ai suoi sconcertati interlocutori. La minaccia è ben definita, si tratta del comunismo. Non solo quello della schiacciante forza militare sovietica[2] ma per la “forza sociale dinamica ed egualitaria” che “si nutre degli squilibri economico e sociali del mondo” e che rappresenta il “problema-base”, come dirà il presidente nel suo preambolo.
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