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giuliopalermo

Debito pubblico e lotta di classe nell'Unione europea

di Giulio Palermo

image8987jLa crisi da coronavirus ha colto di sorpresa l’Unione europea. Quest’ultima era ancora alle prese con la crisi del debito pubblico iniziata nel 2009 e con un sistema bancario molto esposto su questo fronte. Nel campo dell’economia reale, poi, diversi paesi erano in recessione e, nonostante i livelli favorevoli dei tassi d’interesse, gli investimenti rimanevano compressi dalle basse aspettative di crescita e dalle difficili situazioni patrimoniali delle imprese. Sul mercato del lavoro, l’arretramento sul fronte dei salari e dei diritti, in un contesto di precarietà diffusa, non ha affatto stimolato la crescita — come promesso dalle ricette neoliberiste — ma, al contrario, ha compresso ulteriormente la domanda. Il blocco della produzione e le conseguenti tensioni sui mercati finanziari innescati dall’emergenza coronavirus si inseriscono in questo contesto di crisi preesistente.

Prima del coronavirus, l’Unione aveva affrontato la crisi del debito pubblico di singoli stati o, sarebbe più corretto dire, di singole banche. Nel caso della Grecia, ad esempio, la gestione della crisi da parte delle istituzioni europee fu un’abile manovra per salvare le banche francesi, tedesche e olandesi più esposte sui titoli del debito greco e far pagare tutto ai lavoratori greci. Perché una cosa è certa nei rapporti interni all’Unione: gli stati e i capitali nazionali non hanno tutti lo stesso ruolo e lo stesso peso. Dicendo di salvare lo stato greco, in realtà si salvavano le banche dei paesi europei più forti. Il tutto imponendo dure riforme contro i lavoratori greci redatte direttamente dalle istituzioni internazionali.

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italiaeilmondo

Attenti a quei due

di Giuseppe Germinario

merkel macron 300x168La videoconferenza del duo Merkel-Macron del 18 e la relazione della von der Leyen al Parlamento UE del 27 maggio scorso rappresentano probabilmente un punto di svolta nelle linee di condotta della Unione Europea, almeno nelle intenzioni dei due principali protagonisti dell’agone comunitario. Un punto di svolta, ma nella continuità. Lo stile adottato nelle due iniziative non poteva essere più stridente. Alla esposizione asciutta, insolitamente sintetica rispetto alla ricorrente tentazione logorroica di Macron, dei primi, confacente al pragmatismo di due capi di stato ha corrisposto la stucchevole e rozza retorica intrisa di lirismo della seconda, nelle vesti consapevoli di una facente funzioni. Paradossalmente l’iniziativa non ha goduto del clamore di tanti precedenti dal tono ben minore. È l’indizio che è in corso una battaglia politica vera tra i vari paesi europei e all’interno degli schieramenti politici nazionali; battaglia la cui virulenza sta affievolendo la antica sicumera delle classi dirigenti più europeiste. In Italia la reazione degli schieramenti politici dominanti all’evento è stata più chiassosa, ma ha confermato una volta di più l’attendismo e la passività del ceto politico e della relativa classe dirigente nostrani. Gli uni hanno plaudito soddisfatti con la sola riserva della sollecitazione sui tempi di attuazione troppo lunghi; gli altri hanno mostrato scetticismo sulla sincerità e sulla attuabilità della proposta, visti il contesto politico dell’Unione e la tempistica legata alle procedure e ai canali di finanziamento e distribuzione. Toccare moneta per credere!

Il tempo in effetti è un fattore di grande importanza. Lo è per i paesi particolarmente più esposti con il debito pubblico, privi di sovranità monetaria e legata ai vincoli dei trattati e delle decisioni comunitarie, l’Italia in primo luogo.

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Senza la firma del Mes l’Italia non avrà più aiuti dalla Bce

L'ultima mossa tedesca

Federico Ferraù intervista Alessandro Mangia

Sarà la Banca centrale europea a determinare l’ingresso dell’Italia nel Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Ecco come

loL’Italia, grazie al governo Conte, entrerà – o meglio, dovrà entrare – nel Mes per non vedersi rifiutare gli acquisti di Btp dalla Banca centrale europea. È un rovesciamento di prospettiva: finora gli avversari del vincolo esterno si sono opposti al Mes contando sugli acquisti della Bce. C’è la Bce, dunque il Mes non ci serve. Ma se la Bce dovesse interromperli? Lo scenario è l’ingresso dell’Italia nel Mes come contropartita degli acquisti: il nostro paese dovrebbe entrare nel Meccanismo europeo di stabilità per consentire la prosecuzione degli acquisti illimitati. Con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, cominciamo dalla fretta che Christine Lagarde ha messo ieri alla Commissione. La presidente della Bce ha chiesto di approvare rapidamente il Bilancio 2021 e il Recovery Fund. Come dire, sbrigatevi, perché il gioco non può continuare.

* * * *

Da Lagarde è arrivata una sorta di “fate presto” con il Recovery Fund. È così decisivo?

Beh, decisivo per chi? Bisogna distinguere. Ci sono paesi messi meglio e paesi messi peggio. Noi, naturalmente, siamo tra quelli messi peggio. Se pensa che solo una settimana fa Visco ha preannunciato un calo del 13% sul Pil, si ha la misura della situazione.

 

Obiezione: a che cosa ci servono i prestiti di Recovery Fund e Mes se la Bce sta facendo gli “straordinari”?

A rigore non dovrebbe servire a nulla. La Bce sta facendo quello che avrebbe fatto la Banca d’Italia prima del divorzio Ciampi-Andreatta del 1981. Che è poi quello che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo. Solo che lo deve fare di nascosto, coprendosi dietro cortine fumogene.

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micromega

Gli “aiuti” europei? Briciole

Per l'Italia una grande banca pubblica e la moneta fiscale

di Enrico Grazzini

Next Generation EU plan recoveryPer affrontare la gravissima crisi del coronavirus il governo italiano dovrà contare soprattutto sulle proprie forze senza attendere passivamente gli “aiuti” della Unione Europea. Se il governo Conte si affiderà al nuovo Recovery Plan, ridenominato Next Generation EU, rischia di morire in pochi mesi travolto da proteste e ribellioni sociali. Il grande rischio è che il piano di “aiuti” europei, il Next Generation EU, se verrà, arriverà troppo tardi e troppo poco per salvare l’economia italiana, che quest’anno potrebbe perdere anche più di 200 miliardi di PIL. Il governo Conte nutre delle aspettative eccessive sul “Piano di Rinascita” – come lo ha ridenominato Conte – proposto dalla Commissione UE. Le cifre vere si sapranno solo alla fine, ma molti indicano che il piano europeo è poco più che fumo negli occhi e che, anche nelle migliori delle ipotesi, non può risolvere i problemi dell’economia italiana.

Robero Perotti su Repubblica, Federico Fubini sul Corriere della Sera e Wolfgang Munchau sul Financial Times hanno cominciato a fare i conti (peraltro solo provvisori): ma tutti avvertono che il decantato Next Generation non è certamente manna dal cielo. È quantitativamente insufficiente per l’Italia e arriverà quando prevedibilmente la crisi del coronavirus sarà cessata da un bel pezzo.

L’unico vero incisivo sostegno viene e verrà dalla Banca Centrale Europea, che però può solo fornire nuova moneta di riserva alle banche e abbassare così gli interessi sul debito pubblico; ma non può – a causa dei vincoli del Trattato di Maastricht – dare soldi direttamente agli stati e all’economia reale, alle imprese e alle famiglie, e quindi non può portarci fuori dalla crisi.

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lafionda

La teologia della fissità ontologica*

di Alberto Bradanini

EU 2I problemi sono sempre politici, mai tecnici. La vita è un divenire, la sola cosa stabile al mondo è il cambiamento. Per gli antichi greci, progenitori del nostro sapere filosofico, la politica era un flusso, un animale instabile i cui spiriti ferini occorreva addomesticare affinché essa potesse servire i bisogni nobili dell’uomo, l’unico ente per il quale il futuro è indeterminato. 

L’Unione Europea – lo riconoscono persino gli indecifrabili difensori dei suoi misfatti – presenta ampi spazi di miglioramento, per usare un eufemismo. Essa produceva guai su guai anche prima dello scoppio dell’epidemia. Ora – dopo aver preso coscienza della finta operosità di quelle istituzioni davanti al crollo delle economie post-Covid e aver finalmente scoperto che nei Trattati istitutivi è assente ogni riferimento a un’Europa Federale – la disillusione di molti si va convertendo in un mesto disincanto. Sembra così evaporare l’effimera chimera di un’Europa politicamente unita, creatura immaginifica a lungo sopravvissuta nelle anime semplici degli abitanti al Sud delle Alpi, vittime di un’autoflagellazione sconsiderata, complessi di colpa per sprechi e inefficienze, che seppur innegabili non sono la causa del nostro declino. In Italia, tale fustigazione autoinflitta ha risparmiato alle oligarchie tedesche persino il fastidio di investire sulla tutela di quel marchio contraffatto chiamato Unione (si fa per dire) Europea. 

La ragione prima per la quale uno Stato Europeo degno di tal nome non vedrà mai la luce è l’assenza del demos, vale a dire di un popolo europeo, la cui linfa insostituibile – se fosse esistita – si sarebbe da tempo mobilitata per partorirlo.

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tempofertile

La mossa del cavallo. Francia e Germania, Ue e cronache del crollo

di Alessandro Visalli

ScacchiSi sta(va) allineando una tempesta perfetta. L’impatto economico della pandemia iniziava a mordere le economie europee, moltiplicando i disoccupati e rendendo necessarie ingenti spese[1]. La sfida strategica tra i grandi attori mondiali si stava scaldando, promettendo significativi rallentamenti strutturali del grado di interconnessione economica e difficoltà a tenere i piedi in tutte le scarpe, come piace al modello nordico[2]. La Corte Costituzionale tedesca, tra la costernazione generale, aveva buttato un martello nelle ruote dentate della macchina europea[3].

Questa tempesta agiva su una nave parecchio malridotta e peraltro anche mal progettata. Una nave da guerra che si proponeva come transatlantico, senza avere cabine per tutti, servizi adeguati e scialuppe di salvataggio all’occorrenza. Una nave che aveva recentemente subito la defezione della quota inglese dell’equipaggio e nel quale tra i ponti superiori ed inferiori non si cessava mai di litigare. Peraltro, assai poco funzionale anche come nave da guerra, dato che non sapeva dove voler andare e vagolava incerta in mezzo al mare, mentre gli ufficiali, chiusi nella loro stanza erano costantemente impegnati nei loro bracci di ferro.

Avevano costruito questa strana nave in mare aperto, varata come una semplice nave appoggio delle più solide flottiglie nazionali negli anni cinquanta (quando la guida della portaerei americana era indiscussa), ma si era via via allargata ma senza mai tornare nel bacino di carenaggio. L’unica volta che avevano provato a farlo i referendum di mezza Europa avevano fatto immediatamente desistere. Ma quando era passato il momento storico (il naufragio della flotta avversaria nel 1989), si era pensato di trasformarla in nave da guerra. Una nave da guerra che parlava di pace (ovvero un classico).

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contropiano2

La crisi Europea

di Sam Fleming, Jim Brunden, Michael Peel

crisi europea 610x300Sotto la crisi cui è in preda il mondo si possono scoprire gli indizi di una logica all’opera e questo ci permette di conservare fiducia nello sviluppo futuro”

Figure dell’immanenza. Una lettura filosofica del I Ching, François Jullien

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo: Crisi in Europa: l’audace offerta di von der Leyen per nuovi poteri, apparso nella sezione “the Big Read” del prestigioso quotidiano economico finanziario britannico “Financial Times”.

Si tratta di un articolo, scritto a “sei mani” dai tre corrispondenti del giornale a Bruxelles, che ricostruisce l’attuale dibattito nei centri decisionali dell’Unione Europea rispetto alla politica economica da adottare.

Un momento topico, quello che sta attraversando l’UE, che rischia di mettere in discussione le sue aspirazioni, o come si esprime un anonimo funzionario intervistato dai giornalisti: “una questione di sopravvivenza per il mercato interno e il progetto europeo”.

Il contributo fa emergere tra le righe lo stile di lavoro della presidente della Commissione Europea, mostrandoci quale sia il reale processo decisionale nelle “stanze dei bottoni” a Bruxelles. In un passaggio preceduto da ciò che i latini avrebbero definito captatio benevolentiae – “procurarsi la simpatia” – i giornalisti ci informano che:

Tuttavia, questa attenzione ai dettagli è stata affiancata da ciò che alcuni critici vedono come una mancanza di coordinamento politico ai vertici della commissione e una dipendenza eccessiva da un piccolo gruppo di consulenti di fiducia – alcuni dei quali sono venuti con lei da Berlino – per condurre un gruppo amministrativo di 32.000 membri.”

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micromega

La Corte costituzionale tedesca spinge l’Italia tra le braccia del Mes

di Alessandro Somma

sentenza corte costituzionale tedesca mesUso e abuso della politica monetaria europea

Le misure di politica monetaria hanno sempre effetti di politica economica: la prima è una irrinunciabile componente della seconda. Proprio per questo l’Unione europea, competente in via esclusiva a dettare la politica monetaria, è riuscita ad imporre agli Stati membri scelte concernenti la politica economica, che pure è formalmente di loro esclusiva competenza. Determina cioè effetti in linea con l’approccio neoliberale alla spesa pubblica nel momento in cui stabilisce il costo e la disponibilità del denaro per promuovere la stabilità dei prezzi, e dunque per tenere bassa l’inflazione. Impedendo così di perseguire finalità contrastanti, come in particolare la piena occupazione, anche quando questa figura tra gli obiettivi di politica economica contemplati dalle Carte fondamentali nazionali: come affermato ad esempio nella Costituzione italiana (art. 4).

Se così stanno le cose, la recente sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Quantitative easing, quello varato dalla Banca centrale europea sotto la Presidenza Draghi, non dice certo nulla di nuovo. Afferma che la misura, formalmente adottata per favorire il raggiungimento di un tasso di inflazione funzionale a ottenere la stabilità dei prezzi, produce effetti di politica economica. E non potrebbe essere altrimenti: l’acquisto di titoli sul mercato secondario inevitabilmente «migliora le condizioni di rifinanziamento degli Stati membri perché questi possono ottenere credito nel mercato finanziario a condizioni decisamente migliori», e questo «indubbiamente sgrava» il loro bilancio e aumenta gli spazi di manovra fiscale (sentenza del 5 maggio 2020).

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lafionda

Economia e situazione dell’Unione Europea

di Marco Zuccaro

mmtLa crisi attuale, nata come emergenza sanitaria, avrà effetti devastanti sul piano economico e sociale, investendo la costruzione stessa della UE. Per capire cosa ci prospetta il futuro, occorre prendere in considerazione delle visioni alternative rispetto ai luoghi comuni del nostro tempo.

La MMT, spesso bollata come pseudo-scienza, è invece stata recentemente nominata nientemeno che da Mario Draghi come una nuova concezione da discutere in seno alla BCE. Perciò è possibile iniziare a ripensare alcuni concetti-guida sotto la sua prospettiva.

Per spiegare in modo semplice i principi esposti da teorie come la MMT o il Circuitismo occorre che tutti i cittadini, anche quelli che non si sono mai interessati all’economia, prendano piena consapevolezza di che cosa sia il “debito pubblico”, giacché tale argomento è stato l’assoluto protagonista della narrazione politica e giornalistica degli ultimi decenni: una vera costante, che ha finito col confondere molti.

Anzitutto va chiarito che il debito pubblico non è il debito dei cittadini, perciò ogniqualvolta ci si ritrovi a leggere che esso “pesi sulle spalle” dei cittadini (o delle generazioni future), quasi fosse un debito pro capite, si rammenti che cittadini e famiglie che acquistano titoli di debito pubblico non contraggono alcun debito privato, anzi, è vero l’opposto: divengono creditori verso lo Stato. Si potrebbe giustamente dire che al debito dello Stato corrisponda un credito di famiglie, banche, aziende, investitori e così via.

Ci si potrebbe chiedere quale sia la funzione del debito; ebbene, per rispondere a questa domanda ci si dovrebbe interrogare sulla provenienza della moneta e sul funzionamento del sistema economico tutto.

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tempofertile

Hans-Werner Sinn, “La costituzione tedesca e la sovranità europea”. Cronache del crollo

di Alessandro Visalli

merkel esercito 15Avevo chiuso l’ultimo post[1] individuando come via di uscita dalla ordalia[2] chiamata dalla Germania un’uscita unilaterale della stessa, o la resa latina (con conseguente aggressione finale dei mercati ai più deboli). Certo ci sono anche una serie di possibilità di mezzo e di rinvii, ma rimandano solo l’inevitabile definizione della battaglia finale per l’Europa che è stata avviata.

Per rendere più chiaro il terreno di gioco e le poste designate interviene una delle voci più autorevoli della destra economica tedesca, ovvero Hans-Werner Sinn. In un breve articolo[3] su “Project Syndacate” diffida la Commissione dall’avanzare una procedura di infrazione verso la Germania, conferma la natura eminentemente politico-istituzionale dello scontro, e indica quale unica via di uscita la creazione di un’unione politica realmente indipendente, nella quale si parta dalla protezione militare e nucleare autoctona. Ovvero propone uno scambio di unione fiscale verso condivisione della capacità nucleare, e dei relativi eserciti, alla Francia.

Bisognerà richiamare un lontano antefatto. Quando terminò la Seconda guerra mondiale la Germania era distrutta fisicamente, umiliata moralmente, ed occupata militarmente da tutte le potenze alleate. Si avviò un lungo gioco egemonico e di confronto militare nel quale, fino al crollo sovietico, la posta principale era il controllo dell’Europa, per impedire che potesse passare nel campo avverso. Cruciale in questo gioco è sempre stato il controllo delle due potenze sconfitte, sia militarmente sia ideologicamente. Ovvero di Germania e Italia. Ma, ovviamente, soprattutto della prima. Non è affatto un caso che la “guerra fredda” abbia coinciso con la pace europea e con l’occupazione militare perdurante dei paesi di cui sopra citati. Ci sono alcuni corollari: l’Europa non è più da considerare il centro del mondo, dopo il “suicidio” determinato dalle due grandi guerre questo si è spostato fuori (inizialmente Usa e Urss, ed ora Usa e Cina, con la Russia a fare da terzo ballerino).

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sinistra

... E Mes-sia!

di Massimiliano Bonavoglia

giuseppe conte mes 1308149Con la sentenza del 5 maggio, la corte costituzionale tedesca ha sostenuto che la BCE, nell’attuare misure come il Q.E. voluto da Draghi dal 2015 che applicavano il whatever it takes, abbia infranto la misura della proporzionalità nel sostenere i Paesi dell’eurozona. Non solo, si è anche rivolta sia al governo tedesco, sia al parlamento tedesco, rilevando che queste istituzioni nazionali non hanno vigilato ed eccepito in merito, a difesa degli interessi nazionali. Non solo. Si è anche rilevato che la corte di giustizia europea non ha vigilato sull’operato della BCE e non ne ha limitato l’azione. Quindi riassumendo, in una articolata e complessa sentenza, la corte costituzionale tedesca, ossia il massimo organo giuridico nazionale di un paese europeo, anzi, del paese egemone in Europa, ha criticato diverse istituzioni nazionali e internazionali: il parlamento tedesco, il governo tedesco, la BCE e la corte di giustizia europea. Nessuna di queste quattro istituzioni, due nazionali, due europee, hanno fatto il proprio dovere secondo la corte costituzionale tedesca. Nonostante i numerosi trattati europei, dice la corte tedesca, la sovranità spetta ancora agli Stati nazionali che hanno solo conferito mandati con la sottoscrizione dei trattati, per spazi d’azione limitati che, qualora dovessero risultare violati da parte della azione della BCE, o del MES, che ne sostituisce l’azione di politica monetaria attraverso la politica economica di aggiustamenti macroeconomici per i Paesi in difficoltà, la corte costituzionale tedesca si riserva il compito di indagare e chiedere spiegazioni. Interessante che secondo la corte costituzionale tedesca, la sovranità appartiene ancora agli Stati della UE, non è stata ceduta a titolo originario, ma solo con un mandato, che in quanto tale è rivedibile. Si gettano le fondamenta per la Germanexit, in un conflitto istituzionale tra un Paese membro (e quale Paese!) e la Corte Costituzionale europea delegittimata e messa sul banco degli imputati. Lo stesso per la banca centrale europea.

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sollevazione2

La sentenza della Corte tedesca. Chi ha orecchie per intendere, intenda

di Vadim Bottoni

1 COMANDAMENTO 600x391La Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe il 5 maggio ha emesso una sentenza che ha prodotto uno scossone nelle testate d’informazione internazionali, da Bloomberg al Financial Times, che l’hanno etichettata come “dichiarazione di guerra” o “bomba” verso le istituzioni dell’UE. I media nostrani sembrano invece ancora un po’ balbettanti, ma tant’è che la Corte tedesca ha inviato un vero e proprio diktat alla BCE per giustificare, entro tre mesi e alla luce di principi che vedremo poi, la parte più rilevante del famigerato Quantitative easing (più correttamente PSPP), avviato circa cinque anni fa.

Ci stiamo riferendo a quella misura di politica monetaria non convenzionale che agli occhi di molti aveva “minimamente” reso la BCE assimilabile alle Banche centrali degli altri paesi avanzati e che oggi, in piena crisi economico-sanitaria, rappresenterebbe l’ultimo baluardo di sostegno alle economie dei paesi del sud Europa.

Avviato nel 2015 il PSPP è un consistente programma di acquisto da parte della BCE di titoli emessi da Stati sovrani dell’Eurozona per contrastare il sentiero deflattivo segnato dal crollo della domanda aggregata imputabile, in gran parte, all’austerità imposta ai Paesi periferici dell’Eurozona, oltre che a un rallentamento generale dell’economia post-crisi.  Alcuni dubbi accompagnarono tale misura, infatti diversi analisti sottolinearono tanto il ritardo nell’implementazione di una operazione considerata indispensabile quanto la criticità della mancata condivisione dei rischi, per volere innanzitutto della Germania: per tale criticità la grandissima parte dei rischi derivanti dall’acquisto titoli avrebbe dovuto essere sopportata dalle stesse banche centrali nazionali e quindi ricadere sui singoli Stati membri, nonostante il cosiddetto sistema unico delle Banche centrali che vede al vertice la BCE.

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tempofertile

Verso lo scontro finale? Germania, Ue e cronache del crollo

di Alessandro Visalli

selva di teutoburgoEra atteso, la parte dominante della società tedesca, quella che vive delle rendite derivanti dall’enorme surplus commerciale che l’euro ha contribuito in modo decisivo a regalare in questi anni, non sopportava più di vedere messi a rischio, e comunque annullati, i suoi rendimenti. La rudimentale visione delle interconnessioni e delle relazioni causali che l’opinione pubblica tedesca ha non riusciva a comprendere che la disperata compressione della domanda interna, imposta a tutta Europa dalla ortodossia ordoliberale, produce come effetto sia i surplus commerciali (e quindi il flusso dei profitti) sia la necessità di annullare i tassi ed il costo del denaro per sostenere disperatamente il sistema sull’orlo del crollo. Quindi non riusciva a capire che gli odiati tassi negativi, che distruggevano le rendite finanziarie degli anziani compatrioti, mettevano in costante sofferenza gli istituti di credito e assicurativi del paese, erano il verso della necessaria moneta con la quale i lavoratori privilegiati dei settori di esportazione e le grandi fabbriche di successo, orgoglio del paese, ottenevano i loro successi.

Hanno quindi deciso di rompere il giocattolo.

Ma quando i tedeschi fanno una cosa, tendono a farla fino in fondo, radicalmente, non sono come noi latini, che teniamo sempre un’aria sfocata, lasciamo che tutto resti indeciso e siamo pronti a cambiarlo. Quindi al livello più alto possibile, quello che non ha appello possibile, hanno rotto tutto.

La Corte Costituzionale ha dichiarato niente di meno che la gerarchia delle fonti europea va rovesciata e che la Banca Centrale Tedesca deve rispondere a loro, invece che al sistema della Bce alla quale appartiene da quando la Germania stessa ha firmato il Trattato di Maastricht.

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acacciadiguai

L’Europa spiegata semplice

di Giovanni Dall'Orto

banconote 777x437Parlando con amici di quanto stanno discutendo i giornali rispetto a MES, monetizzazione del debito, eurobond, sentenza della Corte Costituzionale tedesca, mi sono reso conto del fatto che i termini della questione tendono a sfuggire a molti, perché i giornali, intenzionalmente, non vogliono presentare il problema nei suoi termini. Che sono semplici, ma che vengono resi complicati per non fare crollare la favola bella dell’euro e del “più Europa”.

Iniziamo dal denaro. Quasi tutti coloro che conosco parlano di “Stato che stampa denaro” o che “non deve stampare denaro se no abbiamo l’inflazione come la Germania di Weimar”.

Ma il denaro non viene “stampato” dallo Stato. Il denaro viene “creato“. Dalle banche. Il cosiddetto “circolante”, cioè monete, e banconote effettivamente a stampa, costituisce solo una piccola parte di tutto il denaro esistente (non ricordo più esattamente quanto, l’ultima volta che ne avevo letto era una percentuale sotto il 10%).

Capire il concetto è in realtà facile. Quanto denaro liquido possedete in tutto? E quanta parte di esso ha forma fisica di banconote e monete, e quanta invece è una semplice registrazione di un numero sul vostro conto corrente di una banca o ufficio postale? O di un credito presso un’assicurazione? O di un investimento? Ecco, quello è tutto denaro “non stampato”. Ma che esiste. Ed è il 90% del denaro. In pratica, il denaro “stampato” “dallo Stato” è l’eccezione, non la regola. Il denaro è oggi, per la gran parte, una scrittura contabile, un’annotazione in un computer.

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contropiano2

La bomba è l’Italia. La crisi dell’UE è imminente

di Wolfgang Streeck*

bomba iralia crisi“Noi vorremmo sapere… per andare dove dobbiamo andare… per dove dobbiamo andare?”

La battuta di Totò resta inarrivabile come sintesi del dibattito politico nella “sinistra” italiana, soprattutto quando si tratta di affronatre le coordinate fondamentali della realtà in cui ci troviamo a vivere. Ossia su struttura e gerarchia dei poteri (economici, politici, militari), stato della crisi capitalistica, ruolo dello Stato e quel “piccolo vincolo esterno” rappresentato dalla stratificazione di Trattati e istituzioni che costituiscono l’Unione Europea.

Senza un briciolo di chiarezza su questo mondo – certamente complesso – si è condannati a brancolare nel buio della regione. Tra patetici tentativi di usare le antiche categorie per nuovi fenomeni, o all’opposto di buttare a mare un patrimonio di idee e chiavi di lettura che non si riesce ad utilizzare.

Di base, quel che manca è lo studio della realtà empirica. Che è complicata, praticamente inaffrontabile con le risorse solo individuali e anche di piccoli gruppi. Ma camminare su un terreno sconosciuto espone ogni momento a rischi enormi, e a figuracce frequenti.

La scorsa settimana, solo per quanto riguarda l’ultimo (e persino il meno potente) dei “poteri forti” prima nominati, l’Unione Europea, si sono registrati due momenti importanti. Il primo è stata la sentenza della Corte Suprema tedesca, che ha dato tre mesi di tempo alla Bce per “giustificarsi” sulle politiche monetarie troppo “lassiste” degli ultimi anni.

Il secondo è stato l’”accordo” raggiunto nell’Eurogruppo per imporre il Mes (Meccanismo Europeo di Statbilità) come unico – al momento – strumento finanziario a disposizione dei governi per far fronte ai costi e ai danni della pandemia. Abbiamo smontato più volte la menzogna spudorata sull’”assenza di condizionalità”, e quei contributi rimandiamo senza tornarci.