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L’Italia nella crisi dell’eurozona

di Antonio Lettieri

Molte cose potranno accadere dopo l’accelerazione della crisi che ha seguito la svolta politica nel nostro paese. Non è facile prevederne gli esiti. Ma qualcosa è già successo. Una lunga e sfortunata fase politica dell’eurozona è al tramonto. E sarà difficile rimpiangerne la fine, dopo un decennio perduto

c613a2a49f294ed19440a87756bdf4eaApparentemente, l’attacco della Commissione europea contro il governo italiano non ha senso. L'argomento riguarda il livello del deficit di bilancio per il prossimo anno. Nel corso del confronto col governo italiano sembrava che la Commissione potesse accettare un deficit dell'1,9% del PIL. Non è andata così. Com’è noto, il progetto di bilancio definitivo presentato dal governo italiano prevede un deficit di bilancio per il 2019 del 2,4 per cento.

 

Il deficit in questione

C'è una spiegazione? Circa un terzo del deficit è finalizzato a scongiurare l'aumento dell’IVA , un vecchio vincolo assunto dai governi passati per non incorrere nelle sanzioni della Commissione europea. Circa un altro terzo del deficit è stato stanziato per finanziare il reddito di cittadinanza a beneficio dei cittadini che vivono in condizioni di estrema povertà - a condizione che accettino una delle tre offerte di lavoro provenienti dai centri per l’impiego adeguatamente rafforzati.

Un’altra parte importante del deficit è destinata alla spesa pensionistica, con l’obiettivo di consentire alle persone di almeno 62 anni e con 38 anni di contributi di poter accedere alla pensione - una disposizione mirante nelle intenzioni anche a creare mezzo milione di posti di lavoro a favore di giovani disoccupati. Una quota minore del disavanzo è destinata a incrementare il capitolo di spesa precedentemente destinato a investimenti pubblici per circa 15 miliardi rimasti inattivati.

Perché, per la prima volta nella storia dell'UE, la Commissione europea ha respinto un progetto di bilancio, minacciando di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia?

La spiegazione data da Pierre Moscovici, commissario UE agli affari economici, è tanto apparentemente motivata, quanto sostanzialmente priva di senso. Secondo le sue parole, la Commissione non è interessata al contenuto del bilancio, ma solo al rispetto della regola che richiede la progressiva riduzione del deficit fino al raggiungimento del pareggio del bilancio.

Nessun paese, a eccezione della Germania, ha adottato misure tali da consentire il raggiungimento della parità – peraltro ,sia detto per inciso, un obiettivo “stupido”, secondo un vecchio giudizio di Prodi, quando era presidente della Commissione europea, in un contesto di bassa crescita e alta disoccupazione. E, non a caso, il governo francese di Macron ha annunciato, senza sollevare scandalo a Bruxelles, un aumento del deficit al 2,8% del PIL nel 2019.

 

La Commissione e le sue minacce

Qual è, allora, la ragione delle minacce senza precedenti indirizzate all’Italia? Anche se paradossale, la vera spiegazione della posizione di Bruxelles è che un paese non può decidere autonomamente nemmeno sui decimali del suo bilancio fiscale. Il governo deve cancellare i punti principali della piattaforma sulla quale i partiti che lo compongono hanno chiesto il voto e sono stati eletti. In altre parole, il voto è un futile esercizio di libertà politica, una perdita di tempo per cittadini che sono convinti di assolvere alla funzione essenziale di scelta dei governanti, sulla base dei programmi presentati, in un regime democratico degno di questo nome.

Scrive il Financial Times, "l'intransigenza da parte di Bruxelles" non è giustificata: "Occorre, da un lato, trovare un equilibrio tra le responsabilità condivise di tutti gli Stati della zona euro nei confronti dell'unione monetaria e, dall’altro, il diritto e il dovere dei governi di attuare le politiche sulle quali sono stati eletti (corsivo mio)... Non bisogna dimenticare che questi partiti sono al governo perché gli elettori italiani si sono alla fine stancati delle élites politiche e tecnocratiche responsabili di un periodo di 20 anni di quasi totale stagnazione economica. ... I nuovi leader hanno il diritto di proporsi il cambiamento (Roman theatre clashes with the EU rule book, 24 ottobre 2018).

Ma qual è il vero problema nell'attacco di Bruxelles? Non si tratta di alcuni decimali di deficit. La verità è nella crisi dell'Eurozona. Se si consente al governo italiano di mettere in atto il suo programma, molti altri paesi potrebbero seguire il suo esempio, e affermare il diritto a una razionale mediazione fra la sovranità nazionale e impegni europei.

La Commissione europea vive gli ultimi mesi del suo mandato. All’inizio del nuovo inizierà la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo che, a sua volta, dovrà nominare la nuova Commissione. E’ ragionevole scontare che la composizione del nuovo Parlamento sarà connotata dalla crescita dei partiti che considerano fallimentare la gestione dell’eurozona, segnata nell’ultimo decennio da una lunga fase di recessione seguita dalla più bassa crescita del mondo occidentale, in un quadro di alta disoccupazione e crescita della povertà. L’inquietudine, per usare un eufemismo, che agita Bruxelles è il timore che il governo italiano, basato su una maggioranza non ortodossa, possa essere di esempio per i partiti e i movimenti che crescono in tutta l’eurozona, contestandone la fallimentare politica.

 

Ascesa e declino della socialdemocrazia europea

I risultati elettorali che si susseguono nell’eurozona hanno un comune denominatore: la progressiva dissoluzione dei partiti di centrosinistra. Gli ultimi casi sono quelli di due grandi lander come la Baviera dove la SPD scende al quarto posto nella graduatoria dei risultati elettorali, e dell’Assia, dove perde un terzo dei voti, scendendo al di sotto del 20 percento. L’evaporazione della socialdemocrazia tedesca è scioccante, trattandosi degli eredi di un partito che fu di Willy Brandt e Helmut Schmidt, protagonisti della storia europea della seconda metà del ventesimo secolo .

In Italia la sconfitta del Partito democratico erede di un variegato centrosinistra era stata ancora più bruciante con la discesa da otre il 40 al 18 per cento dei voti nelle elezioni di marzo. Altri casi si potrebbero citare, dalla Spagna all’Austria Dappertutto si registra un segnale univoco di arretramento. Ma ciò che muta radicalmente il panorama europeo è la sconfitta del Partito socialista francese, fino all'altro ieri alla testa del governo con François Hollande, ridotto a un umiliante 6 per cento nelle ultime elezioni.

Vi è qualcosa in comune in questa sequenza di sconfitte? Indubbiamente a ciascun partito spettano responsabilità particolari. Ma il fenomeno nel suo insieme ci dice che la socialdemocrazia europea è la vittima designata della crisi dell'eurozona.

Non a caso, il passaggio all’euro fu principalmente l’opera dei socialisti francesi. Di Mitterand, alla presidenza della Repubblica francese durante 15 anni cruciali dall’81 al 95; e di Jacques Delors, ministro delle finanze in Francia, e in seguito presidente della Commissione europea, protagonista, prima, del passaggio all’Unione europea, e poi della nascita della moneta unica.

Certo, le circostanze furono favorevoli. La decisione della Germania di abbandonare il marco, il vessillo che godeva di una adesione quasi religiosa, sarebbe stata difficilmente praticabile senza la ferrea volontà di Helmut Kohl di sacrificare il marco come contropartita del consenso della Francia all’immediata unificazione della Germania. Intorno al nucleo duro frano-tedesco si schierò con entusiasmo l’Italia di Romano Prodi e Massimo di D’Alema. L’euro diventò il sigillo di una sorta di Internazionale socialdemocratica europea, nella quale spiccava Tony Blair, pur rimanendo la Gran Bretagna legata alla sterlina.

Venti anni dopo la socialdemocrazia, nelle varie forme assunte dai governi di centrosinistra - dalla Francia alla Spagna, all’Italia, all’Austria e , last but not least, alla Germania, esce umiliata da tutti i confronti elettorali. Il suo declino è andato di pari passo con la crisi dell’eurozona.

L’euro avrebbe dovuto segnare la rinascita dell’Europa dopo le traversie monetarie seguite alla crisi del sistema di Bretton Woods che aveva garantito per un quarto di secolo la stabilità del sistema monetario. Il risultato non potrebbe essere più deludente, e la crisi della socialdemocrazia e dei partiti di centro sinistra ne è la manifestazione più evidente.

 

La destra va più a destra

La crisi dell’eurozona si è riverberata anche sui partiti di centrodestra, ma l’esito è stato una dislocazione più a destra dell’asse della destra europea. Il caso austriaco è indicativo. Alla tradizionale coalizione conservatori - sociademocratici si è sostituita la coalizione destra-estrema destra. In Italia la dissoluzione di Forza Itala coincide con la crescita della Lega di Salvini. In Spagna la crisi del Partito conservatore di Rajoy ha contribuito alla crescita di Ciudadanos. Nelle recenti elezioni in Baviera, l’estrema destra di Alternativa per la Germania ha scavalcato la SPD. In sintesi, la destra tradizionale, che accompagnò la socialdemocrazia nella nascita dell'euro, non è sfuggita alla crisi dell’eurozona, ma in parte rivive, come in Austria, su un asse spostato più a destra.

Il caso italiano ha caratteristiche del tutto particolari. I due partiti al governo descrivono l’alleanza come un matrimonio d’interesse con diritti e doveri per la coppia, stabiliti con la stipula del “contratto”. Il futuro rimane da scrivere. Ma una certezza si è chiaramente manifestata. Le autorità di Bruxelles e la maggioranza dei governi dell’UE considerano la nascita del nuovo governo come un intollerabile scisma. Una Brexit nell’eurozona. Le ragioni dichiarate o apparenti sono grottesche, concentrate, come abbiamo visto, sulla violazione di parametri in effetti generalmente, e non a caso, disattesi nella storia dell’eurozona.

 

Dopo le Agenzie di rating

Le minacce della Commissione europea fanno ossessivamente parte del panorama politico. Ma si tratta di minacce prive di artigli. Bruxelles può certo adottare contro l’Italia una "procedura per disavanzi eccessivi", ma senza effetti ravvicinati, destinata a entrare in vigore la prossima primavera, quando si saranno svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, destinato a mutare profondamente l’assetto politico europeo, con nuovi equilibri e una nuova Commissione.

La Commissione europea, consapevole della sua impotenza, ha solo una carta sulla quale puntare: il declassamento del debito italiano da parte delle agenzia di rating con un conseguentemente aumento dei tassi e una crisi bancaria determinata dalla svalutazione del capitale legato ai titoli di Stato. Ma la previsione, del tutto somigliante a un auspicio, tarda a realizzarsi, se mai si realizzerà.

Moody's, una delle principali agenzie di rating, aveva ridotto di un gradino l’indice di valutazione del debito italiano portandolo a un passo dal livello ”spazzatura”. Standard & Poor’s, la più importante delle agenzie di rating, pur criticando la manovra del governo, sorprendentemente per quanti si attendevano (e auspicavano) un declassamento certamente imbarazzate per il governo, ha mantenuto stabile, a differenza di Moody's, l’indice di valutazione del credito.Nessuno può avere certezza sugli andamenti futuri dei mercati finanziari, ma per ora l’attacco di Bruxelles rimane a mani nude.

 

L’euro in gioco

Il cambiamento è l’unico obiettivo sensato che si possa proporre il governo. Il cambiamento comporta sempre rischi. E questi sono parte di un normale processo politico. Ma lo statu quo è una forma di lento suicidio. L’Italia ha sofferto più di ogni atro paese dell’eurozona. La sua crescita langue ancora intorno all'1 per cento dieci anni dopo l’inizio della crisi. Il reddito nazionale è il 5 per cento al di sotto del livello pre-crisi. La povertà è drammaticamente cresciuta, toccando anche una parte dei ceti medi. La disoccupazione nel Mezzogiorno è al livello della Grecia con la differenza che la sua popolazione è pressoché il doppio.

Il cambiamento implica l’uscita dall’euro? Il governo lo nega: non è in discussione l’euro, come moneta comune, ma gli irrazionali vincoli di bilancio che gli sono stati cuciti addosso. Un ritorno alle regole originarie di Maastricht, in base alle quali il deficit di bilancio poteva oscillare fino al 3 per cento del PIL in relazione alla congiuntura economica e alle condizioni di ciascuno degli Stati membri è la via maestra d’uscita dalla crisi e dal rischio di autodistruzione dell’euro.

E’ anche l’indispensabile latitudine dell’azione politica che ha permesso ad altri Stati membri dell'Unione Europea, come, per fare due esempi, la Polonia e la Svezia, di ottenere normalmente un tasso di crescita doppio o triplo rispetto alla crescita corrente dell’eurozona.

L’adozione di una razionale prospettiva europea rende possibile sia un allargamento dell'UE ad alcuni dei paesi che chiedono l’adesione; sia la stabilizzazione dell’eurozona, all'interno della quale le regole saranno amministrate nell'interesse comune, in un quadro di partecipazione democratica. In effetti, molte cose potranno accadere dopo l’accelerazione della crisi che ha seguito la svolta politica in Italia. Non è facile prevederne gli esiti. Ma qualcosa è già successo. Una lunga e sfortunata fase della politica dell’eurozona è al tramonto. E sarà difficile rimpiangerne la fine, dopo un decennio perduto.

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