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«Kaja Kallas, la guerrafondaia in capo dell’Unione europea»

di Thomas Fazi

Ritratto impietoso dell’Alto rappresentante Ue per gli Esteri, ex prima ministra estone accesamente anti-russa.

 Ursula von der Leyen and Kaja Kallas at the weekly college meeting of the von der Leyen Commission 2024 P065043 77274 resultDurissimo atto d’accusa del saggista italo-inglese nei confronti di Kaja Kallas. L’Alto rappresentante dell’Unione europea è descritta come una figura bellicosa e tutt’altro che diplomatica, alle prese con gaffe e tensioni internazionali. Nel suo intervento ospitato da Krisis, Fazi porta anche alla luce le discrepanze fra la linea anti-russa di Kallas e le profonde connessioni della sua famiglia con il regime sovietico, oltre ai controversi affari commerciali con la Russia del marito. Il giudizio finale di Fazi è tagliente: Kallas compromette l’immagine e la credibilità dell’Europa nel mondo.Sebbene Ursula von der Leyen sia sopravvissuta alla mozione di sfiducia del 10 luglio al Parlamento europeo, il risultato (175 voti favorevoli) ha messo a nudo un crescente malcontento nei suoi confronti. La mozione prendeva però di mira l’intera Commissione europea. E, in particolare, la numero due della presidente: Kaja Kallas, vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante per gli Affari esteri.

La figura che, nell’architettura europea, più si avvicina a quella di un ministro degli Esteri è la vera minaccia all’Europa. Kaja Kallas ha costruito la sua carriera su una sfrenata russofobia, che attribuisce agli orrori vissuti crescendo nell’Estonia sotto il controllo sovietico. Il 23 agosto 2023, quand’era ancora primo ministro dell’Estonia, in visita al memoriale alle vittime del comunismo a Maarjamäe, ha per esempio denunciato con veemenza i «crimini mostruosi commessi dal comunismo».

Eppure, la realtà è ben diversa. La sua famiglia, ben lontana dall’essere vittima dell’oppressione sovietica, ha vissuto in realtà un’esistenza relativamente agiata all’interno dell’apparato del potere dell’Urss. Una famiglia la cui ascesa è stata facilitata, in misura non trascurabile, proprio dal sistema sovietico che lei oggi demonizza.

Questa ironia getta un’ombra pesante sulla sua postura morale anti-russa: è difficile conciliare le sue invocazioni a una linea dura e inflessibile contro la Russia con il fatto che gran parte del prestigio della sua famiglia – e quindi il suo – sia stato reso possibile dalle opportunità offerte dall’Unione Sovietica.

Kallas, ex premier dell’Estonia – un Paese di appena 1,4 milioni di abitanti, quanto gli abitanti di Milano – è stata confermata come nuovo Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri nel dicembre 2024. Da allora, è arrivata a incarnare, più di chiunque altro, la combinazione di incompetenza e irrilevanza che oggi caratterizza l’Ue.

In un momento in cui la guerra in Ucraina rappresenta senza alcun dubbio la sfida principale della politica estera europea, è difficile immaginare qualcuno meno adatto al ruolo di Kallas, la cui ostilità viscerale verso la Russia rasenta l’ossessione.

Nel suo primo giorno in carica, durante una visita a Kyiv, ha postato su X: «L’Unione europea vuole che l’Ucraina vinca questa guerra».Dichiarazione che ha subito generato inquietudine a Bruxelles, dove i funzionari l’hanno ritenuta fuori sincrono con il linguaggio diplomatico stabilito, a due anni dall’inizio del conflitto. «Si comporta ancora come se fosse una prima ministra» ha osservato un diplomatico.

Appena qualche mese prima della sua nomina, aveva proposto di spezzettare la Russia in «piccoli Stati» e, da allora, ha più volte chiesto il ripristino integrale dei confini ucraini del 1991, compresa la Crimea – una posizione che di fatto esclude qualsiasi negoziato.

Mentre persino Donald Trump ha riconosciuto che l’adesione dell’Ucraina alla Nato è irrealistica, Kallas continua a insistere che resta un obiettivo – nonostante ciò costituisca una linea rossa per la Russia da quasi 20 anni. Kallas ha persino dichiarato: «Se non aiutiamo ulteriormente l’Ucraina, allora dovremo tutti iniziare a imparare il russo». Poco importa che la Russia non abbia alcuna ragione strategica, militare o economica per attaccare l’Ue.

All’inizio dell’anno, ha criticato aspramente i tentativi di Trump di negoziare una fine al conflitto, liquidandoli come un «patto sporco» – e non sorprende che il Segretario di Stato Usa Marco Rubio abbia improvvisamente annullato un incontro previsto con lei lo scorso febbraio. L’ossessione di Kallas per la Russia l’ha di fatto zittita su qualsiasi altro tema di politica estera.

Come ha osservato Ian Proud, ex diplomatico britannico in servizio a Mosca dal 2014 al 2019, Kallas appare come un’«Alto rappresentante monotematico», interessata unicamente a perpetuare la politica decennale europea di non-engagement con la Russia, qualunque sia il costo economico.

La sua retorica aggressiva e unilaterale – spesso espressa senza previa consultazione con gli Stati membri – ha alienato non solo i governi apertamente euroscettici e critici della Nato come quelli di Ungheria e Slovacchia, ma anche Paesi come Spagna e Italia che, pur sostenendo l’approccio della Nato verso l’Ucraina, non condividono l’idea che Mosca rappresenti una minaccia imminente per l’Ue. «A sentirla parlare, sembra che siamo in guerra con la Russia, ma questa non è la linea dell’Ue», si è lamentato un funzionario europeo con Politico.

Tecnicamente, il ruolo dell’Alto rappresentante è quello di riflettere il consenso degli Stati membri, in quanto estensione del Consiglio, e non quello di fare il battitore libero come fosse una figura sovranazionale. Eppure Kallas interpreta il suo ruolo diversamente, comportandosi ripetutamente come se parlasse a nome di tutti gli europei – un approccio verticistico e antidemocratico che rispecchia una tendenza autoritaria più ampia, spinta al massimo da von der Leyen.

Nonostante le sue dichiarazioni in difesa della democrazia, Kallas non è stata eletta al suo incarico attuale e il suo partito – il Partito della Riforma estone – ha ricevuto meno di 70.000 voti alle ultime elezioni europee, ovvero meno dello 0,02% della popolazione europea.

In effetti, von der Leyen ha riempito la Commissione di funzionari baltici, provenienti da una regione che, nel complesso, conta poco più di 6 milioni di abitanti, piazzandoli nei posti chiave della difesa e della politica estera. Queste nomine riflettono un allineamento strategico tra le ambizioni centralizzatrici di von der Leyen e la visione ultra-interventista della classe politica baltica. Entrambe condividono un’adesione incondizionata alla linea Nato e un’ostilità profonda verso qualsiasi forma di diplomazia con Mosca.

Il fervore anti-russo di Kallas l’ha resa una scelta naturale per il ruolo. Eppure la sua famiglia non solo non fu vittima del sistema sovietico, ne fu parte attiva e privilegiata. Kaja Kallas appartiene a una delle famiglie politiche più potenti dell’Estonia, la cui ascesa è stata facilitata – in modo tutt’altro che marginale – proprio da quel sistema sovietico che oggi lei condanna.

Suo padre, Siim Kallas, fu un membro influente della nomenklatura sovietica. Alto funzionario del Partito comunista, ricoprì incarichi di rilievo nel sistema bancario e mediatico dell’Urss. Durante la perestrojka, fu persino eletto nel Congresso dei deputati del popolo dell’Unione Sovietica.

Dopo l’indipendenza estone, ottenuta nel 1991, Kallas padre si riconvertì prontamente alla politica post-sovietica, diventando presidente della Banca centrale estone, poi fondatore del Partito della riforma, ministro degli Esteri, delle Finanze, primo ministro (2002–2003) e infine commissario europeo per oltre un decennio.

Non stupisce quindi che, conclusi gli studi nel 2010, Kaja sia entrata in politica nel partito del padre, seguendone il percorso anche a Bruxelles dopo essere stata premier in patria tra il 2021 e il 2024. È difficile non vedere come la continuità delle élite e il privilegio ereditato abbiano influito sulla sua ascesa politica. E viene da chiedersi se la sua postura anti-russa sia davvero frutto di convinzioni profonde o se sia piuttosto una copertura per ambizioni personali.

Un episodio getta luce particolare sul suo atteggiamento geopolitico: nel 2023, quand’era ancora premier, tre principali quotidiani estoni ne chiesero le dimissioni, dopo aver scoperto che l’azienda di trasporti del marito continuava a fare affari con la Russia, nonostante l’invasione dell’Ucraina. Kallas minimizzò lo scandalo e si rifiutò di dimettersi, sostenendo di non aver commesso alcuna irregolarità. Una condotta che ha scatenato accuse di ipocrisia: mentre da un lato Kaja Kallas chiedeva l’isolamento economico totale della Russia, dall’altro chiudeva un occhio sui legami d’affari della propria famiglia con quel Paese.

Kallas passa da uno scivolone all’altro. Di recente è riuscita a offendere quasi ogni cittadino irlandese, sostenendo che la neutralità dell’Irlanda è dovuta al fatto che il Paese non ha mai subito «deportazioni di massa» o «soppressioni della cultura e della lingua» – affermazione bizzarra, considerando la lunga storia di colonialismo britannico e il bagno di sangue all’epoca dei Troubles (il conflitto che insanguinò l’Irlanda del Nord tra il 1968 e il 1998, ndr).

Ma certi errori hanno conseguenze più gravi. In un incontro con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, Kallas ha chiesto a Pechino di condannare la Russia e allinearsi all’«ordine internazionale basato sulle regole». Yi, di solito molto misurato, ha risposto con fermezza, ricordando che la Cina non sostiene militarmente Mosca, ma che non accetterà neppure la sua sconfitta, perché ciò non farebbe altro che attirare l’ira dell’Occidente su Pechino.

Yi potrebbe essersi riferito a una dichiarazione precedente di Kallas: «Se l’Europa non riesce a sconfiggere la Russia, come potrà affrontare la Cina?». Che Kallas si senta legittimata a fare lezioni alla Cina sul diritto internazionale e sull’ordine «basato sulle regole» dimostra non solo una sorprendente cecità rispetto al declino del peso globale dell’Europa. Mostra anche una totale mancanza di consapevolezza di come vengano percepiti i doppi standard europei a Pechino e in tutto il Sud globale. Mentre condanna a gran voce gli attacchi russi contro i civili, Kallas ha costantemente minimizzato – o persino giustificato – le atrocità israeliane a Gaza.

Un rapporto dell’Ue trapelato di recente ha confermato che Bruxelles è perfettamente consapevole da tempo che Israele sta commettendo crimini di guerra, tra cui «fame, tortura, attacchi indiscriminati e apartheid». Eppure Kallas non ha mai condannato Israele né messo in discussione i rapporti UE-Israele. Allo stesso modo, non ha detto nulla sulle minacce statunitensi di annettere la Groenlandia e ha sostenuto il bombardamento Usa-Israele contro l’Iran – una chiara violazione del diritto internazionale.

Questa moralità selettiva ha inflitto danni duraturi alla credibilità dell’Ue, soprattutto agli occhi del Sud globale. Ma sarebbe un errore prendersela solo con Kallas. Alla fine, il problema principale non è lei, bensì il sistema che l’ha resa possibile – un sistema che premia i falchi più intransigenti, ignora la democrazia e sostituisce la statura politica con l’esibizione sui social media. Se l’Europa continua su questa strada, non solo perderà il proprio ruolo nel mondo, ma diventerà il simbolo stesso del declino occidentale in una kakistocrazia: il governo dei peggiori, dei meno competenti e dei più spregiudicati.


Thomas Fazi: Giornalista e saggista, è autore di diversi libri e scrive per varie testate italiane e straniere.
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Comments

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Alfred
Tuesday, 22 July 2025 00:09
Alto rappresentante monotematico

Direi un soggetto monomaniacale.
Perche'nessuno chiede a questa mononeuronale come sono trattate le minoranze russe nei paesi baltici? Perche' nessuno chiede, in generale, delle minoranze e anche della riabilitazione di un passato imbarazzante di collusione con il nazismo? https://www.eastjournal.net/archives/11258
A questo personaggio non andrebbe rilevato che parla come una adolescente e che e' russofoba o che il marito fa affari, andrebbe chiesto conto della riabilitazione di collaborazionisti e della privazione della lingua delle minoranze. Sono cosucce che dovrebbero cacciare i baltici fuori dall'unione europea, altro che russofobia. Ma chissa' perche' le pulci non si fanno ne' ai baltici ne' ai banderisti aspiranti unione-europea dell'ucraina.
Sara' perche' leggono kant. Di sicuro e' per quello.
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ndr60
Monday, 21 July 2025 09:33
Con tutto il rispetto per Fazi, autore di opere sempre interessanti, non capisco perché occuparsi dell' ennesima gallina cresciuta nella Premiata Polleria del WEF.
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