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sollevazione2

Niente bocciature... che già abbiamo tanti guai

di Leonardo Mazzei

Quando la politica viene prima dell'economia... Le "pagelle" dei commissari europei e il futuro della "flessibilità" di Renzi

promossoAlla fine sono arrivate le Raccomandazioni-Paese. Non ridete, si chiamano proprio così nel burocratese ufficiale della Commissione che ha il compito di emetterle annualmente. La stampa, che ama volgarizzare, le definisce invece "pagelle". Già questa terminologia la dice lunga sia sulla natura che sullo stato della (dis)Unione Europea.

Come previsto (almeno da chi scrive) i commissari sono stati quest'anno di manica larga. La barca fa acqua da tutte le parti e non è il caso di fare gli schizzinosi. I "poveri" (non per lo stipendio) tecnocrati sono sinceramente affezionati ai loro dogmi, ma qualche volta la politica comanda perfino a Bruxelles.

Mentre Cipro, Slovenia ed Irlanda hanno incassato l'abrogazione della "procedura di infrazione" (il burocratese eurista colpisce ancora); Spagna e Portogallo hanno per ora schivato le sanzioni previste dalle regole sul deficit dei conti pubblici. Se ne riparlerà a luglio. Strano mese, direte. Ma il fatto è che luglio viene dopo giugno, ed il 26 di quel mese gli spagnoli andranno alle urne. E l'amico Rajoy - amico della Merkel s'intende - val bene una deroga. Pare che anche Schaeuble questa volta abbia chiuso volentieri un occhio.

In base alle stesse regole, Italia, Belgio e Finlandia avrebbero dovuto attendersi l'apertura di una "procedura di infrazione" sul debito. Invece no. In questo caso, per l'Italia se ne riparlerà a novembre. E anche novembre viene dopo ottobre, il mese del referendum che deciderà la sorte di Renzi.

Insomma, anche nella capitale belga conoscono il calendario politico. E siccome su quello del 2016 è già segnata in rosso la data del 23 giugno (referendum sulla Brexit), mentre rimane critica la situazione greca e nessun passo avanti è stato fatto sulla questione dei migranti, ecco che si è deciso di evitare guai maggiori in attesa di tempi migliori. Che forse non arriveranno mai...

Chiaro che così facendo il Fiscal compact è di fatto sospeso sine die. E questo per lorsignori è un vero problema. Siccome la Germania rifiuta qualsiasi meccanismo di riequilibrio interno all'Eurozona - non parliamo di mutualizzazione del debito, che quello a Berlino è considerato semplicemente una bestemmia! - il Fiscal Compact è stato pensato come lo strumento per realizzare un'improbabile convergenza dei vari debiti nazionali. Bene, questo meccanismo proprio non funziona. E non funziona semplicemente perché non può funzionare. Tantomeno in un'unione monetaria nella quale la moneta unica agisce giorno dopo giorno come decisivo fattore di divaricazione tra le economie del centro e quelle della periferia. Come possono, queste ultime, fare fronte ai folli obiettivi del Fiscal compact se proprio l'euro le condanna alla stagnazione?

La riprova di quanto detto ce la dà la Spagna. La forte crescita del paese iberico nel 2015, e quella attesa (+2,6%) nel 2016, è figlia in buona parte proprio dell'aperta violazione delle regole euriste sul deficit, che nel 2015 ha fatto segnare un -5,1%. Dunque i conti non tornano. E per i ragionieri dell'euro non potranno mai tornare.

Che fare allora? Il blocco eurista non ha certo intenzione di mollare, ma proprio per questo mette al centro la priorità politica di passare indenne l'anno che va dal referendum britannico alle elezioni presidenziali francesi della primavera 2017. I "signori dei decimali" hanno perciò dovuto scrivere le loro "pagelle" con una prosa diversa dal passato. Questa volta il turbinio di zerovirgola serve a coprire la verità politica: l'Unione Europea è a un passo da una drammatica crisi interna, meglio non peggiorare le cose aprendo e/o acutizzando nuovi fronti potenzialmente disgreganti.  

Quanto durerà questa situazione di incertezza è difficile a dirsi. Noi ci auguriamo che questa sia la crisi decisiva, e dunque finale, del mostro chiamato UE. Ma anche se le cose dovessero andare diversamente, non è pensabile che il "cessato allarme" scatti prima del voto in Francia. Da questa considerazione, piuttosto ovvia, derivano conseguenze assai precise sulla stessa situazione italiana.

 

Fin dove potrà spingersi la flessibilità di Renzi?

Su la Repubblica di ieri Tonia Mastrobuoni così sintetizza il quadro che permette a Renzi di insistere con la sua politica fondata sulla cosiddetta "flessibilità":

«In un contesto precario, con il Regno Unito "sorvegliato speciale" in vista del referendum sulla Brexit, con Hollande insidiato dal Front national, la Spagna fuori gioco per le elezioni, con i maggiori Paesi dell'Est ormai su una china autarchica, l'unico grande Paese europeo con un governo relativamente stabile e affidabile, per Angela Merkel, è quello italiano. Per la cancelliera, com'è noto, quello della stabilità è sempre stato un dettaglio fondamentale. Ma l'altro ragionamento che si fa a Berlino a microfoni spenti è il seguente: chiedendo una correzione sui conti all'Italia per sforamenti "light", la Commissione non avrebbe potuto fare a meno di bastonare Spagna e Portogallo, di sanzionarle già ora per un'infrazione molto più grave, quella del disavanzo. E l'ultima cosa che vuole Merkel adesso è indebolire il premier conservatore Mariano Rajoy in vista del voto del 26 giugno. Dopo, però, la musica potrebbe cambiare. La Germania ha accettato l'idea di rimandare il verdetto a luglio. Juncker vorrebbe concedere anche dopo più tempo - due anni - a Madrid per rientrare nel Patto e infliggerle nel caso una sanzione minima, ma a luglio la Germania potrebbe mostrare di nuovo la faccia più feroce e chiedere un aggiustamento più rapido».

La situazione descritta con precisione da Mastrobuoni è in verità assai complessa, ed aperta a diversi sviluppi. Ma è senza dubbio sulle contraddizioni insite nell'attuale caos europeo che Renzi gioca le sue carte.

Scrivevamo ad aprile a proposito del DEF 2016:

«Dal punto di vista delle oligarchie europee al momento Renzi non appare facilmente sostituibile, ma questo sarebbe il meno. Il fatto più importante è che stiamo parlando delle finanziarie 2017, l'anno delle fondamentali elezioni francesi. In vista di quell'appuntamento la Commissione chiuderà di certo gli occhi sui conti di Parigi, cosa che potrebbe avvenire anche su quelli di Madrid a seconda di come la Spagna uscirà dall'attuale crisi politica. Un quadro che potrebbe evolvere ulteriormente in quella direzione (ma qui la previsione si fa più difficile, perché potrebbe invece affermarsi una spinta opposta), qualora gli eurocrati si trovassero ad affrontare le forze centrifughe seguenti all'eventuale Brexit. E' evidente che Renzi si prepara a cavalcare la situazione appena descritta. Potrà la Commissione negare a Roma quel che concederà giocoforza alla Francia e forse anche al nuovo governo spagnolo? Questo è il calcolo che si legge nelle aride righe del DEF».

Facciamoci allora una domanda: l'Unione Europea sta forse cambiando la sua politica, sta forse mettendo in soffitta la sua nota foga austeritaria? La risposta è no. Assolutamente no, dato che non può farlo se non negando se stessa. E questo per la banale ragione che l'austerità è la sorella siamese dell'euro. Le due cose sono intrinsecamente inscindibili e così resteranno fino alla comune morte di entrambe. L'attuale - e pur sempre relativo - ammorbidimento del tradizionale rigorismo è figlio soltanto di una contingenza assai particolare, una situazione di crisi su più fronti nella quale anche i più fanatici euristi non potevano esimersi da un approccio almeno momentaneamente più realista.

Che poi questa situazione possa venire in futuro risolta è cosa di cui noi dubitiamo assai, ma l'idea dei decisori di Bruxelles è certamente quella di passare 'a nuttata per poi tornare alle politiche di sempre.

E' in questo quadro che va vista la posizione sull'Italia. Cosa hanno detto in sostanza i commissari al governo Renzi? Gli hanno detto che la "flessibilità" è concessa solo in virtù di precisi impegni per il futuro. Impegni comunque in linea con il DEF e racchiusi nell'obiettivo di un deficit all'1,8% per il 2017. Una richiesta apparentemente non troppo aspra, se non fosse che come al solito le cifre del DEF appaiono assai poco attendibili. Una richiesta che diventa invece assai pesante se confrontata con le ambizioni manifestate da Renzi.

Il capo del governo, coadiuvato in questo da alcuni suoi ministri, ha infatti annunciato in questi giorni di tutto e di più: riduzione dell'Irpef, riduzione del cuneo fiscale, 80 euro ai pensionati (almeno a quelli con la "minima"), flessibilità in uscita, proseguimento della decontribuzione per i nuovi assunti, passaggio alla flat tax per le imprese individuali. E come se non bastasse ha tirato fuori pure l'idea di abolire il bollo auto e di ridurre la tassa di imbarco negli aeroporti...

Ovvio che alla fine questo Berlusconi al cubo farà solo un quarto di quanto annunciato, ma un costo significativo vi sarà comunque. Altrettanto ovvia l'incompatibilità di tutto ciò con le regole europee, anche nella versione soft di questo periodo.

Alcuni commentatori stimano che con le misure annunciate l'importo della manovra autunnale potrebbe salire dagli 8 ai 20 miliardi di euro. In realtà fare cifre è difficile, vista l'estrema genericità di annunci che ogni giorno cambiano, si accavallano e si smentiscono l'un l'altro secondo una collaudata tecnica che mira a dare l'idea di una grande svolta che invece non c'è.

In ogni caso, prendendo per buone le cifre che circolano, avremmo che gli 8 miliardi base verrebbero coperti con ulteriori tagli di spesa (spending review) e con la riduzione degli sconti fiscali (tax expenditures). Di più non è possibile sapere.

Ma come verrebbero raggranellati gli ulteriori 12 miliardi? Qui Renzi ha solo due possibilità: o accettare che scattino almeno parzialmente le clausole di garanzia che prevedono un aumento dell'IVA, o forzare nuovamente il deficit verso l'alto facendo innervosire assai i custodi dell'ortodossia eurista.

La prima soluzione è tecnicamente la più semplice, ma sarebbe assai debole in termini di consenso. Come giustificare i più diversificati tagli fiscali, anche nel campo delle imposte dirette, se poi tutto viene azzerato da un'equivalente incremento di quelle indirette?

E siccome per Renzi il problema è proprio quello del consenso, e la Legge di Stabilità verrà presentata in parallelo con le ultime fasi della campagna elettorale per il referendum costituzionale, non è difficile capire che il fiorentino sceglierà l'altra strada, quella dell'aumento del deficit.

Lo farà per almeno quattro motivi. Primo, perché vincere il referendum è per lui questione di vita o di morte. Secondo, perché sa di poter contare quantomeno sulla non ostilità di fatto dei centri del potere europeo, dato che anche per Berlino, Francoforte e Bruxelles la sua tenuta è al momento essenziale. Terzo, perché un'eventuale polemica con esponenti dei vertici UE - magari creata ad arte - non potrebbe che giovargli nelle urne. Quarto, perché se pure in sede europea dovessero alla fine prevalere le posizioni più rigoriste, la stretta arriverebbe solo dopo il voto referendario, e passata la festa gabbato lo santo...

E' anche su questo, forse principalmente su questo, che si giocherà la partita referendaria. Capirlo per tempo è essenziale per preparare le contromosse. La principale delle quali ha da essere la denuncia a 360 gradi della politica di Renzi, della sua idea di società, della sua totale adesione all'ideologia ed alla prassi del liberismo più sfrenato. Ad ottobre si voterà non solo per difendere la Costituzione, ma anche per fermare quella deriva mercatista senza fine che sta trasformando la vita delle persone - il lavoro, la scuola, i diritti, la pensione, la sanità - in un quotidiano inferno per la sopravvivenza.

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