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la citta futura

Recensione di Potenza ed eclissi di un sistema

Hegel e i fondamenti della trasformazione

di Edoardo Raimondi

Un libro di Emiliano Alessandroni, con introduzione di Remo Bodei

filosofie alessandroni potenza eclissi sistemaPotenza ed eclissi di un sistema. Hegel e i fondamenti della trasformazione (Mimesis, Milano-Udine 2016) è forse uno dei tentativi più audaci, apparso negli ultimi tempi, di restituire il pensiero di un Hegel ben distante da quelle interpretazioni canoniche, e dal sapore dogmatico, che nell’arco di decenni – a ben veder – non ne avrebbero saputo restituire il giusto significato ed il giusto valore. Ché ripercorrendo tutto il sistema hegeliano – attraversando anche gli scritti giovanili dell’autore tedesco – Emiliano Alessandroni, con un’analisi attenta dei testi, in primis della Wissenschaft der Logik e della Phänomenologie des Geistes, porta alla luce come la lezione hegeliana possa non solo essere considerata essenziale per la comprensione del nostro tempo, tornando così a farsi artefice di un discorso coerente su cosa possa andare a significare per noi la trasformazione nella storia, ma soprattutto contribuire al risveglio del concetto stesso di critica – questione a cui è dedicato l’intero capitolo III del libro. Tornando a rischiarare, questo è certo, il significato fondamentale della “contraddizione oggettiva”, motore e molla del divenire determinato che non farebbe altro che dispiegarsi in strutture processuali, materiali e culturali insieme, essenzialmente dialettiche e storiche, pur sempre sottese all’essere che si scopre prettamente sociale (ciò che non può far altro che manifestarsi, nella sua significatività e nella sua determinatezza, in e attraverso un linguaggio che sa comprendere se stesso).

È proprio il concetto di “oggettività” hegeliana che, a mio parere, l’analisi di Alessandroni vuole maggiormente salvaguardare: dirigendosi contro interpretazioni coscienzialiste del pensiero del filosofo tedesco e della sua nozione di “soggetto”, si comprendono le considerazioni sui sistemi di Gentile o di Sartre (su quest’ultimo, a dire il vero, la critica dell’autore prende di mira soprattutto l’Être et le néant), svolte fin dal I capitolo del libro. E che chiamano in causa questioni che permeano tutto il sistema hegeliano, quale quella di quale sia lo statuto di realtà dell’“oggetto” – che si rivela in un rapporto costantemente biunivoco con la coscienza che progredisce dialetticamente nell’esperienza di se stessa e di un mondo – del concetto di possibilità e di possibilità reale, di libertà oggettiva e di necessità, della relazione determinante che resta dunque sottesa tra la sfera dell’Esserci e l’Essenza; fino ad arrivare al problema della Volontà, per approdare così ad una ontologia e fenomenologia dell’azione. Ripercorrendo poi le pagine del capitolo VI della Phänomenologie, Alessandroni va a individuare, allora, la figura dell’“anima bella” come quella che mostrerebbe l’autentica e vera condizione post-moderna: quella che resta proiettata verso un’universalità astratta, verso una moralità sterile e auto-rassicurante, che non vuole sporcarsi le mani con la realtà oggettiva della storia e del mondo concreto. In una parola, essa mostrerebbe il senso dell’horror per la contraddizione, questione quanto mai attuale – una delle cause principali, peraltro, di una certa «rimozione» del pensiero di Hegel e di un conseguente «avvizzimento della critica» anche in campo letterario (gli esempi di autori “resistenti” a questo fenomeno deteriore non mancano, si veda ancora il capitolo III). Insomma, ciò che sembra emergere proseguendo nelle pagine del libro, sono quei tratti della filosofia hegeliana che permetterebbero di rivelare una vera e propria ontologia relazionale, se è vero in primis che «gli Esistenti, i quali, in quanto astretti al dominio dell’Essenza, si rivelano dei fondati, ma automaticamente anche dei fondamenti reali: fondamenti appartenenti alla sfera dell’Esserci, dunque non in-condizionati, non Essenze indipendenti, ma pur sempre condizionati» (si veda a pagina 14 anche il richiamo alle pagine dell’Encyclopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse).

Basta quindi ripercorrere tutto il V capitolo di Potenza ed eclissi di un sistema,per rendersi conto di quale valenza abbiano assunto entro la logica dell’autore tedesco concetti come quelli di alterità, di mediazione, di contraddizione. Nozioni che emergono nella loro verace pregnanza attraverso l’ulteriore critica, pur sempre costruttiva, che Alessandroni imbastisce, questa volta, verso le interpretazioni in merito di Emanuele Severino – dunque a partire dal problema del rapporto tra Essere, Divenire – Identità e Alterità e Cominciamento della logica hegeliana stessa, pur riconoscendo nei contributi severiniani un acume intellettuale di indiscutibile valore. Si problematizzano così e inevitabilmente le nozioni di essere determinato e di nulla determinato: centrale diventerà quest’ultima, poiché direttamente correlata al fatto della negatività, che porterà la “sostanza” a mostrarsi in qualità di “soggetto” – quel luogo privilegiato in cui lo spirito si andrebbe a manifestare e pur sempre determinato da contesti, da processi dialettici reali e in divenire, da reticolati relazionali segnati dall’alterità (a dispetto di un concetto d’identità puramente tautologico e astratto), da pluralità finite e dunque da contraddizioni oggettive: è in quel luogo che si scopre prettamente umano, infatti, che il discorso può concretamente apparire e progredire verso la comprensione assoluta. Ma il soggetto, ricorda Alessandroni, in Hegel non è l’uomo in quanto tale: soggetto è la Verità, che si estrinseca nel corso delle determinazioni dell’essere e di quella coscienza che si scoprirà essenzialmente storica, nel corso dello stesso divenire concreto: «In effetti, secondo Hegel, il pensiero non costituisce una dimensione onnicomprensiva: esso non coincide con la Verità, ma costituisce al più il luogo in cui questa, antestante al pensiero in maniera latente, si illumina e si rivela» si legge a pagina 145 come risposta all’idealismo di Gentile, nonché alla domanda La dialettica è un metodo?

È evidente come interpretazioni del pensiero hegeliano quali quelle fornite da Arturo Massolo siano da Alessandroni pienamente recuperate, mostrandone criticamente gli sviluppi e facendone rivivere le risposte dirette o indirette date al sistema gentiliano, pure in riferimento al diritto, alla politica, alla società civile, allo Stato, alla religione (qui riconsiderando anche la funzione del cristianesimo). Un Hegel, in tal senso, che riscopre il valore di processi emancipativi nel contesto del mondo moderno segnato dai risvolti della rivoluzione francese; dacché si appresta a comprendere la Storia nelle sue differenze determinate ed interne a quel procedere dialettico oggettivo, quindi a cogliere la valenza della contraddizione reale – essendo la filosofia della realtà e che vuole sistemare in un discorso coerente i momenti che l’hanno concettualmente contrassegnata, a partire dalla Cosa in se stessa, contro ogni costruttivismo metafisico. Processi dialettici, conflittuali ed oggettivi, entro i quali solo il sapere e il sapersi della coscienza, in quanto risultati, possono rivelare il senso della parola libertà nel quadro della necessità, di quei bisogni e desideri ineludibili sorti e compresi sul terreno dell’esperienza umana e storica – ché è nella sua storicità che la filosofia si comprende: il conflitto tra Herrschaft e Knechtschaft, esposto nel IV capitolo della Phänomenologie,rivela così il senso della lotta reale per il riconoscimento concreto di sé. Di particolare interesse, dunque, l’ulteriore recupero operato da Alessandroni del testo di Susan Buck-Morss, Hegel e Haiti. Schiavi, filosofi e piantagioni: 1792-1804, laddove Hegel – che i giornali, come è noto, li leggeva – avrebbe avuto in mente proprio quelle rivoluzioni epocali portate avanti dagli schiavi delle isole caraibiche, per la liberazione dal giogo coloniale, quando sviluppò le sue considerazioni sulla dialettica Servo-Signore. Nel capitolo II di Potenza ed eclissi di un sistema si mostra così come la Knechtschaft, in realtà, si configurerebbe come specchio della condizione di schiavitù, questione di certo nota allo Hegel dei Grundlinien der Philosophie des Rechts – di quest’ultima opera basti riportare alla mente il §351 e, prima ancora, quello 57. Concetti che mostrano come processi emancipativi protesi alla conquista di una libertà che comprende e si comprende (la libertà consapevole di se stessa, che può sorgere solo sul terreno della necessità) possano innescarsi proprio attraverso lotte per il riconoscimento. Di cui risultato sarebbe anche la rivelazione di una coscienza collettiva dell’essere sociale, i cui membri si scoprirebbero in grado di agire effettivamente all’interno dei processi oggettivi della storia: infatti solo il sapere può condurre ad un’azione veracemente politica, in grado di leggere il movimento oggettivo, contraddittorio, del procedere storico per realizzare l’universalità concreta, così risultata nella sua verità.

Resta tuttavia interessante indagare, in tal senso, quali i confini tra lo statuto di realtà del “servo” e quello dello “schiavo”, continuando a tener presente il termine che Hegel utilizza in tale contesto: quello di Knechtschaft (sul tema si veda di Remo Bodei, che ha curato l’introduzione al libro di Alessandroni, I servi e i padroni di Haiti, Il Sole 24 Ore del 28/02/2010). Come che sia, di certo l’autore di Potenza ed eclissi di un sistema non manca di fornire molti spunti di riflessione: a partire dall’esigenza dell’emancipazione, questione che sorge sul terreno del mondo moderno e della società del lavoro, Alessandroni riconosce acutamente quei passaggi all’interno dei Grundlinien che sembrano, di fatto, anticipare alcune analisi di Marx, a partire dai §§237,241,243,245. Qui Hegel riconosce cause e condizioni per le quali, all’interno della società civile, si fa incipiente l’avanzare della plebe, dell’impoverimento di grandi masse di fronte al progredire del sistema di produzione industriale (non senza scagliarsi contro modelli sociali e politici del suo tempo, segnati da un lato dall’atomismo e dall’altro da forme normative di stampo contrattualistico in sede di diritto pubblico).Processi emancipativi, dunque, come rivendicazioni sociali che vanno organizzandosi e determinandosi per permettere l’avanzamento della libertà, che può sorgere dapprima solo in quanto istanza di liberazione; laddove se non è «la coscienza a determinare l’essere bensì l’essere sociale a determinare la coscienza» a buon diritto Alessandroni conclude che «in Hegel possiamo in effetti riscontrare con facilità, non soltanto il rapporto fra Coscienza ed essere sociale, ma […] anche una piena comprensione dell’importanza dei processi di emancipazione, nonché del ruolo del Negativo concreto, per lo sviluppo della Coscienza e del sapere filosofico scientifico» (si vedano le pagine 108 e 109 del testo in oggetto, in cui l’autore non manca, peraltro, di segnalare in merito un Marx, di contro, «troppo incline a leggere Hegel con le lenti di Feuerbach »). In prospettiva, pertanto, resta l’azione organizzata e consapevole, che non ha timore di sporcarsi le mani con le strutture oggettive di un mondo storico quale che sia – si fa chiaro perché Alessandroni parli, nel capitolo III, del postmodernismo come di un antihegelismo. Ma tali istanze sono sorte pur sempre sul piano del mondo moderno: lo Stato, pertanto, in Hegel non può che rivelarsi come promotore della pluralità culturale e politica, poiché è solo sul terreno della storia che abbiamo potuto scorgere il significato di principi universali quali quelli di uguaglianza, di giustizia, di libertà. Diritti affatto meramente “naturali”, ma che secondo lo stesso pensiero hegeliano nessuno potrà più ignorare interamente: essi hanno sì informato la realtà, ma i processi oggettivi scaturiti in seno al mondo moderno restano ben lungi dall’esser realizzati e conclusi. Ed è così che Alessandroni offrirebbe, seppur indirettamente, anche l’occasione per approfondire maggiormente come poter considerare la proposta hegeliana del sistema corporativo – laddove datore di lavoro e lavoratori sono inclusi in una stessa corporazione – e soprattutto come intendere pure i paragrafi dei Grundlinien 246,247 e 248: il colonialismo messo in atto da società più sviluppate, di contro, quidiventa soluzione estrema, ma altrettanto essenziale, a ciò che Marx avrebbe poi indicato, più precisamente, come crisi di sovrapproduzione (fatto quest’ultimo che Hegel, tuttavia, seppe riconoscere entro gli stessi termini di discorso. Lo ricorda Alessandroni già da pagina 77).

Il capitolo IV del libro, così, va a toccare proprio il tema dell’alienazione. Ma in relazione, dunque, alla filosofia. Si tratta di chiarire, in Hegel, il significato dei termini Entfremdung ed Entäußerung, punti essenziali all’interno della Phänomenologie. Questione che, come ricorda l’autore di Potenze ed eclissi di un sistema, non solo fu affrontata seriamente proprio da Massolo (cfr.p.100), ma che troverebbe la sua chiarificazione attraverso la traduzione italiana dei termini in oggetto offerta da Vincenzo Cicero: Entfremdung si fa estraniazione (lo Spirito alienato della coscienza pura scissa dalla coscienza reale), mentre Entäußerung si rende con esteriorizzazione (alienazione positiva in cui lo Spirito si comprende in sé e per sé): «In effetti» ricorda Alessandroni «il processo di Entäußerung è un processo di proiezione dell’Interno potenziale in un Esterno effettuale che diviene, dal canto suo, l’attualizzazione della potenza, ovvero la sua realtà, laddove Entfremdung tende ad esprimere proprio il processo di allontanamento dello Spirito dal proprio mondo concreto, una estraniazione rispetto alla propria esteriorizzazione» (cfr.p.101). Problemi che rimandano all’annosa questione del Sapere assoluto, il cui approdo permetterebbe il manifestarsi alla coscienza di una realtà divenuta effettuale (Wirklichkeit), disvelamento di quella Realität non in grado dapprima di restituire ostensivamente il proprio valore intrinseco – in ballo vi è, non a caso, il superamento di una terza forma di alienazione, vicina alla Entfremdung, «che Hegel tende ad indicare con il termine Veräußerung […]. Diversamente dalla Entäußerung della Fenomenologia, tuttavia la Veräußerung della forza-lavoro, non è una esternazione-realizzazione, bensì un’esternazione-reificazione che mortifica la sostanza dello Spirito anziché svilupparne la ricchezza» (cfr.p.110). Un sapere che, dunque, da esoterico (come recitano le pagine nella prefazione della Phänomenologie) procede verso la sua forma essoterica, cosa che Alessandroni mette in luce per mostrare come gli stessi processi di emancipazione sociale, dello sviluppo della coscienza, della liberazione dal peso dell’ideologia e dunque dell’avanzare della Storia non siano affatto conclusi: «La nuova forma sociale scaturita dalla Rivoluzione, afferma Hegel, ha gettato le fondamenta di se stessa e del Sapere Assoluto; ma soltanto le fondamenta: la percezione della coscienza comune resta ancora vincolata al ricordo interiorizzato del vecchio mondo; il Sapere Assoluto rimane pertanto confinato in una cerchia elitaria esoterica, essendo privo di intellegibilità universale; ma per procedere realmente in direzione del Sapere Assoluto non può restare spezzato, singolarizzato: deve abbracciare l’Intero, deve farsi essoterico» (cfr. p.72). Considerazioni che, a partire dal testo di Alessandroni, inducono tuttavia a chiedersi pure – e ancora una volta – quale la natura del rapporto tra la Phänomenologie des Geistes e la Wissenschaft der Logik, anche in relazione a quella Erfahrung mostrata nel suo dispiegarsi proprio nella Phänomenologie; eche non potrà che farsi Erinnerung – ricomprensione e riappropriazione nel ricordo dell’esperienza che è stata fatta dalla coscienza, che si scopre e si comprende mediatamente in quanto storica (su questo si vedano, ad esempio, proprio le pagine della prefazione alla Phänomenologie des Geistes, tr.it. di Vincenzo Cicero, Fenomenologia dello Spirito, Bompiani, Milano 2009, pp.68-70: La fenomenologia dello Spirito e la necessità che il singolo ripercorra i gradi di formazione dello Spirito universale). Sta di fatto che quelle forme di Entfremdung filosofica si mostrano necessariamente nel loro aspetto deteriore: per Alessandroni si vanno a configurare nell’«intellezione pura», nell’«horror per la contraddizione» e nella «disalienazione della filosofia come mero atto filosofico astratto». Eppure prosegue l’autore: «La disalienazione della filosofia può verificarsi per mano della filosofia soltanto qualora questa sappia immergersi e interpretare i conflitti reali in corso spingendo di volta in volta il Negativo concreto verso una nuova sintesi storica. Diversamente, essa rimarrebbe un’anima bella (schöne Seele) appagata della propria alienazione esclusiva, e la sua attività alienata a cui “manca la forza della esteriorizzazione (Entäußerung), la forza di farsi cosa e sopportare l’essere” finirebbe per andar “affievolendosi entro se stessa” e per svanire “come nebbia informe che si dissolve nell’aria”» (cfr.p.112). Parole che non cessano di incalzare, prima di tutto, il discorso filosofico attuale come la nostra stessa realtà. E che, probabilmente, chiamano nuovamente in causa la valenza di una ragione che dialettica sappia ritenersi e che dunque si riveli in grado di dar conto, all’interno di un discorso coerente, delle strutture essenziali che regolano, costantemente, il proprio tempo.

Comments

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Alex
Monday, 20 November 2017 14:41
Ecco il razzista Hegel cosa dice dei neri (Lezioni sulla filosofia della storia, Bari,. Laterza & Figli, 2003, pp. 81-seg.ti) affinché ognuno possa giudicare da se stesso e formarsi una propria opinione.: "Nel caso dei negri, l'elemento caratteristico è dato proprio dal fatto che la loro coscienza non è ancora giunta a intuire una qualsiasi oggettività - come, per esempio, Dio, la legge: mediante tale oggettività l'uomo se ne starebbe con la propria volontà e intuirebbe la propria essenza. Nella sua unità indistinta, compressa, l'africano non è ancora giunto alla distinzione fra se stesso considerato ora come individuo ora come universalità essenziale, onde gli manca qualsiasi nozione di un'essenza assoluta, diversa e superiore rispetto all'esistenza individuale. Come già abbiamo detto, il negro incarna l'uomo allo stato di natura in tutta in tutta la sua selvatichezza e sfrenatezza. Se vogliamo farci di lui un'idea corretta, dobbiamo fare astrazione da qualsiasi nozione di rispetto, di morale, da tutto ciò che va sotto il nome di sentimento: in questo carattere non possiamo trovare nulla che contenga anche soltanto un'eco di umanità. Le relazioni circostanziate dei missionari confermano in pieno la nostra asserzione e sembra che solo il maomettismo sia ancora capace di avvicinare in qualche modo i negri alla cultura. Un altro elemento caratteristico nella considerazione dei negri è la schiavitù. I negri sono condotti in schiavitù dagli Europei e venduti in America. Ciò nonostante, la loro sorte è quasi peggiore in patria, dove vivono una schiavitù altrettanto assoluta. Infatti, il fondamento della schiavitù in genere è che l'uomo non abbia ancora coscienza della propria libertà e così decada a una cosa, a un'entità senza valore. Fra i negri, i sentimenti morali sono debolissimi o, per dir meglio, affatto inesistenti. I genitori vendono i loro figli e questi fanno altrettanto con i loro genitori. A seconda di chi sia il primo a impadronirsi dell'altro. L'azione profonda della schiavitù cancella tutti i vincoli del rispetto morale che portiamo gli uni verso gli altri, e ai negri non viene neppure in mente di aspettarsi per sé quel rispetto che noi possiamo esigere dal prossimo. La poligamia dei negri ha spesso il fine di procreare molti figli, che possano essere venduti come schiavi, tutt'insieme o separatamente, e capita assai spesso di udire ingenui lamenti, come quello di un negro a Londra, il quale si doleva di trovarsi nella più completa miseria, perché aveva venduto ormai tutti i suoi parenti. Nel disprezzo dei negri per l'uomo, l'elemento caratteristico non è tanto il disprezzo della morte quanto l'incuranza per la vita. (…) Da tutti questi tratti addotti in vario modo risulta che è la sfrenatezza a contrassegnare il carattere dei negri. questa condizione è incapace di sviluppo e di cultura; i negri sono sempre stati così come li vediamo oggi. L'unico legame essenziale che hanno avuto, e ancora hanno, con gli Europei è quello della schiavitù. Nella schiavitù i negri non vedono nulla di sconveniente, anzi accade addirittura che gli Inglesi, i quali si sono adoperati di più per l'abolizione del traffico degli schiavi e della schiavitù siano trattati come nemici. "L'insegnamento ricavabile per noi dalla condizione di schiavitù fra i negri, il solo a costituire un lato interessante ai nostri occhi, è quello che conosciamo dall'idea che lo stato di natura come tale è lo stato di in assoluta e universale ingiustizia"
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