John Maynard Keynes: per una politica macroeconomica che funzioni
di Biagio Bossone
Dal prestigioso blog di macroeconomia di Nouriel Roubini EconoMonitor traiamo un’autorevole analisi su uno dei concetti forse più trascurati della teoria macroeconomica keynesiana, la preferenza degli agenti economici per la liquidità. Questo concetto viene rivalutato qui come una chiave di lettura utile per spiegare la persistenza dell’attuale crisi economica globale, e le misure raccomandate da Keynes per una tale eventualità, se applicate, vengono indicate come la soluzione più rapida ed efficace per stimolare un’autentica ripresa. Sfortunatamente questo concetto, sommerso dalla predominanza di politiche mainstream di stampo liberista, e trascurato anche dai fan keynesiani dell’ultima ora, non si è ancora affermato come sarebbe auspicabile, né le politiche raccomandate sono state mai applicate. Per questo motivo riteniamo importante aprire anche qui un dibattito che possa accendere i riflettori sull’argomento.
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“Il fantasma di John Maynard Keynes…torna a perseguitarci”, così commentava Martin Wolf (2008) alla vigilia della crisi finanziaria globale, individuando nelle lezioni del padre della macroeconomia la strada migliore per comprendere la crisi e ristabilire la salute dell’economia mondiale.
La gravità della crisi ha effettivamente convinto molti economisti a rivalutare gli insegnamenti di Keynes, che per decenni erano scomparsi dalla teoria e pratica economica mainstream.
E se a marzo del 2008, durante l’incontro annuale dell’American Economic Association, gli economisti ostentavano ancora scetticismo verso l’idea di combattere una recessione con stimoli fiscali, solo pochi mesi dopo, nel meeting del gennaio 2009, tutti si dichiaravano praticamente a favore di tali misure (Uchitelle 2009).
Tuttavia, questo rinnovato interesse da parte della professione economica alle politiche di intervento sulla domanda di Keynes non ha tenuto sufficientemente in conto la teoria keynesiana della preferenza per la liquidità come chiave per spiegare perché in un’economia capitalistica possa esistere disoccupazione involontaria permanente, e in che misura le politiche monetarie e fiscali possano essere efficaci per stimolare la ripresa economica.
La teoria keynesiana della preferenza per la liquidità (LPT)
L’analisi di Keynes smontava l’importanza di produttività ed austerità come basi della teoria neoclassica dei tassi d’interesse. Nel riconoscere il ruolo chiave svolto dall’incertezza – e non soltanto dal rischio calcolato – per tutte le decisioni economiche, a differenza dalla teoria neoclassica, la LPT non considera il tasso d’interesse una ricompensa per la pazienza, o l’astinenza, ma piuttosto un premio agli agenti disposti a separarsi dalla liquidità, e dunque una sorta di metro della loro riluttanza a privarsi del controllo sulla loro liquidità in un mondo dominato dall’incertezza. In qualsiasi momento il tasso d’interesse deve essere tale da far cessare al margine la propensione generale a detenere beni liquidi piuttosto che in altra forma, in base alla quantità di liquidità disponibile nell’economia (Keynes (1971-89), Vol. 7, 167).
Per Keynes il tasso d’interesse è determinato non sulla base di scelte di risparmio, ma dei livelli di liquidità del risparmio preferiti dagli agenti. Queste preferenze riguardano lo stock dei risparmi (ricchezza), non i flussi di risparmio, e il tasso d’interesse è determinato dalla domanda e dall’offerta dei beni in cui la ricchezza può essere collocata, non dall’offerta e dalla domanda di (flussi di) risparmio – come accade nella teoria neoclassica dei fondi di credito che è a tutt’oggi alla base dei modelli macroeconomici (Woodford 2003) mainstream (neo-Wickselliani). A tal proposito, è importante che l’LPT venga intesa in termini generali e non identificata esclusivamente con la domanda di moneta. L’LPT riguarda la domanda di beni a vari livelli di liquidità, e il tasso d’interesse dipende sia dalla domanda che dall’offerta di beni in tutto questo spettro.
Di conseguenza, i tassi d’interesse futuri sulle attività finanziarie sono determinati da valutazioni di mercato influenzate dalla psicologia di massa, e dalla misura in cui queste si ripercuotono sulle preferenze di liquidità degli agenti. Per l’LPT, il tasso d’interesse è un fenomeno convenzionale, il cui valore è largamente disciplinato dall’aspettativa prevalente del suo plausibile valore, e che può permanere a livelli cronicamente troppo elevati per permettere la piena occupazione [1].
Non esiste pertanto un livello d’interesse unico (‘naturale’) che consenta al sistema di adattarsi automaticamente all’equilibrio (‘naturale’) di piena occupazione, ma esiste un qualsiasi livello d’interesse che possa soddisfare le convenzioni dei mercati finanziari in qualsiasi momento (Bibow 2005). Capovolgendo la visione neoclassica, l’LPT ha mostrato come sia la sfera dell’economia reale a doversi adattare a qualsiasi livello d’interesse in cui il sistema finanziario possa trovarsi. [2]
LPT e politica monetaria
Nel rimuovere il risparmio e la produttività come punti fermi reali del tasso d’interesse, l’LPT ha lasciato questi ultimi alla mercé delle convinzioni convenzionali popolari. [3] Eppure, proprio la natura convenzionale del tasso d’interesse, come incapsulato nell’LPT, ha aperto la strada al riconoscimento del ruolo centrale svolto dalle aspettative nella creazione di politiche economiche. In presenza di questa fondamentale indeterminatezza dell’equilibrio macroeconomico – nel contesto di una moltitudine di possibili equilibri – la gestione attiva delle aspettative attraverso la politica monetaria (in combinazione con l’uso dei tassi a breve termine) è diventata lo strumento fondamentale della banca centrale per influenzare le convinzioni (e quindi i tassi d’interesse) e orientare l’economia verso il suo equilibrio ottimale (piena occupazione e bassa inflazione).
Secondo Keynes, l’efficacia delle politiche dipende in larga misura dalla credibilità delle azioni intraprese e delle istituzioni che le intraprendono. Oggi a questi requisiti andrebbe aggiunto un canale di comunicazione con gli strumenti di politica economica, necessario alle banche centrali per poter guidare le aspettative del mercato in linea con gli obiettivi politici. Lungi dall’essere un fattore neutro, la moneta può essere usata per guidare l’attività economica reale e l’accumulazione verso livelli socialmente ottimali.
Resta aperta la questione se le banche centrali siano sempre in grado di assolvere a tale compito. Keynes riteneva che, laddove le autorità conducano una politica equilibrata e la perseguano costantemente, rassicurando i mercati sul fatto che esse sanno bene cosa va fatto e che perseguono i loro scopi con fermezza, allora sono in grado di influenzare le aspettative degli agenti nella direzione desiderata (Aspromourgos 2006).
Keynes prevedeva anche la possibilità di situazioni estreme – come una recessione persistente in maniera ostinata – in cui l’andamento dell’economia provoca una maggiore incertezza, un clima di sfiducia in campo finanziario e aspettative eterogenee. In questi casi, raccomandava alle banche centrali di ricorrere a “misure straordinarie”, come ad esempio operazioni di mercato aperto su titoli a lungo termine, [4] che ricordano molto da vicino delle politiche non-convenzionali (bilancio della banca centrale) ante litteram (Bossone 2013a, b).
Esistono limiti a tali politiche?
Keynes ha ripetutamente richiamato la possibilità di un certo limite assoluto che impedisca l’adeguamento al ribasso dei tassi d’interesse (per quanto non fosse del tutto convinto della rilevanza concreta di tale possibilità [5]), dovuto all’incertezza che spinge gli investitori a spostarsi verso la liquidità. Ad un certo punto si raggiunge un plateau, dove le spinte a vendere causate dallo spostamento verso la liquidità dei titolari di titoli annulla la pressione sui prezzi data delle operazioni di mercato aperto. A quel punto, il potere di controllo della banca centrale perde efficacia: il sistema si trova in una trappola della liquidità. Keynes, infatti, ha indicato che questa condizione potrebbe emergere a qualunque livello del tasso d’interesse che possa essere considerato “abbastanza sicuro” (e non necessariamente al limite inferiore pari a zero). Pertanto, esiste una molteplicità di trappole della liquidità. Questo problema non si presenterebbe se le autorità riuscissero a spostare lo stato delle aspettative nella direzione desiderata, o almeno così si pensava.
Può la politica monetaria, da sola, garantire efficacemente questo risultato?
L’esperienza della crisi finanziaria globale del 2007-09 e la successiva crisi del debito in Europa hanno mostrato i gravi limiti della politica monetaria. Dopo un breve periodo, durante il quale i governi delle economie più avanzate avevano utilizzato la leva fiscale (in concorrenza con la praticamente illimitata disponibilità di liquidità della banca centrale) come misura tampone rispetto al rischio di crisi finanziaria, alle autorità monetarie è stato lasciato il compito di risollevare l’economia dalla recessione, proprio nel momento in cui le politiche fiscali tendevano nuovamente verso l’austerità, per evitare la crescita eccessiva del debito pubblico. Poiché in tutti i paesi le autorità monetarie si sono comportate di conseguenza, l’effetto generale delle loro politiche è stato che ci è voluto un periodo di tempo eccessivamente lungo per consentire la ripresa economica, sempre che tale ripresa si sia effettivamente realizzata.
L’LPT spiega questo risultato evidenziando come, anche quando le politiche non convenzionali possono riuscire a fare abbassare i tassi, la preferenza per la liquidità guidata da aspettative pessimistiche può essere così forte e persistente da rendere i tassi d’interesse inefficaci o comunque insufficienti a spostare le preferenze degli agenti dalla liquidità verso i consumi e gli investimenti. Infatti, se si tiene conto di quanto siano importanti le aspettative convenzionali, ulteriori riduzioni dei tassi d’interesse non fanno altro che segnalare un’ulteriore fragilità economica e alimentare nel mercato sentimenti ancor più pessimistici, piuttosto che incoraggiare la domanda.
L’unica cosa che le banche centrali possono ottenere attraverso la continua espansione del loro bilancio e l’adozione di politiche di orientamento espansivo, è di cambiare lentamente le aspettative pessimistiche, segnalando la loro ostinata determinazione a contrastare la recessione e combattere la deflazione (Bossone 2017). Nel lungo periodo, il mercato finisce con l’adeguarsi; tuttavia, questa è una strategia politica molto indiretta e che richiede tempo, perché i soldi iniettati nell’economia attraverso operazioni di mercato aperto non raggiungono direttamente coloro che hanno più propensione a spendere. D’altra parte, l’esperienza dimostra che, laddove sono stati adottati tassi d’interesse negativi per stimolare la domanda aggregata, i canali di trasmissione non hanno funzionato come previsto, dato che l’elevata preferenza per la liquidità li ha effettivamente congelati, con risultati complessivamente insoddisfacenti (Jobst e Lin 2016).
Politica monetaria e fiscale
In condizioni di trappola della liquidità, le politica fiscale si rivela essere più efficace, soprattutto se coordinata con adeguate politiche monetarie. All’indomani della Grande Recessione, molti economisti mainstream (in particolare Krugman 2016 e Delong e Summers 2012) raccomandavano le politiche fiscali come la migliore via d’uscita dalle trappole della liquidità [6]. Anche altri, infrangendo tutti i tabù, raccomandavano misure come il finanziamento monetario dei disavanzi fiscali (Bernanke 2002, 2017, Caballero 2010, Turner 2013, 2015) o la distribuzione pubblica di moneta emessa dalla banca centrale (Blyth e Lonergan 2014, Muellbauer 2014).
Qui, Friedman (1969) e il suo concetto di ‘helicopter money’ si applicano in maniera più pertinente rispetto a Keynes. Tuttavia, l’analisi LPT di Keynes e l’analisi sul moltiplicatore del reddito forniscono un forte incentivo all’utilizzo congiunto di politiche monetarie e fiscali, al fine di massimizzare il loro impatto sulla domanda aggregata riducendo al minimo l’effetto delle aspettative pessimistiche sulla preferenza per la liquidità (Bossone 2017). Di conseguenza, la Banca Centrale e il Tesoro dovrebbero coordinare le loro azioni in modo da:
– consentire al governo di finanziare nuove spese, riduzioni fiscali o programmi di welfare sociale appositamente progettati per attivare i più elevati moltiplicatori di reddito senza emettere nuovo debito (il che è particolarmente utile per i paesi con un ambito fiscale fortemente vincolato);
– distribuire denaro direttamente alla gente, senza doversi affidare a canali di credito bancari, poiché né le banche né il pubblico sono rispettivamente propensi a prestare e ad indebitarsi.
Tali impieghi concomitanti di politiche monetaria e fiscale rappresentano un “free lunch” (Bossone (2016) e funzionano sempre (Buiter 2014), ma non sono mai stati messi in pratica, probabilmente perché non è stato mai capito a fondo che una forte e persistente preferenza per la liquidità:
– congela il normale funzionamento di un’economia di produzione monetaria – oggetto della teoria di Keynes
– e richiede il coordinamento di politiche monetarie e fiscali come unica strategia per intervenire direttamente sulla domanda aggregata (e senza ripercussioni sul debito) e per cambiare rapidamente le aspettative mostrando risultati visibili e una crescita dell’occupazione [7].
Conclusioni
La crisi che ha afflitto le economie avanzate nell’ultimo decennio ha portato nuovamente alla ribalta la teoria macroeconomica di John Maynard Keynes. Oltre che essere stata forse troppo effimera, tale rinascita ha in realtà coinvolto il dibattito specialistico molto meno di quanto un serio processo di rivalutazione avrebbe dovuto adeguatamente richiedere. Una rilettura troppo superficiale della portata rivoluzionaria del pensiero di Keynes ha portato molti tra i suoi recenti simpatizzati a trascurare il ruolo centrale della teoria della preferenza per la liquidità nello spiegare perché le economie capitalistiche possano trovarsi intrappolate in equilibri di sotto-occupazione, e nell’individuare nelle politiche monetarie e fiscali la soluzione al loro malessere.