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Da Veblen a Keynes: tempo di lavoro e modello di sviluppo

di Enrico Cerrini e Giulio Di Donato

C’è un tema trascurato nel dibattito pubblico, ma che nel contesto attuale può assumere una centralità difficilmente eludibile. Si tratta della riduzione dell’orario di lavoro. Nel quadro attuale segnato dai cambiamenti nel mercato del lavoro conseguenti all’avanzamento tecnologico e alla globalizzazione (descritti anche in un articolo precedente), gli autori propongono in questo articolo una diversa lettura della tematica che riflette un punto di vista teorico che prende spunto dalle riflessioni dell’economista Thorstein Veblen, il cui pensiero è stato già affrontato nell’articolo L’economica tra istituzione ed evoluzionismo

Da Veblen a Keynes. Tempo di lavoro e modello di sviluppo ott. 650x315 640x315L’economia neoclassica insegnata nei primi anni universitari presenta il tempo libero come uno dei due beni che determinano l’utilità individuale, sulla cui base calcolare l’offerta di lavoro operaia. Gli individui raggiungono maggiori livelli di utilità quanto più è alta la loro disponibilità di consumo e di tempo libero.

Tenendo conto della domanda di beni e della tecnologia utilizzata, ovvero il numero di operai necessari a ottenere la produzione richiesta dal mercato, il datore di lavoro richiede agli operai una quantità di lavoro che aumenta con il diminuire del livello salariale offerto dall’impresa. I lavoratori scelgono se accettare o meno la proposta dell’imprenditore sulla base della loro curva di offerta di lavoro, la quale aumenta con il crescere del salario offerto dall’impresa.

L’impostazione neoclassica prevede che un mercato del lavoro completamente libero stabilisca un salario in grado di equilibrare domanda e offerta di lavoro eliminando la disoccupazione involontaria. Quest’ultima può essere quindi generata solo dalla presenza di fattori che creano barriere al libero mercato. Tale teoria ha ricevuto numerose critiche perché non tiene conto né delle caratteristiche comportamentali analizzate, tra gli altri, dagli economisti keynesiani, né della contrattazione considerata dagli economisti classici come David Ricardo.

 

Come determinare salario e tempo libero

John Maynard Keynes ritiene che i salari seguano la legge della domanda e dell’offerta di lavoro ma siano vincolati da rigidità che impediscono la decrescita dei salari. Grazie a tali rigidità, quando la domanda scarseggia e si verifica un eccesso di offerta sia di beni che di lavoro, i salari non si aggiustano verso il basso e si crea disoccupazione involontaria. Al contrario, gli economisti classici negano la legge della domanda e dell’offerta ritenendo che il salario sia il risultato del conflitto sociale.

Inoltre, la teoria neoclassica determina il tempo libero solamente sulla base dell’utilità dei singoli individui, indipendentemente dalla società che li circonda. Nella sua opera principale, The theory of the leisure class, Thorstein Veblen confuta questa teoria ritenendo che il tempo libero sia determinato dalla volontà dei meno abbienti di emulare lo stile di vita della classe più ricca. La classe borghese detta gli standard in termini sia di consumo che di riposo, entrambi soggetti al tentativo di emulazione da parte della classe operaia. In questo contesto, i meno abbienti preferiscono tentare di emulare il consumo borghese perché più facilmente mostrabile ai conoscenti rispetto al riposo. L’orario di lavoro è quindi frutto del confronto tra conoscenti, i quali si impegnano vicendevolmente a dimostrare quanto siano simili alla classe borghese in termini di consumo.

Nel tentativo di dimostrare tale teoria, Bowles e Park conducono uno studio econometrico volto ad analizzare la media delle ore lavorate annualmente e il coefficiente di GINI[1] di dieci nazioni OCSE nel periodo temporale che va dal 1963 al 1998. I due accademici dimostrano come le nazioni caratterizzate da alta disuguaglianza raggiungono una media delle ore lavorate più alta rispetto a quelle che detengono un coefficiente di GINI più basso. Sebbene l’orario di lavoro sia diminuito nel periodo considerato dagli autori grazie all’introduzione delle donne nel mercato del lavoro e al declino della quota di reddito del dieci per cento più ricco della popolazione, l’effetto previsto da Veblen appare ancora evidente.

I dati OCSE del 2015 mostrano come tale effetto possa essere osservabile in Europa. In particolare, questo appare evidente se consideriamo separatamente, data la profonda differenza storica, i paesi che hanno adottato l’economia capitalista sin dal dopoguerra da quelli che hanno mantenuto un’economia pianificata fino al 1989. All’interno del proprio gruppo, le economie dell’Europa occidentale che mostrano più bassi coefficienti di GINI tendono a lavorare di meno. Lo stesso effetto è riscontrabile se consideriamo esclusivamente i paesi dell’Est Europa.

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Figura 1: Media delle ore di lavoro annuali per singolo lavoratore nel 2016 – Stati UE/OCSE

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Figura 2: Coefficiente di GINI nel 2014 – Stati UE/OCSE

Fonte: Statistiche OCSE http://www.oecd.org/social/income-distribution-database.htm e https://data.oecd.org/emp/hours-worked.htm

 

La disoccupazione tecnologica

Ulteriormente a quanto finora descritto, nella fase attuale si aggiunge il problema della disoccupazione tecnologica generata dalle innovazioni relative ad Industria 4.0. Sebbene sia chiaro come un balzo tecnologico diminuisca la quantità di lavoro necessaria a produrre un determinato bene, non si è mai chiuso il dibattito relativo all’effetto sull’occupazione generale. In questo ambito, sono stati teorizzati cinque possibili effetti positivi sull’occupazione che Marx chiama “effetti di compensazione”.

Come descritto da Marco Vivarelli, essi possono essere causati da:

  • la necessità di produrre i nuovi macchinari nel settore dei beni capitali;
  • la diminuzione dei prezzi e conseguente aumento della capacità d’acquisto dei consumatori che incide positivamente sulla domanda di beni;
  • i nuovi investimenti effettuati dalle imprese attraverso gli utili accumulati grazie all’utilizzo delle macchine;
  • la variazione dei salari. Nella teoria neoclassica, l’aumento della disoccupazione causa la decrescita dei salari e conseguente aumento della domanda di lavoro. Nella teoria keynesiana, l’aumento degli utili è in parte assorbito dai lavoratori grazie ai sindacati e si verifica un incremento nella domanda di beni;
  • i nuovi prodotti che sono commercializzati a seguito del progresso tecnologico.

Il dibattito sull’esistenza degli effetti di compensazione ha visto la presenza di ottimisti e pessimisti. In generale, la maggioranza degli economisti neoclassici appartengono al filone degli ottimisti mentre la maggior parte degli altri, in particolare i marxisti, a quello dei pessimisti. Non tutti i cinque effetti sono però criticati allo stesso modo, ad esempio il primo è confutato anche da numerosi ottimisti mentre il quinto è spesso accettato anche dai pessimisti.

Se seguiamo un’impostazione pessimista, i progressi attuali nel campo della robotica e dell’intelligenza artificiale potrebbero provocare una contrazione irreversibile e permanente dell’occupazione, tanto fra i lavoratori che svolgono mansioni esecutive, quanto fra i cosiddetti lavoratori della conoscenza. La rivoluzione industriale degli ultimi due secoli ha camminato sulla base di innovazioni radicali, capaci di generare interi settori industriali, e sulla capacità di soddisfare nuovi bisogni. La rivoluzione di Industria 4.0 sta forse cambiando le nostre vite in modo altrettanto radicale, ma i lavori che nascono dal mondo delle applicazioni paiono al momento minori di quanto necessario.

Almeno nel breve periodo il progresso tecnologico può non aprire la strada a nuove produzioni e a nuovi mestieri con la stessa velocità con cui espelle la manodopera resa superflua dai processi di automazione. Diminuendo le opportunità, aumenta la necessità di promuovere la redistribuzione del lavoro esistente. Tale redistribuzione appare necessaria nel lungo periodo se seguiamo un approccio pessimista, mentre solo temporanea se scegliamo una visione ottimista.

Il problema potrebbe essere risolto perché l’attuale sviluppo tecnologico consentirebbe di lavorare meno ore al giorno, assecondando l’antico motto lavorare meno, lavorare tutti. In base alla teoria di Veblen, questa soluzione sarebbe difficilmente applicabile se non fosse accompagnata da una redistribuzione del reddito e delle modalità di consumo delle classi sociali. Solo dopo aver trasferito la ricchezza tra la borghesia e la classe media sarebbe possibile accorciare i tempi di lavoro. Tale riforma potrebbe in seguito contribuire ad una nuova redistribuzione della ricchezza, stavolta all’interno della classe più povera, tra chi già partecipa al mondo del lavoro e gli emarginati.

 

Keynes e Veblen: un nuovo rapporto uomo-lavoro

Una redistribuzione sia del reddito che delle ore di riposo entra però in contrasto con le logiche proprie del capitalismo che in questa fase di crisi reagisce aumentando lo sfruttamento della forza lavoro residua e aggredendo salari e tutele. Come insegna Karl Marx, le crisi sono un mezzo attraverso il quale vengono ripristinate le condizioni di accumulazione del capitale:

«le crisi sono sempre soluzioni soltanto temporanee delle contraddizioni esistenti ed eruzioni violente che servono a ristabilire l’equilibrio turbato».

Nell’ottica marxista, le crisi rappresentano momenti nei quali profitto e accumulazione vengono ristabiliti per mezzo della distruzione di capitale e di forze produttive: aumento della disoccupazione e quindi abbassamento dei salari, fallimenti e quindi concentrazioni di imprese, ecc. La riduzione dell’orario di lavoro potrebbe così tramutarsi in un meccanismo in grado di inceppare i meccanismi di valorizzazione del capitale.

Per reagire alla crisi, dovrebbero essere ripresi gli insegnamenti di alcuni padri fondatori come Keynes e Marx, con il supporto di alcune idee di Veblen. Salendo sulle loro spalle, il pensiero economico dovrebbe porsi l’obiettivo di conciliare i progressi della tecnologia con la continua espulsione di lavoratori dalle produzioni esistenti e la conseguente diminuzione della domanda aggregata. Domanda che potrebbe essere alimentata solo tramite la creazione di nuovi lavori o da una seria politica redistributiva.

Nel libro Prospettive economiche per i nostri nipoti, un testo che in molti non hanno esitato a definire visionario, l’economista di Cambridge osserva lo sviluppo straordinario e incessante del progresso tecnologico e afferma:

«Noi siamo colpiti da una nuova malattia di cui alcuni lettori possono non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi anni: vale a dire la disoccupazione tecnologica. Il che significa che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera».

Keynes deduce che se le tecnologie tendono a diminuire l’utilizzo della manodopera, il risultato di questo effetto dovrebbe essere impiegato per risparmiare lavoro anziché forza lavoro. In un altro passo, lo stesso autore afferma che la società potrebbe sostenersi tramite una vita lavorativa articolata in turni di tre ore e settimane di quindici. Una soluzione di questo genere, se momentanea, potrebbe soddisfare lo spirito lavorativo degli uomini e dare il tempo al mercato di ricostruire la forza lavoro perduta durante il salto tecnologico.

Se uniamo le parole di Keynes con quanto studiato da Veblen, emerge la necessità di tornare seriamente a riflettere sulla prospettiva di un modello economico e politico più giusto e razionale. Un diverso modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale, che rimodelli le nostre vite e il modo in cui ci relazioniamo con gli altri. Un modello che evidenzi i limiti di uno sviluppo solo quantitativo e ripensi la crescita economica in termini qualitativi, in modo che possa portare innovazione facendo attenzione alla qualità di ciò che si produce e al benessere fisico, psicologico e ambientale della popolazione.


Note
[1]     Il coefficiente di GINI è un numero compreso tra 0 e 1 che misura la disuguaglianza indicando la concentrazione della ricchezza. Quando il numero è vicino a 1 otteniamo la massima concentrazione e la massima disuguaglianza.

Riferimenti bibliografici
Bowles, Samuel; Park, Yongjin (2004). Emulation, Inequality, and Work Hours: Was Thorsten Veblen Right? Working Paper, University of Massachusetts, Department of Economics, No. 2004-14.
Keynes, John Maynard. (2010). Economic possibilities for our grandchildren. In Essays in persuasion (pp. 321-332). Palgrave Macmillan UK.
Veblen, Thorstein (1934). The Theory of the Leisure Class. New York: Modern Library.
Vivarelli, Marco (2014). Innovation, employment and skills in advanced and developing countries: A survey of economic literature. Journal of Economic Issues, 48(1), 123-154.

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