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Quale Marx?

Lo scontro egemonico tra Gramsci e Gentile

di Emiliano Alessandroni

gentile croce gramsciPremessa

Nel paragrafo 235 del Quaderno 8, dal titolo Introduzione allo studio della filosofia, Gramsci sostiene l'importanza di «rivedere» e «criticare tutte le teorie storicistiche di carattere speculativo», predisponendo, sull'esempio di Engels, le idee per la composizione di «un nuovo Antidühring, che», afferma, «potrebbe essere un AntiCroce, poiché in esso potrebbe riassumersi non solo la polemica contro la filosofia speculativa, ma anche, implicitamente, quella contro il positivismo e le teorie meccanicistiche, deteriorazione della filosofia della praxis»1. Più avanti, in Q 10b, 11, egli specifica che «un Anti-Croce deve essere anche un Anti-Gentile»2.

La lotta contro le teorie dei due filosofi idealisti costituisce per Gramsci una delle vie maestre per procedere ad una corretta esposizione di quella «filosofia della praxis» che individuava in Marx ed Engels i propri padri fondatori. Il primo oggetto del contendere è dunque il materialismo storico e vedremo come le riflessioni di Gramsci, tanto quelle dei Quaderni quanto quelle degli scritti precedenti, forniscano gli elementi fondamentali oltre che per la stesura di un Anti-Croce anche per quella di un Anti-Gentile3.

Nell'accostarsi a questo tema occorre tenere in considerazione due questioni fondamentali 1) Gentile non è mai stato marxista; 2) elementi del marxismo sono penetrati nella prospettiva di Gentile. Contrariamente a quanto da un primo sguardo possa apparire, di questi due punti è il secondo a costituire il dato meno sorprendente. Gramsci stesso ci induce invero a supporre che dopo Marx non esiste autore della storia della filosofia nel quale non si possano rintracciare testimonianze della sua lezione.

Accanto infatti a quegli «elementi del marxismo» che «sono stati assorbiti "esplicitamente", cioè confessatamente», esistono altresì «assorbimenti "impliciti", non confessati, avvenuti perché appunto il marxismo è stato un momento della cultura, una atmosfera diffusa, che ha modificato i vecchi modi di pensare per azioni e reazioni non apparenti o non immediate», sicché occorrerebbe «studiare specialmente la filosofia del Bergson e il pragmatismo per vedere quanto certe loro posizioni sarebbero inconcepibili senza l’anello storico del marxismo; così per il Croce e Gentile ecc.»4. Ma questa penetrazione, e dunque compresenza di elementi, non costituisce per nessuno di essi, va detto, un'adesione ai fondamenti teorici.

Gentile in particolar modo, e qui torniamo al primo dei due punti, non soltanto non ha mai attraversato una fase marxista, ma ha sempre mostrato nei confronti di questa teoria una particolare insofferenza che, incontratasi con la propria ambizione, ha dato luogo ad un tentativo di confutarne i principi a partire dal punto più elevato della loro esposizione, rappresentato in Italia dagli scritti di Antonio Labriola. Questi aveva coniato l'espressione filosofia della prassi, per indicare il marxismo. Quel Labriola, dobbiamo ammettere, non sempre incline a risparmiare epiteti se, in uno sfogo epistolare rivolto al Croce, aveva descritto Gentile come un «giovincello prosuntuoso» e «un po' infatuato di sé» che «sulle tracce delle lezioni di quell'idiota del Iaja, tornando a studiare gli scritti di Spaventa, ha immaginato di tornare ad Hegel!»5. Quel Labriola che dal canto suo Gentile, pur tenendo conto del rapporto di amicizia che lo legava a Croce, non esitò a definire, discorrendo con quest'ultimo, come una testa ricolma «di molto buio insieme con molta dottrina indigesta»6.

Diametralmente opposto il parere di Gramsci: dopo aver polemicamente evidenziato come il celebre filosofo cassinate «non [avesse] avuto fortuna nella pubblicistica socialdemocratica», egli afferma a più riprese, nei Quaderni, che «Labriola deve essere rimesso in circolazione e la sua impostazione del problema filosofico deve essere fatta predominare»7: sì, per quanto concerne l'elaborazione teorica, secondo l'intellettuale sardo «occorre lavorare, continuando e sviluppando la posizione del Labriola»8.

D'altro canto, riguardo al rapporto tra il filosofo attualista e il marxismo, andrebbe anche ridimensionata la nota dichiarazione gentiliana secondo cui «Lenin aveva fatto attenzione» al proprio lavoro su La filosofia di Marx inserendolo «tra gli studi più notevoli che intorno a Marx avessero compiuti filosofi non marxisti»9. Questa notizia, uscita dalla penna di Gentile e presa spesso per buona senza troppa preoccupazione di testarne la veridicità, risulta, in ultima analisi, non corretta: Lenin, invero, non cita mai Gentile in nessuno dei suoi scritti, ne menziona soltanto il suddetto volume nella bibliografia orientativa, al termine di un proprio saggio sul filosofo di Treviri, precisando che si tratta di un lavoro «degno di nota» per il modo di trattare «alcuni importanti aspetti della dialettica materialista di Marx che spesso sfuggono all'attenzione dei kantiani, positivisti, ecc.»10. Tutto qui: nessun tono entusiastico, nessuna adesione prospettica.

D'altro canto il saggio gentiliano, più che un tentativo di valorizzare lo spessore filosofico del marxismo (operazione, come si è detto, già compiuta da Labriola), costituisce uno sforzo finalizzato a contrastarne la proliferazione. E una simile impresa si sarebbe rivelata efficace soltanto quando fosse stata fondata su un suo completo superamento concettuale. Ci troviamo dunque al cospetto di un tentativo di controegemonia intellettuale non troppo diverso, nei suoi obbiettivi, da quello messo in campo dal Croce. D'altro canto, lo stesso Gentile non ha mai celato, neppure in tarda età, come i giudizi critici che egli aveva formulato intorno al marxismo si trovassero per una larga parte a collimare con quelli del Croce. Così, allorché quest'ultimo pubblicò un saggio polemico, presto divenuto noto, nei confronti del pensiero di Marx, in una lettera del 14 maggio 1899 Gentile scrive entusiasta all'amico:

Mi congratulo con voi di gran cuore dello importantissimo lavoro che avete fatto...L'ho letto subito e...credo che la vostra critica sia giustissima; e giustissime mi paiono anche quelle osservazioni finali, con le quali procurate di spiegare le ragioni probabili dell'errore di Marx11.

Ancora nel 1937, in una riedizione de La filosofia di M., dopo che la frattura politica con il Croce si era oramai ampiamente consumata, Gentile riporta l'antica dedica all'amico, nella quale, decenni addietro, in occasione della prima uscita del volume, aveva scritto:

non sfuggirà, spero, al lettore intelligente, né sfuggirà certo a voi, che identico è il nostro giudizio fondamentale sulla filosofia da me criticata in questo volumetto12.

Questa dichiarazione contiene, in nuce, due informazioni fondamentali: in primo luogo che tra Croce e Gentile, al di là di alcuni aspetti, sussiste una sostanziale convergenza di giudizi nei confronti del materialismo storico; in secondo luogo, che lo studio di Gentile sulla filosofia di Marx più che un'esposizione, intende esserne una confutazione. E a questa, come vedremo, si impegnerà a rispondere Gramsci nei Quaderni, mostrandone, punto per punto, tutta la fragilità argomentativa.

 

1. L'accusa di economicismo

Un motivo ricorrente nella lettura gentiliana del materialismo storico è l'accusa di economicismo. Se da un lato Marx avrebbe avuto il merito di non «intendere l'individuo umano allo stato naturale, come lo intendevano i filosofi francesi del sec. XVIII», ma come «uomo sociale» ovvero come «uomo storico, già fornito di tutte le ideologie», dall'altro lato, quelle condizioni «in mezzo alle quali e per le quali, in una data società, la vita umana si deve esplicare», egli ha saputo pensarle come «condizioni non politiche, né religiose, né morali, né scientifiche, né artistiche, ma semplicemente ed unicamente economiche»13. Si tratta di un punto, su cui il Croce insisterà particolarmente negli anni avvenire, ma che già in una lettera del 9 Aprile 1897, Gentile gli aveva illustrato in questi termini:

non credo che possa darmi torto, quando io soggiungo che il socialismo non ha una ragione teorica dalla sua, se si rifiuta appunto quel sentimento, quel diritto, cui il materialismo storico non può essere logicamente disposto a riconoscere alcun valore scientifico. Ella mi riduce il socialismo a semplice fede politica; ora, come tale, non solo non mi pare esatto dirlo scienza; ma io penso che sia lontanissimo dalla scienza14.

La convinzione gentiliana, che troverà un riverbero nelle posizioni del Croce, è quella secondo cui sentimento e diritto non possiedono, per il materialismo storico, alcun valore scientifico, ovvero che, essendo sovrastrutture, possano ridursi a semplici apparenze, a irrilevanti epifenomeni dell'esistenza umana. La posizione viene ribadita anche nella recensione che Gentile scriverà alla terza edizione del volume del Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, pubblicata sul Resto del Carlino del 14 maggio 1918 e poi ristampata nel 1927: il marxismo svilirebbe le sovrastrutture e svilirebbe anche «il pensiero» facendone «un riflesso della vita», e intendendo questa come «determinata da leggi non condizionate dai propositi consapevoli degli uomini»15. Tali leggi, spiega il Gentile nel suo saggio, sono per il materialismo storico le leggi economiche. Certo, a queste leggi, egli osserva, sfugge «tanta e tanta parte della [realtà] fenomenica», ma giacché «essa non è economica..., non è reale realtà, avrebbe detto Marx»16. Sì, per Marx, a detta di Gentile, le sovrastrutture risultano prive di spinta propulsiva ed egli «non vuole riconoscere per reale se non ciò che è sensibile»; tutto il fondamento su cui poggia il marxismo consiste in ciò che «non siavi altra realtà all'infuori della sensibile». Ma secondo l'ottica gentiliana il movimento viene dato unicamente dallo Spirito, e quel mondo su cui il filosofo di Treviri concentrerebbe tutta l'attenzione non possiede autonomia: esso è staticità o, nel migliore dei casi, pura inerzia. Sicché, quello di Marx si rivela «un materialismo che per essere storico non è più materialismo», dunque un pensiero condannato da «una intrinseca, profonda e insanabile contraddizione [che] lo travaglia»17.

Vedremo più avanti come questa prospettiva costituisca, agli occhi di Gramsci, una ricaduta nell'unilateralità idealistica, ristrappando quanto Hegel e Marx avevano faticosamente unificato. Sia qui sufficiente osservare come Gentile ritenga che per Marx le superstrutture non siano autentica realtà. Ed essendo proprio queste, in particolar modo il pensiero, secondo il filosofo neoidealista, l'autentico motore del divenire, l'intero materialismo storico rimarrebbe invischiato in una contraddizione dalla quale non riuscirebbe ad uscire, intento com'è a fondare il movimento su un qualcosa impossibilitato a muoversi. Troviamo qui le basi di tutte le critiche successivamente rivolte da Gentile al marxismo, ma anche i fondamenti della propria filosofia dell'atto, che intenderà costituire, come osserveremo più avanti, un ritorno all'idealismo puro. Contro queste basi, si leverà la penna di Gramsci nei Quaderni del carcere.

 

2. Dal monismo dello spirito al monismo della materia

L'accusa di economismo che Gentile muove al materialismo storico (l'accusa dunque di conferire realtà soltanto alla struttura economica e al mondo sensibile) costituisce lo sviluppo di un'altra critica che si trova nella raccolta di saggi su La filosofia di Marx: l'avere il filosofo di Treviri appiattito l'intera varietà del mondo in un monismo della materia. Se per l'hegelismo, il «Primo e Immanente nella storia era l'Idea», per il marxismo «è o si crede che sia, l'opposto principio, ma pur sempre suo natural fondamento, la materia»18. Si, «ciò che v'è d'essenziale nel fatto storico», sostiene Gentile, «è per Hegel l'Idea, che si sviluppa dialetticamente», mentre «per Marx, la materia (il fatto economico), che si sviluppa egualmente»19. Dunque l'autore del Capitale non avrebbe fatto altro che sostituire «a una metafisica idealistica una metafisica materialistica»20, vale a dire «Marx non fa se non sostituire al pensiero la materia»21. E questa idea marxiana secondo cui «il principio del fare non è lo spirito, ma la materia», vuole che «l'attuazione progressiva» dello sviluppo della materia sia «assolutamente indipendente dalle determinazioni dello spirito»22. Saremmo quindi di fronte ad una nuova forma di monismo: «l'idealismo assoluto e il materialismo storico sono tutti due monismo e per la forma e per la sostanza...tutto è essenzialmente idea, o tutto è essenzialmente realtà sensibile, materia»23. Lampante risulta allora l'enorme contraddizione che affligge la filosofia di Marx: poiché secondo Gentile l'attività è soltanto autogenesi dello spirito, laddove la materia è statica, torto del materialismo storico risulta quello di aver voluto infangare il candore dell'unilateralità idealistica, ovvero di avere voluto inquinare l'attività con il sensibile:

Marx non pare si sia curato menomamente di vedere in che modo la prassi si potesse accoppiare alla materia, in quanto unica realtà; mentre tutta la storia antecedente della filosofia doveva ammonirlo dell'inconciliabilità dei due principii: di quella forma ( = prassi) con quel contenuto ( = materia)24.

Abbiamo, riassumendo, tre convinzioni principali da cui la polemica di Gentile contro Marx si sviluppa: 1) per il filosofo di Treviri l'unica realtà esistente è quella materiale e sensibile, tutto il resto non costituisce realtà ma soltanto strato d'irrilevanza, fenomeno apparente, sicché il marxismo altro non sarebbe che un monismo della materia (suscettibile di tradursi, sul piano dell'interpretazione storica, in un monismo della struttura); 2) per il marxismo la materia si muove in modo indipendente rispetto allo spirito, al suo sviluppo e alle sue configurazioni; 3) Verità vuole che nella materia non si abbia attività, prassi: questa costituisce un principio idealistico, appartiene soltanto alla realtà spirituale non-sensibile.

Nei Quaderni del carcere vedremo Gramsci impegnarsi a confutare ciascuno di questi tre fondamenti teorici.

 

3. Il marxismo di Gramsci

In Q 4, 16 e, successivamente, in Q 11, 35, con riferimento al Saggio popolare di Bucharin, ovvero al modo in cui questi tratta le teorie della teologia e delle filosofie tradizionali, Gramsci stigmatizza ogni forma di leggerezza intellettuale rammentanto come sia «facile parere di aver superato una posizione abbassandola, ma si tratta di un puro sofisma di parole: il superamento è avvenuto solo sulla carta e lo studioso si ritrova la difficoltà dinanzi in forma paurosa»25. Questo modo di procedere, soprattutto nei confronti delle Weltanschauungen avversarie, non costituisce soltanto una prerogativa del Saggio popolare, ma anche un'impostazione rintracciabile nelle confutazioni di numerosi detrattori del marxismo: «il vecchio mondo, rendendo omaggio al materialismo storico cerca di ridurlo a un corpo di criteri subordinati, di secondo grado, da incorporare nella sua teoria generale, idealistica o materialistica»26. Questo tentativo di confutare il materialismo storico, ovvero di superarlo incorporandolo nella propria teoria generale, era stato proprio anche di Gentile. Nondimeno, tale operazione, non costituisce un reale superamento della filosofia di Marx, ma soltanto delle sue volgarizzazioni: avviene infatti «spesso che si combatte l’economismo storico» nonché il materialismo meccanicistico, «credendo di combattere il materialismo storico»27. Questa tendenza è stata favorita dal fatto che le prospettive meccanicistiche hanno trovato frequentemente diffusione sotto il nome di materialismo storico, sicché, ad esempio, per quanto riguarda l'Italia, «gran parte di ciò che si chiama materialismo storico» non è altro «che lorianismo»28, vale a dire materialismo storico volgarizzato.

Se, dunque, materialismo filosofico ed economismo storico costituiscono elementi che Gentile attribuisce polemicamente a Marx, Gramsci li mette al contrario sul conto degli epigoni. Il fraintendimento ha inizio secondo l'intellettuale sardo proprio a partire da quel sostantivo, materialismo, che assieme all'aggettivo storico qualifica la peculiarità del marxismo:

Il termine di «materialismo» occorre in certi periodi della storia della cultura intenderlo non nel significato tecnico filosofico stretto, ma nel significato che prese dalle polemiche culturali dell’Enciclopedia. Si chiamò materialismo ogni modo di pensare che escludesse la trascendenza religiosa e quindi in realtà tutto il panteismo e l’immanentismo e infine più modernamente, ogni forma di realismo politico. Nelle polemiche anche odierne dei cattolici si trova spesso usata la parola in questo senso: è materialismo ogni modo di pensare che non sia «spiritualismo» in senso stretto, cioè spiritualismo religioso: quindi tutto lo hegelismo e in generale la filosofia classica tedesca, oltre all’enciclopedismo e illuminismo francese. Così, nella vita sociale, si chiama «materialismo» tutto ciò che tende a trovare in questa terra, e non in paradiso, il fine della vita; l’interessante è che una tale concezione presa dal feudalismo culturale, è impiegata dai moderni industrialisti, contro i quali era stata rivolta. Ogni attività economica che uscisse dai limiti della produzione medioevale era «materialismo», perché pareva «fine a se stessa», l’economia per l’economia, l’attività per l’attività ecc. (tracce di questa concezione rimangono nel linguaggio: geistlich tedesco per «clericale», così in russo dukhoviez, in italiano «direttore spirituale»: spirito insomma era lo Spirito Santo)29.

Così è profondamente errato ritenere che la filosofia di Marx possa intendersi come un monismo della materia, dell'economia e della struttura, ovvero del fisico qua talis, impiegando peraltro questi termini come sinonimi. Si tratta di una prospettiva già respinta in modo inequivocabile da Engels:

L'evoluzione politica, giuridica, filosofica, religiosa, letteraria, artistica, ecc. poggia sull'evoluzione economica. Ma esse reagiscono tutte l'una sull'altra e sulla base economica. Non è che la situazione economica sia causa essa sola attiva e tutto il resto nient'altro che effetto passivo. Vi è al contrario azione reciproca sulla base della necessità economica che, in ultima istanza, sempre s'impone...Non si tratta quindi, come talvolta si vorrebbe comodamente immaginare, di un effetto automatico della situazione economica30.

Su questa linea si colloca anche Gramsci, il quale, nei Quaderni, a quelle accuse di economicismo che rimproveravano al materialismo storico una mortificazione della dimensione sovrastrutturale, replicherà che «per Marx le "ideologie" sono tutt’altro che illusioni e apparenza; sono una realtà oggettiva ed operante». D'altronde, fa notare,

come Marx potrebbe aver pensato che le superstrutture sono apparenza ed illusione? Anche le sue dottrine sono una superstruttura. Marx afferma esplicitamente che gli uomini prendono coscienza dei loro compiti nel terreno ideologico, delle superstrutture, il che non è piccola affermazione di «realtà»: la sua teoria vuole appunto anch’essa «far prendere coscienza» dei propri compiti, della propria forza, del proprio divenire a un determinato gruppo sociale31.

D'altro canto, riflette ancora riprendendo quasi alla lettera le parole di Engels sopra riportate,

cosa vuol dire M. nelle Tesi su Feuerbach quando parla di "educazione dell’educatore" se non che la superstruttura reagisce dialetticamente sulla struttura e la modifica, cioè non afferma in termini "realistici" una negazione della negazione? non afferma l’unità del processo del reale32?

Stando così le cose, Gramsci può giungere ad una conclusione che si rivela diametralmente opposta rispetto a quella formulata dal neoidealismo italiano. In Q 10b, 7 egli affronta direttamente il problema «se la filosofia della praxis escluda la storia etico-politica, cioè non riconosca la realtà di un momento dell’egemonia, non dia importanza alla direzione culturale e morale e giudichi realmente come "apparenze" i fatti di superstruttura». Alla risposta affermativa fornita da Croce (ma, abbiamo visto, anche da Gentile) egli reagisce con una risposta di segno opposto, facendo implicito riferimento («la fase più recente di sviluppo di essa»), all'esempio concreto di Lenin e alla situazione storica apertasi con lo scoppio della Rivoluzione d'Ottobre:

Si può dire che non solo la filosofia della praxis non esclude la storia etico-politica, ma che anzi la fase più recente di sviluppo di essa consiste appunto nella rivendicazione del momento dell’egemonia come essenziale nella sua concezione statale e nella «valorizzazione» del fatto culturale, dell’attività culturale, di un fronte culturale come necessario accanto a quelli meramente economici e meramente politici...La filosofia della praxis criticherà quindi come indebita e arbitraria la riduzione della storia a sola storia etico-politica, ma non escluderà questa.

Evidente il diverso modo di leggere il marxismo da parte di Gramsci e da parte del neoidealismo italiano. Nondimeno, potremmo domandarci: questa messa in evidenza dell'importanza, ovvero del carattere niente affatto apparente delle sovrastrutture, costituisce, da parte dell'intellettuale sardo, un tentativo di correzione del marxismo attraverso iniezioni di filosofia idealista? Possiamo dire di trovarci, con Gramsci, di fronte ad una sorta di revisione crociana o gentiliana della prospettiva di Marx? Per quanto seducente, questa tesi non appare corretta. Piuttosto, l'operazione filosofica dei Quaderni consiste tutta nel porre in evidenza «l'unità del processo del reale» presente nel marxismo, contro gli strappi e le fuoriuscite unilaterali compiute, su sponde diverse, tanto dal materialismo filosofico, quanto dal neoidealismo. Ed «unità del processo del reale», non significa altro per Gramsci che unità dialettica di idealismo e materialismo. Ciò emerge tanto dalla sua constatazione secondo cui «il processo dialettico reale» si fonda «sulla reciprocità necessaria di struttura e superstrutture»33, quanto dal modo profondamente diverso, rispetto al neoidealismo, di concepire queste due istanze.

Lungi dal configurarsi quali corrispettivi nominali della materia e dello spirito, ovvero del fisico e del metafisico, tanto la struttura quanto le superstrutture, mostra l'intellettuale sardo, contengono nel proprio seno combinazioni di entrambi gli aspetti della realtà. Per struttura non bisogna intendere, invero, uno strumentario corporeo, un elemento tecnico, quanto piuttosto «l'insieme dei rapporti sociali in cui gli uomini reali si muovono e operano»34, vale a dire, più specificamente, «l'insieme delle forze materiali di produzione»35. Ma un tale complesso non può essere considerato «nel senso fisico o metafisico»36, dunque come unilateralità materiale o unilateralità spirituale, giacché contiene entrambi questi fattori. D'altro canto, se la struttura viene identificata con la dimensione economica, «la volontà, l'azione, l'iniziativa politica» (ovvero quanto possiamo sussumere sotto la categoria di fattore metafisico) costituiscono anch'essi, spiega Gramsci, «espressione dell'economia»37 ossia «emanazione organica di necessità economiche e anzi l'espressione efficiente dell'economia»38.

Un discorso analogo dev'essere fatto valere per le superstrutture: oltre a non costituire una dimensione effimera, esse non sono unicamente realtà spirituale e metafisica ma presentano, come le strutture, unità combinatorie e composti ibridi. Ad esempio, «le biblioteche sono strutture o superstrutture? e i gabinetti sperimentali degli scienziati?»; così la stampa, le scuole, i prodotti artistici, gli strumenti musicali, pur non essendo entità metafisiche, restano nondimeno superstrutture. Evidentemente esistono «delle superstrutture che hanno una "struttura materiale": ma il loro carattere rimane quello di superstrutture»39. Troviamo dunque, nel marxismo valorizzato da Gramsci, un rapporto dialettico (tanto tra struttura e superstrutture, quanto tra spirito e materia, tra fisico e metafisico) all'interno di ciascuna di queste due istanze (che a loro volta agiscono l'una sull'altra).

Cadono a questo punto tutta una serie di accuse mosse da parte dell'unilateralità idealistica contro il materialismo storico. Inesatto è affermare che la materia si muova per il marxismo in maniera indipendente rispetto allo spirito, al suo sviluppo e alle sue configurazioni, come ritenevano Croce e Gentile. Nel corso dello sviluppo storico noi possiamo spesso osservare il verificarsi della seguente dinamica:

Una classe si forma sulla base della sua funzione nel mondo produttivo: lo sviluppo e la lotta per il potere e per la conservazione del potere crea le superstrutture che determinano la formazione di una «speciale struttura materiale» per la loro diffusione ecc. Il pensiero scientifico è una superstruttura che crea «gli strumenti scientifici»; la musica è una superstruttura che crea gli strumenti musicali40.

Se cade dunque l'accusa rivolta al marxismo di concepire la materia in modo esclusivo, come separata e indipendente rispetto alle forme dello spirito, cade analogamente l'accusa secondo cui Marx avrebbe sostituito l'Idea hegeliana con la struttura:

Non è esatto che nella filosofia della praxis l’«idea» hegeliana sia stata sostituita con il «concetto» di struttura, come afferma il Croce. L’«idea» hegeliana è risolta tanto nella struttura che nelle soprastrutture e tutto il modo di concepire la filosofia è stato «storicizzato», cioè si è iniziato il nascere di un nuovo modo di filosofare più concreto e storico di quello precedente41.

Ancora, cade l'accusa, perfettamente speculare rispetto alla precedente, secondo cui il marxismo non avrebbe fatto altro che contrapporre al «monismo dello spirito» di Hegel, un «monismo della materia». Nuovamente, l'unilateralità idealistica rompe l'unità dialettica e critica il lato opposto (attribuito, nella sua unilateralità, al marxismo), a partire da una posizione dualistica. E ancora una volta Gramsci si impegna a ricucire l'unità strappata: contro l'«ipostasi del materialismo volgare che "divinizza" la materia» e «l'"ipostasi...dell'idealismo» che «ipostatizza lo spirito», il marxismo presuppone l'unità del reale come un interattivo «equilibrio fra spirito e materia»42. Da questo punto di vista allora, si domanda l'intellettuale sardo, «cosa significherà il termine di "monismo"? Non certo quello materialista né quello idealista, ma identità dei contrari nell’atto storico concreto»43.

All'interno di questa prospettiva, l'unilateralità idealistica che respinge l'ibridità e professa l'incontaminatezza dell'atto, scorge una contraddizione insanabile, suscettibile di inquinare e deturpare, la semovenza eterea dello spirito. Ci troviamo, in sostanza, al cospetto di due posizioni contrarie: se dal canto suo Gentile, abbiamo visto, rimprovera a Marx di connettere quell'automovimento, proprio (a suo avviso) della realtà incorporea, con la fisicità, giudicando egli incontestabile «l'inconciliabilità dei due principii: di quella forma ( = prassi) con quel contenuto ( = materia)»44, per Gramsci, al contrario, rompere questa unità dialettica disgiungendo «l'uomo dalla natura» o «l'attività dalla materia» (come vuole Gentile), significa «cade[re] in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso»45.

Evidentemente l'intellettuale sardo resta qui fedele al filosofo di Treviri che, sin dalla prima delle Tesi su Feuerbach, aveva espresso la propria filosofia come dialettizzazione di idealismo e materialismo: giacché da quest'ultima corrente, spiega Marx, «l'oggetto (Gegenstand), il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma dell'obietto (Objekt) o dell'intuizione; ma non come attività umana sensibile, come prassi, non soggettivamente», così «è accaduto...che il lato attivo è stato sviluppato, in modo astratto e in contrasto col materialismo, dall'idealismo» il quale «naturalmente ignora l'attività reale, sensibile come tale»46. Questa coesistenza di elementi, che Gentile rigetta pervicacemente, compone l'unità dialettica del reale. Comprendiamo a questo punto la ragione per cui, individuando la caratteristica principale del «"materialismo storico"» nel superamento dialettico tanto del «monismo materialista» quanto di «quello idealista», Gramsci, parli di «attività dell'uomo (storia) in concreto, cioè applicata a una certa "materia" organizzata (forze materiali di produzione), alla "natura" trasformata dall'uomo», e definendo la teoria di una tale attività come «filosofia dell'atto (praxis)» si affretti a precisare, per marcare la distanza con l'unilateralità idealistica di Gentile, che si tratta «non dell’"atto puro", ma proprio dell’atto "impuro", cioè reale nel senso profano della parola»47.

Si tenga peraltro presente che quando nel testo C Gramsci parla di attività umana «in concreto», tale concretezza significa connessione indissolubile con la «natura trasformata dall'uomo» (dunque non creata, come sosterrebbe l'attualismo). D'altro canto, l'inestricabilità di uomo e natura affermata da Gramsci significa precisamente che «la storia umana è una parte della storia naturale»48, assunto questo che Gentile non sarebbe mai disposto ad accettare, essendo la propria filosofia un idealismo assoluto, vale a dire «la negazione di ogni realtà che si opponga al pensiero come suo presupposto»49. In questo senso il completo rovesciamento di quell'assunto gramsciano, l'inversione di soggetto e predicato, rispecchierebbe senz'altro più fedelmente le posizioni dell'attualismo.

Stando a quanto osservato fin qui, possiamo ben comprendere quanto siano errate quelle letture che propongono un accostamento prospettico tra Gramsci e Gentile50, fino al punto da parlare di un «"Marx attualistico" in riferimento ai Quaderni»51, che intratterrebbero con il sistema gentiliano «un rapporto...affine a quello intrattenuto da Marx con l'idealismo hegeliano»52.

La lettura approfondita dei testi mostra un quadro ben diverso: Hegel costituisce agli occhi di Gramsci la prima figura, nella storia della filosofia, che sia stata in grado di ricostruire teoricamente l'unità dialettica del reale, combinando idealismo e materialismo, Rinascimento e Riforma. Tale unità, strappata dalla destra e dalla sinistra hegeliana, viene ricucita soltanto da Marx. Ma questi ha subito una nuova frattura: da un lato il materialismo volgare (Bucharin), dall'altro il neoidealismo (Croce e Gentile). L'intera filosofia di Gramsci persegue l'obbiettivo di ricomporre l'unità dialettica del reale, riportando a sintesi quei lati che Hegel e Marx avevano saputo tenere assieme ma che sinistra e destra hegeliana prima, materialismo filosofico e neoidealismo poi, avevano lacerato:

Nella storia della cultura, che è più larga della storia della filosofia, ogni volta che la cultura popolare è affiorata, perché si attraversava una fase di rivolgimenti sociali e dalla ganga popolare si selezionava il metallo di una nuova classe, si è avuta una fioritura di «materialismo»; viceversa le classi tradizionali si aggrappavano allo spiritualismo. Hegel, a cavallo della Rivoluzione francese e della Restaurazione, ha dialettizzato i due momenti della vita filosofica, materialismo e spiritualismo. I continuatori di Hegel hanno distrutto quest’unità, e si è ritornati al vecchio materialismo con Feuerbach e allo spiritualismo della destra hegeliana. Marx nella sua giovinezza ha rivissuto tutta questa esperienza: hegeliano, materialista feuerbacchiano, marxista, cioè ha rifatto l’unità distrutta in una nuova costruzione filosofica: già nelle tesi su Feuerbach appare nettamente questa sua nuova costruzione, questa sua nuova filosofia. Molti materialisti storici hanno rifatto per Marx ciò che era stato fatto per Hegel, cioè dall’unità dialettica sono ritornati al materialismo crudo, mentre, come detto, l’alta cultura moderna, idealista volgare, ha cercato di incorporare ciò che del marxismo le era indispensabile, anche perché questa filosofia moderna, a suo modo, ha cercato di dialettizzare anch’essa materialismo e spiritualismo, come aveva tentato Hegel e realmente fatto Marx53.

Nonostante i tentativi compiuti dal neoidealismo di dialettizzare i due momenti, esso ricade dunque nell'unilateralità. Sì, con Bucharin da un lato e Croce e Gentile dall'altro, «si riproduce ancora la posizione reciprocamente unilaterale criticata nella prima tesi su Feuerbach [da Marx n.d.r.] tra materialismo e idealismo e come allora, sebbene in un momento superiore, è necessaria la sintesi in un momento di superiore sviluppo della filosofia della praxis»54.

Vediamo che Gramsci, con riferimento a Croce e Gentile, definisce «l'alta cultura moderna», idealista volgare. Come nell'espressione materialismo volgare, impiegata dall'intellettuale sardo, l'aggettivo ha la funzione di distinguere quella corrente dal materialismo storico di Marx, così nell'espressione idealismo volgare, l'aggettivo serve a distinguere la corrente dalla filosofia di Hegel. Ma come dovrà essere inteso quel «volgare» in riferimento all'«alta cultura moderna»? In tutti i casi si tratta di una unilateralità dogmatica ed esclusiva. Nel primo dei due, nel caso del materialismo, abbiamo un abbassamento della cultura al livello popolare (e non, viceversa, un innalzamento del popolo al livello della cultura, come dovrebbe avvenire per Gramsci – e per Hegel), che produce una sorta di filosofia scolastica, incapace di attingere la complessità del reale e priva di forza egemonica. Nel secondo, nel caso dell'idealismo, assistiamo ad un allontanamento della cultura dalla realtà concreta, dai bisogni e dalle passioni viventi degli uomini in carne e ossa. Ne consegue che «la filosofia del Gentile...è tutta contraria al senso comune» non soltanto dal lato difettoso delle sue superstizioni e dei suoi preconcetti, ma anche da quello meritorio del suo «buon senso», ovvero quando esso significhi «atteggiamento di sprezzo per le astruserie, le macchinosità, le oscurità di certe esposizioni scientifiche e filosofiche»55. In effetti, questo secondo tipo di senso comune sarebbe quello che, a ragione, avvertirebbe maggiore insofferenza verso i «banali sofismi dell’idealismo attuale»56. Il neoidealismo si rivela una filosofia volgare, in quanto disprezza l'uomo della Riforma ed esalta l'uomo del Rinascimento. Questo passo, benché riporti il nome di Croce, potrebbe essere rivolto, per l'analogia delle accuse che i due neoidealisti rivolgono al marxismo, anche a Gentile. D'altro canto il paragrafo riporta come titolo Punti di riferimento per un saggio sul Croce, ovvero per la stesura di un Anti-Croce che come abbiamo visto, per Gramsci doveva essere anche un Anti-Gentile:

Croce rimprovera alla filosofia della praxis il suo «scientismo», la sua superstizione «materialistica», un suo presunto ritorno al «medioevo intellettuale». Sono i rimproveri che Erasmo, nel linguaggio del tempo, muoveva al luteranismo. L’uomo del Rinascimento e l’uomo creato dallo sviluppo della Riforma si sono fusi nell’intellettuale moderno del tipo Croce, ma se questo tipo sarebbe incomprensibile senza la Riforma, esso non riesce più a comprendere il processo storico per cui dal «medioevale» Lutero si è necessariamente giunti allo Hegel e perciò di fronte alla grande riforma intellettuale e morale rappresentata dal diffondersi della filosofia della praxis riproduce meccanicamente l’atteggiamento di Erasmo57.

L'intellettualismo di Erasmo, che disprezza il luteranesimo ignorando come questi contenga nel suo seno i germi di uno sviluppo materiale-spirituale che perverrà sino ad Hegel, si riproduce nell'atteggiamento assunto da Croce e Gentile nei confronti del movimento socialista e del materialismo storico. Si tratta di una forma di dogmatismo, di unilateralità autoreferenziale, ovvero, della volgarità dell'alta cultura58. Comprendiamo allora che cosa intenda Gramsci allorché parla «della rozzezza incondita del pensiero gentiliano»59: si tratta di un atteggiamento sprezzante verso qualunque iniziativa autonoma delle masse popolari finalizzata ad un'emancipazione materiale e ad un'elevazione culturale. In questo senso il filosofo attualista presuppone una stratificazione sociale nel seno dello Stato alla quale far corrispondere una stratificazione spirituale. Questo risulterebbe altresì, agli occhi di Gramsci, il «modo di pensare del Gentile nell’organamento della riforma scolastica, per cui si è introdotta nelle scuole primarie la religione»60. Tale scelta costituisce un risultato che discende dall'«impotenza della filosofia idealista a diventare una integrale concezione del mondo». Sì, l'intero neoidealismo risulta una filosofia del tipo Rinascimento, incapace di farsi Riforma, giacché guarda quest'ultima dall'alto in basso, inetto com'è nel suo tentativo di «creare una schiera di discepoli» in grado di «rendere questa filosofia "popolare" capace di diventare un elemento educativo fin dalle scuole elementari (e quindi educativo per il semplice operaio e per il semplice contadino, cioè per il semplice uomo del popolo)». Essendo ciò «impossibile» allora «è avvenuto che Gentile, praticamente più conseguente del Croce, ha rimesso la religione nelle scuole e ha giustificato questo atto con la concezione hegeliana della religione come fase primitiva della filosofia (Croce del resto avrebbe fatto altrettanto se il suo progetto scolastico avesse superato gli scogli della politica parlamentare)». Ma, si domanda Gramsci, questa spiegazione non è forse «una pura gherminella? Perché si dovrebbe dare al popolo un cibo diverso da quello degli intellettuali»61? Essendo un Rinascimento senza Riforma, un Erasmo senza Lutero, il neoidealismo risulta incapace di unificare alta e bassa cultura, intellettuali e popolo. Presuppone ormai la parete divisoria invalicabile e incoraggia quindi due diversi contenuti con cui riempire le coscienze: per i primi la Ragione, per i secondi la Fede. Tale espediente costituisce un modo per lasciare gli strati popolari in una condizione di sudditanza psicologica e culturale. Nel complesso, polemizza Gramsci, «l’introduzione della religione nelle scuole elementari ha infatti come correlativo la concezione della "religione buona per il popolo" (popolo = fanciullo = fase arretrata della storia cui corrisponde la religione ecc.), cioè la rinunzia a educare il popolo». D'altro canto, «che nelle scuole elementari sia necessaria una esposizione "dogmatica" delle nozioni scientifiche, non significa che si debba per dogma intendere quello "religioso confessionale"»62. Risuona, in queste considerazioni, il principio espresso nel Quaderno 7: perché si dovrebbe dare al popolo un cibo diverso da quello degli intellettuali? Anche in questo aspetto della riforma scolastica emerge per Gramsci tutta l'unilateralità della prospettiva idealista, incapace di unificare i diversi momenti e aspetti della realtà vivente: il Soggetto e l'Oggetto, l'ideale e il materiale, lo spirituale e il sensibile.

 

4. Gentile contra Marx: dall'accusa di messianesimo al rifiuto dell'oggettivismo

Un'altra delle accuse che, nel suo celebre saggio, Gentile rivolge al filosofo di Treviri è quella di presentare una prospettiva essenzialmente fatalistica e messianica del processo storico. Secondo la filosofia di Marx, egli afferma, «nella storia c'è...una finalità...e questa finalità è essenzialmente ottima», e «poiché la finalità è immanente nel processo storico fin dal suo primo principio, come l'intuizione hegeliana, anche la marxista è in fatto ottimista, contemplando una storia che cammina verso un fine, che è il bene di tutti, il bene assoluto»63. Si tratta di una prospettiva che viene ribadita in una lettera al Croce. Il socialismo viene qui configurato come il momento nel quale la dialettica storica verrebbe soppressa: se Marx afferma infatti che «una volta finita la storia prepolitica» e «cominciata la vera storia, s'è sempre venuto innanzi per antitesi», allora, domanda polemicamente Gentile, «perché le antitesi non proseguiranno sempre a generarsi in forme sempre più nuove in seno di questa società progrediente in perpetuo»64? Il presupposto da cui qui vengono prese le mosse è quello secondo cui comunismo significhi per Marx la fine delle antitesi e dunque, in ultima analisi, la fine della storia.

Questo cammino verso il momento in cui tutte le antinomie verranno soppresse costituirebbe per il materialismo storico un «processo determinabile a priori», giacché «chi dice processo necessario, stabilisce già la base d'una previsione dell'avvenire»65; così la precisazione di Labriola secondo cui l'autore del Capitale starebbe pur sempre parlando di previsioni morfologiche, non soddisfa il filosofo siciliano che, leggendo le pagine marxiane, dietro il teorico del divenire scorge un profeta, dietro l'abito dello scienziato un utopista. Così, nel saggio del 1918 sopra citato (e ristampato sotto la propria supervisione nel 1927), Gentile si impegna a celebrare Benedetto Croce per ciò che «dimostrò l'errore grossolano in cui il Marx era incorso formulando la sua famosa legge della caduta tendenziale del saggio di profitto»66.

Prendendo dunque le mosse da questa identificazione tra necessità e prevedibilità, Gentile giunge ad appiattire su quest'ultima categoria anche il concetto di tendenza. Così, nel nome della lotta contro le vedute messianiche e fataliste, proprie dei profeti disarmati più che degli scienziati del reale, allontana con ripugnanza l'intera concezione oggettivista che percorre la filosofia di Marx. Ad essa il futuro teorico dell'attualismo oppone una sorta di antropocentrismo kantiano: contro Labriola, quindi, che aveva hegelianamente definito il marxismo come un'autocritica che è nelle cose stesse, egli ribatte: «nelle cose, nella storia, intesa come qualcosa di esterno e indipendente da noi, non c'è né significato, né legge» giacché «siamo sempre noi, che vediamo una storia con un significato, con una legge secondo la quale pensiamo che si muova». Questo noi, approfondisce il Gentile, coincide con la «soggettività che E. Kant scoprì», ed «Engels...mostra di non sapere nulla di quella soggettività o umanità della scienza, che equivale, dopo Kant, a quella che comunemente si dice obbiettività»67. Si tratta di un punto fondamentale che viene ribadito e chiarito in una lettera al Croce:

il Labriola ogni momento martella: determinare scientificamente non è imporre alla storia i ragionamenti nostri, e con questi costruire il processo di quella. Egli bada a ripetere mille volte che la nuova teoria non è che l'autocritica delle cose stesse, la visione immanente della realtà della storia, la teoria obbiettiva delle rivoluzioni sociali, e dà sfogo molto spesso a quel suo aborrimento per l'astrattismo...ma questo a me pare il lato più debole de' due preziosi saggi del Labriola...Ora, l'interpretazione, o la rivelazione, o la concezione, è prodotto della storia, o di noi che la studiamo e procuriamo di filosofarvi su? [...] Nella storia, nella società, nelle cose, non c'è né significato, né legge; e il significato e la legge è sempre determinazione dello spirito, è sua elaborazione, diciamolo pure, soggettiva; e l'obbiettività si riduce unicamente alla certezza dell'osservazione immediata, elevata a cognizione necessaria e universale...le cose, in mezzo alle quali ci muoviamo e intendiamo di muoverci, non sono che i nostri concetti di esse cose68.

Siamo al cospetto di un fenomeno che, in uno studio di alcuni decenni più tardi, György Lukács denuncerà come parte di un più ampio e variegato movimento di reazione culturale alle novità teoriche apportate da Hegel e dal materialismo storico, le quali avevano innescato, sin dal loro primo apparire, un movimento di espansione della Ragione e di ampliamento dei diritti di portata epocale. Procedendo questi due eventi di pari passo, i tentativi di ridurre i secondi sul piano sociale e politico venivano accompagnati da numerosi sforzi per comprimere la prima sul piano culturale e filosofico. Croce e Gentile (e il neoidealismo italiano nel suo complesso) concorrevano ad una tale contrazione, afferma polemicamente Lukács, incoraggiando nella «lotta contro il marxismo...la radicale soggettivizzazione della storia», ovvero, «la radicale eliminazione delle leggi storiche»69. Nelle reazioni dei più svariati filosofi nei confronti del marxismo, troviamo quindi molti atteggiamenti comuni ravvisabili in Gentile: tutte le filosofie che «osi[no] proporsi delle mete per il futuro»70 vengono respinte, «la causalità viene disprezzata»71, lo sviluppo della filosofia classica tedesca Kant-Fichte-Schelling-Hegel-Marx, viene ripercorso all'indietro riproponendo da un lato la «filosofia kantiana» e dall'altro «un movimento di ritorno a Fichte» con cui contrastare l'affermarsi dell'oggettivismo hegelo-marxista (già Hegel aveva «sempre respinto il soggettivismo kantiano e in particolare la sua negazione della conoscibilità della "cosa in sé"») e promuovere «l'idealismo soggettivo»72. Pertanto «Hegel viene ricondotto a Fichte, l'idealismo oggettivo all'idealismo soggettivo»73, ovvero in questo sedicente hegelismo «la nuova tendenza di Hegel viene erroneamente intesa come un ritorno a Kant e a Fichte»74, ma nel complesso «il fondamento teorico del neohegelismo rimane kantiano nella sua essenza»75.

 

5. Soggettivismo idealista e oggettivismo materialista in Gramsci

Questa ipoteca kantiana che grava sul neohegelismo tedesco e su Gentile76, va detto, risulta presente talvolta anche nei Quaderni gramsciani, laddove, ad esempio, lottando contro le incrostazioni del materialismo volgare presenti in alcune correnti del marxismo, le loro pagine giungono ad identificare l'«oggettivo» con l'«umanamente oggettivo», ovvero con l'«universale soggettivo»77. Nondimeno, per tutto il resto degli scritti carcerari, Gramsci si mostra strettamente legato ai concetti di necessità, legge tendenziale, leggi di necessità storica e persino di previsione. Contro quel Croce celebrato da Gentile che aveva condannato Marx come inventore di un «paragone ellittico» tra un presente reale e un ipotetico futuro ancora da compiersi, Gramsci ricorda che «tutto il linguaggio è una serie di "paragoni ellittici" e che la storia è un paragone implicito tra il passato e il presente (l’attualità storica)», quindi «perché l’ellissi sarebbe illecita se il paragone avviene con un’ipotesi avvenire, mentre sarebbe lecita se il paragone avviene con un fatto passato?»78. D'altro canto, l'irrazionalità non risiede nei tentativi di previsione, ma piuttosto nella convinzione secondo cui nulla può essere previsto: «se i fatti sociali sono imprevedibili e lo stesso concetto di previsione è un puro suono, l’irrazionale non può non dominare e ogni organizzazione di uomini è antistoria, è un "pregiudizio"»79. Non si tratta allora di negare la legittimità della previsione, essendo questa connessa alla razionalità stessa del reale, bensì di comprendere come essa sia resa via via più problematica dall'aumento delle determinazioni in gioco che alterano la semplicità dell'automatismo tradizionale: «che nella vita economica moderna l’elemento "arbitrario" sia individuale, sia di consorzi, sia dello Stato abbia assunto un’importanza che prima non aveva e abbia profondamente turbato l’automatismo tradizionale è fatto che non giustifica di per sé l’impostazione di nuovi problemi scientifici»; d'altro canto «non è detto che il vecchio "automatismo" sia sparito, esso si verifica solo su scale più grandi di quelle di prima»80, rendendosi dunque più faticosamente calcolabile e decifrabile. Ma la difficoltà della sua comprensione soggettiva non inficia la sua esistenza oggettiva. Diversamente, la storia non sarebbe altro che un insieme caotico di fatti disconnessi e accidentali.

Il concetto di previsione storica, tuttavia, non deve essere equiparato a quello meccanico delle scienze naturali. Gramsci critica ancora una volta le due unilateralità: per un verso ritiene «necessario impostare esattamente il problema della prevedibilità degli accadimenti storici per essere in grado di criticare esaurientemente la concezione del causalismo meccanico»81, nonché quelle teorie che pretendono di «“prevedere” l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia», trascurando il fatto che «la legge che spiega gli aggregati sociali non è una “legge fisica”, intesa nel senso stretto della parola» poiché «nella fisica non si esce dal dominio della quantità altro che per metafora». Per un verso, quindi, presenta il materialismo storico (per il quale «la qualità è...strettamente connessa alla quantità e anzi in questa connessione è la sua parte originale e feconda») come fortemente distante da qualunque forma di causalismo meccanico. Per un altro verso, tuttavia, mostra la lontananza che questa teoria assume anche rispetto alle prospettive soggettiviste e idealistiche, in quanto, pur esistendo senz'altro un «qualcosa» che trascende il sensibile, «l’idealismo ipostatizza questo “qualcosa”, ne fa un ente a sé, lo spirito, come la religione ne aveva fatto la divinità»82. Il materialismo storico, in sostanza, non può essere concepito né come un materialismo, né come un idealismo, ma come l'inglobamento unitario di entrambe le istanze: invero «la filosofia della praxis “assorbe” la concezione soggettiva della realtà (l’idealismo) nella teoria delle superstrutture, l’assorbe e lo spiega storicamente [l'idealismo n.d.r.], cioè lo “supera”, lo riduce a un suo “momento”». Se tuttavia «la teoria delle superstrutture è la traduzione in termini di storicismo realistico della concezione soggettiva della realtà»83, le superstrutture stesse, come abbiamo osservato, non esauriscono la realtà, né posseggono una vita autonoma: esse, piuttosto, risultano inestricabilmente connesse alle strutture (nonché, da una parte e dall'altra, agli elementi materiali), assieme alle quali percorrono un tracciato che, nei suoi annodamenti e nelle proprie diramazioni, mostra una specifica (ancorché non unilineare) logica di sviluppo, una razionalità suscettibile di essere rinvenuta e, sotto certi aspetti generali, prevista.

La genericità a cui la previsione deve attenersi è dovuta al fatto che se «si può prevedere “scientificamente”...la lotta», non si possono prevedere con altrettanta scientificità tutti i gradi e «i momenti concreti di essa», in quanto questi costituiscono «risultati di forze contrastanti in continuo movimento» mai riducibili «a quantità fisse, perché in esse la quantità diventa continuamente qualità»84. L'incapacità di prevedere ogni specifico momento di un dato divenire, tuttavia, non elimina la possibilità oggettiva di «prevedere», ovvero «di identificare con esattezza gli elementi fondamentali e permanenti del processo»85. Nonostante la difficoltà dovuta al continuo e repentino fenomeno di conversione della quantità in qualità, oltre all'elevato numero delle determinazioni in gioco, risulta di fondamentale importanza per Gramsci «isolare e studiare delle leggi di regolarità necessarie, cioè delle leggi di tendenza», le quali «sono leggi non in senso naturalistico o del determinismo speculativo, ma in senso “storicistico” in quanto cioè si verifica il “mercato determinato”, ossia un ambiente organicamente vivo e connesso nei suoi movimenti di sviluppo»86. Comprendiamo allora a questo punto tutta la profondità contenuta nella categoria impiegata da Labriola, e schernita da Gentile, di previsione morfologica. Si tratta non già di messianismo, ma di un'adeguata comprensione di quell'attributo tendenziale troppo trascurato dalle critiche di matrice idealistica. Dopo aver criticato con asprezza il saggio del Croce (celebrato con entusiasmo da Gentile87) in cui veniva messa in discussione la caduta tendenziale del saggio di profitto, Gramsci difende così gli elementi di novità apportati dal Capitale di Marx:

La “critica” dell’economia politica parte dal concetto della storicità del “mercato determinato” e del suo “automatismo” mentre gli economisti puri concepiscono questi elementi come “eterni”, “naturali”; la critica analizza realisticamente i rapporti delle forze che determinano il mercato, ne approfondisce le contraddizioni, valuta le modificabilità connesse all’apparire di nuovi elementi e al loro rafforzarsi88.

Non si tratta, spiega l'intellettuale sardo, di una novità limitata al campo dell'economia. Essa mostra consistenti ripercussioni sul piano filosofico e gnoseologico:

La scoperta del principio logico formale della “legge di tendenza”, che porta a definire scientificamente i concetti fondamentali nell’economia di «homo oeconomicus» e di “mercato determinato” non è stata una scoperta di valore anche gnoseologico? Non implica appunto una nuova “immanenza”, una nuova concezione della “necessità” e della libertà ecc.89?

Ci troviamo dunque di fronte a concetti che, intesi in modo dialettico, al di fuori del causalismo meccanico proprio del materialismo filosofico, costituiscono per Gramsci importanti acquisizioni cognitive. Le categorie di «“regolarità”, “legge”, “automatismo” nei fatti storici», risultano per l'intellettuale sardo di vitale importanza nello sviluppo della coscienza collettiva, la quale tanto più si corrobora quanto più riesce a «rilevare come nello svolgimento storico si costituiscano delle forze “permanenti”, che operano con una certa regolarità e automatismo»90. D'altro canto, per Gramsci, «l’automatismo è in contrasto con l’arbitrio, non con la libertà»91.

Si tratta di un concetto già espresso nello scritto Il nostro Marx pubblicato su Il grido del popolo il 4 maggio del 1918: in esso vengono fornite delucidazioni intorno al debito che l'intera modernità contrae nei confronti del filosofo di Treviri, giacché «Marx significa», a ben vedere, «ingresso dell'intelligenza nella storia dell'umanità, regno della consapevolezza». Tuttavia, occorre domandarsi, per che cosa sta qui il termine consapevolezza? Esso non può che significare comprensione dell'automatismo, coscienza della necessità, illuminazione del suo tracciato; significa che «l'uomo conosce se stesso, sa quanto può valere la sua individuale volontà, e come essa possa essere resa potente in quanto, ubbidendo, disciplinandosi alla necessità, finisce col dominare la necessità stessa, identificandola col proprio fine». Ma giunti a questo punto si ripresenta un nuovo problema: che cosa significa «dominare la necessità stessa»? Il padroneggiamento del necessario può prendere avvio, per Gramsci, soltanto a partire dalla coscienza di esso e dalla conformazione ad esso delle proprie finalità: «la sistemazione della reale causalità storica acquista valore di rivelazione...diventa principio d'ordine per lo sterminato gregge senza pastore». Il filosofo di Treviri introduce dunque, nella processualità reale, una scienza della trasformazione e un «impulso rettilineo verso il fine massimo, senza scampagnate sui verdi prati della cordiale fratellanza, inteneriti dalle verdi erbette e dalle morbide dichiarazioni di stima e d'amore»; il suo insegnamento costituisce «un momento individuale della ricerca affannosa secolare che l'umanità compie per acquistare coscienza del suo essere e del suo divenire, per cogliere il ritmo misterioso della storia e far dileguare il mistero» in modo da «essere piú forte nel pensare e operare»92. La consapevolezza dell'automatismo produce dunque una nuova spinta, più realistica e meno illusoria, verso l'universale concreto e la trasformazione in senso razionale dell'esistente; il sapere, la presa di coscienza, l'illuminazione del necessario, portano nuova linfa vitale all'azione, impedendo che questa venga dispersa nelle nebbie di una intenzionalità astratta e vana.

Oltre alla lezione di Marx, nella riflessione gramsciana vediamo agire, direttamente o indirettamente, anche la Scienza della logica di Hegel, le cui pagine insegnano in maniera scrupolosa che «la necessità non diventa libertà perché sparisca, ma solo perché la sua identità ancora interna viene manifestata»93.

L'automatismo che per Gramsci risulta importante acquisire, non costituisce una profezia con cui fomentare un'azione di fatto incapace di pervenire all'obbiettivo94, bensì il risultato di una attenta disamina sulle articolazioni di cui il presente si compone e sul modo in cui queste risultano scaturite da quelle del passato, un'accurata analisi intorno alle strutture del reale e al funzionamento del loro muoversi:

Il significato di “tendenziale” pare dover essere pertanto di carattere “storico” reale e non metodologico: il termine appunto serve a indicare questo processo dialettico per cui la spinta molecolare progressiva porta a un risultato tendenzialmente catastrofico nell’insieme sociale, risultato da cui partono altre spinte singole progressive in un processo di continuo superamento che però non può prevedersi infinito, anche se si disgrega in un numero molto grande di fasi intermedie di diversa misura e importanza95.

La morfologia sociale tende dunque a suscitare forze nel proprio seno che collidono con le strutture in cui si muovono; essa verrà indotta a modellarsi per tentare di attenuare o contenere le collisioni. Ma una tale opera di contenimento non potrà procedere all'infinito. Il moltiplicarsi, per quantità e intensità, degli scontri e delle fasi intermedie, determinerà nel lungo periodo la caduta di quelle strutture, la loro sostituzione con delle nuove. Si tratta del passaggio dallo Stato-classe (o coercitivo) allo Stato-società regolata, che presuppone anch'esso un ciclo transitorio dai caratteri coercitivi, volto a difendere, con tutti i mezzi di cui si dispone, le conquiste immediatamente conseguite contro gli industriosi tentativi di distruggerle:

L’elemento Stato-coercizione si può immaginare esaurentesi mano a mano che si affermano elementi sempre più cospicui di società regolata (o Stato etico o società civile). Le espressioni di Stato etico o di società civile verrebbero a significare che quest’«immagine» di Stato senza Stato era presente ai maggiori scienziati della politica e del diritto in quanto si ponevano nel terreno della pura scienza (= pura utopia, in quanto basata sul presupposto che tutti gli uomini sono realmente uguali e quindi ugualmente ragionevoli e morali, cioè passibili di accettare la legge spontaneamente, liberamente e non per coercizione, come imposta da altra classe, come cosa esterna alla coscienza)...Nella dottrina dello Stato-società regolata, da una fase in cui Stato sarà uguale Governo, e Stato si identificherà con società civile, si dovrà passare a una fase di Stato- guardiano notturno, cioè di una organizzazione coercitiva che tutelerà lo sviluppo degli elementi di società regolata in continuo incremento, e pertanto riducente gradatamente i suoi interventi autoritari e coattivi96.

È vero, in alcuni casi Gramsci, allorché parla di passaggio dal regno della necessità al regno della libertà sembra dar ragione alle accuse di Gentile prospettando un momento in cui «le contraddizioni spariranno» e «il “pensiero”, le idee non nasceranno più sul terreno delle contraddizioni»97. Tuttavia, la stessa dicitura di società regolata per identificare il regno della libertà, lascia pensare ad una galassia sociale con un ben preciso sistema giuridico, che, pur vedendo superati gli scontri intestini tra le classi e le guerre fra gli stati, si propone di regolamentare la vita collettiva, impedire il risorgere delle vecchie contraddizioni e risolvere lo sviluppo delle nuove. Altrimenti, a che varrebbe un sistema normativo in un mondo in cui non esistono più tracce di contraddizioni reali? Si può allora supporre che parlando di momento in cui «le contraddizioni spariranno», Gramsci si stia riferendo alle principali contraddizioni tra le classi e tra gli Stati, non già a tutti i tipi di contraddizioni qua talis.

Il superamento del sistema capitalistico non significa risoluzione di ogni problema, fine del movimento e della dialettica. Ne possiamo indicare, oggi, un esempio concreto: a partire dalla rivoluzione cubana si è assistito nell'isola ad una progressivo dileguare del conflitto di classe, nonché delle classi stesse. Nondimeno, oltre alla tensione con altri Stati, che ha assunto le più svariate configurazioni, all'interno stesso del territorio nazionale non sono scomparsi i problemi, non sono venute meno tutte le contraddizioni e non è dileguata la dialettica. Rispetto al passato feudale e all'estrema polarizzazione di ricchezza e povertà che lo caratterizzava, la contraddizione di classe non appare più il centro gravitazionale dei problemi e non dilania più il tessuto sociale. D'altro canto, se, da quanto abbiamo osservato, per Gramsci automatismo e libertà non si escludono, e l'una non sorge dalle ceneri dell'altro ma dalla sua illuminazione, dobbiamo dedurne che il regno della libertà non costituisce la fine del regno della necessità ma il sorgere di un regno della necessità nuovo, in cui il genere umano non risulterà più lacerato in formazioni dominanti e dominate, inclini a generare una lotta reciproca che si ripercuote sulla nascita della coscienza e del sapere, ma apparirà congiunto nella diversità (che si riconosce nell'unità) e tormentato da un altro assetto di problemi, tra i quali, nella fase attuale, possiamo menzionare, con certezza, soltanto quelli di ordine naturale (virus, malattie, alluvioni, terremoti, risorse ambientali, questioni ecologiche), forti della previsione morfologica che la natura (con le sue contraddizioni) non verrà elusa dalla nascita di un nuovo sistema, ma accompagnerà sempre l'umanità per l'intera durata della sua storia98.

Per concludere, anche per quanto concerne i concetti di legge, previsione e automatismo, il marxismo di Gramsci si distanzia tanto dall'oggettivismo meccanico del materialismo volgare, quanto dal soggettivismo a tendenza volontaristica del neoidealismo. Lo sforzo di ricostruire il delicato equilibrio tra le parti (il “giusto rapporto”, il “nesso dialettico”) costituisce una costante del pensiero gramsciano che accompagna le pagine dei Quaderni come un'ombra:

L’errore in cui si cade spesso nelle analisi storico-politiche consiste nel non saper trovare il giusto rapporto tra ciò che è organico e ciò che è occasionale: si riesce così o ad esporre come immediatamente operanti cause che invece sono operanti mediatamente, o ad affermare che le cause immediate sono le sole cause efficienti; nell’un caso si ha l’eccesso di «economismo» o di dottrinarismo pedantesco, dall’altro l’eccesso di «ideologismo», nell’un caso si sopravalutano le cause meccaniche; nell’altro si esalta l’elemento volontaristico e individuale. (La distinzione tra «movimenti» e fatti organici e movimenti e fatti di «congiuntura» o occasionali deve essere applicata a tutti i tipi di situazione, non solo a quelle in cui si verifica uno svolgimento regressivo o di crisi acuta, ma a quelle in cui si verifica uno svolgimento progressivo o di prosperità e a quelle in cui si verifica una stagnazione delle forze produttive). Il nesso dialettico tra i due ordini di movimento e quindi di ricerca difficilmente viene stabilito esattamente e se l’errore è grave nella storiografia, ancor più grave diventa nell’arte politica, quando si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e avvenire: i proprii desideri e le proprie passioni deteriori e immediate sono la causa dell’errore, in quanto essi sostituiscono l’analisi obbiettiva e imparziale e ciò avviene non come «mezzo» consapevole per stimolare all’azione ma come autoinganno99.

Se per Gentile, in sintesi, la causalità costituisce di per sé l'aspetto messianico del marxismo che sopprime la dimensione soggettiva, secondo Gramsci al contrario, soltanto liberando l'analisi del reale dai «proprii desideri» e dalle «proprie passioni» soggettive e procedendo ad una comprensione dei funzionamenti oggettivi del divenire storico (tenendo quindi conto del delicato equilibrio «tra ciò che è organico e ciò che è occasionale» tra «cause immediate» e «cause che invece sono operanti mediatamente»), risulta possibile non soltanto «ricostruire la storia passata» ma anche «costruire quella presente e avvenire», evitando di cadere in quelle forme di «autoinganno» alimentate dalle ipostasi del soggetto non meno che dall'economicismo e dai causalismi meccanici. Nell'intento, dunque, di combattere il messianesimo a suo avviso inscritto nell'oggettivismo marxista, Gentile finisce, in ultima istanza, per aprire le porte al messianesimo di un soggettivismo idealista. In tal senso è anche contro il rischio che il messianesimo gentiliano (ovvero la metafisica del soggetto) possa aver presa sui teorici del movimento socialista che Gramsci invita allo studio di Antonio Labriola e sviluppa le proprie riflessioni.


Note 
1A. Gramsci, Quaderni del Carcere, a c. di V. Gerratana, Einaudi, Torino 2001 (d'ora in avanti Q seguito dal numero di quaderno e del paragrafo) 8, 235, p. 1088.
2Ivi, Q 10b, 11, p. 1234.
3Un parere diametralmente opposto hanno espresso figure come Augusto Del Noce (Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano 1992), Salvatore Natoli (Giovanni Gentile filosofo europeo, Bollati Boringhieri, Torino 1989), Corrado Ocone (Il vero realismo è quello (post)idealistico. Fichte, Gentile, Gramsci e altre suggestioni filosofiche, Reset, 6-12-2012) e più recentemente Diego Fusaro (Antonio Gramsci. La passione di essere nel mondo, Feltrinelli, Milano 2015).
4A. Gramsci, Q 4, 3, pp. 421-422.
5A. Labriola, Carteggio V. 1899-1904, a c. di S. Miccolis, Biliopolis, Napoli 2006, p. 340. 6G. Gentile, Lettere e Benedetto Croce. Vol I, Sansoni, Firenze 1972, [69] p. 187.
7A. Gramsci, Q 3, 31, p. 309.
8Ivi, Q 4, 3, p. 422.
9G. Gentile, La filosofia di Marx, Sansoni, Firenze 1974, p. 8.
10Lenin, Karl Marx, in Id., Opere complete, XXI, Editori Riuniti, Roma 1955, p. 70.
11G. Gentile, Lettere e Benedetto Croce. Vol I, cit., [55] p. 177.
12G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 7.
13Ivi, p. 26.
14G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, cit., [9] p. 35.
15G. Gentile, Il marxismo di Benedetto Croce, in Id., La filosofia di Marx, cit., p. 298.
16G. Gentile, La filosofia di Marx, cit. p. 130.
17Ivi, p. 161.
18Ivi, p. 28.
19Ivi, p. 41.
20Ivi, p. 131.
21Ivi, p. 86.
22Ivi, p. 120.
23Ivi, p. 148.
24Ivi, p. 163.
25Gramsci, Q 4, 16, p. 437.
26Ivi, Q 4, 14, p. 436.
27Ivi, Q 4, 38 p., 463.
28Ivi, Q 7, 13, p. 863.
29Ivi, Q 5, 39, p. 572.
30F. Engels, Lettera a Walther Borgius del 25 Gennaio 1894, in MEW.
31A. Gramsci, Q 4, 15, p. 436-437.
32Ivi, Q 7, 17, p. 964.
33Ivi, Q 8, 182, p. 1051-52.
34Ivi, Q 10b, 8, p. 1226.
35Ivi, Q 11, 30, p. 1443.
36Ibidem.
37Ivi, Q 4, 38, p. 461.
38Ivi, Q 13, 18, p. 1591.
39Ivi, Q 4, 12, p. 433.
40Ibidem.
41Ivi, Q 11, 20, p. 1420.
42Ivi, Q 4, 37, p. 454.
43Ivi, p. 455.
44G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 163.
45A. Gramsci, cit., Q 11, 37, p. 1457.
46K. Marx, Thesen über Feuerbach, in K. Marx – F. Engels, Werke, B. 3, Dietz Verlag Berlin, 1969, p. 533.
47Gramsci, cit.., Q 4, 37. Non excusatio non petita, dunque, ma profonda consapevolezza della divergenza prospettica tra la filosofia della praxis e quella dell'atto puro. Interessante peraltro notare l'analogia con quanto ne L'ideologia tedesca, testo che pur Gramsci non conosceva, avevano scritto Marx ed Engels: «fin dall'inizio lo "spirito" porta in sé la maledizione di essere "infetto" dalla materia, che si presenta qui sotto forma di strati d'aria agitati, di suoni, e insomma di linguaggio». Anche in Marx ed Engels, l'attività dello spirito risulta dunque un atto impuro, ovvero infettato sin dal principio dalla materia. Cfr. K. Marx-F. Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1958, p. 20.
48A. Gramsci, cit., Q 4, 25, p. 444.
49G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, Le Lettere, Firenze 2012, p. 22.
50Di questo avviso, parlando chi più chi meno di un'influenza gentiliana sul pensiero gramsciano, sono stati, come abbiamo precedentemente ricordato, S. Natoli, A. Del Noce, A. Tosel, E. Severino, G. Marramao, C. Ocone, D. Fusaro.
51Così D. Fusaro, richiamandosi alla lettura di A. Tosel, in Id., Antonio Gramsci, Feltrinelli, Milano 2015, p. 84.
52Ivi, p. 94.
53A. Gramsci, Q 4, 3, p. 422.
54Ivi, Q 10, 10, p. 1248.
55A. Gramsci, Q 11, 13, p. 1399.
56Ivi, Q 11, 6, p. 1370.
57Ivi, Q 10, 41, p. 1293-1294.
58Già un secolo addietro il critico inglese William Hazlitt aveva parlato, a tal proposito, di ignoranza delle persone colte. Cfr., W. Hazlitt, L'ignoranza delle persone colte, Le Meraviglie, Roma 2015.
59A. Gramsci, Q 11, 13, p. 1399.
60Ivi, Q, 8, 200, p. 1061.
61Ivi, Q 7, 1, p. 852.
62Ivi, Q 8, 200, p. 1061.
63G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 155.
64G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, cit., [6], pp. 24-25.
65G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 39.
66G. Gentile, Il marxismo di Benedetto Croce, cit., p. 296.
67G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., pp. 38-39.
68G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, cit., [6], p.
69G. Lukács, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino 1959, p. 19.
70Ivi, p. 536.
71545.
72Ivi, pp. 554-55-56.
73Ivi, 558.
74Ivi, p. 570.
75Ivi, p. 571.
76Cfr. su ciò M. Berlanda, Gentile e l'ipoteca Kantiana, Vita e Pensiero, Milano 2007 e A. Massolo, Gentile e la deduzione kantiana, in A. Massolo, Logica hegeliana e filosofia contemporanea, Giunti Marzocco, Firenze 1967.
77A. Gramsci, Q 8, 177.
78Ivi, Q 7, 42, p. 891.
79Ivi, Q 13, 1, p. 1557.
80Ivi, Q 11, 52, pp. 1478-1479.
81A. Gramsci, Q 11, 15, p. 1404.
82Ivi, Q 4, 32, p. 451.
83Ivi, Q 10, 6, p. 1244.
84Ivi, Q 11, 15, p. 1403.
85Ivi, Q 15, 50, p. 1810.
86Ivi, Q 10 II, 9, p. 1248.
87Cfr. ad es. In Ivi, Q 7, 34, dove la legge viene definita un «teorema di prima approssimazione» e tutto il taylorismo e fordismo vengono presentati come stratagemmi pratici per scongiurare tale caduta; Q 10, 33; Q 10, 36 in cui si afferma quanto segue: «L’errore del Croce è di varia natura: parte dal presupposto che ogni progresso tecnico determini immediatamente, come tale, una caduta del saggio del profitto, ciò che è erroneo perché la Critica dell’economia politica afferma solo che il progresso tecnico determina un processo di sviluppo contradditorio, uno dei cui aspetti è la caduta tendenziale. Afferma di tener conto di tutte le premesse teoriche dell’economia critica e dimentica la legge del lavoro socialmente necessario. Dimentica del tutto la parte della quistione trattata nel I volume, ciò che gli avrebbe risparmiato tutta questa serie di errori, dimenticanza tanto più grave in quanto egli stesso riconosce che nel III volume la sezione dedicata alla legge della caduta tendenziale è incompiuta, solo abbozzata, ecc.; una ragione perentoria per studiare tutto ciò che altrove lo stesso autore aveva scritto sull’argomento».
88Ivi, Q 11, 52, p. 1477.
89Ivi, Q 10, 9, p. 1248.
90Ivi, Q 8, 128, p. 1018-1019.
91Ivi, Q 10, 8, p. 1245.
92Gramsci, Il nostro Marx, in Scritti politici (d'ora in avanti SP) I, a c. di P. Spriano, Editori Riuniti, Roma 1973, pp. 78-79.
93Hegel, Wissenschaft der Logik, in Id., Werke in zwanzig Bänden (d'ora in avanti W seguito dal numero del volume e dalla pagina) a c. di Eva Moldenhauer e Karl Markus Michel, sulla base dell'edizione del 1832-45, Frankfurt a. M.: Suhrkamp, 1969-1979, 6, 238, tr. it., Scienza della Logica, Laterza, Bari 1974 vol 2, p. 255.
94D'altro canto Gramsci ritiene «inetto in ultima analisi e produttivo di maggior danno che utile in definitiva il metodo politico di forzare arbitrariamente una tesi scientifica per trarne un mito popolare energetico e propulsivo: il metodo potrebbe paragonarsi all’uso degli stupefacenti che creano un istante di esaltazione delle forze fisiche e psichiche ma debilitano permanentemente l’organismo». In A. Gramsci, Q 9, 63.
95Gramsci, Q 10, 36, p. 1283.
96Ivi, Q 6, 88, p. 764.
97Ivi, Q 4, 45, p. 471.
98Per quanto riguarda i problemi di ordine sociale, possiamo immaginare il persistere di contraddizioni tra vecchio e nuovo, tra dirigenti e diretti, tra città e campagna, ecc. ma riguardo ad esse la nostra previsione risulterà meno attendibile e precisa, giacché la natura, rispetto alla storia, risulta molto meno soggetta alle variazioni, e pertanto meno soggette alle variazioni saranno anche le tipologie di problemi ad essa connesse.
99 A. Gramsci, Q 13, 17, pp. 1580-1581.

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