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Nessuna speranza
di Vittorio Giacopini
Eugenio Scalfari parla di “speranza” e già provi un vago senso di sconcerto. In una delle sue omelie domenicali, più o meno a fine settembre, già in autunno, il padre della “Repubblica” sorprende con una lenzuolata di ottimismo. Mentre il suo giornale si avvita, inutilmente, in un corpo a corpo ostinato col regime – di cui denuncia e incarna molti vizi – il canuto e loquace fondatore intravede la luce alla fine del tunnel o, quantomeno, alcuni primi segnali incoraggianti. In un paese che è già un eufemismo dire “devastato” (Scalfari cita Crainz, e cita bene), si colgono bagliori di resistenza inaspettati, esempi confortanti di riscossa. Buono a sapersi.
Davvero – nel mondo delle cultura, nelle arti – sta nascendo qualcosa di nuovo, un’energia, capace di criticare – e superare – gli anni del berlusconismo, questo sfacelo, e le loro premesse di lungo periodo (ancora citando Crainz: “il carico di demagogia, qualunquismo, populismo, vittimismo” che sono l’identità più autentica d’Italia)? Secondo Scalfari sì, et pour cause. I “giusti” d’Italia stanno ridestandosi, e dalla cultura soffia un vento nuovo.
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There is no alternative?
di Pierluigi Fagan
L’argomento che qui trattiamo è la tesi sostenuta dall’economista e storico americano Robert J. Gordon, nel suo celebre “The Rise and Fall of American Growth” (Princeton University Press, 2016), beneficiato di non so quanti premi editoriali, critiche molto rispettose e giudizi altrettanto ossequianti da parte di K. S. Rogoff e di L. Summers, nonché da premi Nobel quali R. Solow, G.Akerlof e P. Krugman di cui alleghiamo qui una recensione tradotta in italiano. Ammettiamo di non aver letto le 784 pagine dell’originale che pare siano assolutamente godibili per le parti descrittive delle reali condizioni di vita prese con narrativa concreta e circostanziata, tanto quanto per le molte tabelle, indici, statistiche molte delle quali confezionate proprio dall’Autore a supporto della sua inedita tesi. Ci siamo riferiti ad un companion book che ne riassume le tesi (una sorta di Bignami, se ci è consentita l’analogia) ed ai molti articoli su di lui scritti, nonché alle sue conferenze, le TED (qui) ma anche la più estesa conferenza alla LSE di un’ora e mezza (qui). Alle tesi del professore della Northwestern, per quanto inedite e fuori del coro, a chi scrive, non risulta siano state opposte obiezioni forti. Certo poiché la tesi portano ad un certo pessimismo per il futuro ed essendo il futuro impredicibile in via di principio, si può apprezzare la sua ricostruzione storica e poi mantenere out look più ottimisti, ma più che certezze predittive, l’opera di Gordon è secondo noi apprezzabile in senso storico ed in quanto materializzatrice di quel fenomeno che chiamiamo economia, soprattutto per il mondo occidentale e soprattutto ora che la crescita orientale sembra mostrare fenomeni di “grande convergenza” con quella occidentale come abbiamo segnalato già qui.
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La Cina, il capitalismo di Stato e la crisi del Washington Consensus
Daniela Palma
Chi avrebbe mai scommesso sulla capacità di tenuta delle ricette “neoliberiste” propugnate dal Washington Consensus a quasi dieci anni dall’inizio della crisi economica più grave dopo quella del ’29, che tiene ancora nella morsa gran parte delle economie occidentali? Non molti, pensiamo, ma sta di fatto che la crisi è tuttora trattata come un accidente della storia e che se siamo ancora lontani dalla piena occupazione è perché – si dice – il processo di liberalizzazione del mercato del lavoro da anni intrapreso non è del tutto sufficiente a consentire un adeguato libero gioco delle forze del mercato. E, stando sempre a questa narrazione, con l’emersione dei paesi di nuova industrializzazione e la pressione concorrenziale esercitata dai loro molto più bassi livelli salariali, sarebbero necessari interventi di liberalizzazione persino più incisivi. Ma questa narrazione è destinata ad essere messa sempre più in discussione quanto più si estenderà e si consoliderà lo spazio occupato dai nuovi protagonisti dello sviluppo mondiale lungo percorsi che con il Washington Consensus hanno molto poco a che fare, come già ampiamente dimostra la straordinaria ascesa economica e politica conseguita dalla Cina. Ed è questo uno tra i più preziosi contributi che ci offre Diego Angelo Bertozzi con la recente pubblicazione di Cina, da“sabbia informe” a potenza globale [Imprimatur editore, 2016, 346 pp], un lavoro di profondo scavo nella travagliata vicenda di un paese che, dismessa agli inizi del ‘900 la veste feudale del “Celeste impero”, deve trovare il giusto slancio verso l’uscita dal sottosviluppo, dovendo contrastare le molte tendenze disgregatrici interne su cui, all’avvio di questo processo, fanno leva le potenze coloniali dell’occidente.
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Il secolo di tutti e di nessuno
di Pierluigi Fagan
“… bisogna sempre opporsi alla potenza più forte, più aggressiva, che più domina…”
W. Churchill, The Second World War, vol I, p. 207
Nel 1941, H. R. Luce, l’editore di Life, pubblicava uno storico editoriale il cui titolo era: “The American Century”, espressione poi divenuta un concetto. Nel 1997, viene fondato a Washington un think tank che si chiamava “Project for the New American Century” (PNAC), il quale, nel 2000, pubblica un rapporto Ricostruire le difese dell’America: strategie, forze, e risorse per un nuovo secolo. Del gruppo facevano parte sia pezzi importanti dell’intellighenzia geopolitica americana (R. Kagan, F. Fukuyama), sia praticamente tutto il governo della presidenza Bush jr , da D. Cheney a D. Rumsfeld. L’idea del “secolo di qualcuno”, poggia sul precedente britannico ed anche se nessuno lo formalizzò come concetto, l’antesignano del secolo americano fu l’Impero britannico. Dopo l’uno viene il due e dopo il due viene il tre, ed ecco che alle avvisaglie di una possibile contrazione americana o più che altro, di una espansione cinese, alcuni intravedono un “secolo cinese”.
La struttura dell’idea è che esiste un lungo tempo (il secolo) in cui il mondo è considerato un sistema che deve avere un centro ordinatore. L’idea, proietta in macro, quella che è la struttura del potere politico ovvero la centralizzazione in capo ad un “sovrano”. Può essere un re o imperatore o dittatore o un governo che agisce (dichiara di agire) in nome e per conto del popolo, da cui l’espressione “il popolo sovrano”. A parte gli anarchici, non c’è praticamente nessuna ideologia politica conosciuta che pensi possibile un autogoverno acentrico dei sistemi politici. Tutte, prevedono che qualcuno o qualcosa funga da centro della decisione, poiché l’informe presuppone un governo, il governo presuppone l’azione politica, l’azione politica presuppone una intenzione e l’intenzione una capacità di decisione, esattamente come avviene con la mente, per il singolo essere umano.
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A sinistra l’euro diventa un dilemma
Carlo Clericetti
Il dibattito sulla possibilità di abbandonare la moneta unica comuncia ad accendersi anche nell’area della sinistra Pd: una sua nuova rivista ospita vari interventi. Ma un problema ancora più decisivo sarebbe un vero cambio di rotta della politica economica
La tesi che l’Italia debba uscire dall’euro per non subire danni irreparabili non ha avuto fino ad oggi molti sostenitori nel nostro paese. A livello politico due partiti di opposizione, 5Stelle (ma con una posizione altalenante e non del tutto chiara) e la Lega, alla ricerca di uno spazio politico dopo essere arrivata a un passo dalla scomparsa e sull’esempio del Front National di Marine Le Pen, con il quale è alleata in Europa. Tra gli economisti, pochi e per lo più eterodossi, con la ragguardevole eccezione di Paolo Savona che è stato forse il primo a porre con decisione il problema. La maggior parte degli economisti si è piuttosto dedicata a proporre soluzioni di politica economica che fossero in grado di far superare all’Europa questa crisi che sembra infinita.
Da qualche tempo, però, l’ipotesi di abbandono della moneta unica comincia ad essere discussa dall’area che fa capo alla sinistra Pd o ad essa contigua. Il primo politico di questa collocazione ad uscire allo scoperto è stato Stefano Fassina, che di fronte all’assenza di qualsiasi segno di un cambiamento di rotta delle politiche ha cominciato ad affermare che è necessario considerare l’alternativa di lavorare per un’uscita dall’euro concordata tra i paesi membri, in modo da ridurre al minimo i rischi che un passo del genere comporta e che sarebbero invece aggravati se si arrivasse a quel passaggio in maniera forzata, sotto i colpi di una nuova e incontrollabile crisi. Ora la discussione si allarga, proposta dal sito Idee controluce. Si tratta di una rivista on line nata da poco e diretta da due giornalisti che avevano incarichi di primo piano nel Pd pre-renziano, Claudio Sardo (direttore de L’Unità) e Chiara Geloni (direttrice di Youdem, la web-tv del partito).
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La ruota della fortuna di Matteo Renzi
Nique La Police
Un editoriale che ripercorre la storia e delinea la strategia del personaggio politico più pompato del momento. Il nuovo guru di destra che si candiderà per le primarie del centrosinistra. L'uomo del "Sto con Marchionne", "Sì al nucleare", Sì al Tav" e del "Io i referendum per l'acqua non li voto"
Prima di parlare dell’immagine di Matteo Renzi bisogna fermarsi telegraficamente agli interessi dai quali l’attuale sindaco proviene e a quelli che intende rappresentare. Dobbiamo infatti considerare che Matteo Renzi è figlio diretto di quel sottobosco politico dal quale oggi dice di volersi liberare. Suo padre Tiziano è stato in fatti un piccolo ras dei pacchetti di voti della declinante Dc toscana degli anni ’80, inizio anni ’90. Le insistenti voci sulle entrature di Tiziano Renzi nella massoneria toscana non sono provate o comunque andrebbero meglio certificate. Di certo però suo padre si distingue nell’impreditoria regionale in materia di giornali e di distribuzione pubblicitaria. Non solo, entra in affari con l’impresa Baldassini-Tognozzi-Pontello, oggi rilevata da Impresa Spa, che è uno dei santuari del mattone toscano. Quindi quando Renzi difende la Tav non è tanto in conflitto ma in convergenza di interessi su un settore non proprio sconosciuto alla sua famiglia. E qui sarà probabilmente un caso quello che vuole la Baldassini-Tognozzi-Pontello vincere la gara d’appalto per la tramvia 2 e 3 a Firenze, come annunciato dallo stesso Renzi.
E quindi, quando Renzi dice di Firenze “basta costruzioni in centro”, c’è solo da capire per quale tipo di costruttori parla. La polemica sulla discontinuità generazionale nel centrosinistra per Renzi, sulla rottamazione degli “anziani” vale poi ovviamente solo nei confronti di Bersani. Simbolicamente, quando Bersani è andato in visita ufficiale a Firenze, Renzi è andato al compleanno del padre. Nei confronti del padre c’è invece continuità, per così dire, anche nel ramo di impresa. Dove il primo costruisce legami d’affari a livello regionale, il secondo li allarga su una dimensione di influenza nazionale. A prescindere dalle primarie. Comunicazione e grandi opere, rami aperti dal padre, godono della capacità di fare brand su questi temi da parte del figlio che, come stupirsi, ha benedetto ogni Tav di vario ordine e grado.
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Difficile transizione...
di Raffaele Sciortino
Il dibattito si è oramai spinto al di là del “caso” italiano toccando un problema più generale: come situarsi nel presente in relazione a un percorso storico di cui si è smarrito quasi il senso o, comunque, dagli esiti apparentemente capovolti rispetto alle premesse. Sottesa alla tesi della dittatura dell’ignoranza è una periodizzazione(1) del post-‘68 come regressione complessiva, dal livello socio-politico a quello antropologico. Senza qui indulgere a false visioni “progressiste”, il problema di quella tesi è che rischia di dare per perso un sapere (e non solo) che non è mai esistito nelle forme che si rimpiangono. Piero Bevilacqua e Mario Pezzella approssimano invece la questione cruciale: la capacità del neoliberismo di presentarsi ed essere accolto come messaggio di liberazione - risucchiando lo strumento principe del movimento operaio: il partito di massa - e, contestualmente, la capacità del potere di creare un ampio consenso riprendendo e deformando spinte non sue di trasformazione radicale(2).
Lavoro su questa traccia ma utilizzo altri strumenti. Procedo per punti cercando di non farla troppo lunga; e scontando una visuale eurocentrica. Il nodo è, in estrema sintesi, da rintracciare nelle trasformazioni degli stessi soggetti sociali “antagonisti” in rapporto di lotta/spinta/sussunzione con le trasformazioni del capitalismo sulla via del suo farsi globale.
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Lehman ovvero il collasso del parassita
Domenico Moro
L'economia Usa sta rivelando con le crepe sempre più vistose che appaiono in superficie la fragilità di fondo che la caratterizza da tempo. Quella di una economia e di un paese che hanno vissuto fino ad ora a credito sulle spalle del mondo intero
Come quasi sempre accade, quasi tutti i quotidiani, compresi quelli economici, fino a qualche giorno fa erano pronti a scambiare un timido raggio di sole per la fine della tempesta. La stessa Marcegaglia preconizzava in una intervista sul Corriere una imminente ripresa Usa sulla base di una più che precaria rivalutazione del dollaro sulle altre valute. La realtà si è premurata di smentire i facili ottimismi e di ricordarci che la crisi dei mutui non è terminata, e che anzi i suoi effetti si fanno più manifesti. Del resto, si sapeva benissimo che la crisi immobiliare aveva tramutato le cartolarizzazioni dei mutui in carta straccia e, anche se l'entità delle perdite subite da tutto il sistema bancario Usa(e non solo) era incerta, si era però certi che fosse enorme. Infatti, da diversi mesi, mano a mano che le perdite emergevano, è iniziato uno stillicidio di fallimenti bancari che, evidentemente, costituivano solo l'avanguardia che quello che sta accadendo ora.
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Il governo dispone illimitatamente di denaro?
di Tom Streithorst
Tutti sanno che i governi devono tassare, prima di poter spendere. Quello che presuppone la Teoria Monetaria Moderna è che forse non è così
Alto, barbuto, con gentili occhi nocciola, il veterano di Occupy Wall Street, Jesse Myerson passa le sue giornate a bussare alle porte delle case dei quartieri degradati del sud dell'Indiana per ricordare agli elettori l'enorme ricchezza del loro paese. Il suo messaggio, come organizzatore del gruppo di base, Hoosier Action [N.d.T.: Hoosier = Abitante dell'Indiana], è che gli Stati Uniti sono una nazione spettacolarmente ricca e che un po' di questa ricchezza potrebbe, e dovrebbe, essere distribuita fra i poveri del sud Indiana.
«Qui, le persone hanno sofferto terribilmente a livello economico, e questo ha portato alla morte spirituale delle comunità,» mi ha detto Myerson a proposito dei posti che frequenta. La dipendenza da oppiacei è molto diffusa, così come lo è il suicidio. «Per le persone non esiste alcun canale ben organizzato in grado di dare un senso alla loro sofferenza, tranne quelli che si legano ad iniziative xenofobe di destra.»
Dice che l'organizzazione maggiormente in competizione con il suo gruppo, per il cuore e la mente degli abitanti poveri dell'Indiana, è un gruppo di suprematisti bianchi chiamato "Traditionalist Workers’ Party". «Si stanno organizzando in una maniera simile alla nostra - questi oligarchi sono tirannici e ci sfruttano, mentre noi abbiamo bisogno di pace e di prosperità - tranne per il fatto che si organizzano a partire da un modello di scarsità,» ci spiega. «Loro dicono che non c'è abbastanza, per andare avanti, perciò i bianchi devono restare uniti e occuparsi di tutto quanto.»
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Tremonti al "netto" di Monti
L'inutilità contabile del più €uropa e la curva di Phillips implicita
Quarantotto
La notizia è "rimbalzata" su tutti i giornali e le televisioni. Perciò, a titolo esemplificativo, vi riporto un articolo sul "taglio" che gli è stato dato:
"L'austerity fa male all'economia, ma anche ai conti pubblici e all'occupazione. Il rigore imposto ai paesi dell'Unione europea, è la causa della recessione e anche della contrazione nelle entrate fiscali. È un atto di accusa contro gli eccessi del rigore quello lanciato ieri dalla Corte dei conti alla presentazione del Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica presentato ieri al Senato. Sempre a Palazzo Madama la Fiaip, la federazione degli agenti immobiliari ha calcolato che per colpa della stretta sul credito e dell'Imu si sono persi 500 mila posti di lavoro in quattro anni.
«L'intensità delle politiche di rigore adottate dalla generalità dei paesi europei è stata una rilevante concausa dell'avvitamento verso la recessione», si legge nel rapporto della Corte dei conti. I giudici contabili hanno quantificato la perdita di Pil negli anni acuti della crisi. Oltre 230 miliardi di euro nell'arco della legislatura 2009-2013.
Sul fronte dei conti pubblici le manovre si sono fatte sentire, ma solo perché hanno «consentito importanti risparmi di spesa, il cui livello è risultato nel 2012 inferiore di oltre 40 miliardi alle stime iniziali». Peccato che i sacrifici siano praticamente annullati; innanzitutto perché la spesa rispetto al Pil è rimasta invariata poi perché è stato mancato il pareggio di bilancio. Spiega la Corte: «Il cedimento del prodotto non ha permesso alcuna riduzione dell'incidenza delle spese sul Pil passata, nel triennio, dal 47,8 al 51,2 per cento».
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Geopolitica dei Vaccini
di Giovanna Baer
La prima a dirlo è stata Sylvie Kuffman a febbraio sul New York Times: “In a world where the vaccines have become a new measure of geopolitical power, no doubt President Vladimir Putin of Russia and President Xi Jinping of China will smile at the sight of Europe’s difficulties” (In un mondo in cui i vaccini sono diventati una nuova misura del potere geopolitico, senza dubbio il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping sorrideranno alla vista delle difficoltà dell’Europa) (1). Dal 2 dicembre 2020, data in cui l’Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari (MHRA) del Regno Unito ha approvato l’uso temporaneo del vaccino Pfizer-BioNTech, facendo della Gran Bretagna il primo Paese del mondo occidentale ad approvare l’uso di un vaccino contro il Covid (2), la parola vaccino è diventata sinonimo di potere globale: in mancanza di una cura efficace, prevenire il Covid-19 e le sue complicazioni è il solo modo per tornare alla normalità, qualunque cosa significhi. La disponibilità di vaccini significa soprattutto ritornare a muoversi liberamente: non solo andare a scuola e in ufficio, ma uscire a cena, godersi un film al cinema e un concerto in teatro, viaggiare. Detto in termini economici: produrre e consumare a pieno ritmo. Dopo lo shock economico del 2020, le previsioni di crescita delle nazioni dipendono innanzitutto dalla quota di popolazione resistente al coronavirus: il 17 marzo la Federal Reserve ha rivisto al rialzo le stime di crescita per il 2021 dell’economia americana, che ha inoculato ai suoi cittadini 118 milioni di dosi, portandole al 6,5% dal 4,2 % previsto appena a dicembre, prima della campagna di vaccinazione intensiva promossa da Biden. A marzo scorso il presidente della Fed, Jerome Powell ha dichiarato: “La ripresa economica americana sta guidando quella mondiale. […] Mi piacerebbe che l’Europa facesse meglio sulla crescita e sulle vaccinazioni, ma per ora non sono preoccupato per noi”.
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Il virus dell’uomo capitalistico
di Michele Castaldo
Valter Veltroni, consumato uomo politico italiano, ex sindaco di Roma nonché intellettuale e scrittore, in un fondo sul Corriere della sera di giovedì 12 marzo, in una perentoria affermazione include una capziosa domanda: «Ma questo virus - qualcuno un giorno ci dirà con certezza da dove è sbucato? – cambia la storia».
Concediamo il beneficio della buona fede al signor Veltroni e gli consigliamo di leggere qualche buon saggio su come si sono sviluppati certi virus negli ultimi 250 anni. Potrebbe leggere qualcosa di Richard Levins, biologo, matematico e filosofo, oppure di Robert G. Wallace, sennò di Laura Spinney che scrive, tra il saggio e il romanzo, un testo di estremo interesse al riguardo. Questo, ripeto, se in buona fede intende veramente comprendere la natura di certi virus e farsi un’idea più precisa da dove potrebbe provenire l’attuale coronavirus. Se in malafede, lo lasciamo in balia degli eventi e in compagnia della sua ignoranza.
Ma a parte il dubbio sulla provenienza del virus, a Valter Veltroni va riconosciuto il merito di una intuizione brillante, quando afferma: «Ma questo virus cambierà la storia». Si, questo virus cambierà la storia, dunque la percezione è che ci troviamo di fronte a un fatto storico straordinario.
Dal momento che Veltroni non è uno qualsiasi e ancor meno lo è il Corriere della sera, giornale storico della borghesia italiana, dobbiamo dedurne che sua eccellenza l’Establishment sta tremando di fronte a un fenomeno con caratteristiche poco controllabili e poco gestibili; e che per esorcizzare la paura comincia a pensare al «dopo-virus», cercando di farsi coraggio dando fondo alle proprie risorse di ottimismo italico. Diamine, siamo un grande paese con una storia straordinaria alle spalle!
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L’incubo del Mes sul nostro prossimo futuro
di Francesco Piccioni
Ci scuserete se torniamo ancora sulla “incredibile” vicenda del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, che sta per essere approvato tra pochi giorni da tutti i membri dell’Unione Europea. In fondo, riguarda “soltanto” il brutto futuro che attende tutti noi (meno qualcuno). Però vi tranquillizziamo: questa volta non parleremo di “tecnica economica”, ma di politica. A un livello speriamo superiore rispetto alle sciocchezze che ci propina quotidianamente l’informazione mainstream.
Che cosa contenga il Mes, infatti, lo abbiamo già analizzato più volte, ricevendo ogni giorno nuove conferme anziché smentite. In estrema sintesi, è un sistema di regole da applicare in modo pressoché automatico che “convince” – contando sulle normali dinamiche del mercato finanziario – i capitali a fuggire dall’Italia e altri paesi con un forte debito pubblico per indirizzarsi verso le banche tedesche, francesi, olandesi. Le quali hanno problemi assai gravi e rischiano di saltare nei prossimi mesi o al massimo pochi anni. Per funzionare davvero c’è bisogno che venga approvata anche l’implementazione dell’unione bancaria europea, secondo la proposta avanzata ancora una volta dalla Germania tramite il ministro delle finanze Olaf Scholz.
Una volta chiuso il cerchio, il ministero del Tesoro avrebbe difficoltà immense per piazzare i titoli di Stato sul mercato e contemporaneamente le banche avrebbero una tale necessità di capitali da chiudere i rubinetti dei prestiti a famiglie e imprese (oltre a vendere i titoli di Stato italiani, contribuendo così alla caduta del prezzo, all’aumento degli interessi da pagare e a un buco supplementare nei propri bilanci). Una gelata di lungo periodo sull’economia reale che arriverebbe (arriverà) dopo oltre un decennio di crisi-stagnazione.
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Conferenza stampa dei 5 Stelle con l'arcivescovo di Aleppo
di Fulvio Grimaldi
Un popolo eroico, con ormai solo 17 milioni di abitanti su 23, di cui non si sa quanti uccisi e circa 5 sradicati, in fuga, sparsi nel mondo, perlopiù alla mercè di schiavisti turchi e di negrieri europei, centinaia di migliaia di vittime tra civili e combattenti patrioti, una delle più antiche civiltà del mondo, quella che ha dato i natali al meglio di noi e poi ci ha restituito Aristotile ed Eschilo, un popolo sepolto sotto il vilipendio di una narrazione falsa e bugiarda da parte di mandanti e sicari, ieri ha potuto far sentire la sua voce in una sede istituzionale del più alto livello, nella casa deputata all’esercizio della sovranità del popolo. Per la prima volta. Grazie al Movimento Cinque Stelle, grazie al deputato Manlio Di Stefano, responsabile Esteri del Movimento.
Un popolo eroico, avanguardia del riscatto nazionale anticoloniale arabo, affermatosi come il più valido resistente nella tre guerre d’aggressione dell’elemento estraneo incistato dal neocolonialismo nel corpo della nazione araba, oggi in piedi, sanguinante, ma non piegato, dopo quasi sei anni in cui gli si è lanciato contro quanto di più criminale e orrendo l’Uccidente imperialista, con il suo presidio locale israeliano, abbia saputo concepire nei secoli delle sue scorribande genocide e predatrici: le più sofisticate tecnologie di morte insieme ai perenni strumenti della fame, delle malattie (sanzioni) e delle armate di lanzichenecchi.
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C'è un movimento da costruire, astenersi perditempo
Intervento all’assemblea di Ross@ a Bologna
di Francesco Piccioni *
Bella vista da quassù, tanta gente, si capisce che c’è il potenziale…
Poi però guardo i volti e riconosco le storie; vedo cinquanta sfumature di rosso e devo prendere atto che l’unico ambito in cui – in Italia – viene applicato il principio della concorrenza, è proprio la sinistra.
Sul piano economico la concorrenza è un vantaggio per il consumatore, ma uno spreco per i produttori: troppe aziende, troppi presidenti-segretari, consigli di amministrazione, uffici stampa, pubblicitari, funzionari, impiegati… Uno spreco infinito… E proprio pochi a “fare lavoro di massa”
Alla fine se ne esce consumati. Vi suona familiare?
Ma non è mia intenzione fare alcun appello all’unità delle organizzazioni esistenti; sarebbe inutile.
E altrettanto vale per i “cartelli elettorali”, assemblaggi ormai rifiutati dal corpo sociale ed elettorale.
Questo nostro tentativo parte da una constatazione: la scomparsa della sinistra non è avvenuta per caso. lo dico come constatazione non come recriminazione.
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Luciano Barra Caracciolo, "Lo strano caso Italia"
di Musso
1 - Prima del Covid
«Lo strano caso Italia. Breviario di politiche economiche nella crisi del globalismo istituzionale aggiornato all'emergenza del Coronavirus», di Luciano Barra Caracciolo, pp. 236, Eclettica, 2020. Il volume è diviso in tre sezioni, la lunga introduzione scritta dopo il Covid, serve da introduzione alla prima e seconda parte scritte prima del Covid. Ci prenderemo la libertà di discutere della introduzione alla fine, seguendo un percorso narrativamente cronologico.
* * *
L’autore parte dal patetico andamento dell’economia italiana dentro l’Euro. Prima la «debole crescita, accompagnata da perdita di competitività» dal 1996, culminata nella recessione del 2008. Poi la recessione-Monti nel 2011 a servizio della «correzione del debito commerciale esterno», continuata nel successivo «lungo periodo di stagnazione» del 2012-2020, caratterizzato da «una serie impressionante di avanzi primari» (calo costante della spesa pubblica complessiva, cioè inclusiva dell'onere dell'interesse, pro-capite in termini reali), nonché dalle continue riforme del mercato del lavoro (discesa della quota salari su Pil). Col bel risultato di aver ottenuto sì un rilevante avanzo commerciale con l’estero, ma al prezzo della perdita di «circa il 20% della produzione industriale» e del peggioramento dei tassi di disoccupazione. Insomma, di «una evidente compressione della domanda interna, col venir meno, per i produttori, di una parte consistente della domanda pubblica e la trasformazione in paese export-led». In altre parole, «è una crisi da domanda».
Fra le diverse componenti della domanda aggregata, nella spesa pubblica il contributo degli investimenti «risulta altrettanto scarso in Germania e in Francia, in termini di contributo alla variazione del Pil», mentre «il differenziale di crescita rispetto a Francia e Germania … è dato dal differenziale nella variazione in aumento della spesa corrente».
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L’Unione Bancaria nuoce all’Italia
Consulta e Cassa Depositi intervengano
di Enrico Grazzini
A causa delle pessime regole dell'Unione Bancaria decise dalla Commissione Europea sotto dettatura del governo tedesco, il risparmio italiano e l'intero sistema bancario nazionale sono a rischio. Dopo che i buoi sono scappati dalla stalla – ovvero dopo che migliaia di ignari e innocenti piccoli risparmiatori hanno perso tutti i loro soldi, come è successo nel caso delle quattro banche regionali Banca Marche, Carife, Popolare Etruria e CariChieti – Matteo Renzi, leader maximo del governo italiano, si lamenta che la Unione Europea usa due pesi e due misure: uno per la Germania e l'altro per l'Italia (e per gli altri paesi cosiddetti periferici dell'eurozona). La Germania fa quello che vuole non solo sulle banche, ma anche sull'immigrazione e sull'energia e sul business con la Russia. Renzi se ne accorge solo ora? Meglio tardi che mai!
Lamentarsi – magari per cercare di recuperare i voti del crescente malcontento – non basta: per riuscire veramente a uscire dalla morsa teutonica, occorre che in prospettiva il governo imponga la revisione degli idioti, unilaterali e anticostituzionali trattati europei, a partire da quello sull'Unione Bancaria. Nell'immediato bisogna invece emettere nuova moneta fiscale e nazionalizzare almeno una grande banca italiana con l'intervento della Cassa Depositi e Prestiti. Questa sarebbe la vera difesa del risparmio italiano! Uscire dalla trappola della liquidità e salvare le banche.
Renzi ha approvato senza fiatare trattati europei anti-costituzionali, tra cui l'Unione bancaria. Oggi però si lamenta che i due capi del governo tedesco, Merkel e Gabriel, fanno solo ed esclusivamente gli interessi del loro paese.
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Perché il governo d’unità nazionale libico fallirà
Washington e Londra tifano per una nuova Somalia
di Federico Dezzani
Nel resort marocchino di Skhirat è stato firmato il 17 dicembre l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico: il documento, non ratificato dai parlamenti di Tobruk e di Tripoli ha il valore della carta straccia ed il nuovo esecutivo patrocinato dagli angloamericani attraverso l’ONU ha l’unico scopo di chiedere un intervento militare internazionale in Libia. Washington e Londra non hanno alcun desiderio di pacificare il Paese e lavorano per la propagazione dell’ISIS nell’intero Nord Africa: come in Siria, Ankara e Doha collaborano introducendo i miliziani e contrabbandando petrolio. Solo l’Egitto e la Russia hanno l’interesse ad evitare l’implosione dell’ex-colonia italiana, mentre una coalizione internazionale a guida ONU la trasformerebbe in una nuova Somalia.
***
Un accordo di facciata, per coprire le vere intenzioni di Londra e Washington
Ha il sapore di una stanca riproposizione di un film già visto e rivisto, della messa in onda di un programma trito e ritrito, lo spettacolo proiettato il 17 dicembre nelle sale del resort di Skhirat, località balneare della Marocco bene: dopo mesi di estenuanti trattative è firmato l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico, presieduto dal premier Faiez Al-Serraj.
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Il patrimonio scientifico-tecnologico
Fra lunga durata e attuale emergenza
di André Tosel
La tradizione italiana marxista di riflessione sulle scienze e il loro uso sociale è sempre stata reticente nei confronti del realismo epistemologico, marcata dallo storicismo e dall’idealismo soggettivo: bisogna risalire alle opere troppo trascurate e notevoli di Ludovico Geymonat (e di certi dei suoi alunni) – come tra l’altro Filosofia e filosofia della scienza (1960), Scienza e realismo (1970) e la monumentale Storia del pensiero scientifico e filosofico – per vedere proposta un’interpretazione materialista e dialettica della storia della conoscenza scientifica, che difenda del tutto l’obbiettività di questa conoscenza e la sua necessaria utilizzazione da parte delle forze desiderose di trasformare la società capitalista. Bisogna anche tenere conto del materialismo leopardiano di Sebastiano Timpanaro, critico di qualunque progressismo.
Il riferimento al materialismo dialettico, ispirato all’Engels della Dialettica della natura ed a Lenin, è ancora più rara, tanto fu compromessa dal percorso del dia-mat sovietico. È un segno del tempo che alcuni filosofi, Roberto Sidoli, Massimo Leoni e Daniele Burgio, osino ritornare su questo problema riferendosi ancora a Marx, Engels, Lenin, pur sempre rimanendo consapevoli che la prospettiva di un’ontologia materialista generale, dall’atomo alla Storia, ha perso qualunque giustificazione e che il sogno della filosofia che si trasforma in una scienza enciclopedica delle scienze è o impossibile o da incubo.
Non si tratta pertanto di un ritorno, ma di una nuova proposta fondata su una storia di lunghissima durata storica, che ha per oggetto il dimostrare che il complesso formato dalle scienze e dalle tecniche deve essere considerato a partire dalle proto-scienze e dalle proto-tecniche, che hanno permesso all’umanità di prodursi come specie distinta da tutte le altre in seno alla natura, e così dall’età del paleolitico e del neolitico.
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Il Nobel a Peter Handke
Vivere imparando a vivere
di Luigi Grazioli
Il Nobel a Peter Handke è una sorpresa. Sembra un Nobel di recupero, specie perché assegnato in coppia insieme a Olga Tokarczuk. Un Nobel di doppia riparazione: a una donna, senza voler minimamente sminuire il suo valore, dopo lo scandalo per molestie relativo al marito di una giurata che aveva causato la mancata assegnazione dello scorso anno; e a un autore che avrebbe dovuto vincerlo molto prima, non fosse stato per un altro scandalo, quello delle sue prese di posizione in difesa della Serbia in occasione delle guerre della ex-Jugoslavia. Il ritorno sulla scena di Handke, che in verità non era mai sparito perché ha continuato a pubblicare libri splendidi anche negli ultimi 20 anni; o meglio: il ritorno dell’accettazione pubblica, era stato annunciato dall’assegnazione degli importanti premi “Thomas Mann” e “Kafka” nel 2008 e ribadito dal premio “Ibsen” nel 2014, dopo che nel 1999 egli aveva restituito il premio “Georg Büchner” a causa dei bombardamenti della NATO contro i serbi.
Per uno che aveva iniziato con il libretto teatrale Insulti al pubblico (1966) e opere narrative e poetiche provocatorie e al limite dell’illeggibilità (su questo primo periodo vedi il mio articolo qui) arrivare all’ufficialità planetaria del Nobel, che pure ha trascurato nomi fondamentali a volte per ragioni discutibili e preso abbagli che non depongono a favore della sua infallibilità, potrebbe sembrare un’ironia del destino. Ma per i lettori che lo seguono da 50’anni è solo un atto dovuto.
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L'euro-dittatura getta la maschera
di Leonardo Mazzei
Cosa ci dice la vergognosa risoluzione anticomunista del parlamento di Strasburgo
Quando si parla di totalitarismo eurista, ci si riferisce solitamente al retroterra ordoliberista da cui sgorgano quelle regole e quei "trattati europei" (in realtà dell'Ue) che imprigionano tanti popoli e nazioni del continente. Ma, come i carabinieri, l'ordoliberismo in campo economico non cammina da solo, andando invece a braccetto con una più ampia visione totalitaria del mondo. Da qui l'incredibile e vergognosa risoluzione adottata giovedì scorso dal parlamento europeo.
Una risoluzione obbrobriosa sotto ogni punto di vista, scritta male, con concetti fasulli ripetuti senza fine, basata su falsificazioni madornali, dove non si sa neppure se sia più la malafede che l'ignoranza, dove si tratta di storia come se si scrivesse una sentenza in un tribunale di quart'ordine. E tuttavia una risoluzione illuminante, con la quale fare i conti fino in fondo. Una risoluzione che ci dice alla perfezione cosa sia davvero l'Unione Europea.
I nostri critici che si vorrebbero di "sinistra" ritengono che l'Ue, per quanto imperfetta, sia comunque meglio del sovranismo, che per loro è sempre nazionalismo, dunque - da una semplificazione all'altra - inevitabilmente fascismo. Per loro lo scandalo (vedi, ad esempio il Manifesto) sta nel fatto che il Pd ha votato come Orban. Ora, a parte il fatto che il Pd in Europa governa - governa! - con il partito di Orban, la questione decisiva qui è un'altra. Ed essa risiede nella pretesa, questa sì totalitaria, di ostracizzare definitivamente chi si colloca fuori dalla cornice del pensiero dominante. In breve: o si è liberali, meglio se liberisti, oppure si deve essere cacciati ai margini della società. Da qui la riscrittura del passato, l'apologia delle forze e dell'ideologia che dominano il presente, l'ipoteca che si vorrebbe mettere sul futuro.
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Scuola e lavoro: l’uomo filosofo e il gorilla ammaestrato
di Anna Angelucci
Mi convince molto l’affermazione con cui Roberto Ciccarelli, autore di Capitale Disumano. La vita in alternanza scuola lavoro, apre le sue riflessioni: “Siamo tutti in alternanza scuola lavoro. Non solo il milione e mezzo di studenti delle scuole superiori obbligati a partecipare a un nuovo esperimento sociale, il più grande nella storia della scuola italiana”[1].
Siamo tutti in alternanza scuola lavoro: perché è altissima la percentuale di giovani e meno giovani, in Italia – diplomati, laureati, specializzati – che vivono in una condizione di precarietà professionale, che svolgono attività sottodimensionate rispetto alle proprie qualifiche e titoli di studio; lavori spesso occasionali o su richiesta, quasi sempre sottopagati e non di rado non remunerati, soprattutto quando si tratta di lavoro intellettuale, con rapporti a brevissimo termine (3 mesi la media), privi di tutele contrattuali nel presente e di prospettive di prosieguo nel futuro. E che nell’alternanza tra un lavoretto e un altro (un Mc Job e un Bullish Job, come efficacemente vengono definiti oggi lavori dequalificati o del tutto inconsistenti) continuano a collezionare esperienze formative potenzialmente spendibili nel mercato del lavoro: nella neolingua contemporanea si chiama ‘lifelong learning’, società dell’apprendimento costante, ma è una specie di giostra impazzita dell’accreditamento costante da cui non si può mai scendere.
Un milione e mezzo di studenti coinvolti in un massiccio esperimento sociale, davvero il più grande nella scuola italiana, di cui si possono mettere a fuoco i contorni e le implicazioni – in termini di cause e effetti – soltanto ampliando il contesto storico, economico, antropologico in cui si colloca questa gigantesca operazione biopolitica (per dirla con Foucault) o psicopolitica (per usare le parole del filosofo coreano Byung-Chul Han) di formazione dell’homo oeconomicus fin dai banchi di scuola, del soggetto auto-imprenditore, del battitore senza reti di protezione in competizione anche con se stesso, dell’essere umano come unità produttiva, dell’individuo, bambino e adolescente, configurato, psichicamente prima che professionalmente, come un’autopoietica start up.
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Le realtà imperialiste e i miti di David Harvey
di John Smith
Quando David Harvey afferma “Lo storico drenaggio di ricchezza dall’oriente verso l’Occidente, protrattosi per oltre due secoli, ad esempio, è stato in larga parte invertito negli ultimi trent’anni”, i suoi lettori supporranno ragionevolmente che egli si riferisca ad un tratto caratteristico dell’imperialismo, vale a dire il saccheggio del lavoro vivo, nonché delle ricchezze naturali, nelle colonie e semicolonie da parte delle potenze capitaliste in ascesa in Nord America ed Europa. In effetti, egli non lascia dubbi in merito, dato che fa precedere a queste parole il riferimento alle “vecchie categorie dell’imperialismo”. Ma qui incontriamo il primo di tanti offuscamenti. Per oltre due secoli, l’Europa ed il Nord America imperialisti hanno drenato anche ricchezze dall’America Latina e dall’Africa, così come da tutte le parti dell’Asia… eccetto il Giappone, il quale a sua volta è emerso come potenza imperialista durante il XIX secolo. “Oriente-Occidente”, dunque, costituisce un sostituto imperfetto per “Nord-Sud”, ed è per questo che ho osato adeguare i punti della bussola di Harvey, attirandomi una risposta petulante.
Come David Harvey ben sa, tutte le parti coinvolte nel dibattito su imperialismo, modernizzazione e sviluppo capitalistico riconoscono una divisione primaria tra paesi definiti, variamente, come “sviluppati e in via di sviluppo”, “imperialisti e oppressi”, “del centro e della periferia”, ecc., persino laddove non vi è accordo su come tale divisione si stia evolvendo. Inoltre, i criteri per determinare l’appartenenza a questi gruppi di paesi possono validamente includere politica, economia, storia, cultura e molto altro, ma non la collocazione geografica – “Nord-Sud” non essendo altro che una scorciatoia descrittiva per altri criteri, come indicato dal fatto, generalmente riconosciuto, che il “Nord” comprende Australia e Nuova Zelanda.
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Il "Freud" di Francesco S. Trincia
di Simona Viccaro
Francesco Saverio Trincia, Freud (La Scuola 2014)
Nel concludere nel 1925 la sua Selbstdarstellung, Sigmund Freud definiva “frammentario” il lavoro svolto durante tutta una vita, un’esistenza, di cui proprio questo lavoro – e cioè la creazione e la definizione della scienza psicoanalitica – rappresentava l’inscindibile “contenuto”1. Scoraggiando, com’è noto, i tentativi di chi voleva scrivere una sua biografia, Sigmund Freud metteva implicitamente in guardia coloro che in futuro avrebbero tentato di ordinare la forma frammentaria di quella Wissenschaft der Seele, la “scienza dell’anima”, che egli consegnava non solo agli psicoanalisti e agli uomini di scienza, ma all’umanità tutta. Non che Freud respingesse la sistematizzazione della psicoanalisi e l’esibizione del suo sviluppo progressivo attraverso l’ampliamento delle sue definizioni – al contrario, riteneva che la nuova scienza psicoanalitica dovesse fondarsi proprio a partire da alcuni distinguo fondamentali, nonché affermarsi di contro alle numerose obiezioni che le venivano rivolte da più parti; la frammentarietà in questione si riferisce piuttosto alla consapevolezza freudiana che la “rivoluzione psicoanalitica” – sebbene sorretta da una teoria faticosamente fondata ma ampiamente illustrata e giustificata, e dunque in certo senso completa – fosse al tempo stesso ancora tutta da fare. Richiamando questa impossibilità di rivolgere uno sguardo definitorio alla sua opera, lo stesso Freud dichiarava la non terminabilità dell’opera psicoanalitica, e cioè l’inesauribilità del contributo che essa, una volta per tutte, forniva al mondo della scienza e della cultura, ben oltre le forme storicamente determinate che questa scienza e questa cultura avrebbero assunto nel tempo.
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Le elezioni europee e il treno di Lenin
di Sandro Moiso
“Era necessario che la Italia si riducessi nel termine che ell’è di presente, e che la fussi più stiava che li Ebrei, più serva ch’e’ Persi, più dispersa che li Ateniensi, sanza capo, sanza ordine; battuta, spogliata, lacera, corsa, et avessi sopportato d’ogni sorte ruina.[...] In modo che, rimasa sanza vita, espetta qual possa esser quello che sani le sue ferite, e ponga fine a’ sacchi di Lombardia, alle taglie del Reame e di Toscana, e la guarisca di quelle sue piaghe già per lungo tempo infistolite. Vedesi come la prega Dio, che le mandi qualcuno che la redima da queste crudeltà et insolenzie barbare. Vedesi ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia uno che la pigli.” (Niccolò Machiavelli – Il Principe – cap.XXVI)
Machiavelli era, per il suo tempo, un autentico rivoluzionario, anche se Renzi non l’ha ancora capito poiché ogni tanto lo cita a vanvera come quei cattivi studenti che sparano cazzate sperando di salvarsi in corner dall’insufficienza grave, citando luoghi comuni per sentito dire (spesso neanche in classe, ma al bar). Nel disastro il fiorentino doc sapeva, infatti, intravedere la possibilità della ripresa della lotta e della vittoria anche se oggi qualcuno allevato alla scuola del pensiero positivo di Jovanottiana memoria vedrebbe sicuramente in lui uno sfascista.
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Miseria del sovranismo. Smarrimento della dialettica e proliferazione dell'ideologia
di Emiliano Alessandroni*
1. Questioni teoriche preliminari
Nella Scienza della Logica Hegel descrive in questi termini la natura ontologicamente relazionale di ogni contenuto determinato:
Quando si presuppone un contenuto determinato, un qualche determinato esistere, questo esistere, essendo determinato, sta in una molteplice relazione verso un altro contenuto. Per quell'esistere non è allora indifferente che un certo altro contenuto, con cui sta in relazione, sia o non sia, perocché solo per via di tal relazione esso è essenzialmente quello che è[1].
Si tratta di un aspetto successivamente ben compreso e metabolizzato dalla filosofia di Marx: «un ente che non abbia alcun oggetto fuori di sé non è un ente oggettivo. Un ente che non sia esso stesso oggetto per un terzo, non ha alcun ente come suo oggetto, cioè non si comporta oggettivamente, il suo essere non è niente di oggettivo». Questo riferirsi ad altro, ossia essere in rapporto con altro, costituisce la naturale essenza di ogni ente in quanto ente:
Esser oggettivi, naturali, sensibili, e avere altresì un oggetto, una natura, un interesse fuori di sé, oppure esser noi stessi oggetto, natura, interesse di terzi, è l'identica cosa. La fame è un bisogno naturale, le occorre dunque una natura, un oggetto, al di fuori, per soddisfarsi, per calmarsi. La fame è il bisogno oggettivo che ha un corpo di un oggetto esistente fuori di esso, indispensabile alla sua integrazione e alla espressione del suo essere. Il sole è oggetto della pianta, un oggetto indispensabile, che ne conferma la vita, come la pianta è oggetto del sole, dell'oggettiva forza essenziale del sole.
Un ente che non abbia fuori di sé la sua natura non è un ente naturale, non partecipa dell'essere della natura[2].
L'avere fuori di sé la propria natura significa che nessun ente naturale finito, ma a ben vedere anche nessun contenuto determinato, sia autosufficiente.
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Il declino dello smart /soft power della Casa Bianca
Quando a crollare è l’ideologia liberale della rete
Relazione meeting “Contropotere nella crisi” Bologna 13 – 14 Ottobre
Abbiamo costruito questa relazione con l’intento di socializzare in un ambito il più possibile allargato una serie di indicazioni di orientamento politico-culturale arrivateci dagli ultimi due anni di mobilitazioni globali.
La rivoluzione tunisina, quella egiziana, il movimento #15M ed anche quello NoTav hanno messo al centro di un mondo in crisi l’attualità della rivoluzione, delle sue pratiche ma anche delle sue parole. In questo senso hanno anche ribadito la centralità di saper agire la dimensione comunicativa nei conflitti odierni, individuando in essa, ed in particolar modo nella rete (ma non solo), un campo di battaglia dove colpire per disarticolare quelle tecnologie politiche, quelle narrazioni e quei dispositivi retorici che legittimano le politiche di austerità e che, per utilizzare una metafora, sono le piattaforme, le rampe di lancio da cui partono le operazioni di aggressione neoliberista ai territori.
Social media, ambienti di comunicazione elettronica e piattaforme globali di comunicazione hanno messo a nudo tutta la loro ambivalenza, provocando così una torsione dell’immaginario: non solo formidabili dispositivi di cattura della cooperazione sociale e del valore prodotto in rete – grazie ai quali il tempo di lavoro si dilata fino a sovrapporsi perfettamente con il tempo della vita – ma anche luoghi dove sono andati dispiegandosi una pluralità di processi di soggettivazione ed organizzazione dei movimenti globali.
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Benvenuti nel paese degli asini che volano (e non solo quelli)
di Sandro Moiso
Quand’ero bambino, uno zio mi insegnò che per distrarre qualcuno e poterlo fregare occorreva attirare la sua attenzione sugli asini che volavano in cielo.
Certo quell’italietta degli anni ’50 era ancora vicina alle storie medievali di Calandrino e le truffe alla Totò per vendere il Colosseo a turisti sprovveduti facevano ancora sorridere.
Oggi, invece, siamo diventati moderni e seri, liberal e globalizzati e soprattutto cinici e disincantati e quelle innocue storielle, ormai, richiamano soltanto alla mente il retaggio di una cultura popolare arcaica e superata.
Così, finalmente, tutta la dotta cultura millenaria, latina e cristiana, che caratterizza il Bel Paese e la sua indiscutibile modernità ha potuto esprimere la propria ricchezza e profondità filosofica, politica e morale nel vivace dibattito sull’opportunità o meno dell’esistenza della lotta di classe.
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“Ricordare il futuro”
di Salvatore Bravo
Ricordare un autore significa renderlo compagno di viaggio nel presente, solo in tal modo il suo pensiero può dispiegarsi verso ciò che verrà. Non si tratta di idolatrica venerazione, nulla è più distante dalla filosofia, ma di confronto dialettico e plastico. Pensare un autore è confliggere, discorrere, prendere le distanze da errori e posture ideologiche non condivisibili. Il nuovo ha il suo “humus” nell’incontro-scontro, si tratta di un urto fecondo dal quale possono emergere nuove prospettive. Nessun autore pensato “resta nell’astratto” della mente, pensare in filosofia è prassi critica, per cui il pensiero si concretizza nell’effettualità della storia ponendo un proficuo circolo dialettico.
L’attività del pensiero è intenzionalità significante, pertanto gli autori nascono a nuova vita nella razionalità che li accoglie. Siamo vicini al decennale della morte di Costanzo Preve, nel 2023 saranno dieci anni dalla sua morte. La morte di un autore non conclude il suo ciclo razionale, in quanto le sue idee possono germinare al sole della critica e della ricerca.
Le sue parole sono state un confronto aspro e profondo con il suo e il nostro tempo, ciò che ha scorto e ha anticipato con lo sguardo della filosofia è tra di noi. Non voglio, pertanto soffermarmi sui testi pubblicati o solo sull’analisi al capitalismo, ma, forse, è il caso di porre in atto un riorientamento gestaltico, cambiare prospettiva, palesare gli aspetti costruttivi presenti nella filosofia di Costanzo Preve attraverso le sue interviste. Queste ultime si connotano per la spontaneità colloquiale non disgiunta dalla chiarezza concettuale.
La filosofia non è solo “domandare profondo” che apre campi semantici di ricerca, ma è anche fatica della risposta.
La fatica del concetto è l’incontro tra domanda e risposta.
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Crisi parallele
Intervista a György Lukács
In «L’utopia concreta. Rivista quadrimestrale», I, n. 1, ottobre 1993 [da «New Left Review», n°60, marzo – aprile 1970]
Compagno Lukács, come giudica la sua vita e l’epoca storica in cui ha vissuto? In cinquantanni di lavoro scientifico e rivoluzionario ha avuto la sua parte di onori e di umiliazioni. Sappiamo anche che è stato in pericolo dopo l’arresto di Béla Kun nel 1937. Se dovesse scrivere un’autobiografia o delle memorie personali, quale lezione fondamentale ne trarrebbe?
Per rispondere brevemente, direi che è stata una mia grande fortuna aver vissuto una vita intensa e densa di avvenimenti. Lo considero come un particolare privilegio di cui ho avuto esperienza negli anni 1917/1919. Poiché provenivo da un ambiente borghese – mio padre era un banchiere di Budapest – e pur attuando un’opposizione piuttosto individuale in «Nyugat»1 – facevo parte tuttavia dell’opposizione borghese.
Non arriverei a dire – non potrei – che il puro e semplice impatto della prima guerra mondiale sarebbe stato sufficiente a fare di me un socialista. Fu senza dubbio la Rivoluzione russa e i movimenti rivoluzionari che ne seguirono in Ungheria che mi spinsero a diventarlo, e a ciò sono rimasto fedele. Ritengo che questo sia uno degli aspetti più positivi della mia vita. È un’altra questione se, oppure no, essa, nel suo insieme, abbia subito degli alti e bassi, in qualsiasi direzione, si può dire però che abbia avuto una certa unità. Guardando indietro, posso individuare le due tendenze che hanno prevalso lungo tutto l’arco della mia esistenza: in primo luogo, esprimere me stesso, poi, essere al servizio del movimento socialista – così come io l’ho inteso in ogni momento. Queste due tendenze non si sono mai disgiunte, né sono mai stato assillato da un qualche conflitto tra di esse.
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