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sinistra

Appello di alcuni costituzionalisti ai candidati nelle elezioni del 4 marzo 2018

Questo appello viene pubblicato corredato da alcune glosse critiche a cura di Luigi Ficarra in merito a punti importanti. Le glosse sono evidenziate in colore rosso e carattere diverso all'interno del testo

costituzione1L’appassionato confronto sui valori e i dettati della Costituzione in occasione del referendum del 4 dicembre 2016 - al quale abbiamo contribuito sostenendo il No - ha visto partecipare un imponente numero di elettrici e di elettori, pur con scelte difformi, a riprova che le grandi opzioni della politica sono percepite come proprie dai cittadini quando sono messi in grado di scegliere.

Per questo ci rivolgiamo a tutte le candidate e a tutti i candidati di buona volontà con questo accorato e rispettoso appello.

È necessario concentrare almeno quanto resta della campagna elettorale su alcuni obiettivi di fondo che per loro natura vanno oltre il periodo del prossimo mandato parlamentare e oltre i confini dell'Italia, in quanto decisivi dell’intero futuro. Su tali obiettivi non mancano accenni e proposte nel programma di alcuni partiti, ma essi appaiono del tutto oscurati e distorti nel dibattito pubblico rappresentato dagli attuali mezzi di informazione che perseguono altri interessi e logiche contingenti, onde è necessario farli venire alla luce e metterli al centro delle prossime decisioni politiche.

 

1. La prima questione è quella del lavoro retribuito, nella specifica forma della sua assenza e precarietà.

La mancanza di lavoro sta raggiungendo tali dimensioni di massa da rendere illusori i rimedi finora proposti. La riduzione al minimo di quella che una volta si chiamava “forza lavoro” a fronte dell’ingigantirsi degli altri mezzi di produzione è tale da alterare tutti gli equilibri dei rapporti economici politici e sociali.

In Italia infatti la Repubblica rischia di perdere il suo fondamento (art. 1 Cost.) e perciò la sua stabilità e la stessa sicurezza della sua durata; in Europa l’Unione economica e monetaria perde il primo dei tre obiettivi fondamentali per cui è stata costituita e via via potenziata, ossia “piena occupazione, progresso sociale e tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente” come prevede l’art. 3 del Trattato sull’Unione; nel mondo il sistema economico perde l’equilibrio dialettico tra capitale e lavoro, deprimendo fino a sopprimerlo il ruolo del fattore lavoro. La resa imposta a uno dei due protagonisti del relativo conflitto - il lavoro - non lo risolve, ma ne spegne la spinta propulsiva e spinge la polarizzazione delle diseguaglianze fino agli estremi di una pari ricchezza detenuta da una decina di uomini e da 3,6 miliardi di persone sulla terra.

La perdita di lavoro umano non è genericamente dovuta al progresso, ma è il frutto di scelte politiche ed economiche che hanno potuto avvalersi come mai fino ad ora dello sviluppo della tecnologia e dell’automazione; paradossalmente ciò ha finito per ritorcersi contro l’ortodossia e la funzionalità del Mercato (n.d.r. assunto come regola cui attenersi ex art. 118, ult. co. Cost,), perché a esserne snaturato e viziato è stato proprio il meccanismo della concorrenza a causa degli squilibri nel costo del lavoro umano tra le imprese, le diverse aree produttive e gli Stati, messi in concorrenza tra loro nella corsa ad abbattere il ruolo del lavoro, fino alla minaccia del controllo elettronico dei lavoratori anziché delle macchine e dei processi produttivi. Le conseguenze della crisi scoppiata - (n. d.r. non per cause naturali: trattasi infatti di una grave crisi capitalistica, connessa alla caduta tendenziale del saggio di profitto) - si fanno sentire pesantemente, il Pil dell’Italia è ancora inferiore del 6,5% sul 2008, l'attività industriale è calata oltre il 25% e secondo il prof Giovannini mancano ancora un milione di unità-lavoro rispetto al 2008. (n.d.r. Il problema non è di ingegneria costituzionale, non è astrattamente giuridico. Occorre essere consapevoli che non potremo operare nei limiti della Costituzione per il superamento dei rapporti di produzione capitalistici che danno all’1% della popolazione una ricchezza pari a quella del restante 99%; che dovremo quindi rivedere a fondo e superare le scelte fatte in passato dal PCI con l’VIII congresso del 1956. Scelte che hanno sino ad oggi segnato, con accentuazioni diverse, il percorso di tuta la sinistra).

Per ristabilire gli equilibri e una giusta concorrenza (n.d.r. per tutelare il mercato) è ora necessario puntare non solo ad impadronirsi delle tecnologie e del loro uso ma creare nuovo lavoro in settori finora considerati meno interessanti dal punto di vista del reddito, anche se più di recente anch’essi sono stati invasi dal mercato che ne distorce pesantemente l’utilizzo a fini di profitto. Questi interventi possono essere creati dall’unico soggetto in grado di farlo, cioè il soggetto pubblico, nelle sue varie articolazioni e competenze, sia in Italia che in Europa che a livello globale. Non si tratta solo di proporre una nuova fase dell'intervento dello Stato (n.d.r. come fatto negli anni ’30 con Alberto Beneduce, durante la dittatura fascista, per la ripresa dell’accumulazione capitalistica, anche mediante la creazione dell’IRI, di cui Beneduce fu primo presidente; e poi negli anni ’50 – ‘60) - quanto di un più generale intervento pubblico, da sviluppare in modo coordinato tra le diverse sedi istituzionali. In particolare c’è da coprire l’enorme fabbisogno di lavoro umano per la conservazione e il miglioramento dell’ambiente, la riconversione ecologica delle strutture esistenti, la prevenzione delle calamità, la salute come bene primario universale, l’educazione, i nuovi servizi alle persone, in particolare all'infanzia e al crescente numero di anziani, ecc.; così è necessaria una strategia di riduzione e redistribuzione degli orari di lavoro.

A tal fine l’Italia dovrebbe riaprire il capitolo dell'intervento pubblico nell’economia e riproporlo all'Europa, anche per una nuova interpretazione del Trattato europeo che deplora gli “aiuti di Stato”, che in realtà non sono aiuti ma la manifestazione stessa delle scelte della comunità politica sovrana come soggetto anche economico.

Come rivendicazione politica immediata dovrebbe assumersi pertanto un’abrogazione o rinegoziazione degli artt. 107-109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“Aiuti concessi dagli Stati”). In ogni caso, anche in assenza di modifiche, si dovrebbe ritenere verificata, per l’Italia ma anche per l’Europa impoverita, la clausola che secondo l’art. 107 reintegra a pieno titolo gli “aiuti di Stato” nel mercato interno europeo: la clausola cioè, prevista dall’art. 107, 3 del Trattato, che ci siano regioni “ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione”. Clausola innegabilmente adempiuta quando in Italia ci sono 5 milioni di persone che vivono “in povertà assoluta”, 18 milioni “a rischio di povertà e di esclusione”, e la disoccupazione è all’11 per cento con 3 milioni di disoccupati, tra cui il 37 per cento dei giovani.

Analoga rivendicazione, sia per l’Italia che per l’Europa, dovrebbe farsi per un nuovo approccio fiscale volto a finanziare questi interventi che, in coerenza con la progressività prevista dall'art 53 Cost. , alleggerisca il prelievo fiscale su lavoro e pensioni e lo estenda alla intera ricchezza prodotta e ai grandi patrimoni.

Allora diventerà nuovamente possibile dare effettività all’art. 3 della Costituzione.

(n.d.r. sino all’altro ieri, alcuni dei firmatari dell’appello in questione, dicevano - anche in polemica con la nota da me scritta in merito al ‘Patto per la Costituzione’ e pubblicata nel sito ‘sinistrainrete’ - che avrebbero raccolto le firme per un referendum abrogativo del nuovo testo dell’art. 81, che pone l’obbligo del pareggio di bilancio. Oggi non più e comunque non se ne fa cenno nell’appello de quo. Azzariti, che non è fra i firmatari di quest’ultimo, sul Manifesto di ieri, con un articolo dai toni moderati, fatta una denuncia dei ‘silenzi e degli imbarazzi di partiti e sindacati’ lancia, a nome del ‘Coordinamento per la Democrazia Costituzionale’, la proposta di un referendum abrogativo di iniziativa popolare dell’art. 81 ed anche 97, nei testi modificati nel 2012, della legge elettorale ultima e della legge sulla ‘buona Scuola’. Alcun cenno fa Azzariti circa l’art. 118. ultimo comma, cost. con cui è stato costituzionalizzato il principio liberale di sussidiarietà. La cosa strana è che alcuni dei firmatari dell’appello di cui si parla risulta facciano parte del ‘Coordinamento per la Democrazia Costituzionale’e comunque vi fanno riferimento. Azzariti sa e dice che l’iniziativa proposta è, data la crisi in cui versa la sinistra, ‘un azzardo’, ma, aggiunge, ‘se c’è vita a sinistra, è ora di battere un colpo’. - Osservo che sia la Garofalo, a nome di Potere al Popolo, sia Acerbo, e precedentemente, Gianni Ferrara, avevano convenuto che la modifica dell’art. 81 ha stravolto la Costituzione del ‘47 in senso apertamente liberale, tacitamente abrogando, e comunque rendendo inoperativi gli artt. 3 e 41, terzo comma, cost.

C’è un'altra ancor più grave considerazione da svolgere. L’art. 67 della Costituzione italiana afferma un principio che trovasi in tutte le Costituzioni liberali adottate nel ‘700, ‘800 e ‘900 dal moderno stato rappresentativo borghese: il principio che il parlamentare non è vincolato dalla parte di società civile che l’ha eletto. Egli – è scritto nell’art. 67 – “rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. La parola ‘nazione’, come si comprende dalla critica di Marx alla filosofia del diritto di Hegel, sta per ‘società politica’, che, nello stato borghese, come sua essenziale caratteristica, è separata e distinta dalla ‘società civile’. Nel Parlamento, che è la principale istituzione della società politica, tende a realizzarsi ogni mediazione necessaria al perseguimento dell’interesse generale capitalistico. Lo schieramento politico borghese, di volta in volta dominante (centro – centro-sinistra – centro-destra) deve mediare e media, come ad esempio fecero con abilità De Gasperi, Moro ed anche Andreotti, tutti gli interessi presenti nella società civile, anche degli artigiani e dei contadini piccoli e medi - unità produttive, queste, non certo creatrici di per sé di pv, ma utili e necessarie nella totalità capitalistica - e deve mediare pure nei riguardi degli interessi dei lavoratori attraverso tutele parziali, avendo detto fronte politico borghese interesse a che non esplodano i contrasti di classe che tende politicamente a riassorbire. Ecco perché in tutte le costituzioni è affermato il principio scritto nell’art. 67. Principio che anche Lelio Basso criticava, sia pur da un’angolazione essenzialmente democratica, e che i rivoluzionari della Comune di Parigi travolsero, affermando giustamente, nell’ambito della rivoluzione compiuta, il principio del mandato imperativo, richiamandosi a Rousseau. Marx, che vide nell’esperienza della ‘Comune’ la prima realizzazione in nuce della dittatura del proletariato, rilevò l’importanza dell’affermazione del mandato imperativo come opposto a quello proprio delle costituzioni liberali. E così pure Lenin.

La crisi della democrazia borghese determinata dalla crisi capitalistica in corso ormai da qualche decennio, e che si manifesta al massimo nella crisi della rappresentanza, ha portato al fenomeno degenerativo del cambio di casacca, espresso in quest’ultima XVII legislatura nel record di 526 casi (297 alla Camera, 229 al Senato) registrati dal febbraio del 2013, circa 10 cambi di gruppo al mese. E’ evidente che la crisi della democrazia borghese si supera mediante un processo radicalmente rivoluzionario in senso socialista e sarebbe illusorio, peggio, infantile, pensare di risolverla mediante l’introduzione del vincolo di mandato. Ma il fenomeno del cambio di casacca ha raggiunto punte tali da provocare un rigetto dei principi democratici, di cui il proletariato, specie nella crisi politica in cui versa, si avvale nelle sue lotte. Ed avrebbe dovuto essere la sinistra ad inalberare - in nome dei suoi principi e della sua tradizione politica a partire dai sanculotti del 1793 - la lotta per l’introduzione del mandato imperativo, con assemblee democratiche locali di controllo dei mandatari, anche per riassorbire l’antiparlamentarismo diffuso che la destra ha coltivato negli anni e che è montante fra tutti i cittadini e soprattutto in larghi strati di proletariato e di ceto medio, ed indirizzarlo in senso anticapitalista. Ed invece è stata la destra a farlo, inserendo abilmente e ‘strumentalmente’ nel suo programma e di quello di Forza Italia in particolare la proposta di introdurre in Costituzione il principio del mandato imperativo. – Se quanto si legge sui giornali (Manifesto del 21 febbraio) è vero, risulta che non solo il PD e Liberi e Uguali si sono dichiarati contrari all’introduzione del vincolo di mandato – cosa che non meraviglia essendo nella natura dello schieramento di centro-sinistra di comportarsi per la difesa sell’ordine come i liberali - , ma che anche Potere al Popolo si sarebbe pronunciato per il mantenimento del divieto del mandato imperativo. Cosa, quest’ultima, che, se vera, è frutto di un errore politico, ed è pure in contraddizione col suo stesso programma).

 

 

2. La seconda questione riguarda il controllo e la regolazione delle attività e dei movimenti finanziari, compresa la tassazione della produzione e dei consumi nei Paesi in cui avvengono.

La dominanza del capitale finanziario, la sua libertà di movimento globale, il suo potere di ricatto verso gli Stati nazionali, l'assenza di controlli sui movimenti finanziari, la cui provenienza è fin troppo spesso illegale, l'uso speculativo dei capitali finanziari hanno creato uno squilibrio di fondo tra il ruolo ancora essenziale degli Stati e il capitale finanziario globalizzato.

Non basta invocare un ritorno del ruolo degli Stati che pure deve esserci, ad esempio sui bitcoin che sono l’ultima forma speculativo-finanziaria del tutto fuori controllo; purtroppo con grande ritardo si sta comprendendo che consentire lo sviluppo di questa forma di moneta porta alla crescita esponenziale di speculazioni e alla crescita di aree di economia fuori da ogni controllo. Malgrado la crisi scoppiata nel 2008 sia stata del tutto paragonabile a quella del 1929 gli interventi per evitarne il ripetersi non sono paragonabili a quelli adottati dopo la crisi del 1929, senza sottovalutare che perfino molti degli strumenti all'epoca adottati sono stati rimossi, lasciando campo libero ai movimenti speculativi e a comportamenti infedeli a danno dei risparmiatori, fino allo svilimento delle forme di controllo. Vanno rivisti i ruoli nel sistema del credito distinguendo tra credito per gli investimenti e banche di raccolta e uso del risparmio, così come vanno intensificati e resi cogenti strumenti e regole per il controllo dell'operato degli operatori bancari e finanziari, introducendo deterrenti adeguati a tutela del risparmio, contro amministratori e operazioni infedeli. Questo sulla base di precise regole di trasparenza e di uso del risparmio, comprese dissuasioni penali adeguate. Occorre rivedere a livello europeo e mondiale gli accordi che regolano, o meglio non regolano, i movimenti di capitali, sulla base del principio della reciprocità, di un controllo sull'adeguatezza dei comportamenti degli Stati nei controlli sulla base degli accordi. Occorre ripensare le politiche di governo dei debiti pubblici in modo solidale a livello europeo e puntare ad accordi a livello sovranazionale, anche nelle politiche fiscali nazionali oggi usate per la concorrenza tra Stati distorcendo la concorrenza tra imprese. La lotta all’elusione e all’evasione fiscale - cruciale e strategica per il nostro Paese (n.d.r. ricordo di averne sentito parlarne sin dagli anni ’50, in ogni campagna elettorale per il rinnovo delle istituzioni dello Stato rappresentativo)- con un’azione sistematica di contrasto e di nuove normative va inquadrata in una decisa lotta ai paradisi fiscali e alla concorrenza fiscale tra gli Stati, nell'epoca del dominio del capitale finanziario, che è in larga misura all'origine dello squilibrio nei rapporti di forza a danno del lavoro reso sempre più mera merce, per di più sottovalutata. Per questo il sistema di regole e di controlli è indispensabile. L'accento non è più sulla libertà di scambio nel reciproco interesse, ma per evitare pratiche di dumping tra lavoratori e tra Stati occorrono regole e controlli severi sui movimenti e sui comportamenti dei capitali finanziari.

Di conseguenza diventerebbe possibile l’attuazione dell’articolo 41 della Costituzione. (n.d.r. – vedi sul punto la nota più sopra scritta).

 

3. La terza questione cruciale è quella della pace, oggi purtroppo negata da gran parte della politica nazionale e mondiale.

La pace è fin troppo negata dalla nostra politica nazionale, con il formale rovesciamento del ripudio costituzionale della guerra, da quando il nuovo Modello di Difesa italiano, sostituendosi nel 1991 al vecchio Modello concepito in funzione della difesa dei confini nazionali (la famosa “soglia di Gorizia), adottò la formula della “difesa avanzata” degli interessi esterni dell’Italia e dei suoi alleati. Tale difesa comprendeva anche quella degli interessi economici e sociali, ovunque fossero in gioco, “anche in zone non limitrofe”, a cominciare dall’area del Mediterraneo e del Medio Oriente, supponendo (già allora!) l’Islam come nemico dell’Occidente in analogia al conflitto arabo-israeliano che veniva ideologicamente interpretato come una “contrapposizione tra tutto il mondo arabo da un lato ed il nucleo etnico ebraico dall’altro”.

L'art 11 della Costituzione è contraddetto dalla politica nazionale quando si estende la formula della difesa fino all’invio di Forze Armate in Africa per intercettare le carovane di profughi nel deserto o per attivare la Marina libica alla caccia e alla cattura dei migranti nel Mediterraneo, fino alla negazione di ogni umanità nei campi profughi.

La pace è negata dalla politica nazionale quando l’Italia non approva, non firma e non ratifica il Trattato dell’ONU sull’interdizione delle armi nucleari, mentre rifornisce di armi Paesi che ne bombardano altri e primeggia nel mercato degli armamenti realizzando uno dei più alti avanzi commerciali del settore, svuotando di significato la legge nazionale che prevede trasparenza e precisi divieti in materia di commercio delle armi e un controllo delle transazioni finanziarie ad esse collegate. Il divieto dell'esportazione di armi in zone di guerra deve essere ripristinato, così il divieto della fabbricazione di mine e il divieto assoluto di produrre e usare armi all'uranio impoverito di cui si stanno scoprendo le tragiche conseguenze anche per la salute dei militari.

La pace è negata dalla politica internazionale quando Trump reintroduce nelle opzioni americane la risposta nucleare a offese “convenzionali” e perfino al terrorismo.

La pace è negata dalla politica internazionale quando l’ONU viene esclusa dal compito che dovrebbe svolgere di fronteggiare le minacce e le violazioni alla pace, le violazioni della sovranità e gli atti di aggressione. Nessun intervento di polizia internazionale o di interposizione fuori dai confini nazionali deve essere possibile senza una specifica decisione dell'Onu e il suo controllo. L'Onu pur con evidenti limiti è l'unica sede internazionale dotata di legittimità per azioni di polizia internazionale

La pace è negata dalla politica internazionale quando le Potenze nucleari respingono il bando delle armi nucleari, e quando Stati o sedicenti Stati alimentano la guerra mondiale diffusa già in atto e avallano e praticano politiche di genocidio.

L’Italia deve firmare e ratificare il Patto per l’abolizione delle armi nucleari approvato da 122 Paesi e firmato finora da 56 Paesi e ratificato da 4; che l’Italia non fornisca armi all’Arabia Saudita, al Kuwait, ad Israele e alla Libia; che respinga la richiesta degli Stati Uniti e della NATO di aumentare le sue spese militari fino al 2 per cento del prodotto interno lordo, che rappresenta da solo i due terzi di quanto l’Europa consente a uno Stato membro di indebitarsi al di sopra del PIL; che l’Italia si batta con gli altri Paesi europei e con la NATO per una riformulazione della filosofia delle alleanze militari dell’Occidente e per dare attuazione al capo VII della Carta dell’ONU che postula una forza di polizia internazionale comandata dai cinque Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, finora impedita dalla divisione del mondo in blocchi; che si riprenda la grande proposta avanzata ma non accolta alla fine della guerra fredda di “un mondo senza armi nucleari e non violento”. Un mondo, si può oggi aggiungere, sollecito verso la propria conservazione e salvaguardia anche fisica secondo le analisi e le sollecitazioni della intera comunità scientifica fatte proprie anche dalla stessa Enciclica “Laudato sì”.

Allora diventerà nuovamente possibile dare effettività all’art. 11 della Costituzione che riteniamo un principio fondamentale.

(n.d.r.  con riferimento all’art. 11 cost., ritengo non ci sia dubbio, tenendo conto di tutte le guerre cui abbiamo partecipato e partecipiamo, dall’Afghanistan alla Libia, all’Iraq, che la costituzione materiale l’abbia disattivato, e che, comunque, non lo si possa credibilmente invocare se non schierandosi per l’annullamento del patto che lega l’Italia alla NATO, cosa che non fanno i firmatari dell’appello in questione. Se poteva restare qualche dubbio, l’intervento imperialista e neocolonialista, militare ed economico, del governo Gentiloni in Africa ha fatto cadere ogni velo ipocrita sull’esistenza dell’art. 11)

 

4. La quarta questione cruciale è quella del diritto di cittadinanza, nella specifica forma del suo disconoscimento a quanti, abitanti in uno Stato, non ne siano considerati cittadini.

È una questione che riguarda l’Italia ma che egualmente va posta dinnanzi all’Europa e all’intera comunità internazionale, perché oggi è questa la dimensione necessaria degli interventi.

La discriminazione di cittadinanza che sopravvive a tutte le altre discriminazioni che almeno in via di principio sono cadute (di sesso, di razza, di religione ecc.) deve ora essere superata attraverso politiche programmate e controllate di accoglienza, protezione e integrazione, mirate a realizzare lo ius migrandi già proclamato come diritto umano universale all’inizio della modernità, e a tradurlo gradualmente e con regole nella stabilità dello ius soli.

La realtà delle migrazioni è un prodotto irrecusabile della globalizzazione da noi voluta e perseguita. Non è possibile nasconderla, segregarla o reprimerla perché questo porta con sé in nuce il genocidio. La xenofobia è una nuova declinazione del fascismo, e il genocidio è il suo destino.

Nel mondo di oggi i muri non sono più verosimili. Quello delle migrazioni non è più pertanto un problema esterno degli Stati, ma un problema interno dell’unica Nazione umana e del suo ordinamento giuridico sulla terra, da affrontare con politiche e regole graduali, in grado di promuovere integrazione.

L’Italia per la sua posizione geopolitica, ma ancora di più per il suo DNA, deve essere all'avanguardia nell' avviare questo processo e nel rivendicarlo dagli altri, prima che la catastrofe avvenga.

In tali modi l’intera Costituzione e la nostra Repubblica, l’Unione europea e l’Ordinamento delle Nazioni Unite, unite dal diritto come base per affrontare i problemi diventeranno forza e garanzia della nostra stessa vita.

Proponiamo che al più presto si tenga una tavola rotonda per una prima ricognizione e discussione su questi temi con la partecipazione di quanti vorranno dare un contributo al loro approfondimento e agli sviluppi futuri.

Firmatari:

Francesco Baicchi, Leonardo Becheri, Mauro Beschi, Carmen Campesi, Sergio Caserta, Riccardo De Vito, Mario Dogliani, Luciano Favaro,Nino Ferraiuolo, Luigi Ferrajoli,Umberto Franchi, Domenico Gallo, Sandro Giacomelli, Alfiero Grandi, Raniero La Valle, Maria Longo, Sara Malaspina, Silvia Manderino, Tomaso Montanari, Alessandro Pace, Giovanni Palombarini, Pancho Pardi, Livio Pepino, Maria Ricciardi, Giovanni Russo Spena, Mauro Sentimenti, Giuseppe Sunser, Giulia Veniai, Massimo Villone, Vincenzo Vita

Comments

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Eros Barone
Thursday, 01 March 2018 21:23
Un plauso al glossatore, che si rivela un critico implacabile, dal punto di vista marxista e comunista, del democraticismo piccolo-borghese, imbelle e opportunista, che caratterizza questo appello "accorato e rispettoso" (sic!) di alcuni costituzionalisti "a tutte le candidate e a tutti i candidati di buona volontà" (sic!) nelle elezioni del 4 marzo. Un appello che mi fatto tornare alla memoria la storiella di quei due napoletani di cui uno vendette all'altro acciughe marce, e l'altro gliele pagò con lire false. "Te ne accorgerai al friggere", pensò il primo. "Te ne accorgerai al contare", pensò il secondo.
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