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mondocane

Da Gaza al Quirinale

Popoli fai da noi, cacicchi fai da me. E i Rothschild

di Fulvio Grimaldi

puparoOgni volta che siamo testimoni di un’ingiustizia e non reagiamo, addestriamo il nostro carattere ad essere passivi di fronte all’ingiustizia , così, a perdere ogni capacità di difendere noi stessi e coloro che amiamo”. (Julian Assange)

“Si parva licet componere magnis”, premettevano i latini a un azzardato paragone che conducevano tra cose piccole grandi. Procedimento che adotto per passare dalle nostre squallide, ma non del tutto irrilevanti, piccinerie, alle immensità, per una parte orrendamente efferate e, per l’altra, eroiche, di quanto va succedendo in queste settimane e ore tra i palestinesi di Gaza e gli emuli israeliani dei macellai del ghetto di Varsavia.

 

Cosa ci accomuna, cosa li accomuna

Altra premessa al discorso di oggi è la constatazione di cosa abbiano in comune coloro che hanno portato alla novità di due fenomeni di massa che, fino all’altro ieri, parevano patrimonio di altri, migliori, tempi. E, per converso, a cosa ci porta l’esame epistemologico circa la natura logica dei comportamenti di contrasto a questi fenomeni. Parlo della rivolta di masse popolari a Gaza impegnate in un movimento, la Grande Marcia del Ritorno, che, dopo anni di delega a rappresentanti inetti, inefficaci, rinnegati, divisi e divisivi, si appropria del tema che fu loro fin dal rifiuto della colonizzazione degli anni ’40 e poi nelle due Intifade degli anni ’80 e ’90. E parlo della cacciata, in Italia, dal proprio orizzonte politico di coloro, la coalizione di destra variamente denominata Ulivo, governo tecnico, larghe intese, renzusconismo. Usurpatori che dalla fine del secolo scorso, eletti rappresentanti dei bisogni collettivi, queste masse le hanno conculcate, deprivate, escluse.

Avventandosi settimana dopo settimana contro i reticolati dei campi di concentramento in cui un olocausto strisciante li ha rinchiusi, finendo col sottrarre alla passività anche i fratelli in Cisgiordania, tornando ad essere protagonisti del proprio destino, i morituri di Gaza hanno sconfitto i propri carcerieri mostrando come la via della libertà di un popolo passa anche per la morte. Quando un popolo è conscio di sé e non ha più nulla da perdere, la sicurezza del suo oppressore non troverà mai misure sufficienti per garantirne il dominio.

E’ quel popolo, inteso in senso gramsciano che, da noi, non avrà dovuto pagare con una carneficina la propria autonomizzazione nella lotta di liberazione, la sua riappropriazione delle scelte fondamentali, ma, riducendo a brandelli elettorali i dominanti e decidendo di rovesciare il tavolo sopra il quale banchettavano i propri “delegati”, politici, sindacali, mediatici, se non la morte ha dovuto affrontare (per ora), ma un fronte che nulla ha da invidiare alla mancanza di scrupoli democratici e alla protervia impositiva di Israele e della sua lobby globale.

 

De minimis non curat praetor

Mi pare riduttivo, a questo punto, intrugliarmi nelle diatribe, intensificatesi in questi giorni, sul mio sostegno ai 5 Stelle, perlopiù scatenate da rabdomanti frustrati che andavano in cerca di responsabilità altrui per il disfacimento delle sinistre. Lasciatemi precisare ai grilli parlanti che mi attribuiscono, a volte apoditticamente, posizioni e schieramenti, che qui non è in gioco una valutazione di cosa i vincitori delle elezioni sono o faranno. Anzi, da convinto condivisore degli obiettivi dell’originale vaffa, come li ho visti praticare da militanti 5 Stelle sul territorio, come potrei negare perplessità e sconcerto su quanto il loro gruppo dirigente, oggi gravemente personalizzato, va dicendo e annunciando. Il pensiero corre angosciato alla parabola catastrofica di Tsipras. Ma tra le ricorrenze storiche c’è anche quella che ci riconduce al Berlinguer della scelta pro-Nato e pro-compromesso storico. Nessun dubbio che la parabola, chiusasi sulle maleodoranti scorie del PD, se non un inizio, lì ebbe un’accelerazione significativa. Quelli che ne auspicano una ripetizione, stanno tutti in alto e sono tutti nostri nemici, più di Di Maio.

 

Popoli fai da noi

Conta invece la fenomenale mossa con cui 17 milioni di dominati si sono scrollati dal groppone briglie e morsi che gli imponevano di trascinare carri e carrozze. Conta che l’hanno fatto contro una coalizione di potenti inferociti e di certi “oppositori” (detti di sinistra), alla vaniglia per quelli in alto, alla vasellina per quelli in basso. E le bordate sparategli contro hanno tutta la carica di ferocia, odio, frustrazione, dei Radetzki e dei Bava Beccaris negli albori milanesi del movimento operaio. E, di là dal mare, i masnadieri invasori, nascosti dietro ai loro terrapieni e resi impuniti e invulnerabili perché protetti dalla divisa dell’ esercito “più morale del mondo” e dal silenzio sulle criminali pallottole e bombe a espansione, a farfalla, a freccette, chimiche, finalizzate a uccidere facendo soffrire il massimo, sono i guardiani di una Fortezza Bastiani terrorizzati dai tartari (che in questo caso, però, ci sono e arrivano a decine di migliaia, domani a milioni). I maggiordomi, mercenari in marsina e Acqua di Colonia che, a Bruxelles, Washington, Londra, Parigi, a Berlino, Roma, eseguono gli ordini di servizio degli stessi mandanti, con o senza kippà, puntano allo stesso effetto invalidante, di coma cerebrale, mediante le armi della menzogna, delle false notizie sparate contro quelle vere, della diffamazione, della pioggia di cavallette se solo apri bocca.

 

Voto disobbediente e bullismo presidenziale

Sono a pari merito stupri della libertà e assassinii della democrazia. Milioni di italiani si vedono posti sul banco degli imputati per aver votato in modo difforme dai gusti dell’establishment, populista, cioè per se stessi. Per aver pensato che non sia né bene né giusto deregolamentare, privatizzare, militarizzare, inquinare, distruggere ambiente, salute, lavoro, istruzione, condurre guerre, corrompere tutto e ogni cosa, governare insieme a mafia, massoneria e Nato. E subire tutto questo a beneficio di pochi eletti incistati in banche e oasi di lusso su diktat di una manica di abusivi che brucano gli ubertosi prati pasciuti dalle nostre tasse a Bruxelles e Francoforte. I quali, da Moscovici al cenobio ormai catacombale del Nazareno, dai soloni del principato mediatico delle fake news agli sguatteri buonisti che, per confonderci e alienarci tutti quanti, strappano e alienano popolazioni alle proprie radici e a un degno futuro, hanno sollecitato Mattarella a farsi Napolitano Tris. Anzi, ad allungare il passo: dalla repubblica parlamentare alla repubblica presidenziale.

Tentato l’affondo di un suo governo, con proterva ipocrisia definito “neutrale” (alla maniera degli arbitri di Moggi), beccato con le mani nella marmellata, l’ex-ministro della Difesa che ci difendeva massacrando la Serbia di bombe, il presidente che ha firmato tutte le malefatte PD, incluso il Rosatellum, che non si è fatto scrupolo di ricevere, anche a quattr’occhi, nel supremo palazzo della Repubblica il delinquente Berlusconi, si è permesso di porre “dei paletti”. Paletti come saracinesche nelle quali rinserrare fino all’estinzione, o alla resa, chi non si fa tappeto rosso per le scarpe laccate dell’evasore Juncker, per le marce contro Putin e tutti i nemici degli Stati terroristi, chi non rifornisce di munizioni e patte sulle spalle i valorosi antisemiti che in Medioriente eliminano dalla faccia della Terra i semiti (intesi come arabi, gli unici che semiti sono).

A questo punto, visto che, o si corre in tradotte “austerity” di terza classe, sui binari imposti dai buro-despoti di Bruxelles, dallo sradicatore di popoli Soros e dai tagliagole della Nato, per completare la spoliazione e sottomissione dei popoli, o Mattarella ti cancella, cosa cazzo si vota a fare?

 

Davide e Golia

C’è uno che, per come fustiga i falsari dei grandi media, si erge a vessillo della libertà di stampa, dell’indipendenza dei giornalisti, della deontologia nella professione. Nel giorno in cui uno Stato, che per tasso di criminalità e sadismo non ha precedenti su questo e sicuramente su altri pianeti, celebra un genocidio che su quello nazista ha il vantaggio di durare sette volte tanto, titola: “Così il piccolo Davide si salvò dal Golia arabo e fu Israele”. Le due pagine che seguono e con cui Travaglio definitivamente disonora le parti e le firme rispettabili del Fatto Quotidiano (nessuna delle quali presenti nelle pagine di esteri, appaltate alla lobby), sono alla bassezza di questo sciagurato rovesciamento della verità.

Dalla fola del “ritorno alla terra degli avi” di genti eurocaucasiche che, da quando esistono, da quelle parti non ci avevano mai messo il naso, alle falsità sui dati demografici alla base dell’iniqua spartizione dell’ONU, dal silenziatore sugli inventori ebrei dello stragismo terrorista con le bande Stern, Irgun e Haganah, che poi spurgarono primi ministri assassini seriali di massa, al piagnucolìo sui poveri e deboli scampati all’olocausto (garantiti diplomaticamente e riforniti di ogni bene militare da tutte le grandi potenze) che dovevano vedersela con l’immane forza degli eserciti arabi. Con questi, infatti, sbrindellati, armati alla ‘800, da poco usciti dallo scontro con l’impero ottomano e dalle guerre di liberazione anticoloniali, per il “Davide” israeliano, sostenuto da Mosca, Washington, Londra e vassalli vari, come da un’opinione pubblica decerebrata da quella che l’ebreo Finkelstein chiama “L’industria dell’olocausto”, la partita era vinta prima di incominciare.

 

Israele: Il troppo stroppia

Obnubilazione che durava ancora nel 1967 quando, da inviato di Paese Sera alla “Guerra dei Sei Giorni”, a raccontare le atrocità di Tsahal sui villaggi palestinesi che vedevo, mi dovetti scontrare, non solo con la censura israeliana, anche con un direttore fedele alla linea del PCI che la vedeva come Travaglio oggi. Come sul Vietnam, un’altra verità emerse allora da un giornalismo ancora relativamente libero, il PCI cambiò posizione, il direttore di Paese Sera venne sostituito e, nel mondo, iniziò una lenta, progressiva presa di coscienza per cui l’arcaica equazione dei pifferai sionisti alla Travaglio andava invertita. Oggi la trafelata corsa alla compattezza filosionista dei media è, per converso, il segno del timore che quella coscienza possa minare alla base uno dei pilastri che sorreggono la cupola del finanzmilitarismo mondiale. Ne è dimostrazione la furibonda campagna di Israele e della lobby contro il movimento BDS: boicottare, disinvestire, sabotare.

Gli oltre cento morti dell’orrenda carneficina di Gaza, gli oltre 10mila feriti e perlopiù mutilati, le migliaia di morti da Piombo Fuso del 2008 e successive, le centinaia di migliaia di seviziati, incarcerati, torturati, i milioni di sradicati, le decisioni dell’ONU tutte ignorate e sbeffeggiate, l’ininterrotta, feroce aggressività nei confronti di chi resiste, di chi si oppone, di chi critica, di chi non plaude, i ricatti che sfruttano le vittime dei nazifascismi, le 400 bombe atomiche agitate per ridurre all’impotenza chiunque si trovi nel mirino dello Stato Gangster e della sua lobby, il cannibalismo nei confronti dei popoli vicini.

E dall’altra parte un popolo intero, privato di cibo, acqua, energia, salute, rinchiuso in una Auschwitz tra deserto e mare. E i suoi ragazzi, le sue donne, con fionde e pietre rubate ai secoli della Bibbia, contro il quarto più potente esercito del mondo, il più immorale, il più vile. Nella Storia, domani, rimarrà un’orma a distinguere dal subumano israeliano l’umano palestinese: quella di un popolo, abbandonato, tradito, tormentato oltre ogni limite, che a decine di migliaia cammina verso la libertà, inerme, sapendo di morire, morendo per la libertà. Purchè in piedi. Non s’è mai visto niente di simile, un tale tributo al valore supremo di ogni creatura. Grazie, palestinesi. Impossibile che non vinciate.

 

Hic sunt leones

Scrivevano i romani sulle aree delle loro carte geografiche dove non c’era altro interesse che quello per le battute di caccia e la cattura di animali selvaggi. Netaniahu vede così i territori oltre i propri mai stabiliti confini: quelli della Grande Israele dove gli animali da uccidere o catturare camminano eretti su due gambe e dove si trovano acqua, petrolio, quelle ricchezze che a Israele e alla comunità che lo sostiene servono per il raggiungimento degli obiettivi storici. Guerra dopo guerra. Possibilmente combattute per conto suo da terzi: Usa, Nato, jihadisti, curdi, sauditi. Non sarebbe la prima volta.

 

Le guerre Rothschild per Israele

Le due guerre mondiali sono state scatenate per una varietà di motivi e interessi. Egemonia in Europa, primato coloniale, competizioni sociali, potere e ricchezza degli industriali a partire dalla produzione di armi. Ma, forse, nella tormenta che ha insanguinato l’Europa con due guerre mondiali, Israele c’entra. O, quanto meno, il piano per porre in essere uno Stato ebraico ha goduto dei finanziamenti della famiglia Rothschild e affini. Ed è un piano che si è valso di guerre. Non solo quelle del 1948, 1956, 1967 e 2003. Il crollo dell’impero ottomano al termine del primo conflitto consegnò alla Gran Bretagna il controllo totale sulle terre palestinesi. E’ del 1926 la dichiarazione di Balfour che istituì il “focolare ebraico” in Palestina. Ma è del 2 novembre 1917, con sconfitta ottomana in vista, che lord Balfour, massone, ministro degli esteri e già primo ministro, scrive al capo di quella che da secoli è la più potente banca del mondo:

Caro Lord Rothschild, ho grande piacere a comunicarle, a nome del governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di sostegno alle aspirazioni sioniste che sono state sottoposte e approvate dal Gabinetto. Il governo di Sua Maestà vede con favore lo stabilimento in Palestina di una patria nazionale per il popolo ebreo e farà del suo meglio per raggiungere questo obiettivo…”

Grazie alla prima guerra mondiale gli ebrei si assicurarono quella terra. Alla vigilia della seconda, si realizza “L’Accordo di Trasferimento”, concluso tra i sionisti del Bund e il governo di Hitler per lo spostamento degli ebrei in Palestina. Si può dire che se la prima guerra mondiale preparò la terra per gli ebrei, la seconda preparò gli ebrei per quella terra. A Monaco Chamberlain volle evitare lo scontro, ma Churchill lo liquidò e scatenò la reazione anglosassone all’invasione della Polonia. La famiglia di Churchill era legatissima ai Rothschild, il padre di Winston fu amico intimo di Nathaniel, primo Lord Rothschild. Il figlio ne seguì le orme e rafforzò il sodalizio (vedi foto). Poi bombardò l’Iraq, sottomise l’Egitto e colonizzò la Palestina. I denari dei Rothschild non gli vennero negati. Sono i Rothschild i genitori dello Stato che da 70 anni sconvolge e minaccia il mondo. Sono i Rothschild che tracciano il solco, sono Bilderberg, Open Society di Soros e Trilateral che lo difendono. Si chiama mondialismo.

Comments

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lorenzo
Wednesday, 23 May 2018 22:38
@Eros Barone, la ringrazio molto della nuova replica, che senz'altro costituisce per me occasione di apprendimento. A parte la definizione di proletariato che comprendo, per me essere solo la semplice definizione scolastica o da vocabolario, continuo comunque ad avere molti dubbi sulla possibile o potenziale composizione sociale di un blocco di "sfruttati", se posso utilizzare questo termine più semplice almeno per me, che possa in qualche modo desiderare un cambiamento al tal punto da organizzarsi in modo coeso. Sicuramente è vero che molti elementi disgregativi sono di natura culturale indotta, ma la distribuzione della ricchezza credo che comunque abbia generato non solo le evidenti disparità fra alto e basso ma anche forti disomogenità in tutti gli strati delle popolazione. Questa tendenza alla differenziazione delle condizioni materiali credo sia una dinamica comune a tutte le società capitalistiche del secolo scorso. Una differenza che potrebbe essere importante rispetto al passato è che adesso la mobilità verso l'alto è diventata più difficile. D'altro canto la rabbia mi pare abbondantemente sopita dalla paura che molti hanno della possibilità di scivolare negli abissi di povertà o degrado spessi generati proprio da un sistema che fa guerre fuori oppure all'interno premia esclusivamente chi possiede ricchezza lasciando progressivamente scivolare gli ultimi. Una prospettiva socialista può fare breccia in questo contesto?
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Eros Barone
Wednesday, 23 May 2018 14:17
@ lorenzo

Per quanto concerne la categoria di proletariato, forse è opportuna una maggiore informazione, poiché, dal punto di vista del marxismo, ciò che caratterizza questa classe non è il grado di fecondità e di natalità, ma lo sfruttamento e/o l'oppressione, quindi lo scambio tra forza-lavoro e capitale, su cui si fonda il lavoro produttivo e da cui nasce il plusvalore, o lo scambio tra forza-lavoro e reddito, su cui si fonda il lavoro improduttivo e che, pur implicando un grado variabile di oppressione, non produce plusvalore e quindi non dà luogo, in senso stretto, allo sfruttamento. Sennonché è in atto da tempo un processo di omogeneizzazione al ribasso di tutti i lavoratori italiani, che vedono diventare le loro condizioni di vita e le loro aspettative sermpre più simili, sicché sotto questo profilo la classe (potenzialmente) rivoluzionaria è molto più compatta che in passato e, dato il carattere del processo di sviluppo/crisi del capitalismo e della rete di rapporti imperialistici in cui esso si inserisce, lo sarà sempre di più. Se allora la classe è sempre più omogenea (nel senso dell'impoverimento assoluto e/o relativo), se gl'interessi delle diverse frazioni di forza-lavoro sono più convergenti oggi che non nei decenni precedenti, se perfino a livello internazionale salari e condizioni di lavoro si vanno avvicinando, quella che sorge davanti a noi è la 'possibilità materiale' di realizzare la rivoluzione e instaurare un diverso modo di produzione. Naturalmente, le condizioni necessarie a una rivoluzione non sono solo di carattere oggettivo, ma anche di carattere soggettivo. Accade pertanto - come è possibile constatare seguendo, ad esempio, lo svolgimento di questa fase politica - che le condizioni non sono mai state ovunque così pesantemente rivoluzionarie, ma solo i governi lo sanno, poiché la negazione (= il proletariato) è stata così perfettamente privata della sua autonomia ideale che è da lungo tempo dispersa e disorganizzata. Così, essa non è ormai che una minaccia vaga, eppure molto perturbante. La borghesia sa, molto più delle forze antagoniste, che, da un punto di vista strutturale, la classe si va sempre più omogeneizzando e sa anche che questo processo non si può fermare. Cerca, perciò, di far leva sugli aspetti sovrastrutturali, per un verso scomponendo artificiosamente il proletariato e contrapponendone le diverse frazioni fra di loro e, per un altro verso, attaccandone l'autonomia e inibendogli in ogni modo la comprensione e la manifestazione dei suoi interessi. La borghesia italiana è sempre stata molto attenta a quest'aspetto, a maggior ragione oggi, che deve fronteggiare una delle crisi più dirompenti che abbia mai vissuto.
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lorenzo
Tuesday, 22 May 2018 00:37
Egregio, Eros Barone, di questi 17 milioni di lavoratori dipendenti che lei cita, quali sono le loro condizioni materiali e quali sono le aspirazioni sociali e culturali ? Per la mia modestissima esperienza vedo molto ceto borghese (spesso impoverito) la dentro non certo proletariato. Oltretutto fare figli oggi è prerogativa distintiva di ricchi e benestanti, quindi la parola proletariato è quanto mai impropria nei paesi ex-sviluppati come l'Italia. La trasformazione di buona parte delle masse di operai in ceti a vario titolo borghesi c'è stata. Quello che è più significativo è che tale trasformazione è avvenuta a livello culturare. Di questa trasformazione il Pci non è stato a mio avviso artefice. Fino ad un certo punto della sua storia ha spostato avanti indefinitavemente ma onestamente la prospettiva socialista poi l'indebolimento generale delle condizioni e anche l'infiltrazioni oppurtunistiche hanno finito per accelerare il processo degenerativo. Berlinguer è sul confine di questo processo non è facile per me tagliare un giudizio. Credo ancora che nell'affermazione del 1976 del Pci sia più corretto vedere lo slancio di una speranza che non un inganno. Una ulteriore prova che si debba correttamente parlare di processo storico epocale e globale e non di responsabilità locali è che in rarissimi luoghi di questo pianeta forze comuniste siano riuscite ad organizzare qualche resistenza veramente importante e dove è stato fatto il modo è spesso discutibile.
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Eros Barone
Monday, 21 May 2018 21:36
@ lorenzo

"Contadini ed operai rappresentavano agli inizi del 1900 circa 80% della popolazione ma progressivamente gli sviluppi socio-economici hanno portato quella percentuale a meno del 10% dei tempi recenti". La funzione (potenzialmente) rivoluzionaria della classe operaia non dipende, come ritenevano i revisionisti socialdemocratici del tipo di Bernstein, dal suo essere la maggioranza numerica delle classi lavoratrici, bensì, come ha chiarito la Luxemburg nel 'pamphlet' antirevisionista "Riforma sociale o rivoluzione?" (1899), dalla posizione obiettiva che essa occupa nel processo di produzione (del plusvalore). Si tratta, dunque, di un fattore essenzialmente qualitativo. A parte il fatto che, prendendo in considerazione i dati numerici della composizione di classe elaborati dal collettivo "Clash City Workers" nell’inchiesta "Dove sono i nostri?", la Casa Usher, Firenze-Lucca 2014, si apprende che i lavoratori assommano in Italia a circa 23 milioni di persone, di cui 17.240.000 sono lavoratori dipendenti e costituiscono quindi il proletariato, e 5.727.000 sono lavoratori indipendenti, mentre i lavoratori occupati nell’industria sono poco meno di 4 milioni. I dati in questione sono stati tratti dal Censimento Industria e Servizi dell’ISTAT del 2011 e dimostrano la notevole consistenza del proletariato (anche di quello industriale, le cui tradizioni di lotta sono tutt'altro che marginali).
Per quanto riguarda Berlinguer, tralasciando in questa sede il nefasto progetto del "compromesso storico" e soffermandosi sull'eurocomunismo come teoria e prassi compiutamente opportuniste e revisioniste, è indubbio che questo 'leader' neo-socialdemocratico fece proprie categorie tipiche del pensiero borghese come il valore universale della democrazia (borghese, per l'appunto), assolutizzandole ossia estrapolandole da qualsiasi contesto di natura storica e da qualsiasi determinazione di classe. La conseguenza è quella che sta davanti ai nostri occhi: le teorizzazioni di Berlinguer hanno prodotto il disarmo ideologico e organizzativo di ogni resistenza operaia e popolare, polarizzando verso la destra reazionaria frazioni rilevanti del proletariato e spianando la strada alle forze più retrive del capitalismo monopolistico, che stanno dissanguando l'Italia e il suo popolo.
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Maurizio
Monday, 21 May 2018 15:10
Per rispondere al commento
A parte i dati sulla natura della società Italiana e sulle varie composizioni di classe alquanto imprecisa e irreale. Per sposare le logiche delle compatibilità e dell'inevitabile si fanno dei contorsionismi assurdi.
La parabola del " PCI " e del suo trasformismo segue solo gli interessi delle élite capitalistiche nella loro lotta di classe al contrario per recuperare il terreno perso nell'autunno caldo e nelle lotte emancipative delle classi subalterne.
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lorenzo
Monday, 21 May 2018 01:37
"Ma tra le ricorrenze storiche c’è anche quella che ci riconduce al Berlinguer della scelta pro-Nato e pro-compromesso storico"
Mescolare dei fermo immagine dei 5-stelle, Tsipras e Pd con uno del PCI di Berlinguer come in un unico filo logico a mio avviso dimostra una volontà distortisiva di elementi storici. Sulla svolta del 1975 Pci-Nato, se non mi ricordo male, no fu una accettazione incondizionata della Nato ma piuttosto il fatto che si toglieva l'uscita come elemento pregiudiziale per un eventuale responsabiltà di governo. Poi se si vuol dire che il partito comunista non era più comunista, forse si, ma occorre dire che la "parabola" del Pci segue del resto la trasformazione della società italiana e di tutti i paesi sviluppati. Contadini ed operai rappresentavano agli inizi del 1900 circa 80% della popolazione ma progressivamente gli sviluppi socio-economici hanno portato quella percentuale a meno del 10% dei tempi recenti. Questa trasformazione non avrebbe in ogni caso consentito nei tempi successivi al Pci di Togliatti qualsiasi apertura di via al socialismo, volenti o nolenti. Poi chiaro c'è stato un processo degenerativo progressivamente sempre più veloce a partire dagli anni 90 o forse anche 80. Trovo comunque rivoltante questo revanchismo di chi estrapola quello che succede adesso per dimostrare che aveva ragione in un'altro contesto storico dove la realtà era un'altra.
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