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sinistra

Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet

di Paolo Selmi

Ottava parte. I profsojuz durante la NEP: il settore privato

Škola kommunizma i sindacati nel Paese dei Soviet parte 1 html 98bc8d74546bea8fGli anni che seguirono videro il sindacato schierato su nuovi fronti. La NEP aveva abolito le requisizioni ai contadini, introdotto la tassa in natura e permesso nuovamente il commercio privato, con conseguente ripristino di un’economia monetaria, insieme al reingresso in economia sia del capitale privato nazionale, incarnato nella figura del nuovo borghese, il nepman, che di quello straniero.

In tale contesto il graduale, progressivo, ripristino di un’economia sofferente in tutti i suoi settori e affamata di investimenti, si collocavano all’interno di un modo di produzione sostanzialmente capitalistico, seppur “di Stato” e fortemente orientato dalla volontà politica del partito comunista di dirigere, indirizzare, condizionare l’andamento socio-economico con tutti i mezzi e le proprie capacità di azione e mobilitazione (SOPRATTUTTO la LOTTA DI CLASSE, per esempio completamente assente nel capitalismo con caratteristiche cinesi, a cui spesso questo periodo si accosta per analogia), lungo l’asse di una transizione e trasformazione continue, orientate a gettare le basi e far crescere sino ad allora i germogli di quel modo socialistico di produzione da esso auspicata.

E in un modo capitalistico di produzione, in un modo dove si riapriva alla possibilità di investire sia da parte del capitale privato, il nepman, che di quello straniero, anche la DIALETTICA CAPITALE-LAVORO, che come abbiam visto nel corso della Guerra civile e del Comunismo di guerra a qualcuno era parsa un termine ormai superato, anacronistico, tornava ora in auge.

Contestualmente a tale “ritorno”, anche la lotta di classe e, al suo interno, la questione salariale, assumevano di nuovo una sempre maggiore importanza: in tale quadro, anche i profsojuz tornavano a giocare NON SOLO un ruolo economico chiave, in quanto luogo deputato alla definizione e risoluzione di dinamiche contrattuali e rivendicazioni salariali, MA ANCHE un ruolo politico estremamente importante, mantenendo quella funzione mobilitante, costruttiva, NON SEMPLICEMENTE TRADUNIONISTICA, bensì ORIENTATA, MEGLIO, PROIETTATA VERSO LA COSTRUZIONE DEI PRESUPPOSTI (sia in termini di dotazione di risorse, che di costruzione di competenze) PER LA TRANSIZIONE AL MODO SOCIALISTICO DI PRODUZIONE.

 

C’è NEP e “NEP”: transizioni a confronto

Soffermiamoci, quindi, su questo sindacato che tornava a fare il sindacato e sul clima che si respirò in quel quinquennio. Contro la nuova borghesia, contro il nepman, chiamato spregiativamente anche nepač (termine che noi possiamo rendere a questo punto con un bel nepaccio), il profsojuz tornava a ergersi come come baluardo per tutti i lavoratori, a costruire gli anticorpi in ciascun posto di lavoro per evitare che il capitale potesse rialzare la testa: una garanzia potente e immediata di tutela e di promozione dei nuovi rapporti di produzione, direttamente sul posto di lavoro; una garanzia, con un balzo nel tempo di tre quarti di secolo, che quella transizione al socialismo non facesse la fine che invece sarebbe toccata in un altra transizione, in un’altra “NEP”, tre quarti di secolo più tardi profondamente, radicalmente diversa da quella originaria: le cosiddette “riforme” cinesi.

“Riforme” che, dopo una fase iniziale di prudente navigazione a vista, di “attraversamento del fiume pietra dopo pietra” (“摸着石头过河”)1, già con l’ultimo Deng subirono un’accelerazione fortissima (e irreversibile) verso un modo di produzione, quello capitalistico, che indubbiamente faceva il proprio sporco lavoro, SENZA ALCUN INTERVENTO DIRETTO STATALE, fluidificando e amplificando interi cicli di produzione e riproduzione merci, prevalentemente destinate all’estero, finalizzate all’accumulazione e concentrazione di risorse, essenzialmente monetarie e in valuta straniera, che tornavano a essere Capitale con la “C” maiuscola. Anzi, a ben vedere in quella fase – e in questo senso fino a oggi – l’intervento statale ci fu, ma per mettere a tacere ogni voce che “disturbasse il manovratore”. Niente scioperi, niente manifestazioni, niente Dazibao rivoluzionari. La lotta di classe non era, e non è, la benvenuta, sostituita dall’armonia confuciana il cui unico garante è il Partito.

L’esatto contrario di quanto stava accadendo qui, nel Paese dei Soviet, dove nessuno nascondeva le proprie preoccupazioni dietro quella “apertura” al Capitale. Dove questo passaggio obbligato tutti avevano bene in mente quali rischi avrebbe portato. Dove quelCHI VINCERÀ?” (кто победит?) fra capitalisti e comunisti, di leniniana memoria, esprimeva con estrema onestà intellettuale tutta l’incertezza di un quesito, di un’incognita, dove REALMENTE non si sapeva DOVE si sarebbe andati a finire e, soprattutto, COME sarebbe finita.

Allo stesso tempo, QUESTA NUOVA SFIDA CARICAVA A MOLLA I RIVOLUZIONARI BOLSCEVICHI; erano ancora incapaci di gestire l’economia, avevano ancora bisogno di chi lo aveva fatto sino a oggi per il suo, di tornaconto. Riammetterlo nella stanza dei bottoni avrebbe potuto comportare, nel giro di qualche anno, alla capitolazione. Pur tuttavia, con in testa queste preoccupazioni più che fondate, quei rivoluzionari appena usciti vittoriosi da una guerra civile non erano della stessa pasta dei funzionari dello stesso partito sessant’anni più tardi. Quelli che quel partito e quel Paese avrebbero portato alla disfatta.

No. Quegli uomini non avrebbero smesso di lottare, se non dopo aver sparato tutti i colpi a disposizione, aver cercato soluzioni per risalire il corso del fiume, in direzione ostinata e contraria, sfruttando ogni millimetro di quelle quelle posizioni di vantaggio, non dimentichiamolo mai, espugnate, liberate col sangue, ancora fresco, di milioni di compagne e compagni morti per portare ovunque nella sterminata terra di Russia il trionfo della Rivoluzione!

Soprattutto – altra enorme differenza con l’oggi d’oltremuraglia! – ammettere il il nepman ancora una volta alla stanza dei bottoni, guardato a vista col fucile spianato, non avrebbe comportato in alcun modo per lui alcun diritto di cittadinanza, persino dentro al partito stesso, come invece è accaduto in Cina, dove i capitalisti fanno sfoggio della loro tessera di partito in quanto rappresentanti della “forze produttive e sociali avanzate cinesi (中国先进社会生产力)”.

Al contrario, il nepman russo sapeva benissimo che, finché ci fosse stato qualcuno, un partito e un sindacato, pronti a dargli battaglia, a ricordargli chi sfruttava chi, non solo non avrebbe mai preso la tessera del partito comunista, ma avrebbe avuto vita difficile e precaria in quell’intermezzo.

Era lui l’intruso, era lui il precario, nella NEP sovietica, a differenza dei milioni di migranti interni nella “NEP” d’oltremuraglia che ogni anno dalle campagne si recano nelle metropoli cinesi per rimediare uno stipendio operaio dai “padroni di partito”, pardon, dalle “forze produttive e sociali avanzate cinesi”.

 

Avanguardie e lotta di classe: lo “Slogan-manifesto” di Majakovskij

A ricordarglielo, sempre per differenziare quella fase da quarant’anni di capitalismo con caratteristiche cinesi, non c’erano solo profsojuz e partito, ma il fior fiore della cultura sovietica di allora, per la quale la parola “lotta di classe” non rappresentava un retaggio imbarazzante del passato… e questo, a parte qualche lodevole eccezione che si legge e si vede al cinema sempre con piacere, come una ventata di aria fresca in mezzo al ristagno di un locale chiuso da decenni, vale anche per la cosiddetta intellighenzia dei “capitalismi con caratteristiche nostrane”.

Per esempio, un certo Vladimir Vladimirovič Majakovskij (1893-1930), proprio all’inizio della NEP era a capo del LEF (LEvyj Front, ovvero “fronte di sinistra”) ed era impegnato nella pubblicistica rivoluzionaria, peraltro con idee artistiche altrettanto rivoluzionarie e avanti anni luce rispetto alle correnti occidentali coeve. Su questo, per altro, ci torneremo qui sotto. Fra i tanti impegni, a noi basti per ora considerare che collaborava anche con il profsojuz, per la realizzazione di manifesti da affiggere in tutto il Paese dei Soviet.

I risultati furono poi raccolti nel suo Slogan-manifesto (Лозунг-плакат, 1924), in una sezione che vale la pena riportare integralmente sia per il suo valore artistico, sia per il suo valore storico documentale. Era il sindacato per come voleva essere rappresentato, ovvero per cosa per cosa rappresentava realmente in quel momento per i lavoratori sovietici. Chiedo sinora scusa per la traduzione letterale, senza alcuna velleità di riprodurre anche minimamente scansione ritmica, assonanze, rime dell’originale, ovvero senza neppure provare a creare, in qualche maniera, degli slogan, delle poesie futuriste, o entrambi:

Originale

Traslitterazione

Traduzione

 

1

Машина вас

ломала, как ветку.

Профсоюз машину

загородит в сетку.

 

2

Я - член союза.

Союз

позаботится,

чтоб ко мне не подошла

безработица.

 

3

Член союза

первым пройдет

в рабфак и вузы.

 

4

Рабочий один слаб,

профсоюз -

защита от

хозяйских лап.

5

Если ты

на работе

стал инвалид,

профсоюз

тебя

обеспечить велит.

 

6

В одиночку

нас

предприниматели затрут.

Колдоговор

защищает труд.

 

7

Без грамоты втрое

над работой потеем.

Союз рабочего

сделает грамотеем.

 

8

Кому из рабочих

знания не любы?

Профсоюз дает

школы и клубы.

 

 

9

Износится рабочий,

профсоюз ему

дает санаторий

под Москвой и в Крыму

 

10

Чтоб союз аккуратно работу нес,

вноси аккуратно членский взнос.

11

Под защитой союза, при равном труде,

мужчине и женщине зарплата наравне.

 

12

Члену союза

нэпач

нипочем.

Профсоюз защитит

и справится

с нэпачом.

 

13

Чтоб легче был

работы груз,

коллективный договор

заключит союз.

 

14

Профсоюз -

по женскому рабству

удар.

Профсоюз -

защитник женского

труда.

 

15

Везде,

где труд,

рабочий где,-

На страже

кодекс

законов о труде.

 

1

Mašina vas

lomala, kak vetku.

Profsojuz mašinu

zagorodit v setku.

 

2

Ja - člen sojuza.

Sojuz

pozabotitsja,

čtob ko mne ne podošla

bezrabotica.

 

3

Člen sojuza

pervym projdet

v rabfak i vuzy.

 

4

Rabočij odin slab,

profsojuz -

zaščita ot

chozjajskich lap.

5

Esli ty

na rabote

stal invalid,

profsojuz

tebja

obespečit' velit.

 

6

V odinočku

nas

predprinimateli zatrut.

Koldogovor

zaščiščaet trud.

 

7

Bez gramoty vtroe

nad rabotoj poteem.

Sojuz rabočego

sdelaet gramoteem.

 

8

Komu iz rabočich

znanija ne ljuby?

Profsojuz daet

školy i kluby.

 

 

9

Iznositsja rabočij,

profsojuz emu

daet sanatorij

pod Moskvoj i v Krymu

 

10

Čtob sojuz akkuratno rabotu njos,

vnosi akkuratno členskij vznos.

11

Pod zaščitoj sojuza, pri ravnom trude,

mužčine i ženščine zarplata naravne.

 

12

Členu sojuza

nepač

nipočem.

Profsojuz zaščitit

i spravitsja

s nepačom.

 

13

Čtob legče byl

raboty gruz,

kollektivnyj dogovor

zaključit sojuz.

 

14

Profsojuz -

po ženskomu rabstvu

udar.

Profsojuz -

zaščitnik ženskogo

truda.

 

15

Vezde,

gde trud,

rabočij gde,-

Na straže

kodeks

zakonov o trude.

 

1

La macchina

si è spaccata, come un fuscello

È il sindacato ad averci messo

una rete intorno e te protetto

 

2

Sono iscritto al sindacato

Il sindacato

si preoccupa perché io

di esser lasciato a casa

non mi preoccupi.

 

3

Chi ha la tessera del sindacato

avrà per primo anche la tessera

delle facoltà operaie e università.

 

4

L’operaio da solo è debole,

il sindacato

protegge

dalle grinfie del padrone.

 

5

Se capita a te

su lavoro

un incidente grave,

il sindacato

per te

ordina il vitalizio.

 

6

Da soli

i padroni

ci levan la pelle di dosso.

Il contratto collettivo

difende il lavoro.

 

7

Senza istruzione al lavoro

si suda per tre.

Il sindacato rende

l’operaio più istruito.

 

8

Quale operaio

non ama conoscere?

Il sindacato offre

scuole e associazioni.

 

 

9

Quando l’operaio invecchia,

il sindacato gli offre

cura e villeggiatura

fra Mosca e Crimea.

 

10

Perché il sindacato segua accuratamente il lavoro,

ricordati di versare altrettanto accuratamente il tuo contributo.

11

Con la tutela sindacale, a lavoro uguale,

uomini e donne prendono uguale.

 

12

Il nepaccio nulla

può contro

un iscritto al sindacato.

Il sindacato lo difende

e ha la meglio

contro il nepaccio.

 

13

Perché scarico e ricarico merci

siano meno pesanti

il sindacato ha chiuso

il contratto collettivo

14

Il sindacato

assesta un colpo mortale

alla schiavitù femminile.

Il sindacato

difende

il lavoro delle donne.

 

15

Ovunque,

dove c’è lavoro,

dove c’è un operaio,

sempre in guardia

c’è il codice

delle leggi sul lavoro.

Scusate se è poco… verrebbe da dire. Ma non c’era solo Majakovskij. E qui la pubblicistica, divenuta già arte con le parole, raggiunse vette tutt’ora insuperate. Occorse, infatti, l’apporto di Aleksandr Michajlovič Rodčenko (1891-1956), genio poliedrico dell’arte figurativa sovietica e condirettore del gruppo Oktjabr’, avanguardia costruttivistica che accostava banco ottico e pennello, creando fotomontaggi di immagini incastonate entro solide campiture dove il caldo rosso contrastava e vinceva il nero e gli altri colori freddi, slogan rivoluzionari e geometrie compositive dinamiche e di forte, immediato impatto grafico.

Sua, per esempio, l’idea di chiedere nel 1925 a Lilja Jur'evna Brik (1891-1978), allora insieme allo stesso Majakovskij, di posare per un manifesto pubblicitario della LenGiz, la casa editrice di Leningrado. Sua la foto iniziale2

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e suo quel fotomontaggio che vanta innumerevoli tentativi di imitazione:

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Ebbene, fu proprio Rodčenko a dare una veste grafica allo slogan coniato da Majakovskij “Члену союза / нэпач / нипочем. / Профсоюз защитит / и справится / с нэпачом.” ovverp: “Il nepaccio nulla può contro un iscritto al sindacato. Il sindacato lo difende e ha la meglio contro il nepaccio.”

Nel suo montaggio grafico, freccioni rossi correvano, diramandosi, lungo la struttura verticale del manifesto e accompagnavano verso il basso la pesante prospettiva centrale dell’edificio della Camera del Lavoro, non lasciando alcuno spazio, ovvero scampo, al “nepaccio”, idra a tre teste confinata alla parte inferiore del manifesto alla guisa di qualsiasi demonio-drago infilzato dai vari S. Giorgio che nei millenni si susseguirono nell’iconografia tradizionale, letteralmente schiacciandolo, comprimendolo, circondandolo da ogni lato, persino dalle linee di fuga prospettiche dell’edificio, con frecce a gomito che obbligavano l’occhio a convergere nuovamente e a colpire il nemico di classe, quell’icona borghese in cui ogni testa del mostro stava ancora in posa, come un monumento che non si era ancora accorto di esser stato tirato giù, e che non avrebbe avuto vita facile anzi, proprio nessuna speranza di farla franca, come enfatizzato dal messaggio iniziale inciso a caratteri cubitali entro un cerchio, o sole, rosso e ribadito dai due grossi punti esclamativi ai lati.

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Un pericolo, quello di restaurazione del capitalismo, sempre concreto

Il capitalismo rappresentava davvero un pericolo per la Rivoluzione nel Paese dei Soviet? Come stavano, realmente, le cose?

Questi i fatti: a partire dal 6 luglio del 1921, ovvero da quando il Sovnarkom emanò il decreto che consentiva alle aziende nazionalizzate di essere cedute in concessione, il processo iniziò in modo pressoché inarrestabile.

Poco meno di due anni più tardi, nel marzo 1923, del MILIONE E SEICENTOCINQUANTAMILA INDUSTRIE censite,

- l’88,5% erano private o cedute in concessione,

- l’8,5% statali e

- il 3% cooperative.

C’è, tuttavia, un però. Le industrie private erano per la stragrande maggioranza piccole. Ecco perché, PASSANDO A QUELLO CHE I CAPITALISTI CHIAMANO “CAPITALE VARIABILE”, OVVERO NOI, I NOSTRI CORPI, LA NOSTRA FORZA LAVORO, GLI EQUILIBRI SUL CAMPO CAMBIAVANO ENORMEMENTE.

Considerando, infatti, il numero di occupati nei vari settori, I RAPPORTI DI FORZA SI INVERTIVANO: QUELL’8,5% DI FABBRICHE STATALI IMPIEGAVA L’84,5% DEGLI OPERAI RUSSI NEL LORO COMPLESSO3.

 

Ancora una volta sul concetto di “rivoluzione passiva”

Attenzione: non si trattava, in gran parte, di aziende nazionalizzate due anni prima. La struttura, la composizione organica della forza lavoro industriale e la sua distribuzione all’interno dell’apparato produttivo russo, erano frutto di una modernizzazione industriale in gran parte indotta dall’alto, GIÀ IN EPOCA ZARISTA, tramite quella che GRAMSCI chiamava “RIVOLUZIONE PASSIVA”.

È un concetto basilare, quest’ultimo, per comprendere non solo la rivoluzione passiva zaristica, ma anche quella cinese operata dal GMT di Sun Zhongshan 孙中山 (ex “Yat-sen”), o altri tentativi di modernizzazione dall’alto.

Ecco quindi che perché, nella nostra cassetta degli attrezzi di operai del marxismo-leninismo non deve mancare questo strumento, importante chiave di lettura di molte situazioni passate e non solo.

Sul globo terrestre, infatti, è capitato spesso quello che possiamo definire come intervento diretto dello Stato IN SOSTITUZIONE DELLA CLASSE ECONOMICAMENTE DOMINANTE “nel dirigere una lotta di rinnovamento”4.

IN ALTRE PAROLE, se la classe dominante, in epoca capitalistica la borghesia, pensava solo a guadagnare, ad accrescere il proprio dominio, ma non aveva alcuna intenzione, capacità, possibilità di dirigere altro che non fossero le proprie ciminiere, ovvero di guidare POLITICAMENTE processi necessari di cambiamento e riforma, gli stessi si bloccavano. È stato, per esempio, il rischio corso più e più volte nella storia del nostro, di popolo. Non per niente Gramsci è italiano, non per niente Gramsci a esso si riferisce pensando all’Italia risorgimentale. Parlando di quei nuclei di borghesia sparsi nei vari Stati e staterelli che popolavano il Belpaese, infatti scrive:

Questi nuclei esistevano, indubbiamente, ma la loro tendenza a unirsi era molto problematica, e ciò che più conta, essi, ognuno nel suo ambito, non erano «dirigenti». Il dirigente presuppone il «diretto», e chi era diretto da questi nuclei? Questi nuclei non volevano «dirigere» nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli interessi ed aspirazioni di altri gruppi. Volevano «dominare», non «dirigere»5.

In tal caso a intervenire, a prendere l’iniziativa, fu il Piemonte. Uno Stato, meglio, uno staterello, attivo però come un vero e proprio partito (altra notazione di Gramsci). Attivo al punto da assumere un ruolo guida, ovvero dirigere anche la classe dominante, ma non dirigente! Continua:

Questo fatto è della massima importanza per il concetto di «rivoluzione passiva»: che cioè non un gruppo sociale sia il dirigente di altri gruppi, ma che UNO STATO, sia pure limitato come potenza, SIA IL «DIRIGENTE» DEL GRUPPO CHE esso DOVREBBE ESSERE DIRIGENTE e possa porre a disposizione di questo un esercito e una forza politico-diplomatica. [...]

L’importante è di APPROFONDIRE IL SIGNIFICATO che ha UNA FUNZIONE TIPO «PIEMONTE» NELLE RIVOLUZIONI PASSIVE, cioè il fatto che uno Stato si sostituisce ai gruppi sociali locali nel dirigere una lotta di rinnovamento. È uno dei casi in cui si ha la funzione di «DOMINIO» e non di «DIRIGENZA» IN QUESTI GRUPPI: DITTATURA SENZA EGEMONIA6.

E qui apro e chiudo una parentesi: compagni, rendiamoci conto DA DOVE scriveva queste cose. Da una galera con a disposizione giornaletti fascisti e null’altro! La grandezza di quest’uomo è immensa. Pensiamoci ogni volta che un pezzo di plastica luminosa “si offre” di “riassumerci” il contenuto di un PDF, o pensare al nostro posto. Queste e altre intuizioni, ai Nostri Padri, non sarebbero mai venute con questo coso a fianco!

 

Una sfida complessa

Riprendiamo ora l’aereo, anzi, il teletrasporto, per Mosca. Questa la situazione che il profsojuz bolscevico, rivoluzionario, si trovava a fronteggiare: una miriade pressoché soverchiante di aziende private ma la stragrande maggioranza dei lavoratori in strutture economiche dove la “controparte” era lo Stato stesso! Uno Stato NON borghese, ma pienamente, totalmente rivoluzionario, operaio e contadino!

È naturale, pertanto, che anche il movimento sindacale dovesse reagire in maniera diversificata a una situazione complessa e alquanto sfaccettata.

Una volta insediatosi nel settore privato, in quel capitalismo che si differenziava da quello occidentale soltanto per essere sempre tenuto sotto scacco, con rapporti di forza favorevoli al lavoratore sovietico in qualsiasi sede, politica, sociale o giuridica, il profsojuz riprese a pieno titolo il proprio ruolo di rappresentanza e di conduzione di una lotta di classe sempre più serrata e tesa a colpire gli interessi padronali.

Lo SCIOPERO poteva essere condotto anche in condizioni di danno economico all’azienda impensabili, come vedremo tra poco, nel settore pubblico, laddove invece il profsojuz conservava ancora all’interno dell’organigramma aziendale un peso e un potere tali da ottenere gli stessi risultati battendo direttamente i pugni sul tavolo del direttore e rendendo tale pratica OBSOLETA e SUPERATA.

Riammettendo il settore privato, il partito bolscevico aveva

- DA UN LATO, consentito ai capitalisti di tornare a occupare, parzialmente, la scena economica, ma

- DALL’ALTRO, aveva anche formato e potenziato anticorpi che agivano direttamente in seno a tali organizzazioni economiche.

Tale duplice linea di condotta fu ben subito chiara ai sindacati7.

Anche il ritardo di qualche giorno, da parte di un’azienda privata, nella distribuzione delle buste paga, costituiva non di rado motivo di sciopero8. Purtroppo, SPESSO i motivi di sciopero erano BEN PIÙ GRAVI! Per esempio, delle 377 aziende private associate a Mosca,

- in 282 l’orario di lavoro era oltre le 8 ore

- fra cui in 44 il nepman lo aveva alzato a 10-12 ore

- e in 11 addirittura a 14-16 ore!9

Riprendeva piede, nelle aziende private, la piaga del lavoro minorile, mentre i padroni privati non a caso assumevano fra i contadini non sindacalizzati, appena immigrati nelle grandi città, adoperando quella che è la tattica che meglio conoscono: la carota, per i lavoratori più qualificati al fine di fidelizzarli, e il bastone, per i restanti, intimidendoli al punto che nessuno parlava, di fronte agli ispettori sindacali inviati a controllare, per paura di perdere il posto di lavoro!10

Ciò nonostante il sindacato non si diede per vinto, non fece da “cinghia di trasmissione” dei padroni, ribatté all’offensiva padronale COLPO SU COLPO! Non è un caso, pertanto, che il picco delle ore di sciopero nel settore privato sia stato raggiunto fra il 1922 e il 1923, giusto per far capire al padrone che chi momentaneamente aveva avuto il permesso di arricchirsi e chi comandava non erano e non sarebbero mai stati la stessa persona11. Nel 1923, i sindacati della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa riuscirono a organizzare 133 scioperi, riuscendo a VINCERNE 10212!

Pur in tutti i suoi limiti ed errori operativi, che vedremo tra breve, il profsojuz c’era, a differenza degli attuali “socialismi di mercato” dove, in condizioni economiche da prima potenza al mondo, l’unica per esempio a chiudere l’annus horribilis 2020 in attivo commerciale e a totalizzare nel solo novembre di tale anno 75 miliardi di dollari di plusvalenza netta sul saldo export-import13, bissati dai 78 miliardi di dicembre14. Ebbene, in quello stesso anno esistevano 600 milioni di persone (il 43% sul totale della popolazione cinese!) che non mettevano insieme 1000 yuan al mese15 (€ 126 c.a.): una miseria, con cui non ci si può permettere neppure il lusso di pagare un affitto, figurarsi vivere dignitosamente.

Lì, ora come allora, però la Federazione nazionale dei sindacati di tutta la Cina (中华全国总工会, sigla anglofona ACFTU)16, “casualmente”, non c’era e non c’è. Peggio, c’era e c’è per prendere le parti dei padroni.

E ci sono i celerini, a legnare sui denti chiunque “provochi litigi e crei problemi” (寻衅滋事 xunxin zishi). Quelli ci sono sempre, come nel caso della breve stagione di lotta (estate 2018) alla Shenzhen Jasic Technology Co. Ltd (深圳市佳士科技股份有限公司), dove chi doveva tutelare quei lavoratori in lotta per condizioni di lavoro più dignitose, lavoratori che cercarono inizialmente nell’ACFTU sindacalizzazione e sostegno, gli voltò vergognosamente le spalle, lasciò che i padroni li licenziassero, i celerini li legnassero e ingabbiassero e, peggio ancora, li accusò per primo del reato di cui sopra17.


La prima parte qui
La seconda parte qui
La terza parte qui
La quarta parte qui
La quinta parte qui
La sesta parte qui
La settima parte qui

La ottava parte qui


Note
1 Una storia di questo leggendario slogan in questo articolo del Giornale del Popolo: http://cpc.people.com.cn/n1/2018/0412/c69113-29921565.html
2https://rosphoto.com/history/Rodchenko_Brick-148 “LENGIZ: LIBRI / PER TUTTI I SETTORI DEL SAPERE.”
3 Cfr le dispense per l’esame universitario di Movimento sindacale (profojuznoe dviženie) https://studopedia.ru/9_70365_profsoyuzi-v-period-novoy-ekonomicheskoy-politiki---gg.html
4 Antonio Gramsci, “Quaderni del carcere”, Torino, Einaudi editore, 1975, Q 15, § < 59 >, p. 1823.
Ibidem, Q 15, § < 59 >, p. 1822.
Ibidem, p. 1823.
7 Cfr. Larisa Vladimirovna Borisova, “Il ‘tredunionismo sovietico’: sindacati e scioperi negli anni della NEP ("Советский тред-юнионизм": профсоюзы и забастовочная борьба в годы нэпа.)”, Otečestvennaja Istorija, 2007, n° 6, p. 90
8 Ibidem, p. 96.
9 I.A. Trifonov, “Classi e lotta di classe in URSS all’inizio della NEP (1921-1925)” (Классы и классовая борьба в СССР в начале нэпа (1921—1925 гг.)), Leningrad, Izdatel’stvo Leningradskogo Universiteta, p. 91
10 Ibidem, pp. 94-5.
11 Ibidem.
12 G. Belkin, “La questione operaia nell’industria privata” (“Рабочий вопрос в частной промышленности”). Moskva, 1926, p. 151.
13https://www.ctvnews.ca/business/china-trade-surplus-hits-record-us-75-billion-as-november-exports-soar-1.5219814
14https://www.marketwatch.com/story/chinese-exports-shot-to-a-record-high-in-2020-as-the-world-economy-sank-11610630635
15http://www.xinhuanet.com/politics/2020-06/22/c_1126144559.htm
16http://www.acftu.org/
17 Vedasi Vittoria Mazzieri,Mi Jiuping e la poesia come arma di lotta operaia”, China Files, 28 Settembre 2020, https://www.china-files.com/sinologie-mi-jiuping-e-la-poesia-come-arma-di-lotta-operaia/ et Yueran Zhang, “The Jasic Strike and the Future of the Chinese Labour Movement”, in Ivan Franceschini and Nicholas Loubere (a cura di), Dog Days: A Year of Chinese Labour, Civil Society, and Rights, Made in China Yearbook 2018, ANU Press, 2019, Canberra, Australia https://press.anu.edu.au/downloads/press/n5364/pdf/article08.pdf
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