Blockchain per il bene comune?
Come utilizzare Blockchain per evitare la tragedia dei commons
di Andrea Pannone
La Blockchain è nata per lo scambio di criptovalute come Bitcoin, ma può essere molto utile anche per affrontare il problema della scarsità dei beni comuni
1. La ‘novità’ di blockchain
Negli ultimi mesi è cresciuta esponenzialmente tra studiosi e politici l’attenzione su blockchain – la tecnologia nata per facilitare lo scambio online di criptovalute come Bitcoin[1] – quale strumento per coordinare e rendere efficienti un’ampia varietà di transazioni decentralizzate non intermediate da soggetti terzi. In termini estremamente semplificati una blockchain è un libro mastro, ovvero la base fondamentale della contabilità, condiviso da una rete decentralizzata di computer per l’archiviazione digitale e il tracciamento dei dati associati a un prodotto o servizio lungo tutta la catena del valore (ossia dalla fase di produzione fino al consumatore/utilizzatore).
La blockchain può essere considerata una tecnologia che appartiene alla categoria delle tecnologie Distributed Ledger, ossia un insieme di sistemi concettualmente caratterizzati dal fatto di fare riferimento a un registro distribuito, governato in modo da consentire l’accesso e la possibilità di effettuare modifiche da parte di più nodi di una rete (vedi figura sotto).
Come suggerisce il nome una blockchain è organizzata in una sequenza lineare di piccoli insiemi di dati crittografati chiamati “blocchi”, che contengono gruppi di transazioni con data e ora (timestamp). Ogni blocco contiene un riferimento al suo blocco precedente e una risposta a un puzzle matematico complesso, che serve a convalidare le transazioni che contiene[2]. Nella sua forma più elementare la blockchain serve come mezzo per registrare, in modo sicuro e verificabile, un particolare stato di cose che è stato concordato dalla rete (Wright & De Filippi 2015). Come tale, la blockchain può essere utilizzata in qualsiasi sistema che comprende informazioni preziose, inclusi denaro, titoli, azioni, diritti di proprietà intellettuale e persino voti o dati di registro di identità (Davidson et al., 2016; Tapscott & Tapscott, 2016)[3]. Osserviamo che la necessità di crittare i dati deriva proprio dal fatto che tutto quello che viene registrato su una blockchain è visibile a tutti i nodi della rete e quindi se si registrassero informazioni sensibili senza essere critptate esse diventerebbero pubbliche.
Figura 1 Sequenza lineare di dati crittografati chiamati “blocchi”
La blockchain viene crescentemente descritta come una “tecnologia estremamente dirompente che avrebbe in prospettiva la capacità di riconfigurare tutti gli aspetti della società e delle sue attività”. In realtà, come ormai chiaro, non si tratta di una tecnologia ‘nuova’ ma piuttosto una ‘ricombinazione creativa’ di tre elementi tecnici comprovati quali un’architettura di rete peer to peer, la crittografia e un protocollo specifico di disciplina di incentivi[4]. Senza enfatizzare le opportunità o i rischi derivanti dalla sua diffusione, in questo articolo cerchiamo di interrogarci se alcune caratteristiche di blockchain possano essere utili per risolvere i problemi relativi all’utilizzo di un’importante categoria di beni economici: i beni comuni.
2. Beni comuni e tragedia
Come noto la teoria economica considera questi beni come beni di importanza primaria per i soggetti di una comunità, che sono a consumo ‘rivale’ (il consumo da parte di un soggetto determina una riduzione della disponibilità residua per gli altri soggetti) e ‘non escludibile’ (nessuno dei soggetti può essere escluso a priori dal suo utilizzo). Tra questi beni possiamo annoverare un’ampia gamma di risorse, sia naturali (come foreste, oceani e altre risorse rinnovabili) sia costruite dall’uomo (come sistemi di irrigazione, reti elettriche, spettro elettromagnetico, Internet, ecc.). Ai fini di evitare un impoverimento o, peggio, una distruzione delle stesse (il cosiddetto fenomeno della tragedia dei commons, vedi ad esempio sul punto Pannone 2018), determinata da un livello di consumo guidato esclusivamente dal principio della massimizzazione dell’utilità individuale, si ritiene indispensabile una qualche forma di regolamentazione esterna alla comunità: o da parte del mercato, attraverso la definizione di precisi diritti di proprietà che proteggano l’uso esclusivo delle risorse da parte di chi le acquista, o dallo Stato, attraverso l’emanazione di leggi che ne limitino le possibilità di utilizzazione individuale e collettiva. Ad ogni modo, l’evidenza storica relativa alla gestione di risorse comuni ha mostrato come entrambi le soluzioni, privatistica o statalista, quando non totalmente inadeguate, presentino gravi limiti nell’evitare ‘la tragedia’. (si veda ad esempio Stavins 2011) [5]. D’altra parte, come mostrato nel mio articolo sul punto (vedi ancora Pannone 2018), in presenza di informazioni immediate e condivise sulla capacità potenziale di un common lungo un dato arco temporale, come anche di feedback adeguati alle decisioni individuali e collettive, i soggetti di una comunità potrebbero generare fenomeni di antirivalità e inclusione capaci di rendere compatibile la soddisfazione del bisogno personale con la sostenibilità e la salvaguardia della risorsa comune nel futuro. Vogliamo pertanto chiederci ora se e come la diffusione di blockchain possa fornire in modo efficace questo tipo di informazioni e feedback così da favorire una gestione dei beni comuni non necessariamente sottoposta a regolazione preventiva (unmanaged commons).
3. Come può Blockchain evitare la tragedia dei commons
Alla luce delle argomentazioni fin qui esposte, l’idea è che blockchain permette di registrare, in modo inconfutabile, permanente e condiviso, l’accesso di ciascun individuo a un common e la relativa utilizzazione dei suoi benefici potenziali in ciascun periodo di tempo, dando contemporaneamente a tutti l’informazione della loro disponibilità residua nello stesso o in altri periodi di tempo[6]. La stessa possibilità di accesso all’uso potrebbe essere poi condizionata sia a priori, in base a un protocollo che equiripartisce tra i soggetti la disponibilità della risorsa lungo un dato arco temporale sia a posteriori, in base alla comune conoscenza dei periodi di ‘picco d’uso’ e della possibile valorizzazione della stessa risorsa nei periodi di tempo in cui rimane inutilizzata. Tale valorizzazione potrebbe avvenire in due modi:
- a) attraverso la decisione individuale di differire, ammesso che ciò possa essere fatto a parità di utilità[7], la propria abitudine di consumo in periodi fuori picco,
- b) re-immettendo in gioco a vantaggio della comunità (quindi di fatto producendo valore comune), in modo gratuito o dietro una stabilita ricompensa (sotto forma di gettoni chiamati token), la parte della risorsa a cui avrebbe diritto ma che non avrebbe possibilità o interesse contingente ad utilizzare.
Il punto b) merita di essere approfondito. Maggiori sono gli incentivi esterni alla produzione di commons maggiori sono le probabilità che la piattaforma si polarizzi verso logiche di mercato in cui le motivazioni ‘estrinseche’ all’azione prevalgono o quanto meno distorcono significativamente le motivazioni ‘intrinseche’ alle logiche della comunità. E’ il caso ad esempio di Backfeed (vedi Pazaitis et al. 2017), una innovativa piattaforma di produzione decentralizzata di commons basata su blockchain, che fornisce funzionalità sofisticate per sviluppare incentivi associati a finanziamenti esterni alla comunità degli utilizzatori ed espressi attraverso criptovalute spendibili verso altri beni[8]. In questo modo i soggetti partecipanti vengono aggregati e coordinati secondo un meccanismo assimilabile a quello degli scambi basati sull’interesse individuale. L’affermazione di una logica realmente alternativa, comunque, dovrebbe allora essere quella per cui i token debbano essere ‘coniati’ all’interno della comunità con un valore di scambio tra i benefici dello stesso common o di common diversi che potrebbe essere determinato in base alla quantità/tempo di lavoro necessario alla loro produzione/utilizzazione. L’informazione relativa alla provenienza del valore (lavoro) sarebbe registrata, in modo non modificabile (a meno ovviamente di attività di hackeraggio piuttosto complesse) nei dati del token i quali potrebbero essere accettati e incrementati di valore in base alla priorità preferenziale della richiesta. Ad esempio, supponiamo che Antonio e Francesco vogliono entrambi comprare una mela usando la criptovaluta di blockchain. Vittorio coltiva e vende mele e necessita di avere token per comprare acqua. Antonio possiede token per l’acqua mentre Francesco dispone di token per visitare musei. Supponiamo che raccogliere mele e acqua richieda lo stesso tempo di lavoro, mentre visitare il museo del luogo richieda la metà del tempo necessario a produrre i primi due. Lo scambio di Antonio ha la priorità in quanto Vittorio, come coltivatore e venditore di mele, preferisce i token per comprare acqua. Mentre infatti Antonio ha bisogno solo di spendere un token per ottenere una mela, Francesco deve prima spendere due dei suoi token per acquistare il token per l’acqua da Antonio, poi può spendere il suo token di acqua per comparare la mela da Francesco. Il meccanismo creerebbe una domanda addizionale di due token di acqua (da parte di Vittorio e Francesco) che corrispondono all’offerta di due token per musei (da parte di Francesco) e una mela (da parte di Vittorio). Questo aumenterebbe il valore dei token per l’acqua accrescendo l’interesse della comunità per la preservazione della risorsa.
Notiamo in generale che il sistema fornisce piena trasparenza a tutti gli utenti, in quanto tutti i comportamenti dichiaratamente coerenti con l’obiettivo comune sono soggetti alla valutazione peer-to-peer, che determina ulteriormente il valore effettivamente percepito della rete/comunità. Notiamo anche come questo tipo di protocollo di validazione delle operazioni sia basato su una sorta di prova di valore (Proof of value) invece che sulla soluzione di un puzzle matematico (Proof of work) come avviene nelle cosiddette attività di mining della blockchain di Bitcoin, con evidenti risparmi in termini di potenza di calcolo e consumo energetico.[9]
In conclusione, nel sistema ipotizzato, tutte le attività sono chiaramente monitorabili e quindi visibili all’ intera comunità, e i comportamenti incoerenti con le logiche della comunità stessa possono essere di fatto individuati e sanzionati e i relativi latori emarginati. Anche se anonima e quasi fittizia, la fiducia può essere costruita all’interno della comunità degli utenti. L’ipotesi implicita al concetto di tragedy of commons, ossia il problema dell’’assenza di comunicazione tra coloro che condividono le risorse può essere respinta e l’ampiezza della rete telematica può estendere la scala della cooperazione ben al di là del semplice livello locale (vedi Volont e van Andel 2018). Ovviamente anche per blockchain, come per ogni altra attività telematica, non è possibile evitare del tutto i rischi connessi all’uso improprio di dati sensibili, alla loro protezione generale e alla loro sovranità, che può inibire in modo rilevante l’effettiva diffusione di questa tecnologia.
4. Verso un nuovo ecosistema e il ruolo dello Stato
Osserviamo che l’utilità di blockchain nel superamento della tragedia dei commons non deriva dall’essere una tecnologia ‘nuova’ (vedi paragrafo 1) quanto dalla sua capacità di essere funzionale alla risoluzione qualitativa dei problemi di coordinamento decisionale implicati dall’uso di risorse comuni che abbiamo analizzato nei paragrafi precedenti. Solo quindi la consapevolezza di tali problemi e la volontà di farvi fronte, unita all’affermarsi tra gli utilizzatori del common di una cultura della comunicazione, della reciprocità e della condivisione, può fare in modo che la soluzione tecnologica fornita da blockchain sia di effettivo aiuto alla costruzione di un ecosistema auto-organizzato, in grado di condurre a una ‘felice risoluzione dei conflitti’ sui beni comuni[10]. Alla praticabilità di questa costruzione, ovviamente, non sarebbe estranea la proprietà di blockchain di garantire contestualmente un meccanismo di ricompensa/convenienza individuale che può diventare complementare, anziché in contrasto, con l’affermarsi di una diffusa cultura della collaborazione. L’effettiva realizzazione di un tale ecosistema, chiaramente, richiede l’attuazione di processi di apprendimento complessi da parte dei membri della comunità e non è scontata a priori, data la forte incertezza che fatalmente accompagna decisioni e strategie che richiedono tempi significativi per essere portate a compimento. Forte incertezza, comunque, non vuol dire che questa strada non sia perseguibile con successo, sempre che resti chiaro l’obiettivo e il vantaggio di generalizzare i comportamenti co-operativi dei molteplici decisori. In questa stessa prospettiva diventa cruciale il ruolo dello Stato e delle sue istituzioni, sia nel fornire alla collettività le infrastrutture[11], i segnali e le informazioni necessarie a un suo coordinamento in chiave collaborativa, sia nel garantire attraverso adeguati strumenti legislativi la tutela dei beni comuni e la loro utilizzazione a vantaggio dell’interesse collettivo[12].
Comments