Israele, l'ultimo stato colonialista europeo
di Domenico Moro
Di fronte al genocidio del popolo di Gaza in diretta televisiva mondiale ormai da due anni, accompagnato dalla violenza e dagli espropri contro i palestinesi in Cisgiordania, l’opinione pubblica mondiale ha espresso un’ampia condanna. Non è soltanto l’opinione pubblica dei paesi musulmani e del Sud del mondo a esprimere condanna nei confronti di Israele, ma anche, sempre di più, quella del Nord, a partire da quegli stati che hanno sempre appoggiato Israele, come gli Usa e l’Europa occidentale. Ne sono esempi emblematici le mobilitazioni degli atenei statunitensi di qualche mese fa e, da ultime, le grandi mobilitazioni popolari a favore dei palestinesi, avvenute in Italia tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre.
Per quasi due anni rimasti praticamente inerti dinanzi ai massacri e consapevoli del pericolo di perdere il loro residuo prestigio nei confronti non solo del mondo musulmano ma anche del proprio elettorato, diversi governi dell’Occidente si sono decisi almeno a riconoscere lo Stato di Palestina. All’interno dell’Occidente si è così determinata una spaccatura: da una parte Francia, Regno Unito, Canada, Spagna, Australia e altri ancora, che riconoscono lo Stato palestinese, da un’altra parte Stati Uniti, Germania, Italia e altri che rifiutano di farlo. Ad oggi sono 150 su 193 gli stati dell’Onu che hanno riconosciuto la Palestina, certificando il sempre più marcato isolamento internazionale di Israele.
Certamente il riconoscimento ha un valore soprattutto simbolico, dinanzi ai bombardamenti e al blocco dei rifornimenti alimentari. Inoltre, è tardivo, giungendo in un momento in cui ulteriore territorio palestinese della Cisgiordana è annesso da parte di Israele, e il piano cosiddetto di “pace” di Trump prevede l’istaurazione di una sorta di “mandato coloniale” su Gaza. Inoltre, è una misura debole, in quanto, con la parziale eccezione della Spagna, non è accompagnato da adeguate sanzioni e dal blocco delle relazioni commerciali, a partire da quelle che riguardano la compravendita di armamenti. Nonostante ciò, i virulenti attacchi da parte di Israele contro i paesi che hanno riconosciuto lo Stato palestinese dimostrano che tale riconoscimento non è del tutto inutile.





Una premessa. Per leggere questo volume occorre avere passione per la ragione, passione per il ragionare. Con questo viatico vi si può accostare anche chi non è esperto di Claudio Napoleoni o dei lavori di Riccardo Bellofiore su Napoleoni ma ha “passione” per il metodo nello studio dell’economia, per l’economia intesa come scienza sociale, per la ricerca di senso nell’esercizio della propria professione.
Milioni di persone in piazza in tutta Italia. Due scioperi generali effettivi nel giro di una settimana, cortei spontanei, blocchi diffusi ovunque e una composizione tanto eterogenea e trasversale che è difficile fare paragoni con il passato recente. Il movimento “Blocchiamo Tutto” ha in pochi giorni attraversato ogni ambito dell’agire sociale nel nostro paese, dalle carceri dove alcuni detenuti hanno scioperato, fino alle ambasciate italiane in giro per il mondo. E potenzialmente, a date condizioni, le possibilità per un’ulteriore generalizzazione ci sarebbero. Il movimento potrebbe crescere ancora in territori e settori sociali poco lambiti dalla politica sia istituzionale che di movimento. La dinamica che si è attivata grazie alla generosità degli attivisti e delle attiviste della Global Sumud Flotilla, alla determinazione dei portuali del CALP e al colpo di reni del sindacalismo conflittuale sta condizionando l’intero quadro politico italiano ed europeo. Forse addirittura quello globale. Senza farsi troppe illusioni il timing del Piano Trump suggerisce che l’onda montante dell’indignazione dell’opinione pubblica contro il genocidio del popolo palestinese ha svolto un ruolo tutt’altro che marginale. D’altronde per chi come noi continua a riflettere sulla lezione operaista la cosa non è così strana, il capitalismo e le sue forme istituzionali si ristrutturano anche sulla spinta delle lotte sociali, persino quando le mistificazioni capitaliste non permettono di coglierne limpidamente il nesso causale.
Ho scritto diverse volte della 



Malgrado i leader degli Stati Uniti, della Russia e della Cina abbiano spesso dichiarato che una guerra nucleare non possa essere vinta e non dovrebbe mai essere combattuta, il mondo assiste a una convergenza di follia politica e diserzione diplomatica che sta rischiando di riportare le lancette dell’orologio dell’apocalisse ai momenti più bui della Guerra Fredda. È ormai prossima la scadenza del trattato “New Start”, l’ultimo baluardo contro la ripresa di una corsa agli armamenti tra Washington e Mosca. La data fatidica è il 5 febbraio 2026, e le conseguenze del suo mancato rinnovamento, in questo momento critico della storia dell’umanità, sarebbero potenzialmente catastrofiche. I due più grandi stati nucleari del mondo tornerebbero a non avere, dopo due generazioni, alcun tetto ai loro arsenali atomici.
Parte seconda. Gli Anni Settanta.
La seconda fase del passaggio di consegne della guerra in Ucraina da parte di Trump agli europei è stata chiaramente delineata nel suo 



Buonasera a tutti. Grazie al prof. Azzarà per aver organizzato questo evento e a tutti i colleghi che si sono resi disponibili per venire a discuterne. Estendo i ringraziamenti ai presenti per la loro partecipazione.
Presentato con grande fanfara mediatica, il “piano di pace” del presidente americano Donald Trump per Gaza è essenzialmente un coup de théâtre per tentare di uscire da una situazione sempre più ingestibile per la Casa Bianca, e pericolosamente fallimentare per Israele.






I. Problemi di costruzione di un’identità politica di classe

































