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Adorno e Marx
di Stefano Petrucciani
Il confronto di Theodor W. Adorno con il pensiero di Marx è un elemento costante della sua riflessione. Ne parla Stefano Petrucciani nel suo appena uscito "A lezione da Adorno" (manifestolibri), una raccolta dei suoi studi più significativi come interprete di Adorno. Ringraziamo l'autore e l'editore per averci autorizzato a pubblicare il seguente estratto
Un punto d’arrivo molto interessante di questo “corpo a corpo” è un testo che Adorno scrive nel 1968; esso viene presentato dal filosofo francofortese prima come relazione introduttiva al XVI congresso della Società tedesca di sociologia che, per ricordare il centocinquantesimo anniversario della nascita di Marx, aveva scelto di mettere a tema la domanda: Tardo capitalismo o società industriale?[1]. Successivamente il testo viene letto nel grande simposio su Marx che si tiene a Parigi dall’8 al 10 maggio 1968 (mentre la rivolta studentesca è in pieno svolgimento) per essere poi pubblicato negli atti del suddetto convegno col titolo È superato Marx?[2]
[…] Nel modo in cui la interpreta Adorno, invece, la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione è vista principalmente sotto l’angolo visuale della questione della tecnica. Le forze produttive non entrano in contraddizione con i rapporti perché gli sviluppi della tecnica sono determinati dai rapporti capitalistici in cui si inscrivono, e non possono dunque costituire una minaccia per tali rapporti. Già il Marx del Capitale segnalava come lo sviluppo di nuove tecniche di produzione non fosse solo funzionale a una maggiore efficienza, ma ancor più al controllo sul lavoro.
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Dignità indecorosa
Riflessioni sui tempi che viviamo
Il concetto di decoro è oggi tornato alla ribalta. Utilizzato come giustificazione delle norme contenute nella Legge Minniti-Orlando, accostato, come sinonimo, ai concetti di «vivibilità» e «sicurezza», l’utilizzo di questo termine occulta malamente un aumento dei poteri discrezionali e repressivi degli apparati dello Stato (sindaci, questori, apparati di polizia, ecc.).
In questo testo proviamo a riflettere sulle implicazioni culturali del suo utilizzo, sul suo portato ideologico e su come evitare di cadere nelle grinfie di questo concetto.
* * * *
Ogni nozione paga pegno al proprio tempo e al proprio luogo di origine. Le idee del mondo nelle quali queste prendono vita, ne costituiscono infatti l’essenza più genuina. Per questa ragione non esistono nozioni neutre, parole “libere”. Di più, poiché il senso di un discorso non è frutto della semplice somma delle singole proposizioni, né tanto meno dei singoli termini, ma è dato piuttosto dal lavoro solidale di tutti gli elementi che compongono un discorso (una teoria, una dottrina, una visione della del mondo…), è impossibile o quasi appropriarsi dei concetti senza fare i conti con le implicazioni di cui questi sono portatori.
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Perché l’uscita dall’euro è internazionalista
Parte II - Nazione, Stato e imperialismo europeo
di Domenico Moro
1. Le ragioni dello scetticismo nei confronti della nazione
La diffidenza verso il concetto di nazione e la tendenza europeista, entrambe diffuse in diversi settori della società italiana, sono il prodotto della nostra storia recente e meno recente. L’imperialismo italiano, tra gli anni ’80 dell’Ottocento e gli anni ’40 del Novecento, ha fatto della nazione, nella forma ideologica estremistica del nazionalismo, il substrato della sua politica espansionistica. Lo stato liberale e lo stato fascista, senza alcuna soluzione di continuità tra di loro, hanno generato una serie di guerre, dalle prime spedizioni coloniali in Eritrea, Somalia e Libia, alla Prima guerra mondiale, alle guerre d’Etiopia e di Spagna e, infine, alla disastrosa partecipazione alla Seconda guerra mondiale. L’esito di questa tendenza espansionistica è stato devastante sia per le condizioni delle masse popolari sia per le ambizioni dell’élite capitalistica. L’Italia, precedentemente annoverata fra le grandi potenze, subisce nel ’43 una sconfitta pesantissima e umiliante, che ne declassa il rango internazionale. Si è così prodotto un diffuso rigetto verso ogni forma di nazionalismo, che si è esteso al concetto stesso di nazione anche all’interno della sinistra, nonostante la Resistenza contro il nazi-fascismo fosse in primo luogo una lotta di liberazione nazionale.
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Il pretesto populista
di Collettivo di redazione
Appunti del lavoro seminariale svolto dal collettivo di redazione dell’Archivio Luciano Ferrari Bravo
1. L’attuale dibattito politico e filosofico-politico sembra essere sempre più segnato dal concetto di populismo, dalle tematiche e dai fenomeni che gli sono riconosciuti come propri.
Se del termine populismo sembra difficile formulare una definizione – difficoltà in cui pare incorrere, forse strategicamente, anche Laclau, a partire dall’evidente insoddisfazione per le definizioni che offre nei suoi testi [ci riferiamo qui in particolare a Ernesto Laclau, On Populist Reason, Verso, London 2005; trad.it di D. Tarizzo, La ragione populista, Laterza, Bari-Roma 2008] –, si può forse cercare di inquadrare il termine, e i fenomeni a esso legati, operando uno spostamento dello sguardo: non un solo populismo, ma una serie di populismi (al plurale) che trovano applicazione su un terreno che verrebbe così da essi stessi perimetrato. L’indagine, allora, più che focalizzarsi sul presunto significato del solo concetto di populismo, dovrebbe allargare il suo orizzonte a quello che potrebbe delinearsi come il campo populista.
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Prima di andare oltre, leggiamolo
di Marco Palazzotto
È una “grande costruzione letteraria”, piena di citazioni e battute di spirito? È “sociologia dell’Ottocento”? È teoria astratta? È un libro di storia? Il Capitale di Carlo Marx è un po’ tutte queste cose insieme e, soprattutto, 150 anni dopo la pubblicazione del Primo Libro, rimane il testo da cui partire per comprendere il presente e immaginare il futuro del capitalismo. Un contributo di Marco Palazzotto
Quest’anno ricorrono i 150 anni della pubblicazione (1867) del Primo Libro del testo che avrebbe poi cambiato la storia del Novecento, ovvero la principale opera di Karl Marx: Das Kapital.
Dopo un secolo e mezzo dalla prima edizione tedesca, ci si chiede se un’opera che ha influenzato la politica mondiale del secolo scorso sia oggi ancora utile ad offrire strumenti di analisi a chi si pone come obiettivo la trasformazione della società in senso più egualitario.
Il Capitale, per il livello di astrazione utilizzato da Marx, non poteva fornire dei consigli politici pratici, mentre è parere consolidato che la teoria del testo più importante del filosofo di Treviri non abbia eguali, ancora oggi, quanto a capacità di comprensione e analisi del modo di produzione capitalistico. Molte delle teorie allora presentate possono essere ancora applicate all’interpretazione di svariati fenomeni sociali.
Parlo ad esempio della crisi quale elemento strutturale del capitalismo, o della scienza e l’automazione come cause di diminuzione del lavoro necessario, tendenza che crea una disoccupazione endemica, ma che allo stesso tempo deve creare le condizioni per l’accumulazione.
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La teoria del capitale a cinquant’anni dal dibattito tra le due Cambridge
di Saverio M. Fratini
Pubblichiamo una introduzione di Saverio Fratini al dibattito sulla teoria marginalista del capitale pubblicata sulla gloriosa rivista Critica Marxista*, che ringraziamo unitamente all'autore. Il tema è molto difficile (anche per me!), ma Fratini ci aiuta a farcene un'idea. Per i più giovani, l'invito è a cimentarsi con questa tematica, a mio avviso la ragione (analitica) più forte per non dirsi marginalisti. Fratini è docente a Roma 3
Ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario del simposio “Paradoxes in Capital Theory”, pubblicato nel 1966 sul Quarterly Journal of Economics, nel quale furono presentati i risultati di una controversia scientifica che era in realtà iniziata alcuni anni prima, con la pubblicazione, nel 1960, del libro di Sraffa Produzione di Merci a Mezzo di Merci.
Nel suo libro, Sraffa aveva mostrato che, facendo riferimento ad una situazione caratterizzata dall’uniformità del tasso del profitto in tutti i settori e dalla stazionarietà dei prezzi relativi,[1] il legame tra i prezzi delle merci e le variabili distributive—saggio del salario e tasso del profitto, in particolare—può essere complesso e imprevedibile, tanto che a fronte della variazione della distribuzione in una stessa direzione, ad esempio un continuo aumento del tasso del profitto, il prezzo relativo di due merci può crescere e diminuire a tratti alterni. Ciò, di fatto, svuotava di significato l’idea che diversi metodi di produzione di una certa merce potessero essere ritenuti a maggiore o a minore intensità di capitale,[2] come se si trattasse di una proprietà di natura tecnica. Infatti, dipendendo i prezzi dei beni capitale dal saggio del salario e dal tasso del profitto, l’ordinamento dei metodi di produzione sulla base dell’impiego di capitale per unità di lavoro sarebbe, in generale, cambiato al variare della distribuzione del reddito: il metodo inizialmente a più bassa intensità di capitale può diventare quello a maggiore intensità di capitale per un diverso livello delle variabili distributive.
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Rivedere i trattati?
Il vincolo esterno secondo Caffè e la Costituzione
di Quarantotto
1. Nel post ALLA RICERCA DELLA SOVRANITA' PERDUTA: SALVIAMO (chirugicamente) LA COSTITUZIONE, e nell'articolato dibattito che ne è seguito, abbiamo cercato di delineare le misure di rafforzamento dell'attuale modello costituzionale di fronte allo svuotamento determinato da ogni genere di trattato economico che imponga un "vincolo esterno": in essenza, si tratta di precisare i limiti e le procedure di verifica democratica della legittimazione e del modo di esercizio del potere negoziale di coloro che sono chiamati a trattare in nome e per conto dell’Italia.
E ciò rispetto ad ogni tipo di trattato internazionale, futuro ma anche passato e ancora in applicazione.
"Messo in sicurezza" questo presupposto imprescindibile di ogni iniziativa negoziale legittima entro il quadro dell'art.11 Cost., in un modo che rifletta, né più né meno, la reciprocità rispetto a quello che reclama (qui pp.2-3) un "contraente" come la Germania rispetto al proprio modello costituzionale, proviamo di conseguenza a ipotizzare in che modo si possano modificare i trattati europei attuali, nell'ambito di qualsiasi strategia volta a renderli sostenibili in coerenza con la tutela della sovranità democratica del lavoro delineata in Costituzione.
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Ciò che ha veramente detto l’‘ultimo Engels’
di Eros Barone
1. L’‘ultimo Engels’: problemi di periodizzazione
Per definire correttamente il modo con cui l’ultimo Engels affronta sia il problema dello Stato che il problema della elaborazione di una strategia del movimento operaio per la conquista del potere è necessario, in primo luogo, risolvere, oltre alle difficoltà che sono proprie di uno studio rigoroso del pensiero dei fondatori del socialismo scientifico, una difficoltà specifica, consistente nel determinare in modo esatto l’argomento che si intende trattare, cioè, nel nostro caso, l’“ultimo Engels”. Così, l’esigenza di circoscrivere tale argomento può portarci, in prima istanza, ad estendere o a contrarre le frontiere cronologiche dell’indagine in funzione di criteri, che possono tutti risultare degni di interesse, senza però che nessuno di essi risulti pienamente soddisfacente. Se, ad esempio, si prende il 1890 come confine, abbiamo, ad un tempo, l’inizio di un decennio e il punto di partenza degli ultimi cinque anni della vita di Engels, in cui si còllocano almeno tre opere di capitale importanza: assieme alla Critica del programma di Erfurt (1891), l’Introduzione alla Guerra civile in Francia (1891) e l’Introduzione alle Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (1895), cioè due scritti con cui Engels non si limita a presentare le analisi socio-politiche di Marx, ma ne mette in rilievo il valore teorico e ne applica il metodo alla congiuntura specifica di quegli anni1 . Il limite di questa periodizzazione risiede tuttavia nel separare le opere testé citate da altri scritti che, per quanto anteriori, sono strettamente connessi a quelle opere dall’identità del tema, come la famosa Lettera a Bebel del 1875, da cui non si può prescindere se si intende svolgere un serio esame del pensiero di Engels sul problema dello Stato2.
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Le Asimmetrie dell'Unione Bancaria
Intervento di Vladimiro Giacché
Buongiorno a tutti.
Desidero innanzitutto ringraziare l’on. Marco Zanni per aver voluto la realizzazione delle ricerche che qui presentiamo e il gruppo parlamentare Europe of Nations and Freedom che ci ospita.
Il focus di queste ricerche è rappresentato dalle asimmetrie che attualmente caratterizzano la regolamentazione bancaria in Europa.
Queste asimmetrie emergono sia con riferimento a quanto è regolamentato nel contesto della Unione Bancaria propriamente detta (o forse impropriamente detta, a giudicare dalle forti asimmetrie e squilibri interni che come vedremo la caratterizzano), sia con riferimento a quanto resta fuori dalla regolamentazione bancaria, ossia lo Shadow banking system, un’area grigia non normata che sta guadagnando terreno rispetto al sistema bancario tradizionale, ipernormato.
Lascio ai ricercatori del Centro Europa Ricerche che prenderanno la parola dopo di me il compito di esporre i contenuti puntuali della nostra ricerca su questi temi.
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Noterelle per un populismo democratico
Sirio Zolea
Qualche settimana fa, cogliendo l’occasione del momento di attenzione rivolta all’esperienza della France Insoumise, avevo provato in termini generalissimi a delineare alcuni aspetti che potrebbero essere peculiari di un’esperienza populista democratica e progressista in Italia. Vorrei adesso spendere qualche altra pagina per ipotizzare i fili che potrebbero andare a comporre la trama del tessuto di un discorso populista progressista rivolto al nostro Paese: altrimenti detto, provare a immaginare in cosa potrebbe consistere una proposta politica populista e progressista con caratteristiche italiane. Se il grande merito del gruppo raccolto attorno a questo sito risiede nell’essere stati i primi a teorizzare organicamente la possibilità e finanche l’opportunità di intraprendere una simile strada in Italia, la possibilità virtuosa di una sua trasformazione in un fenomeno popolare risiede nella doppia condizione da un lato della traduzione dell’analisi e del metodo populista in una proposta politica e in un disegno di Paese idonei a mobilitare le migliori energie della Nazione in un progetto articolato volto alla rottura politica e sociale, dall’altro lato (ma non approfondirò tali temi in questa sede) nel suo strutturarsi in una forma organizzativa capillare e adeguata e nel suo rapportarsi selettivamente con altre esperienze, già esistenti o in nuce, che si sviluppino in direzioni compatibili, al fine di congiungere le forze.
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London is burning: un rogo di classe
di I Diavoli
Londra è una città rigidamente divisa in classi sociali e bantustan etnici, compartimenti stagni tanto sovrapponibili quanto impossibili da esondare. Mentre l’inchiesta giudiziaria stabilirà quale è stata la scintilla che ha materialmente scatenato le fiamme alla Grenfell Tower, i motivi dell’incendio già li conosciamo. Il rivestimento, usato per rendere digestibile la visione di questo palazzone agli abitanti dei quartieri ricchi ha preso fuoco in meno di cinque minuti
“London’s burning! London’s burning! All across the town, all across the night” vomita nel microfono la voce rabbiosa di Joe Strummer nel lontano 1977, quando per dare l’assalto al cielo il proletariato metropolitano inventa nuove pratiche di sabotaggio che esondano dai luoghi del lavoro.
Quarant’anni dopo, quando i luoghi del lavoro sono scomparsi o sono stati delocalizzati, e il proletariato metropolitano è stato definitivamente sconfitto nella lotta di classe condotta dall’alto contro i poveri, Londra brucia di nuovo.
“Brucia la città, brucia per tutta la notte”. E’ un rogo di classe. Brucia per tutta la notte la Grenfell Tower, grattacielo di edilizia popolare della zona di Hammersmith. Brucia per tutta la notte Grenfell Tower, e il proletariato urbano crepa, arso vivo o soffocato dal fumo. O lanciandosi dalle finestre.
Sopravvive un bambino che si lancia dal decimo piano. A decine ne muoiono. A decine sono scomparsi, a decine ricoverati in codice rosso.
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Se Freud entra in politica
Recalcati e le logiche (illogiche) del desiderio
di Marco Nicastro
In questo articolo vorrei proporre alcune riflessioni a partire dai contenuti dell’intervento, liberamente visualizzabile sul canale Youtube, dal titolo “Politica, verità, testimonianza, rappresentanza”[1], tenuto da Massimo Recalcati, noto psicanalista milanese, alla presentazione della Scuola di Formazione Politica “Pier Paolo Pasolini” nel maggio di quest’anno.
Lo psicanalista milanese affronta in questo intervento alcune problematiche a lui particolarmente care, in particolare conduce un’analisi di alcuni movimenti e dinamiche politiche italiane attuali attraverso le lenti della psicoanalisi.
L’intervento in questione inizia con una considerazione sulla suscettibilità ai richiami populisti ed estremisti che aumenta in coloro, persone singole o gruppi che siano, che non si sentono rappresentate dalla politica; idea non nuova questa (basta leggere anche solo un po’ di storia recente) e propugnata tuttora da molti, compresi non pochi rappresentanti del M5S (solo per rimanere tra i principali destinatari delle stilettate di Recalcati), i quali sostengono da sempre di aver dato voce politica a migliaia di persone emarginate e deluse, convogliando un dissenso inascoltato in una forma di espressione democraticamente accettabile.
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Neoliberismo
Governare con la nostra libertà
Pierre Dardot, Christian Laval
«Neoliberismo»? Questa parola associa la novità («neo») con la libertà («liberalismo»). Vuol dire che è necessario essere neoliberisti per essere «assolutamente moderni» (per usare un’espressione di Arthur Rimbaud) ed essere anche interamente liberi, ma sempre proporzionalmente alla libertà di cui deve godere il capitale, come chiedeva Milton Friedman? Assolutamente no. Il neoliberismo non è più una novità, ormai, anche se non è così antico come alcuni sostengono; e tantomeno ci rende liberi. Anzi, si può dire che esso tenda a manipolare la nostra libertà in modo tale da impedirci qualunque scelta di vita alternativa a quella che surrettiziamente ci impone. Come dice Foucault, il neoliberismo ci governa attraverso la nostra libertà.
Una parola alquanto strana
Diciamolo, la parola «neoliberismo» è un termine politico strano, interessante e anche difficile da maneggiare. I neoliberisti non si rivendicano come tali, anzi addirittura respingono energicamente questa definizione.
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Unità della sinistra? No grazie!
di Ferdinando Pastore
Della danza dei morti di sinistra che camminano, in particolare di certi volteggi screanzati dopo il referendum costituzionale, ci eravamo occupati il 1° gennaio. Fece allora capolino la Anna Falcone. Non era una sortita estemporanea. La spaccatura (di destra) del Pd era nell'aria e noi non fummo indulgenti...
Infatti ecco che, nella febbre delle elezioni imminenti, esce immancabile l'appello alla resurrezione della sinistra, ovviamente "dal basso", "civicamente", in perfetto stile da anime belle. Firmatari Anna Falcone e Tomaso Montanari. Tossica minestra riscaldata, abbiamo scritto.
Di questo mesto fenomeno si occupa Ferdinando Pastore. Socialista come la Falcone, ma per nulla indulgente verso l'operazione a cui si presta.
* * * *
Da qualche mese si susseguono assemblee, manifestazioni, convention di partiti, di movimenti che avrebbero l’ardire di unire la sinistra, tutte uguali a se stesse. Esse sono condite da continui appelli nei quali si descrive una società ansiosa di vivere in un luogo più gentile e sobrio e che non vede l’ora di vedere all’opera, in Parlamento, dirigenti come D’Alema, Bersani, Fratoianni, Vendola, descritti come dei missionari dediti ad una nuova evangelizzazione civilizzatrice.
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Emmanuel Todd, “Dopo l’impero”
di Alessandro Visalli
Nel post “La grande partita”, è formulata l’ipotesi che la possibile transizione (incerta come tutte) dal globalismo umanista di Obama all’apparente unilateralismo muscolare di Trump sia un sintomo di un sottostante largo scontro egemonico tra sistemi di élite, e connesse aree di consenso, entro il capitalismo anglosassone. C’è la possibilità che si sia ad un punto di biforcazione dei sentieri, come tutti intrinsecamente instabile, nel quale diversi network organizzativi ed agenti competono per attrarre capitali e risorse verso i propri schemi. Provando ad essere molto sintetici, al prezzo della semplificazione di ciò che è complesso, uno scontro tra diversi schemi di espansione produttiva, commerciale e finanziaria.
Il nucleo dello scontro è il capitale mobile (quel che si chiama in genere “finanziarizzazione”) sfuggito, nella sua logica autopoietica, alla capacità di servire gli obiettivi di lungo termine, ed in particolare quell’insieme di istituzioni, esigenze, rappresentazioni, nuclei identitari, patti e tradizioni narrative che chiamiamo “nazioni”. Ma sfidare l’egemonia del capitale finanziario mobile significa andare allo scontro con un potentissimo network informale di tecnici (con relative tecniche e saperi), istituzioni sia pubbliche sia private sia ibride, luoghi di addensamento, discorsi e agenti (economici e politici).
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Korsch e Marx: oggi la sinistra rinasce se si riparte dalle origini
di Aldo Tortorella
Sergio Sabattini ha scritto Da un altro tempo. Marx e Engels, la rivoluzione, la Russia (Edizioni Punto Rosso), un libro che è, come dice, il libro di una vita. Una vita spesa bene per i compiti rilevanti e difficili cui ha assolto come militante politico e dirigente comunista, ma anche, come qui possiamo leggere, per questa sua ininterrotta riflessione che ora rende pubblica. Spesso, quando si volge verso l’età più avanzata, si indulge al racconto delle proprie personali memorie. Si tratta di documenti sempre utili sia per i lettori che desiderano informarsi sul tempo passato, sia per gli storici professionali che hanno così modo di paragonare vari punti di vista interni a un medesimo tempo, a medesimi eventi, a medesime esperienze umane. Ma il testo di Sabattini è ben altra e più impegnativa impresa.
È un testo di riflessione storica e teorica, un itinerario dentro la storia e dentro il pensiero di coloro che insoddisfatti del loro presente e del futuro che esso prometteva – come furono gli iniziatori del movimento socialista – si sono sforzati di leggere la intima costituzione della società e dello stato al fine di prospettare un futuro migliore.
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Post-strutturalismo e politica
Recensione di Gabriele Vissio
D’Alessandro Ruggero, Giacomantonio Francesco, Post-strutturalismo e politica. Foucault, Deleuze, Derrida, Perugia, Morlacchi Editore University Press, 2015, pp. 113, euro 14, ISBN: 9788860746986
Il volume di D’Alessandro e Giacomantonio presenta una sintesi del pensiero dei tre grandi classici della stagione post-strutturalista francese – Michel Foucault, Gilles Deleuze, Jacques Derrida – alla luce dei rapporti che essi intrattengono con la questione politica. Diciamo la “questione politica” perché l’intento del volume non è tanto quello di esporre la filosofia politica di Foucault, Deleuze e Derrida – posto che si possa parlare, per ciascuno di questi autori, di una filosofia politica in senso classico – quanto quello di rintracciare all’interno del loro pensiero il “segno” della politica.
In effetti, l’ambizione ultima del saggio, è quella di tratteggiare alcune linee guida che servano alla comprensione del complesso e ambiguo rapporto che intercorre tra la corrente post-strutturalista, ben più ampia del terzetto di autori presi in considerazione, e la dimensione politica.
Che vi sia un rapporto tra il post-strutturalismo e la politica è cosa assodata, tanto dalla letteratura critica quanto dall’effettiva biografia dei protagonisti di quella stagione. Per limitarsi alle scelte di D’Alessandro e Giacomantonio basti pensare al coinvolgimento di Foucault nelle battaglie di quegli anni – dal periodo tunisino alla direzione del dipartimento di filosofia dell’Università “sperimentale” di Vincennes dopo gli eventi del ’68,
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Il Grande Gioco Mediorientale: Qatar vs Arabia Saudita
di Federico Pieraccini
In un clima da resa dei conti, persino le monarchie del golfo sono state raggiunte da una serie di eventi senza precedenti. I contrasti tra Qatar e EAU-Bahrein-Arabia Saudita hanno superato il livello di guardia con una crisi diplomatica dagli esiti imprevedibili
Ufficialmente tutto è iniziato con le dichiarazioni attribuite a l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani apparse sul sito QNA (Qatar News Agency) il 23 Maggio 2017. Poche ore prima della conferenza tra i 50 paesi arabi e il presidente USA, Al Thani avrebbe pronunciato le medesime parole riportate da QNA, in un discorso molto indulgente nei confronti dell’Iran, oltre a definire errata l’idea di una “NATO Araba”. Le parole esatte non sono note poiché l’evento in cui Al Thani avrebbe pronunciato tali dichiarazioni incendiarie trattava questioni militari e quindi riservato e non accessibile al grande pubblico. Particolare da non tralasciare, QNA denuncia di aver subito un attacco cibernetico e che le dichiarazioni siano da ritenersi fasulle, così come le parole attribuite ad Al Thani.
La diffusione pubblica delle parole del l’emiro, apparse su QNA, hanno scatenato una crisi diplomatica senza precedenti nel golfo. Senza perdere tempo, Arabia Saudita, EAU, Bahrein, Egitto e Maldive hanno approfittato della confusione creata dalle presunte parole di Al Thani mettendo in pratica una serie di misure estreme, accusando Doha di sostenere il terrorismo internazionale (attribuito ad Hamas, al qaeda, Iran e daesh). Gli ambasciatori del Qatar nei paesi citati sono stati invitati a tornare in patria nel giro di 48 ore, i cittadini Qatarioti intimati a lasciare Bahrain, Arabia Saudita e EAU entro 14 giorni.
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L’epoca complessa del mondo multipolare
Roberto Donini
Il pregio narrativo di Verso un mondo multipolare di Pierluigi Fagan è parlare semplicemente della complessità; il suo valore sostanziale è offrire l’esatta misura della realtà attraverso l’ordinata rassegna del “miscuglione” di forze e terre che compongono Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump, sottotitolo del libro[i].
L’oggetto è dunque un trattato di geopolitica che affronta la situazione attuale di un mondo la cui complessità deriva dalla crisi del dominio novecentesco ordinatore: prima duale con la guerra fredda USA – URSS (1945-1989), poi unipolare USA (1989- attorno al 2008), ora con un gioco a quattro tra USA, che rimane il dominus, Russia e Cina antagonisti ordinati e in mezzo il caos Europa. Così gli attori: gli USA sono, e saranno, forti della superiorità militare e soprattutto della posizione geografica di isolamento rispetto alla piattaforma euroasiatica; la Russia seconda per potenza militare, possiede la regione più grande del mondo la Siberia; la Cina con la maggiore e più omogenea popolazione del mondo ha enorme potenza economica e commerciale e insidia gli USA; l’Europa dalla grande tradizione di civiltà ha però tutti gli indicatori decadenti, dall’invecchiamento demografico alla crisi politica dell’Unione.
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The Eu Crisis and Europe's divided Memories
Leonardo Paggi, Geoff Eley, Wolfgang Streeck
Pubblichiamo d'accordo con la rivista "Ricerche Storiche" l'estratto di un'importante intervista a tre noti intellettuali, G. Eley, L. Paggi e W. Streeck. Ringrazio il prof. Spagnolo e Leonardo Paggi per l'onore. Speriamo a breve in una traduzione in italiano [s.c.]
Excerpts from an interview by C. Spagnolo (Univ. Bari) with Geoff ELEY, Univ. of Michigan (G.E.), Leonardo PAGGI, Univ. of Modena (L.P.), and Wolfgang STREECK, Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung, Köln (W.S.), to be published in “Le memorie divise dell’Europa dal 1945”, monographic issue of the Journal "Ricerche Storiche", n. 2/2017.
* * * *
1. Right from the beginning, European integration encountered resistance and has experienced periods of stasis and regression but today’s crisis is of a new, more extreme kind. Since the rejection of the constitutional treaty in France and the Netherlands in 2005 we have seen the growth of local “populist” movements opposed to immigration and the loss of control over the employment market, a resurgence of nationalism in many countries and the referendum vote in favour of Brexit on 23 June (2016).
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Ancora una primavera
Tienanmen e dintorni
di Giambattista Cadoppi
Di seguito l'introduzione di Giambattista Cadoppi al suo libro Ancora una primavera. Tienanmen e dintorni: l’ingloriosa fine della prima rivoluzione colorata
“E a questo punto il pastore pregò. Fu una preghiera bella e generosa, nonché molto particolareggiata: invocava la protezione del Signore per quella chiesa, e per i fanciulli di quella chiesa; per le altre chiese del villaggio; per il villaggio stesso; per la contea; per lo Stato; per i funzionari dello Stato; per gli Stati Uniti; per le chiese degli Stati Uniti; per il Congresso; per il Presidente; per i funzionari del Governo; per i poveri marinai, in balia di mari tempestosi; per i milioni di oppressi che gemevano sotto il tallone delle monarchie europee e dei dispotismi orientali” (Mark Twain. Le avventure di Tom Sawyer)
La vocazione americana di portare i diritti umani in formato export è di vecchia data. A venticinque anni dalla prima rivoluzione colorata abortita, la “primavera cinese” (Bejijng Spring come era definita) una nuova rivoluzione colorata ordita dall’Impero del Kaos ha vinto (per ora) in Ucraina.
Oggi come allora ci sono all’opera bande di terroristi di estrema destra istruiti da CIA, ONG, media asserviti, persino con il supporto della “sinistra radicale”. Scrive un giornale russo dei “fatti di Piazza Tiananmen ovvero la sventurata Maidan cinese”: Tienanmen per la Cina nel 1989, proprio come Maidan per l’Ucraina oggi, è stato un punto critico di biforcazione di importanza strategica per i decenni futuri.
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Ecologia politica di André Gorz. Note su un discorso insostenibile
di Simone Benazzo
Il filosofo francese André Gorz (1923-2007) è stato tra i principali animatori della teoria della ecologia politica a partire dai primi anni Sessanta. Vedere come nasce e come si sviluppa questa teoria nella sua riflessione cinquantennale permette di rintracciarne alcuni elementi costitutivi che sono oggi, forse più di ieri, estremamente attuali. Forse più di ieri, perché alcuni elementi della peregrinazione filosofica di André Gorz, in primis il precoce distacco dall’impianto socialista e la lucida denuncia di qualsiasi soluzione tecnocratica come ecofascismo, danno al suo approccio e ad alcune delle sue conclusioni quella coloritura visionaria che consentirebbe agevolmente al lettore italiano (spesso digiuno) di scambiarlo per un autore della Generazione Y. L’annichilimento dell’ecosistema è in Gorz un problema secondario a quello dell’annichilimento del soggetto. Secondario non nel significato di meno urgente, bensì in senso cronologico e soprattutto causale. L’oppressione primigenia è quella del soggetto, a cui quella della biosfera è inestricabilmente legata.
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Discutendo di alleanze e dintorni
di Mimmo Porcaro
Il mio ultimo post su Socialismo2017, dedicato alle elezioni presidenziali francesi, ha suscitato un interessante commento di Francesco Maimone e di Bazaar, ospitato dal blog Orizzonte48, nel quale, pur convenendo con gran parte del mio scritto, mi si rimprovera un rifiuto pretestuoso e ideologico di ogni alleanza con il sovranismo di destra – ed in particolare con la Lega. A sua volta Quarantotto, con diverse note inserite nel testo dei due critici, ne rafforza le argomentazioni e mi invita a superare veti a suo dire incomprensibili che indebolirebbero la necessaria unità di tutte le forze contrarie al giogo di Bruxelles. Secondo i miei interlocutori infatti non basta dire, come io faccio, che i Salvini e le Le Pen non sono (ancora?) il fascismo e che dunque l’antifascismo dei Macron non soltanto sbaglia bersaglio, ma rappresenta proprio quei poteri che a suo tempo al fascismo ed al nazismo diedero il via libera. I miei interlocutori pensano piuttosto che per essere nel vero bisogna dire che i poteri che stanno dietro a Macron (e a Renzi, Merkel, ecc.) , sono il vero fascismo di oggi. E per giustificare questo giudizio si basano soprattutto sull’idea, esplicitamente derivata dal pensiero di Lelio Basso, secondo la quale per comprendere esattamente e combattere efficacemente il fascismo non bisogna fermarsi alle sue manifestazioni esteriori, mutevoli e caduche (squadracce, manganelli, ecc.) ma bisogna coglierne le caratteristiche permanenti, ossia la totale manomissione dello stato da parte del capitale, la privatizzazione delle funzioni pubbliche, lo stretto intreccio tra economia e politica.
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“Annullare il debito? Si può fare”
di I Diavoli
«Demistificarne la narrazione, mettendo in campo il ripudio del debito, e praticare con le lotte sociali la de-finanziarizzazione della società, attraverso la riappropriazione sociale di tutta la ricchezza collettivamente prodotta, sono le strade che dobbiamo iniziare a percorrere»: l’ultimo libro di Marco Bersani, "Dacci oggi il nostro debito quotidiano – Strategie dell’impoverimento di massa" (DeriveApprodi, 2017)
Dal Vangelo secondo Matteo: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». «No, mai», risponde oggi quell’invisibile ovunque che è, come una certa politica ha voluto che fosse, il mercato.
L’ultimo libro di Marco Bersani, Dacci oggi il nostro debito quotidiano – Strategie dell’impoverimento di massa (DeriveApprodi, 2017), affronta la questione del debito pubblico attraverso una ricostruzione puntuale e, in parallelo, attraverso un’operazione di debunking rispetto alla narrazione dello stesso che è stata imposta dall’alto. Traccia, infine, alcune rotte possibili per speronarne il tabù e, dopo averlo ripudiato, chiederne l’annullamento.
Il volume è articolato in più capitoli, assemblati in maniera eidetica – cioè la sintesi storica dialoga a stretto giro con la demistificazione delle narrazioni mediatiche – al fine di proporre uno strumentario utile allo smantellamento di ideologia e prassi che soggiacciono all’economia del debito.
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Una risposta a Falcone, Montanari e a tutta la sinistra in buona fede
di Jeso'pazzo
In questi giorni sta facendo discutere un appello lanciato da Anna Falcone e Tomaso Montanari per creare una lista di Sinistra Unita alle prossime elezioni. Tanti militanti, ormai privi di riferimenti nei partiti, hanno letto in questo appello parole condivisibili, un segnale di apertura e di novità.
Altri, invece, scottati da esperienze simili, lo hanno accolto come l’ennesima proposta di accrocchio pre-elettorale. Anche perché il ceto politico della sinistra si è subito mosso per cavalcarlo, vedendo in questa proposta l’occasione d’oro, forse l’ultima, di riciclarsi…
Ma che ne pensano di questo appello le realtà di lotta, i movimenti di base, i giovani precari, studenti, disoccupati, chi fa militanza ogni giorno sui territori? Di che cosa avrebbe davvero bisogno la sinistra?
In questa lettera aperta abbiamo provato a far sentire questa voce, a dire come la vediamo da qui, dal basso. Abbiamo voluto urlare cosa secondo noi si dovrebbe fare non fra venti anni, ma subito; provato a esprimere la rabbia e l’urgenza di rottura che dovrebbe muovere qualsiasi progetto di vera sinistra oggi.
Speriamo di aver interpretato il sentimento di tante e tanti... La condizione terribile in cui siamo e in cui stiamo scivolando sempre di più – almeno noi che non abbiamo paracadute – non dovrebbe consentire più a nessuno di fare giochini, di provocare ulteriori fallimenti e scoraggiamento, di stare a guardare...
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