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Il dilemma di Salvini

di Piemme

Ieri Sandokan scriveva che ove Matteo Salvini non cambi presto musica; se si fissa a fare del contrasto all'immigrazione l'alfa e l'omega della sua battaglia; se non compie "la mossa del cavallo" mettendo al centro le questioni sociali —che sono il terreno vero di scontro con le élite e su cui si consolida o si vanifica il consenso di cui gode il governo giallo-verde— già accerchiato dai suoi nemici, rischia davvero di essere fatto fuori. E tra i suoi nemici quelli più pericolosi sono i finti amici che ha in casa.

Chi sono? I notabili "nordisti" della Lega, quelli vicini alla grande borghesia padana (gli Zaia, i Maroni, i Fontana, quindi il mastino Giorgetti), quelli insomma che fanno affari con la globalizzazione essendo indotto dell'industria tedesca, che non vogliono alcuna vera svolta né, tantomeno, una rottura con l'Unione europea.

La fronda eurista interna alla Lega ha utilizzato Salvini per non affondare assieme ai berluscones, ma in verità non accetta l'orizzonte nazional-populista. E' a causa del rischio di spaccatura della Lega che Salvini alza il tiro sull'immigrazione, perché su questo lato i "nordisti" non possono dissociarsi e lasciarlo solo.

Questo gioco ha però il fiato corto se è vero, come è vero, che in autunno la questione delle questioni, la "cosa" che occuperà il centro della scena, sarà la Legge di bilancio, perché lì verificheremo se questo governo attuerà quell'inversione di marcia rispetto alle politiche austeritarie e ordoliberiste che "nove italiani su dieci si attendono" (Sandokan).

I segnali che Salvini sta inviando sono pessimi. Ieri, a Venezia il nostro ha preso le distanze da Cinque Stelle su due questioni cruciali, grandi opere e nazionalizzazioni:

«Salvini prende le distanze dai 5 stelle. Il ministro dell’Interno da Venezia ribadisce l’importanza di procedere con la Pedemontana, il terzo valico di Genova e il Tap. In netto contrasto con le nazionalizzazioni di Toninelli definisce "un’ottima cosa la collaborazione tra pubblico e privato"». [LA STAMPA di oggi]

Salvini quindi fa da sponda ai desiderata dei "nordisti": no alla nazionalizzazione di Autostrade, no alla nazionalizzazione di Alitalia e ILVA di Taranto. Dietro a tutto, anzi, davanti, c'è quindi la Legge di bilancio 2019. E' in quel calderone che vedremo se ci sarà spazio o no per i provvedimenti promessi e contemplati nel Contratto di governo: riforma della Fornero, Reddito di cittadinanza, salario minimo legale, investimenti pubblici, ecc.; se quindi sarà una finanziaria di svolta o se sarà austeritaria, in linea dunque con le politiche deflattive dell'ultimo decennio.

Il Documento di economia e finanza (Def) che il Mef e Tria sforneranno a giorni indicherà i numeri e le poste della legge di bilancio. E come stanno le cose? Stanno che Tria, come chiede l' Ue, non vuole aumentare la spesa pubblica fino e oltre al 3% di deficit su Pil, ma fermarsi, al massimo all'1,5. Morale: scordatevi le promesse del Contratto di governo.

Lo conferma LA STAMPA:

«Gli accordi presi dalla Commissione di Bruxelles con il governo Gentiloni dicono che l’Italia dovrebbe darsi un obiettivo di deficit per l’anno prossimo non superiore allo 0,9 per cento del prodotto interno lordo. Tria ha fissato la linea del Piave all’1,5 per cento, dieci miliardi in più degli accordi precedenti. Per lui quello è l’obiettivo minimo, la soglia sotto la quale non intende andare. E’ già più della flessibilità che l’Europa è disposta a concedere – si dice fra i sei e gli otto miliardi - ma molto meno di quel che si aspetta la maggioranza. La quadratura del cerchio magari si troverà, ma sarà comunque dolorosa. Il premier Conte si prepara a mediare, il Quirinale osserva in silenzio con qualche apprensione».

Che aggiunge:

«I mercati non attendono altro, perché quei numeri risponderanno alle domande finora inevase dalla maggioranza giallo-verde. L’Italia andrà allo scontro frontale con l’Europa o si mostrerà più realista? Logica vorrebbe che prevalesse la seconda ipotesi: le elezioni europee sono dietro l’angolo (a maggio 2019) e né alla Lega, né tantomeno al Movimento Cinque Stelle converrebbe presentarsi all’appuntamento con gli spread fuori controllo. L’ultima asta di titoli pubblici ha già fatto salire i rendimenti oltre il tre per cento. Sul comportamento dei mercati pesano le preoccupazioni per la situazione argentina e più in generale l’aumento dei tassi di interesse americani. Ma l’aumento dello spread con i Bund tedeschi (ora a 285 punti base) e con i titoli spagnoli e portoghesi spiega che gli investitori si chiedono soprattutto cosa accadrà in Italia. Per rassicurare sulle intenzioni del governo, il Tesoro sta valutando se anticipare di qualche giorno la presentazione della nota di aggiornamento».

La grande finanza predatoria, nel frattempo, affila le armi e muove le sue truppe per mettere il governo giallo-verde con le spalle al muro. Stasera, dopo la chiusura di Wall Street, l’agenzia di rating Fitch aggiornerà il suo giudizio sull’Italia. Previsioni? Non sarà lontano dal cosiddetto “non investement grade”, ovvero il livello sotto il quale il mercato considera un titolo “spazzatura”. Un avviso in evidente stile mafioso a Di Maio e Salvini: abbassate la cresta o scateneremo l'inferno.

E qui torno al dilemma di Salvini.

Egli forse spera che la partita con la Ue sulla Legge di bilancio finisca in una pari e patta, così da guadagnare tempo fino alle europee e lì fare il pieno di consensi. Poi si vedrà, e sarà possibile sbarazzarsi della Quinta colonna.

Ma le europee del maggio '19 solo lontane... Che finisca in pari e patta, poi, io non ci credo. Non ci credo anzitutto perché l'eurocrazia vorrà vincere, ed ha le armi di distruzione di massa (tra cui lo spread) per sperare di mettere in ginocchio il governo italiano e quindi spazzarlo via prima che sia troppo tardi.

E qui il dilemma di Salvini: restare imprigionato nella trama eurista (alla quale fanno da sponda i potenti notabili nordisti della Lega) o resistere? Nel primo caso sarebbe fatto fuori, nel secondo solo può sperare di restare protagonista e "capo-popolo". Ma questo secondo caso impone una mossa audace: non spezzare il blocco tattico con i Cinque Stelle ma anzi rinsaldarlo, trasformandolo in una vera e propria alleanza politica. Come scritto su questo blog:

«per Di Maio e Salvini converrebbe aprire una crisi di governo per andare a passo di corsa verso elezioni anticipate e così raccogliere il crescente consenso popolare. Che solo in questo appoggio consiste la loro arma più potente».

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