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sinistra

Guerra alla Russia ed emergenza permanente

di Nicola Casale

russiaUcrainaL’emergenza della pandemia non è finita. È tenuta in caldo, pronta per essere ripresa in autunno, con l’obiettivo di estendere a tutti, bambini compresi, l’obbligo vaccinale e il green pass (GP). Contro la sua ripresa militano alcuni fattori importanti.

Interni a ogni singolo paese: riluttanza delle popolazioni, stanche delle restrizioni e sfiduciate nei vaccini, emergere di una crisi economica che potrebbe riaprire il conflitto sociale su vasta scala, indebolendo la disponibilità della gente a mettere al primo posto la pandemia, soprattutto se dovesse continuare l’evidenza di provocare malattie non gravi e con scarso rischio di ricovero e decesso.

Internazionali: molti paesi potrebbero sottrarsi a un’ulteriore allarme mondiale. In ciascuno di essi la gestione della pandemia ha fatto passi indietro grazie alle reazioni popolari. L’India è il caso più evidente: la lotta dei contadini non s’è fatta condizionare dai lockdown, con oltre un anno di mobilitazione ha vinto costringendo il governo a recedere dalla contro-riforma agraria e ha smantellato la narrazione pandemica, inducendo il governo a diffondere l’ivermectina che ha drasticamente ridotto ricoveri e decessi. In Russia non ci sono state mobilitazione di piazza, ma la popolazione ha semplicemente sabotato vaccini e GP. Rifiuti analoghi in molti paesi asiatici, africani, latinoamericani e dei Balcani (non solo i soliti serbi...).

La stessa Cina presenta caratteri diversi dalla gestione occidentale: fa lockdown rigidi, ma limitati nello spazio e nel tempo, perché avverte il pericolo di attacchi biologici (la scoperta dei laboratori in Ucraina la dice lunga sulla pratica Usa/occidentale di diffondere patogeni soprattutto verso Russia e Cina). Ciò non toglie che i lockdown siano ugualmente inutili a eradicare il virus e molto utili, invece, a operazioni di disciplinamento sociale. La Cina, comunque, non usa vaccini occidentali, non impone obbligo vaccinale e non usa il GP.

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laboratorio

Guerra, inflazione e conferma della "stagnazione secolare”

di Domenico Moro

Stagnazione secolareNel 2013 Laurence H. Summers, uno dei più importanti economisti statunitensi e già ministro del Tesoro di Clinton, definì la fase economica contemporanea come “stagnazione secolare”. Con questa definizione Summers voleva intendere che l’economia mondiale – a partire da quella dei paesi più sviluppati, come Usa, Europa occidentale e Giappone – era entrata in una fase di crisi permanente. Summers aggiunse che, guerra a parte, non si vedeva alcuna possibile soluzione a tale crisi.

Nell’analisi dell’economista statunitense si tracciava una analogia tra la fase attuale e quella seguita alla grande crisi del 1929, che fu risolta dalla Seconda guerra mondiale. Infatti, fu solamente a seguito delle enormi spese statali per la produzione militare che gli Usa si ripresero dalla crisi e solamente a seguito delle enormi distruzioni della guerra mondiale e degli investimenti americani successivi che l’Europa, il Giappone e l’intero occidente poterono dare avvio a una fase economica espansiva che durò alcuni decenni.

L’economia capitalistica è entrata dal 2007-2008 in una crisi ininterrotta che, a parte brevi riprese, permane tutt’ora. Il contenuto della crisi, dovuta a una sovrapproduzione assoluta di capitale, permane nonostante le forme in cui si manifesta mutino di volta in volta: crisi dei mutui subprime nel 2007, crisi del debito sovrano nel 2013, crisi pandemica nel 2020 e, infine, la crisi attuale che si manifesta nella forma della stagflazione e della guerra.

La breve ripresa del 2021 non ha consentito alle economie dei Paesi avanzati di recuperare interamente quanto era stato perso nell’anno precedente, durante la pandemia.

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rete dei com

Crisi sistemica e crisi militare

di Mauro Casadio

RisikoStallo come accumulo di contraddizioni

Se siamo chiamati a fare una analisi della situazione attuale rischiamo di essere parziali se non si analizzano le condizioni che hanno portato all’oggi. Dunque per descrivere la dinamica che ora porta alla “formalizzazione” delle contraddizioni in atto dobbiamo delineare per sommi capi il percorso fatto da queste nell’ultimo decennio.

Certamente dopo la fine dell’URSS si è determinata una fase di stabilità dovuta alla possibilità per il capitale di autovalorizzarsi utilizzando gli enormi spazi materiali che si erano creati, inclusa la Cina, e lo sviluppo delle forze produttive causato da scienza e tecnologia e dal forte ridimensionamento della lotta di classe, dal basso, a livello internazionale.

Questa condizione “virtuosa” si è protratta fino alla crisi finanziaria del 2007/2008, anche se è stata preceduta da altri momenti di caduta per la finanza, segnando una prima modifica della linea di crescita, curvandosi verso un andamento più “piatto”; e nel decennio passato questa tendenza si è ulteriormente accentuata.

Questa stato delle cose, caratterizzato da una crisi latente, però non ha rimesso in discussione l’egemonia statunitense e gli equilibri internazionali, ma ha fatto crescere competitori potenziali portando di fatto ad uno stallo dei rapporti di forza internazionali.

Va chiarito che per “rapporti di forza” non intendiamo eminentemente quelli militari ma, oltre ovviamente a questi, intendiamo anche quelli economici, sociali, ideologici, etc, cioè dello sviluppo complessivo dei diversi soggetti in campo.

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linterferenza

L’Occidente totalitario getta la maschera

di Norberto Fragiacomo

usa gaffe del presidenteSe gettano la maschera non è per sbadataggine, né per imperizia o imprudenza: le “grandi firme” nostrane sono agitprop che sanno il fatto loro e conoscono benissimo il mestiere – quello di propagandista dei presunti valori occidentali s’intende, perché il giornalismo libero è tutt’altra cosa, ed è comunque una specie in via di estinzione.

Ormai sui quotidiani di regime (cioè tutti, eccezion fatta per La Verità e Il Fatto Quotidiano, su cui residuano spazi di riflessione e dibattito) si dà per scontato e pienamente accettabile che la guerra in corso, dapprincipio presentataci come “difensiva”, sia un’operazione NATO per interposta Ucraina, e il 28 aprile, durante la trasmissione Otto e Mezzo, Massimo Franco ha seraficamente affermato che anche se la Russia fosse effettivamente caduta in una trappola tesale dagli americani  (vale a dire: anche ammesso che sia stata indotta/forzata ad attaccare l’Ucraina) giudizi e valutazioni non cambierebbero. Può farmi piacere che un “saggista di fama, membro dell’International Institute for Strategic Studies di Londra (IISS)”, definito “un istituto di ricerca britannico (o think tank) nel campo degli affari internazionali” da Wikipedia, confermi quanto ho scritto in alcuni pezzi per l’interferenza a partire da fine febbraio, ma mi domando cosa motivi questo soprassalto di sincerità. Quando, il 25 febbraio scorso, azzardai che “In questa vicenda sin dall’inizio Joe Biden e i suoi “diplomatici” hanno alimentato le tensioni soffiando quotidianamente sul fuoco: non puntavano a un accordo, ma a provocare l’antagonista spingendolo a un’umiliante resa o a gesti inconsulti. Messo all’angolo dall’intransigenza statunitense Vladimir Putin ha soppesato le poche opzioni sul tavolo, propendendo infine per l’attacco militare – scelta dolorosa e gravida di pericoli anzitutto per la Russia.

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carmilla

Il nuovo disordine mondiale / 9: la guerra nell’era del totalitarismo neoliberale

di Gioacchino Toni

hh11hh11uu11uu«Quel Novecento che aveva visto il susseguirsi di guerre mondiali e totalitarismi, lo spreco incommensurabile di un’inutile corsa agli armamenti, il proliferare di autoritarismi e rivoluzioni fallite, con l’happy ending del “trionfo della democrazia”, aveva creato l’illusione che l’umanità e i governi che pretendono di rappresentarla potessero dimostrare, anche grazie agli straordinari progressi tecnologici e all’immensa ricchezza circolante, una maggiore capacità di costruire la pace, per non ripetere gli errori tragici del passato. E invece tutto ciò che la mia generazione è riuscita a fare è stato trasmettere ai propri figli soltanto una diversa civiltà della guerra»
Fabio Armao

Nel recente volume di Fabio Armao, La società autoimmune. Diario di un politologo (Meltemi 2022), viene analizzata l’ingarbugliata trama del potere che contraddistingue la contemporaneità: un “totalitarismo neoliberale” che, al di là delle differenti sembianze che assume – mafie, gang, neofascismo, finanza underground, capitalismo clientelare, femminicidio, ecocidio e persino, come si vedrà, privatizzazione della guerra – ha, secondo l’autore, nella rinascita del clan la struttura di riferimento del sistema sociale.

Tale convincimento, attorno a cui ruota il volume, si inserisce all’interno di una più generale riflessione a cui Armao ha dedicato due suoi precedenti testi: L’età dell’oikocrazia (Meltemi, 2020) [su Carmilla] e Le reti del potere (Meltemi, 2020). Secondo lo studioso la struttura del clan, in grado com’è di interporsi tra individui e istituzioni e di mediare tra locale e globale, risulterebbe particolarmente adatta alla gestione della globalizzazione neoliberale nel suo imporre gli interessi economici privati sull’interesse politico pubblico. Si tratterebbe dunque di una “oikocrazia”1 assurta a modello universale capace di adattarsi sia alle esigenze dei regimi democratici che a quelle delle autocrazie.

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carmilla

Il nuovo disordine mondiale / 8: mai più per un pugno di conchiglie

di Sandro Moiso

colpisci“La situazione internazionale ha subito nuovi e importanti cambiamenti, il tema della pace e dello sviluppo sta affrontando gravi sfide e il mondo non è pacifico” (Xi Jinping a Joe Biden durante la conferenza sulla crisi in Ucraina del 18 marzo 2022)

Alla fine del XIX secolo, ai tempi della «corsa verso l’Africa», l’oro africano alimentava da almeno mille anni le economie europee e del mondo islamico, mentre fin dal XV secolo i suoi regni, alquanto evoluti e sofisticati, commerciavano con gli europei lungo le coste atlantiche, dal Senegal all’Angola. Almeno fino alla metà del Seicento fu un commercio tra eguali, basato su diverse valute. Soprattutto conchiglie importate dalle Maldive e dal Brasile.

Nel corso del tempo, le relazioni tra Africa ed Europa si incentrarono sempre di più sul commercio degli schiavi, danneggiando il relativo potere politico ed economico dell’Africa, mentre i valori di scambio monetario si spostarono drasticamente a vantaggio dell’Europa.

Questo, almeno, è quanto raccontato e analizzato da Toby Green, Senior Lecturer di Storia e cultura lusofona africana presso il King’s College di Londra, in un testo molto importante e sicuramente destinato a diventare di riferimento per quanto riguarda la storiografia sul colonialismo1.

Se l’imposizione di un sistema monetario basato sul denaro, come feticcio e valore equivalente per gli scambi commerciali, si rivelò decisivo per lo sviluppo degli scambi avviati dalla prima grande globalizzazione coloniale e capitalistica, oggi l’assoluta e trionfale diffusione del sistema su cui si fondò l’accumulazione primitiva e l’instaurazione di un autentico regime di rapina, basato sullo scambio ineguale, causa, sia al cuore che alla periferia dell’impero occidentale, sconvolgimenti pari soltanto a quelli che la rapida diffusione della rete e dei social ha causato al sistema di informazione e disinformazione mediatica, politica e militare operativo tra gli Stati e tra i governi di questi e i loro cittadini2.

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resistenzealnanomondo

Il Great Reset fase 2: Guerra

di winteroak – da un inviato speciale

gs beijingMentre la pandemia ha acclimatato il mondo al lockdown, normalizzato l’accettazione di farmaci sperimentali, accelerato il più grande trasferimento di ricchezza alle multinazionali decimando le PMI e adattato la memoria muscolare delle operazioni della forza lavoro in preparazione per un futuro cibernetico, è stato necessario un vettore aggiuntivo per accelerare il collasso economico prima che le nazioni possano “ ricostruire meglio “.

Di seguito presento diversi modi in cui l’attuale conflitto tra Russia e Ucraina è il prossimo catalizzatore dell’agenda Great Reset del World Economic Forum , facilitato da una rete interconnessa di stakeholder globali e da una rete diffusa di partenariati pubblico-privato.

 

1. La guerra tra Russia e Ucraina sta già provocando un’interruzione senza precedenti delle catene di approvvigionamento globali, esacerbando la carenza di carburante e inducendo livelli cronici di inflazione.

Mentre le tensioni geopolitiche si trasformano in un conflitto prolungato tra la NATO e l’asse sino-russo, una seconda contrazione potrebbe far precipitare l’economia nella stagflazione .

Negli anni a venire, la combinazione di crescita inferiore alla media e inflazione incontrollata costringerà una sottoclasse economica globale a contratti di micro-lavoro e posti di lavoro a basso salario in una gig economy emergente.

Un’altra recessione aggraverà la sete di risorse globali, restringerà la portata dell’autosufficienza e aumenterà significativamente la dipendenza dai sussidi governativi.

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effimera

Produzione-distruzione-guerra. Il trittico mortale del capitalismo

di Giorgio Griziotti

Recensione del libro di Maurizio Lazzarato:

L’intollerabile presente, l’urgenza della rivoluzione. Classi e minoranze, ombre corte, Verona 2022

L’intolérable du présent, l’urgence de la révolution. Minorités et classes, Eterotopia France, Paris 2022 (edizione francese, uscita in gennaio)

lazzarato84L’attualità della grave guerra scoppiata in piena Europa proprio mentre stavo scrivendo questa nota ha acceso il led per la comprensione dell’ultimo capitolo del libro di Maurizio Lazzarato pubblicato recentemente per i tipi di Ombre Corte. C’è da dire che l’insistenza dell’autore sul concetto di guerra come chiave di lettura del capitalismo sin dalla Prima Guerra mondiale, non mi aveva completamente convinto. In fondo le guerre non solo sono sempre esistite ma secondo gli etologi pare che gli umani abbiano ereditato questa propensione da certi primati che arrivano a combattersi mortalmente per la conquista del territorio vitale.

L’originalità della tesi sul concetto di guerra, esposta da Lazzarato già nel passato[1], sta proprio nel fatto che “il capitalismo è contemporaneamente un modo di produzione e un modo di distruzione e autodistruzione…. e che la guerra mostra l’enorme produttività di questa macchina integrata” come sostenuto da Keynes quando “affermava che solo la guerra poteva verificare la pertinenza del suo sistema economico, dal momento che essa spinge al limite le capacità produttive.” (Pag. 231). Questa enorme produttività è finalizzata alla distruzione e quando la macchina capitalista gira a pieno regime porta alla catastrofe.

“Invece di celebrare Schumpeter e la sua nota formula della ‘distruzione creatrice’, bisognerebbe considerare che essa sta portando all’autodistruzione dell’umanità (e di parte delle altre specie)” tramite ogni sorta di guerra compresa ovviamente quella alla biosfera mentre il “marxismo non ha saputo analizzare le rotture operate dalle guerre, proprio perché [anche lui è] ossessionato dalla produzione.” Pag. 233)

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sollevazione2

La posta in gioco

di Leonardo Mazzei

crisi ucraina linkiestaLa propaganda è assordante, la ragione è oscurata. Inutile soffermarsi sui mille esempi che ce lo dimostrano. Basta accendere la tv, sfogliare qualsivoglia giornale, per averne la riprova in ogni minuto di queste tetre giornate di guerra.

Inutile, seppur doveroso, anche il mostrare l’ipocrisia ed il doppiopesismo della politica e dei media occidentali. In Ucraina muoiono civili e bambini, nelle guerre americane che hanno insanguinato il primo ventennio del secolo invece no. Ma su questo rimandiamo al bell’articolo scritto in proposito da Franco Cardini.

C’è tuttavia un’infamia che le supera tutte, l’attribuzione delle ragioni del conflitto alla presunta malvagità – peggio, alla “pazzia” – di un uomo. Questo modo di presentare le cose ha tanti scopi: criminalizzare l’avversario, rendere nei fatti impossibile qualunque trattativa, preparare il mondo ad un’escalation per mettere in ginocchio la Russia.

Già, l’escalation… A leggere i giornaloni essa sembrerebbe il frutto della supposta avventatezza di Putin. Ma è così? Un gongolante Edward Luttwak, il dottor Stranamore più noto delle nostre tv, ha affermato entusiasticamente il contrario: «C’è un’escalation, ma l’escalation è dal lato occidentale». Difficile non essere d’accordo.

E’ chiaro che siamo entrati in una partita mortale, uno scontro che non ammette vie di fuga, alla fine del quale ci sarà un vincitore ed un vinto, ma ci sarà soprattutto un quadro internazionale profondamente diverso da quello precedente alla crisi ucraina.

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lacausadellecose

Il caos capitalistico riflesso in Ucraina

di Michele Castaldo

Ivan Vladimirov escort of prisonersI fatti di questi giorni non sono un fulmine a ciel sereno, Putin avrebbe perso all’improvviso i lumi della ragione e ha deciso di scatenare la guerra contro l’Ucraina, come si tenta di far credere, oppure per la sete espansionistica che mirerebbe a restaurare il vecchio impero zarista. Le cose sono molto più semplici e molto più complicate al tempo stesso.

Che si cerca di accerchiare la Russia attraverso la Nato fino ai confini ucraini, dovremmo ricordare che ci sono stati accordi firmati dalle potenze occidentali con la Russia all’indomani dell’implosione dell’Urss. E in quegli accordi si stabiliva che la Nato non avrebbe dovuto raggiungere i confini con la Russia, e in modo particolare attraverso l’Ucraina. Accordi, scritti e firmati, non chiacchiere. Dopodiché la Nato, ovvero gli Usa e le maggiori potenze economiche europee hanno risucchiato uno a uno tutti i paesi che si erano liberati dall’orbita sovietica, in modo particolare a Est, ma anche a Nord. E la Russia ha subito.

Vogliamo essere oltremodo chiari: le repubbliche che si sono liberate dall’influenza della ex Urss non lo hanno fatto esclusivamente su ordine dei comandi occidentali, lo hanno fatto anche perché attratti dalle luci scintillanti dell’Occidente. Dunque le Repubbliche baltiche, la Polonia, la stessa Ucraina, la Romania, l’Ungheria abbandonarono una nave ritenuta ormai in via di affondamento, e per aspirare a uno sviluppo autoctono della propria economia incominciarono a occhieggiare con l’Occidente e l’Occidente accolse volentieri nel suo seno nuove possibilità di mercato e un nuovo proletariato da sfruttare. Altrimenti detto: nuova linfa per rilanciare l’insieme del modo di produzione capitalistico che mostrava qualche affanno proprio lì nel suo cuore pulsante.

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marxismoggi

Ucraina: guerra “locale” e crisi mondiale

di Osvaldo Coggiola*

755fd09c7f44132d3ded7d2204c4397a kpFH U33201820337414MQH 656x492Corriere Web SezioniQuella in corso è una guerra per riconfigurare la politica internazionale di un mondo capitalista in crisi e decadenza.

La guerra in Ucraina è l’espressione del trasferimento della crisi mondiale dal terreno economico e politico a quello bellico, e avrà ripercussioni nel mondo intero, anche militari, a cui nessun paese potrà sottrarsi, e da cui nessuna forza politica potrà lavarsene le mani, dichiarandosi neutrale o difendendo una posizione “equidistante”. Sebbene la Russia appaia come l’“aggressore”, il clima politico della guerra è stato accuratamente preparato dai principali media occidentali, premendo sui rispettivi governi, al punto in cui un ricercatore australiano ha concluso, alla vigilia del 24 febbraio, che “il progetto per un’invasione sembra essere già stato scritto, e non precisamente dalla penna del leader russo. I pezzi sono tutti al loro posto: l’ipotesi dell’invasione, la promessa attuazione delle sanzioni e limiti nell’ottenimento di finanziamenti, oltre a una decisa condanna”.

Poco o niente è stato detto da parte dei principali media occidentali sul fatto di come si è espansa l’alleanza sotto la sigla della NATO, dopo lo scioglimento e dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, espansione avvenuta ogni volta in modo più minaccioso per la Federazione Russa, quale principale stato succeduto all’ex federazione di nazioni che costituivano l’URSS.

Gli stessi Usa che puntano all’estensione della NATO fino agli stessi confini della Russia, mirando, dietro pressioni e ricatti militari, alla penetrazione dei propri capitali in tutto il territorio ex sovietico, hanno annunciato poco prima una forte ripresa della propria crescita economica simultaneamente al maggior bilancio militare della propria storia, due fatti che sono intimamente connessi.

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paneerose

Lo shock pandemico accelera la tendenza capitalistica alla concentrazione e all'espropriazione

di Partito comunista internazionale

Ci è stato segnalato questo ampio contributo apparso su “il programma comunista”, n.3, maggio-giugno 2021. Ritenendolo utile ai fini del dibattito, lo pubblichiamo

Jappe1) Emergenza permanente

La “pandemia” da Covid è senz'altro uno di quegli eventi che determinano delle svolte, non solo come emergenza sanitaria, ma come avvio di una nuova emergenza più generale e indeterminata nel tempo, elevata a metodo di gestione politica dell'emergenza sociale ed economica.

La portata dell'evento, per le ricadute che sta generando, è paragonabile a quello che, ad inizio millennio, ha dato il via alla lunga stagione della “guerra al terrorismo” di matrice islamica, di cui ancora oggi si patiscono i postumi. Se è vero che quella guerra non è servita, com'era nelle intenzioni di chi l'ha scatenata, a riaffermare il ruolo degli Stai Uniti come unica potenza mondiale e a interromperne il declino, oggi che gli attentati si vanno riducendo per portata e frequenza rimane intatta la legislazione emergenziale che si è instaurata un po' ovunque, a cominciare dal Patriot Act negli Stati Uniti. Come l'attentato alle Torri Gemelle – i cui risvolti rimangono per molti aspetti tutt'altro che chiari – generò a suo tempo delle conseguenze planetarie, altrettanto accade con l'insorgenza Covid, le cui ripercussioni sembrano però estendersi ben oltre l'indirizzo securitario e guerrafondaio che seguì all'11 settembre, e assumere una valenza più generale e un'incidenza più profonda. Non siamo in grado di affermare quale sia stata l'effettiva origine di eventi così straordinari, accomunati dalla manifesta, clamorosa inefficienza degli organismi civili e militari preposti alla prevenzione e al contrasto di simili catastrofi, organismi per altro forti di una potentissima dotazione di mezzi di previsione e intervento. Tuttavia, anche accettando le versioni ufficiali, non v'è dubbio che quegli eventi abbiano avviato una azione generale di contenimento e soluzione delle contraddizioni capitalistiche. Come dopo l'11 settembre, anche l'emergenza pandemica ha portato all'introduzione di elementi propri di una situazione di guerra.

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operaviva

Resistere alla barbarie

Gaia secondo Isabelle Stengers

di Francesco Demitry

Claire Fontaine Untitled Nuclear Family 2013 1 1628x1375Questo libro, tradotto da Nicola Manghi e pubblicato dalla casa editrice Rosenberg&Sellier, Nel tempo delle Catastrofi. Resistere alla barbarie a venire, è ricchissimo di spunti e attraversa in circa centosettanta pagine alcune delle principali problematiche poste dall’autrice, Isabelle Stengers, nei suoi scritti. Nel tentativo di recensire questo testo ho cercato di connetterne alcuni passaggi con altri testi di Stengers, così da aprire ad altri rimandi e indicare possibili strade da percorrere.

Vorrei cominciare allora da una problematica, quella della Natura, affrontata e sviluppata continuamente dall’autrice, anche e soprattutto in rapporto con la scienza. Nel 1979 Ilya Prigogine e Isabelle Stengers scrivono La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, riprendendo, tra gli altri, Nietzsche contro l’approccio scientifico che aveva tentato di ridurre la natura all’impotenza: una scienza che si era accorta della potenza della natura «creatrice e distruttrice» e che aveva provato a «soffocarne i ruggiti»; una scienza che prova a far tacere le forze sotto il «segno dell’equivalenza» ma che deve fare i conti con le «differenze» che, come effetto, producono altre «differenze». E proprio da qua ripartono gli autori, scrivendo che:

Questa convinzione che la natura non sia un sistema ordinato, ma l’eterno dispiegarsi di una potenza produttrice di effetti antagonisti, contrapposti in una lotta per la supremazia e il dominio, ha certamente radici e risonanze filosofiche; tuttavia nulla ci vieta d’udirvi anche il rumore delle macchine; non degli apparecchi da laboratorio, ma delle macchine industriali che, in meno di un secolo, avevano prodotto effetti incommensurabili con quelli delle macchine semplici, le ispiratrici della scienza classica, mosse soltanto dall’acqua, dal vento e dal lavoro animale od umano1.

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neronot

Un concerto di cigni starnazzanti (e neri)

di Franco Bifo Berardi

Crisi russo-ucraina, declino USA, depressione, eventi impensabili: a che serve l’ottimismo quando la prospettiva è il caos?

bifo cignoStento a crederci. Forse c’è qualcosa che non funziona più bene nella mia testa: quel che accade non riesco a spiegarmelo.

In Italia non se ne parla neanche, siamo impegnati a eleggere l’uomo della Goldmann Sachs oppure un altro chissenefrega. Ma quello che sta accadendo alla frontiera orientale del continente è la situazione più prossima alla guerra atomica che io abbia visto in vita mia. Avevo undici anni ai tempi della crisi dei missili per Cuba, e ricordo che non si parlava d’altro. Oggi nessuno parla più con nessuno, zitti e Mosca. A proposito, ricapitoliamo i fatti.

Quando Biden parlò alla nazione in agosto, quando disse “war in Afghanistan is over” mentre i suoi collaboratori afghani si accalcavano all’aeroporto, rincorrevano gli aerei in partenza, si attaccavano alle ali e cadevano giù da mille metri di altezza, pensai: quest’uomo è finito, ma il problema è che gli Stati Uniti d’America saranno ora costretti a fare i conti con se stessi.

Dopo due catastrofiche guerre concluse in modo ignominioso, con l’Iraq trasformato in terreno di guerra perenne, consegnato in parte all’arcinemico iraniano, e l’Afghanistan restituito ai talebani, pensavo che il ceto dirigente americano avrebbe preso per lo meno una pausa di riflessione.

Per qualche ragione che fatico a capire, Biden ha invece pensato che, perdute due guerre regionali contro nemici militarmente primitivi, il solo modo per ristabilire l’onore dell’America e per recuperare l’appoggio del suo popolo che si prepara a nuove elezioni, era lanciare una guerra contro un regime granitico nel suo nazionalismo, e dotato di un arsenale atomico che può annientare il genere umano.

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theunconditional

Pandemia e strategia economica: una trama inestricabile

di Alastair Crooke

Benedetto Cristofani handelsblatt corona bull cristofaniTre anni fa, parlando degli sforzi per far rientrare in patria dall’Asia i posti di lavoro persi dai colletti blu americani, avevo detto ad un professore americano dell’US Army War College di Washington che questi posti di lavoro non sarebbero mai ritornati. Erano perduti per sempre.

Il professore aveva replicato che era proprio così, ma che ero io a non capire il punto. L’America non si aspettava, né voleva, che ritornasse in patria la maggior parte di quei banali posti di lavoro dell’industria manifatturiera. Avrebbero dovuto rimanere in Asia. Le élite, aveva continuato, volevano solo i posti di comando del settore tecnologico. Volevano la proprietà intellettuale, i protocolli, le metriche, il quadro normativo che avrebbe permesso all’America di caratterizzarsi ed espandersi nei prossimi due decenni di evoluzione tecnologica globale.

Il vero dilemma però, secondo lui, era: “Cosa bisognerebbe fare di quel 20% della forza lavoro americana che non sarà più necessaria, che non servirà più per il funzionamento di un’economia a base tecnologica?”

In effetti, quello che il professore aveva sottolineato era solo uno dei tanti aspetti di un dilemma economico fondamentale. Negli anni settanta e ottanta le aziende statunitensi si erano impegnate a delocalizzare in Asia il costo del lavoro. In parte per tagliare le spese e aumentare la redditività (e così era stato) ma anche per una motivazione più profonda.

Gli Stati Uniti sono sempre stati un impero espansionistico, sempre alla ricerca di nuove terre, di nuovi popoli e delle loro risorse umane e materiali da sfruttare. Il movimento in avanti, la continua espansione militare, commerciale e culturale è la linfa vitale di Wall Street e della sua politica estera.

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neronot

Rassegnatevi / 3

L’indignazione fa male alla salute, la volontà non può nulla. E allora? Passivismo unica via!

di Franco «Bifo» Berardi

BIFO COVER 5Indignatevi! è il titolo di un libro di Stéphane Hessel (2010) che ebbe una certa influenza negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008, quando il movimento Occupy tentò di opporsi all’arroganza del ceto dominante e all’impoverimento che venne imposto alla società per ripagare il debito delle banche.

Ci indignammo in gran numero e marciammo nelle vie di New York, di Genova, del Cairo e di Hong Kong, ma l’automa finanziario prevalse, e la logica degli algoritmi costrinse i lavoratori a rinunciare a ogni residuo governo politico sulle vicende dell’economia. 

L’estate greca del 2015 fu il momento culminante dell’indignazione, ma anche dell’impotenza: il 62% degli elettori disse No alle ingiunzioni della finanza centrale europea, ma due giorni dopo Alexis Tsipras fu costretto a firmare l’imposizione depredatrice, e a quel punto tutti capimmo che la democrazia era finita proprio dove 25 secoli fa l’avevano inventata.

Da allora abbiamo continuato a indignarci, ma l’indignazione impotente fa male alla salute. E la salute della società è andata di male in peggio, soprattutto quella mentale. 

So che non è possibile liberarsi della rabbia con un gesto di volontà, ma è utile sapere che da decenni l’equilibrio mentale della popolazione è corroso dal combinato disposto di indignazione per l’intollerabile, e inesorabilità dell’impoverimento e dell’umiliazione prescritti dalla logica degli algoritmi finanziari. 

Poiché la volontà non può nulla contro un sistema di automatismi astratti, è utile elaborare la rabbia perché evolva in estraneità e quindi autonomia.

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finimondo

Il dado è tratto

di Avis de tempêtes

riscaldamento globale terra AdobeStock 170021331 kIxH 835x437IlSole24Ore WebIl mondo accelera. Ciò che resiste si fa calpestare dal gran balzo in avanti. Se diventa ogni giorno più evidente che il cambiamento climatico è diventato irreversibile, la pressione nelle caldaie dello scafo infernale di questa civiltà-Titanic aumenta, alimentata dall'illusione che un crescendo tecnico possa ripristinare gli equilibri turbati. Da parte dei ribelli, si tarda ancora troppo ad affrontare questa realtà ed a trarne le debite conseguenze, magari provvisorie, per il nostro agire e le nostre prospettive di lotta. Tuttavia i giochi sono fatti ed è a partire da qui che dovremmo riflettere.

 

Troppo tardi

Se mai è esistita una qualche possibilità di far deviare il treno dall'espansione industriale attraverso una decisione politica del gestore della rete per invertire, o perlomeno rallentare il processo del cambiamento (una convinzione illusoria, dato che la sopravvivenza della mega-macchina non può essere disgiunta dalla crescita produttiva), essa si trova ormai alle nostre spalle. Nessuna misura, per quanto totalitaria o faraonica, potrà disinnescare questo processo già molto avanzato. Il cambiamento climatico è un fatto; la sola cosa che resta aperta alla speculazione (e qualsiasi approccio scientifico che pretenda di elaborare un modello preciso e globale del fenomeno non può che rimanere cieco — una deformazione professionale, probabilmente — davanti all’assoluta impossibilità di prevedere un fenomeno di tale ampiezza, di tale grandezza, da fattori tanto vari quanto ignoti), è il suo ritmo, le sue conseguenze immediate e, a medio termine, ciò che accadrà dopo il tracollo degli eco-sistemi locali.

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neronot

Rassegnatevi/2

di Franco «Bifo» Berardi

È tempo di accompagnare il collasso, assecondare il caos: perché resistere può rallentare la catastrofe, ma non può fermarla

bifo imgL’opzione nucleare

La variante Omicron gli sta bene come un vestitino nuovo ai torvi vecchi bianchi che hanno voluto tenersi per sé tutte le fialette. Così il virus ha circolato liberamente nelle zone in cui la privatizzazione del sapere bio-tecnico rende inaccessibile il vaccino. E il virus è tornato più vispo che mai. Non tanto cattivo, però, a quanto pare: la variante Omicron è piccola piccola come il nome suggerisce, e non fa molto male; anche se tutto il sistema dei media ha ripreso a suonare la grancassa del terrore sanitario, anche se si sono bloccati i viaggi da molti paesi a molti paesi, in due settimane pare che questa variante circoli veloce, ma non ammazzi molti umani sul pianeta.

In compenso molti umani si ammazzano fra loro.

Alla High School di Oakland il quindicenne Ethan Crumbley ha ucciso a fucilate quattro suoi colleghi adolescenti. E Thomas Massie, membro del Congresso americano ha pubblicato una foto dell’intera famiglia con l’albero di Natale. Tutti i sette biondi grassocci familiari (moglie e figli) sorridono felici e imbracciano mitragliatrici e fucili di precisione. Il rappresentante del Kentucky ha commentato con la spiritosa scritta “Santa, bring ammo!”: Babbo Natale, portaci delle munizioni.

Il Presidente di quel popolo armato fino ai denti minaccia la Russia dell’opzione nucleare (i giornali la chiamano così) che consiste nell’escludere la Russia da SWIFT, codice di accesso al sistema finanziario internazionale. Timidamente l’Europa si accoda e sussurra: la Russia pagherà care le conseguenze di un’invasione dell’Ucraina.

Non so se Putin ha intenzione di mandare le truppe a Kiev durante il prossimo inverno. So che possiede il rubinetto del gas e potrebbe chiuderlo lasciando l’Europa al gelo, così vediamo come va a finire.

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The Great Reset: un libro per tutti e per nessuno

di Joe Galaxy

chessboard“Ci dominate per il nostro bene” disse con un filo di voce. “Credete che gli esseri umani non siano adatti a governarsi da soli, perciò…”

-George Orwell, 1984

Si può dire, in fondo, che il motto del liberalismo sia “vivere pericolosamente”. Vale a dire che gli individui sono messi continuamente in stato di pericolo o, meglio, che sono posti nella condizione di esperire la loro situazione, la loro vita, il loro presente, il loro avvenire, ecc., come fattori di pericolo… Si pensi, ad esempio, alla campagna sulle casse di risparmio dell’inizio del XIX secolo, alla comparsa della letteratura poliziesca e dell’interesse giornalistico per il crimine a partire dalla metà del XIX secolo, si pensi a tutte le campagne riguardanti la malattia e l’igiene, si consideri tutto ciò che accade intorno alla sessualità e alla paura delle degenerazione: degenerazione dell’individuo, della famiglia, della razza, della specie umana; insomma dappertutto si può vedere questa stimolazione del timore del pericolo, che è in qualche modo la condizione, il correlativo – psicologico, culturale, interno – del liberalismo. Niente liberalismo senza cultura del pericolo… Libertà economica, liberalismo nel senso che ho appena detto, e tecniche disciplinari sono strettamente connesse

-Michel Foucault, La questione del liberalismo

E poi bisognerebbe riflettere su quelli che, incapaci (a loro merito) di stare nell’ossessivo discorso maggioritario, ma drasticamente privi di strumenti critici, sono caduti (a loro rischio) in alter-narrazioni tossiche. Non sorprende, d’altronde, che dopo decenni di banalizzazione della lingua, di colonizzazione dell’immaginario e di guerra alla complessità, le più sciape storie dell’orrore possano suonare credibili. Da un certo punto di vista, questi nuovi “credenti” rappresentano una catastrofe e una fatica di Sisifo per chi, oltre a non stare nella narrazione maggioritaria, deve poi anche smarcarsi da questa galassia. Ma c’è qualcosa che va osservato e, se possibile, contattato: la qualità umana di chi trova così atroce quel che va accadendo, da ipotizzare che possa esser giustificato solo da qualcosa di altrettanto atroce

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lafionda

Crisi del Covid-19, finanza, oligarchia: appunti per una battaglia antiegemonica

di Matteo Bortolon

Bevilacqua primo articoloLa necessità di individuare la traiettoria strategica del sistema dominante in relazione agli sviluppi della crisi del COVID-19 è una urgenza improrogabile. La misura delle mutazioni in atto è tale da far parlare di una Grande Trasformazione quale fu individuata da Polanyi negli anni Quaranta. Anche se tale valutazione fosse esagerata, per comprenderne la reale portata occorre una visione critica rigorosa e razionale, capace di costruire un posizionamento forte contro le manovre dell’oligarchia al comando.

Ci sono pochi dubbi che il mondo della finanza e dell’economia siano al centro di esse. Ovviamente la gestione della pandemia poteva essere assai diversa, sia in termini di scelta nelle misure di contenimento che di preferenza rispetto agli interessi da tutelare. In effetti, se le modalità differiscono grandemente da Stato a Stato, il tentativo di salvare gli interessi dominanti è generale, lasciando sul campo un amplificazione della diseguaglianza, come riporta senza eufemismi la stessa Banca dei Regolamenti Internazionali. Tale generalità tuttavia va tenuta assieme alla forte rivalità geopolitica, commerciale e militare fra le maggiori potenze – senza esclusione di colpi, fra cui golpe, dislocazioni di truppe e vere e proprie operazioni belliche – il che rende abbastanza improbabile una strategia unitaria che possa sussumere e bypassare i differenti interessi nazionali. Ma allora quali sono i tratti comuni?

 

Il peso della finanza

Da diversi anni una pubblicistica militante denuncia la “dittatura della finanza”, ed i guasti da essa provocati. Si tratta di una ampia letteratura che spazia da complottismi abbastanza arditi ad analisi sociologiche più sottili, generalmente incentrati sulle figure apicali delle dinamiche di accumulazione finanziaria che intascano fantastici guadagni acquisendo un potere fuori da controlli democratici: hedge fund, equity, fondi pensione, fondi-avvoltoio, investitori internazionali e banche di investimento.

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lafionda

Il Covid lungo dei banchieri centrali

di Fabio Vighi

Kandinskij Composizione IVPer tutta la vita le pecore hanno paura del lupo, ma poi vengono mangiate dal pastore.
Proverbio africano

La gestione sanitaria del COVID-19 ci appare oggi, essenzialmente, come sintomo della degenerazione del capitale finanziario. Più in generale, è il sintomo di un mondo che, non essendo più in grado di riprodursi estraendo profitto dal lavoro umano, si affida a una logica compensativa di doping monetario perpetuo. La ‘pandemia’, in altre parole, è la leva di comando delle stampanti di denaro in mano alle banche centrali (Federal Reserve in testa). Se la contrazione strutturale dell’economia del lavoro finisce giocoforza per gonfiare il settore finanziario, la volatilità di quest’ultimo può essere contenuta solo attraverso emergenze globali, propaganda di massa, e sottomissione agli imperativi della biosicurezza. Come uscire da questo circolo vizioso?

A partire dalla terza rivoluzione industriale (microelettronica negli anni ’70), il capitalismo automatizzato (ovvero a sempre più alta ‘composizione organica’, per dirla con Marx) ha gradualmente distrutto il lavoro salariato quale sua propria sostanza. Da tempo abbiamo superato il punto di non ritorno, per cui molto più lavoro viene eliminato di quanto ne venga riassorbito. A causa dell’incremento esponenziale del progresso tecnologico, il capitale è dunque sempre più impotente rispetto alla sua missione storica di spremere plusvalore dalla forza-lavoro. Con l’arrivo dell’intelligenza artificiale (quarta rivoluzione industriale), ci troviamo di fronte a una vera e propria mission impossible – game over.

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La Cina è ad un punto di svolta?1

di Michael Roberts

external content.duc90856t75Questa settimana si sono aggravati i problemi del debito che affliggono il mercato immobiliare cinese dopo il default di un’altra agenzia immobiliare causato dalle sue obbligazioni e dopo che Evergrande, il gruppo immobiliare più fortemente indebitato al mondo2, ha protratto per un secondo giorno la sospensione delle sue azioni senza dare spiegazioni. Fantasia Holdings, un’agenzia di medie dimensioni, che solo poche settimane fa ha rassicurato agli investitori di non avere "problemi di liquidità", ha dichiarato in una presentazione effettuata in Borsa che lunedì "non ha effettuato il pagamento" di un'obbligazione da 206 milioni di $ in scadenza quel giorno, innescando formalmente un default formale. L'insolvenza si aggiunge ai timori che la crisi di Evergrande possa diffondersi includendo un numero elevato di agenzie immobiliari cinesi, che rappresentano gran parte del mercato obbligazionario asiatico ad alto rendimento.

Il 23 settembre Evergrande non ha pagato degli interessi su un'obbligazione off-shore, innescando una proroga di 30 giorni prima di un default formale, e non ha ancora fatto alcun annuncio in merito. Ma anche prima che la crisi del debito del China Evergrande Group mandasse in tilt il settore immobiliare del paese, le società immobiliari cinesi erano impegnate nel riuscire a guadagnare abbastanza per pagare gli interessi sul loro debito. Alla fine di giugno, secondo i calcoli di Reuters basati sui dati Refinitiv, la quota aggregata di copertura degli interessi dei 21 grandi gruppi immobiliari cinesi quotati a Hong Kong è sceso a 0,94, il peggior risultato da almeno un decennio3.

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Lo stormo snobbato di cigni neri che popola le catene globali di approvvigionamento 

di Fabrizio Russo

containerIn retrospettiva sembra oggi impossibile che le principali autorità monetarie ed una pletora di osservatori mainstream qualificati non siano riusciti a cogliere, in un tempo peraltro ragionevole e quindi “per tempo”, la progressiva evoluzione delle condizioni di scenario delle principali economie occidentali da sostanzialmente deflattive – caratteristica propagata con forza pervasiva dal lungo processo di globalizzazione – a fortemente inflation-friendly.

Di cosa stiamo parlando? Della serie di eventi che si è stratificata nel giro di una decina di trimestri! Elenchiamoli, in modo sommario, iniziando da uno dei primi seri avvenimenti che hanno intaccato alla base il processo di globalizzazione – che forse sta declinando ma più probabilmente sta solo mutando profondamente – come oggi lo conosciamo: la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, cominciata dall’Amministrazione Trump nel tentativo di ribilanciare lo squilibrio commerciale USA verso l’ormai affermata potenza economico-produttiva asiatica.

Mi permetto di definire questo evento come “serio” perché, sebbene avessi da tempo – anche per formazione accademica – iniziato a riflettere sul tema dell’inflazione, è da quel momento che ho preso seriamente l’ipotesi di una ripartenza sostenuta, del ciclo dei prezzi al consumo, o perlomeno di una loro forte fiammata.

A partire dal luglio 2018 l’introduzione di dazi su diverse produzioni cinesi (inizialmente il 25% su 34 mld di USD in controvalore) ha infatti comportato un immediato aumento dei prezzi lordi all’importazione. L’economia USA all’epoca marciava a velocità ancora sostenuta ed una parte significativa degli aumenti si è riversata sui consumatori finali, come è possibile verificare dal seguente grafico di Goldman Sachs diffuso da CNBC:

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tempofertile

Le quattro sfide: clima, energia, pan-sindemia, politica

di Alessandro Visalli

riscaldamento climatico cambiamenti climatici pianeta terra 720x390La prima sfida: crisi climatica

Viviamo in un mondo in cui abbiamo ormai superato i 7,8 miliardi di abitanti e che cresce del 1,2 % all’anno (quindi raggiungerà gli 8 miliardi nel 2025 e i 9,1 nel 2050); in cui la Cina, con 1,43 miliardi di abitanti è il paese più affollato, seguito dall’India con 1,3 miliardi e –a grande distanza- dagli USA con 329 milioni, poi l’Indonesia. Un mondo in cui la popolazione urbana è, in termini assoluti, più numerosa della popolazione rurale (3,15 miliardi di persone vivono in città), e sarà sempre più così, dato che l’88 % della crescita della popolazione avverrà nelle città dei paesi in via di sviluppo.

Per comprendere i termini del problema che questo semplice fatto provoca si può usare il concetto di “impronta ecologica”[1], potente metafora promossa dal WWF. Si tratta di una semplice applicazione del concetto di “capacità di carico”; molto usato, e talvolta molto criticato, nella pianificazione del territorio.

Nel 2020 l’impronta ecologica mondiale era stimabile in ca 2,7 ha globali pro capite (cioè 18 miliardi di ettari), mentre la biocapacità del pianeta era stimabile in 1,5 ettari pro capite (12 miliardi di ettari). È dagli anni ottanta che l’impronta ecologica ha superato la biocapacità del pianeta ed oggi, come si vede è del 30 % eccedente.

Più in dettaglio, secondo le valutazioni fatte: la Cina e gli USA usano ciascuno il 21 % della biocapacità del pianeta (ma mentre la Cina lo fa con 1,43 miliardi di persone gli USA lo fanno con 304 milioni); l’India ha l’impronta successiva con il 7 % (su una popolazione di 1,3 miliardi).

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ilponte

Il caos e la necessità

di Lanfranco Binni

Pellizzoni Crisi climatica e nuove mobilitazioni ecologiche e1576575939784Un caos apparente (ma non è solo una questione di limitata visione antropocentrica) sta sconvolgendo il mondo. Cause, processi in corso e conseguenze di devastanti cambiamenti climatici, crisi economiche strutturali, strategie sanitarie e militari, malthusiane diseguaglianze sociali, sistemi politici corrotti a difesa di vecchie sporche società, si intrecciano e confliggono in un caleidoscopio impazzito, sbarrato il futuro, negate sorti “magnifiche” e regredite. Saltano le dimensioni temporali e le “progressive” categorie politico-economiche-culturali di “modernità”, “sviluppo”, “crescita”, “speranza” in un futuro migliore. Geopolitica e vita quotidiana dei “soggetti della Storia” (sudditi e ribelli) si intrecciano e si confondono in paesaggi drammatici e instabili, dominati dalla paura e dai condizionamenti di una lugubre sopravvivenza, in attesa di nuovi bombardamenti economici, di nuove catastrofi ambientali, di nuove pandemie. Su questi temi, oggi brutalmente centrali, intervengono numerosi autori di questo numero, tutti accomunati da una profonda e necessaria cognizione del tragico: analisi puntuali e urgenti, senza concessioni a illusori inganni, tenacemente tese a trasformare la comprensione dei dati di realtà (in orizzontale nel mondo globale e in verticale nelle dinamiche biopolitiche) nella necessità di elaborare e sviluppare strategie di radicali “rivolgimenti” e di processi teorico-pratici di liberazione. Nuovi processi in corso, per un altro mondo necessario. Come insegnò Brecht in Me-ti. Libro delle svolte, «Mi-en-leh indicava molte condizioni necessarie per il rivolgimento. Ma non conosceva momenti in cui non vi fosse da lavorare per esso». Brecht scrisse il suo «libretto in stile cinese, di regole di comportamento», durante l’esilio danese tra 1934 e 1937, negli anni di propagazione dell’infezione fascista e della peste nazista in Europa e di preparazione dei grandi massacri della Seconda guerra mondiale. «Me-ti insegnava: I rivolgimenti avvengono nei vicoli ciechi».