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theunconditional

Pandemia e strategia economica: una trama inestricabile

di Alastair Crooke

Benedetto Cristofani handelsblatt corona bull cristofaniTre anni fa, parlando degli sforzi per far rientrare in patria dall’Asia i posti di lavoro persi dai colletti blu americani, avevo detto ad un professore americano dell’US Army War College di Washington che questi posti di lavoro non sarebbero mai ritornati. Erano perduti per sempre.

Il professore aveva replicato che era proprio così, ma che ero io a non capire il punto. L’America non si aspettava, né voleva, che ritornasse in patria la maggior parte di quei banali posti di lavoro dell’industria manifatturiera. Avrebbero dovuto rimanere in Asia. Le élite, aveva continuato, volevano solo i posti di comando del settore tecnologico. Volevano la proprietà intellettuale, i protocolli, le metriche, il quadro normativo che avrebbe permesso all’America di caratterizzarsi ed espandersi nei prossimi due decenni di evoluzione tecnologica globale.

Il vero dilemma però, secondo lui, era: “Cosa bisognerebbe fare di quel 20% della forza lavoro americana che non sarà più necessaria, che non servirà più per il funzionamento di un’economia a base tecnologica?”

In effetti, quello che il professore aveva sottolineato era solo uno dei tanti aspetti di un dilemma economico fondamentale. Negli anni settanta e ottanta le aziende statunitensi si erano impegnate a delocalizzare in Asia il costo del lavoro. In parte per tagliare le spese e aumentare la redditività (e così era stato) ma anche per una motivazione più profonda.

Gli Stati Uniti sono sempre stati un impero espansionistico, sempre alla ricerca di nuove terre, di nuovi popoli e delle loro risorse umane e materiali da sfruttare. Il movimento in avanti, la continua espansione militare, commerciale e culturale è la linfa vitale di Wall Street e della sua politica estera.

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neronot

Rassegnatevi / 3

L’indignazione fa male alla salute, la volontà non può nulla. E allora? Passivismo unica via!

di Franco «Bifo» Berardi

BIFO COVER 5Indignatevi! è il titolo di un libro di Stéphane Hessel (2010) che ebbe una certa influenza negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008, quando il movimento Occupy tentò di opporsi all’arroganza del ceto dominante e all’impoverimento che venne imposto alla società per ripagare il debito delle banche.

Ci indignammo in gran numero e marciammo nelle vie di New York, di Genova, del Cairo e di Hong Kong, ma l’automa finanziario prevalse, e la logica degli algoritmi costrinse i lavoratori a rinunciare a ogni residuo governo politico sulle vicende dell’economia. 

L’estate greca del 2015 fu il momento culminante dell’indignazione, ma anche dell’impotenza: il 62% degli elettori disse No alle ingiunzioni della finanza centrale europea, ma due giorni dopo Alexis Tsipras fu costretto a firmare l’imposizione depredatrice, e a quel punto tutti capimmo che la democrazia era finita proprio dove 25 secoli fa l’avevano inventata.

Da allora abbiamo continuato a indignarci, ma l’indignazione impotente fa male alla salute. E la salute della società è andata di male in peggio, soprattutto quella mentale. 

So che non è possibile liberarsi della rabbia con un gesto di volontà, ma è utile sapere che da decenni l’equilibrio mentale della popolazione è corroso dal combinato disposto di indignazione per l’intollerabile, e inesorabilità dell’impoverimento e dell’umiliazione prescritti dalla logica degli algoritmi finanziari. 

Poiché la volontà non può nulla contro un sistema di automatismi astratti, è utile elaborare la rabbia perché evolva in estraneità e quindi autonomia.

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finimondo

Il dado è tratto

di Avis de tempêtes

riscaldamento globale terra AdobeStock 170021331 kIxH 835x437IlSole24Ore WebIl mondo accelera. Ciò che resiste si fa calpestare dal gran balzo in avanti. Se diventa ogni giorno più evidente che il cambiamento climatico è diventato irreversibile, la pressione nelle caldaie dello scafo infernale di questa civiltà-Titanic aumenta, alimentata dall'illusione che un crescendo tecnico possa ripristinare gli equilibri turbati. Da parte dei ribelli, si tarda ancora troppo ad affrontare questa realtà ed a trarne le debite conseguenze, magari provvisorie, per il nostro agire e le nostre prospettive di lotta. Tuttavia i giochi sono fatti ed è a partire da qui che dovremmo riflettere.

 

Troppo tardi

Se mai è esistita una qualche possibilità di far deviare il treno dall'espansione industriale attraverso una decisione politica del gestore della rete per invertire, o perlomeno rallentare il processo del cambiamento (una convinzione illusoria, dato che la sopravvivenza della mega-macchina non può essere disgiunta dalla crescita produttiva), essa si trova ormai alle nostre spalle. Nessuna misura, per quanto totalitaria o faraonica, potrà disinnescare questo processo già molto avanzato. Il cambiamento climatico è un fatto; la sola cosa che resta aperta alla speculazione (e qualsiasi approccio scientifico che pretenda di elaborare un modello preciso e globale del fenomeno non può che rimanere cieco — una deformazione professionale, probabilmente — davanti all’assoluta impossibilità di prevedere un fenomeno di tale ampiezza, di tale grandezza, da fattori tanto vari quanto ignoti), è il suo ritmo, le sue conseguenze immediate e, a medio termine, ciò che accadrà dopo il tracollo degli eco-sistemi locali.

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neronot

Rassegnatevi/2

di Franco «Bifo» Berardi

È tempo di accompagnare il collasso, assecondare il caos: perché resistere può rallentare la catastrofe, ma non può fermarla

bifo imgL’opzione nucleare

La variante Omicron gli sta bene come un vestitino nuovo ai torvi vecchi bianchi che hanno voluto tenersi per sé tutte le fialette. Così il virus ha circolato liberamente nelle zone in cui la privatizzazione del sapere bio-tecnico rende inaccessibile il vaccino. E il virus è tornato più vispo che mai. Non tanto cattivo, però, a quanto pare: la variante Omicron è piccola piccola come il nome suggerisce, e non fa molto male; anche se tutto il sistema dei media ha ripreso a suonare la grancassa del terrore sanitario, anche se si sono bloccati i viaggi da molti paesi a molti paesi, in due settimane pare che questa variante circoli veloce, ma non ammazzi molti umani sul pianeta.

In compenso molti umani si ammazzano fra loro.

Alla High School di Oakland il quindicenne Ethan Crumbley ha ucciso a fucilate quattro suoi colleghi adolescenti. E Thomas Massie, membro del Congresso americano ha pubblicato una foto dell’intera famiglia con l’albero di Natale. Tutti i sette biondi grassocci familiari (moglie e figli) sorridono felici e imbracciano mitragliatrici e fucili di precisione. Il rappresentante del Kentucky ha commentato con la spiritosa scritta “Santa, bring ammo!”: Babbo Natale, portaci delle munizioni.

Il Presidente di quel popolo armato fino ai denti minaccia la Russia dell’opzione nucleare (i giornali la chiamano così) che consiste nell’escludere la Russia da SWIFT, codice di accesso al sistema finanziario internazionale. Timidamente l’Europa si accoda e sussurra: la Russia pagherà care le conseguenze di un’invasione dell’Ucraina.

Non so se Putin ha intenzione di mandare le truppe a Kiev durante il prossimo inverno. So che possiede il rubinetto del gas e potrebbe chiuderlo lasciando l’Europa al gelo, così vediamo come va a finire.

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offline

The Great Reset: un libro per tutti e per nessuno

di Joe Galaxy

chessboard“Ci dominate per il nostro bene” disse con un filo di voce. “Credete che gli esseri umani non siano adatti a governarsi da soli, perciò…”

-George Orwell, 1984

Si può dire, in fondo, che il motto del liberalismo sia “vivere pericolosamente”. Vale a dire che gli individui sono messi continuamente in stato di pericolo o, meglio, che sono posti nella condizione di esperire la loro situazione, la loro vita, il loro presente, il loro avvenire, ecc., come fattori di pericolo… Si pensi, ad esempio, alla campagna sulle casse di risparmio dell’inizio del XIX secolo, alla comparsa della letteratura poliziesca e dell’interesse giornalistico per il crimine a partire dalla metà del XIX secolo, si pensi a tutte le campagne riguardanti la malattia e l’igiene, si consideri tutto ciò che accade intorno alla sessualità e alla paura delle degenerazione: degenerazione dell’individuo, della famiglia, della razza, della specie umana; insomma dappertutto si può vedere questa stimolazione del timore del pericolo, che è in qualche modo la condizione, il correlativo – psicologico, culturale, interno – del liberalismo. Niente liberalismo senza cultura del pericolo… Libertà economica, liberalismo nel senso che ho appena detto, e tecniche disciplinari sono strettamente connesse

-Michel Foucault, La questione del liberalismo

E poi bisognerebbe riflettere su quelli che, incapaci (a loro merito) di stare nell’ossessivo discorso maggioritario, ma drasticamente privi di strumenti critici, sono caduti (a loro rischio) in alter-narrazioni tossiche. Non sorprende, d’altronde, che dopo decenni di banalizzazione della lingua, di colonizzazione dell’immaginario e di guerra alla complessità, le più sciape storie dell’orrore possano suonare credibili. Da un certo punto di vista, questi nuovi “credenti” rappresentano una catastrofe e una fatica di Sisifo per chi, oltre a non stare nella narrazione maggioritaria, deve poi anche smarcarsi da questa galassia. Ma c’è qualcosa che va osservato e, se possibile, contattato: la qualità umana di chi trova così atroce quel che va accadendo, da ipotizzare che possa esser giustificato solo da qualcosa di altrettanto atroce

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lafionda

Crisi del Covid-19, finanza, oligarchia: appunti per una battaglia antiegemonica

di Matteo Bortolon

Bevilacqua primo articoloLa necessità di individuare la traiettoria strategica del sistema dominante in relazione agli sviluppi della crisi del COVID-19 è una urgenza improrogabile. La misura delle mutazioni in atto è tale da far parlare di una Grande Trasformazione quale fu individuata da Polanyi negli anni Quaranta. Anche se tale valutazione fosse esagerata, per comprenderne la reale portata occorre una visione critica rigorosa e razionale, capace di costruire un posizionamento forte contro le manovre dell’oligarchia al comando.

Ci sono pochi dubbi che il mondo della finanza e dell’economia siano al centro di esse. Ovviamente la gestione della pandemia poteva essere assai diversa, sia in termini di scelta nelle misure di contenimento che di preferenza rispetto agli interessi da tutelare. In effetti, se le modalità differiscono grandemente da Stato a Stato, il tentativo di salvare gli interessi dominanti è generale, lasciando sul campo un amplificazione della diseguaglianza, come riporta senza eufemismi la stessa Banca dei Regolamenti Internazionali. Tale generalità tuttavia va tenuta assieme alla forte rivalità geopolitica, commerciale e militare fra le maggiori potenze – senza esclusione di colpi, fra cui golpe, dislocazioni di truppe e vere e proprie operazioni belliche – il che rende abbastanza improbabile una strategia unitaria che possa sussumere e bypassare i differenti interessi nazionali. Ma allora quali sono i tratti comuni?

 

Il peso della finanza

Da diversi anni una pubblicistica militante denuncia la “dittatura della finanza”, ed i guasti da essa provocati. Si tratta di una ampia letteratura che spazia da complottismi abbastanza arditi ad analisi sociologiche più sottili, generalmente incentrati sulle figure apicali delle dinamiche di accumulazione finanziaria che intascano fantastici guadagni acquisendo un potere fuori da controlli democratici: hedge fund, equity, fondi pensione, fondi-avvoltoio, investitori internazionali e banche di investimento.

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lafionda

Il Covid lungo dei banchieri centrali

di Fabio Vighi

Kandinskij Composizione IVPer tutta la vita le pecore hanno paura del lupo, ma poi vengono mangiate dal pastore.
Proverbio africano

La gestione sanitaria del COVID-19 ci appare oggi, essenzialmente, come sintomo della degenerazione del capitale finanziario. Più in generale, è il sintomo di un mondo che, non essendo più in grado di riprodursi estraendo profitto dal lavoro umano, si affida a una logica compensativa di doping monetario perpetuo. La ‘pandemia’, in altre parole, è la leva di comando delle stampanti di denaro in mano alle banche centrali (Federal Reserve in testa). Se la contrazione strutturale dell’economia del lavoro finisce giocoforza per gonfiare il settore finanziario, la volatilità di quest’ultimo può essere contenuta solo attraverso emergenze globali, propaganda di massa, e sottomissione agli imperativi della biosicurezza. Come uscire da questo circolo vizioso?

A partire dalla terza rivoluzione industriale (microelettronica negli anni ’70), il capitalismo automatizzato (ovvero a sempre più alta ‘composizione organica’, per dirla con Marx) ha gradualmente distrutto il lavoro salariato quale sua propria sostanza. Da tempo abbiamo superato il punto di non ritorno, per cui molto più lavoro viene eliminato di quanto ne venga riassorbito. A causa dell’incremento esponenziale del progresso tecnologico, il capitale è dunque sempre più impotente rispetto alla sua missione storica di spremere plusvalore dalla forza-lavoro. Con l’arrivo dell’intelligenza artificiale (quarta rivoluzione industriale), ci troviamo di fronte a una vera e propria mission impossible – game over.

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sinistra

La Cina è ad un punto di svolta?1

di Michael Roberts

external content.duc90856t75Questa settimana si sono aggravati i problemi del debito che affliggono il mercato immobiliare cinese dopo il default di un’altra agenzia immobiliare causato dalle sue obbligazioni e dopo che Evergrande, il gruppo immobiliare più fortemente indebitato al mondo2, ha protratto per un secondo giorno la sospensione delle sue azioni senza dare spiegazioni. Fantasia Holdings, un’agenzia di medie dimensioni, che solo poche settimane fa ha rassicurato agli investitori di non avere "problemi di liquidità", ha dichiarato in una presentazione effettuata in Borsa che lunedì "non ha effettuato il pagamento" di un'obbligazione da 206 milioni di $ in scadenza quel giorno, innescando formalmente un default formale. L'insolvenza si aggiunge ai timori che la crisi di Evergrande possa diffondersi includendo un numero elevato di agenzie immobiliari cinesi, che rappresentano gran parte del mercato obbligazionario asiatico ad alto rendimento.

Il 23 settembre Evergrande non ha pagato degli interessi su un'obbligazione off-shore, innescando una proroga di 30 giorni prima di un default formale, e non ha ancora fatto alcun annuncio in merito. Ma anche prima che la crisi del debito del China Evergrande Group mandasse in tilt il settore immobiliare del paese, le società immobiliari cinesi erano impegnate nel riuscire a guadagnare abbastanza per pagare gli interessi sul loro debito. Alla fine di giugno, secondo i calcoli di Reuters basati sui dati Refinitiv, la quota aggregata di copertura degli interessi dei 21 grandi gruppi immobiliari cinesi quotati a Hong Kong è sceso a 0,94, il peggior risultato da almeno un decennio3.

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lafionda

Lo stormo snobbato di cigni neri che popola le catene globali di approvvigionamento 

di Fabrizio Russo

containerIn retrospettiva sembra oggi impossibile che le principali autorità monetarie ed una pletora di osservatori mainstream qualificati non siano riusciti a cogliere, in un tempo peraltro ragionevole e quindi “per tempo”, la progressiva evoluzione delle condizioni di scenario delle principali economie occidentali da sostanzialmente deflattive – caratteristica propagata con forza pervasiva dal lungo processo di globalizzazione – a fortemente inflation-friendly.

Di cosa stiamo parlando? Della serie di eventi che si è stratificata nel giro di una decina di trimestri! Elenchiamoli, in modo sommario, iniziando da uno dei primi seri avvenimenti che hanno intaccato alla base il processo di globalizzazione – che forse sta declinando ma più probabilmente sta solo mutando profondamente – come oggi lo conosciamo: la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, cominciata dall’Amministrazione Trump nel tentativo di ribilanciare lo squilibrio commerciale USA verso l’ormai affermata potenza economico-produttiva asiatica.

Mi permetto di definire questo evento come “serio” perché, sebbene avessi da tempo – anche per formazione accademica – iniziato a riflettere sul tema dell’inflazione, è da quel momento che ho preso seriamente l’ipotesi di una ripartenza sostenuta, del ciclo dei prezzi al consumo, o perlomeno di una loro forte fiammata.

A partire dal luglio 2018 l’introduzione di dazi su diverse produzioni cinesi (inizialmente il 25% su 34 mld di USD in controvalore) ha infatti comportato un immediato aumento dei prezzi lordi all’importazione. L’economia USA all’epoca marciava a velocità ancora sostenuta ed una parte significativa degli aumenti si è riversata sui consumatori finali, come è possibile verificare dal seguente grafico di Goldman Sachs diffuso da CNBC:

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tempofertile

Le quattro sfide: clima, energia, pan-sindemia, politica

di Alessandro Visalli

riscaldamento climatico cambiamenti climatici pianeta terra 720x390La prima sfida: crisi climatica

Viviamo in un mondo in cui abbiamo ormai superato i 7,8 miliardi di abitanti e che cresce del 1,2 % all’anno (quindi raggiungerà gli 8 miliardi nel 2025 e i 9,1 nel 2050); in cui la Cina, con 1,43 miliardi di abitanti è il paese più affollato, seguito dall’India con 1,3 miliardi e –a grande distanza- dagli USA con 329 milioni, poi l’Indonesia. Un mondo in cui la popolazione urbana è, in termini assoluti, più numerosa della popolazione rurale (3,15 miliardi di persone vivono in città), e sarà sempre più così, dato che l’88 % della crescita della popolazione avverrà nelle città dei paesi in via di sviluppo.

Per comprendere i termini del problema che questo semplice fatto provoca si può usare il concetto di “impronta ecologica”[1], potente metafora promossa dal WWF. Si tratta di una semplice applicazione del concetto di “capacità di carico”; molto usato, e talvolta molto criticato, nella pianificazione del territorio.

Nel 2020 l’impronta ecologica mondiale era stimabile in ca 2,7 ha globali pro capite (cioè 18 miliardi di ettari), mentre la biocapacità del pianeta era stimabile in 1,5 ettari pro capite (12 miliardi di ettari). È dagli anni ottanta che l’impronta ecologica ha superato la biocapacità del pianeta ed oggi, come si vede è del 30 % eccedente.

Più in dettaglio, secondo le valutazioni fatte: la Cina e gli USA usano ciascuno il 21 % della biocapacità del pianeta (ma mentre la Cina lo fa con 1,43 miliardi di persone gli USA lo fanno con 304 milioni); l’India ha l’impronta successiva con il 7 % (su una popolazione di 1,3 miliardi).

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ilponte

Il caos e la necessità

di Lanfranco Binni

Pellizzoni Crisi climatica e nuove mobilitazioni ecologiche e1576575939784Un caos apparente (ma non è solo una questione di limitata visione antropocentrica) sta sconvolgendo il mondo. Cause, processi in corso e conseguenze di devastanti cambiamenti climatici, crisi economiche strutturali, strategie sanitarie e militari, malthusiane diseguaglianze sociali, sistemi politici corrotti a difesa di vecchie sporche società, si intrecciano e confliggono in un caleidoscopio impazzito, sbarrato il futuro, negate sorti “magnifiche” e regredite. Saltano le dimensioni temporali e le “progressive” categorie politico-economiche-culturali di “modernità”, “sviluppo”, “crescita”, “speranza” in un futuro migliore. Geopolitica e vita quotidiana dei “soggetti della Storia” (sudditi e ribelli) si intrecciano e si confondono in paesaggi drammatici e instabili, dominati dalla paura e dai condizionamenti di una lugubre sopravvivenza, in attesa di nuovi bombardamenti economici, di nuove catastrofi ambientali, di nuove pandemie. Su questi temi, oggi brutalmente centrali, intervengono numerosi autori di questo numero, tutti accomunati da una profonda e necessaria cognizione del tragico: analisi puntuali e urgenti, senza concessioni a illusori inganni, tenacemente tese a trasformare la comprensione dei dati di realtà (in orizzontale nel mondo globale e in verticale nelle dinamiche biopolitiche) nella necessità di elaborare e sviluppare strategie di radicali “rivolgimenti” e di processi teorico-pratici di liberazione. Nuovi processi in corso, per un altro mondo necessario. Come insegnò Brecht in Me-ti. Libro delle svolte, «Mi-en-leh indicava molte condizioni necessarie per il rivolgimento. Ma non conosceva momenti in cui non vi fosse da lavorare per esso». Brecht scrisse il suo «libretto in stile cinese, di regole di comportamento», durante l’esilio danese tra 1934 e 1937, negli anni di propagazione dell’infezione fascista e della peste nazista in Europa e di preparazione dei grandi massacri della Seconda guerra mondiale. «Me-ti insegnava: I rivolgimenti avvengono nei vicoli ciechi».

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sinistra

Stato, complotto e giostra finanziaria

di Ludovico Lamar

variant med 1200x630 obj20274939La faccia sua era faccia d’uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d’un serpente tutto l’altro fusto.
(Dante, Inferno, XVI, vv. 7/12)

1. I “poteri forti” e il comitato d’affari

Essere critico verso le politiche governative oggi significa essere complottista. La parola complottista viene lanciata contro tutti coloro che pongono a critica le politiche governative “sanitarie" dell’ultimo anno e mezzo, tanto che lo facciano in modo sconclusionato, quanto che lo facciano con una critica seria e motivata sul piano della scienza, del diritto, dell’economia, ecc.

La schiera dei critici alla narrazione pandemica si può identificare in generale con coloro che ritengono che dietro le politiche dei singoli Stati vi siano dei “poteri forti”, in genere economici, mentre la schiera di coloro che appoggiano (integralmente o parzialmente) le politiche dei governi la potremmo identificare in coloro che ritengono che invece lo Stato sia un istituto al di sopra delle classi e autonomo dai poteri economici.

Marx ed Engels, nel 1848, scrissero che “il potere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gli affari comuni di tutta quanta la classe borghese”.1 Ancor peggio la sparava Lenin: “La potenza del capitale è tutto, la borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un giuoco di marionette, di pupazzi…”.2 Non c’è dubbio che tali tesi oggi verrebbero tacciate di complottismo proprio perché in sostanza affermano che dietro lo Stato contemporaneo vi sono proprio dei “poteri forti”.

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ginestrarossa

Crisi permanente

L’azione regressiva della tecnologia nell’era post-pandemica

di Onofrio Romano

vaccino covid 19 1020x680 604x270La tecnologia è un acceleratore. Consente di fare le cose più velocemente e più efficacemente. Dinamizza i processi sociali. La società avanza più rapidamente, passando da stadi meno evoluti a stadi più complessi. Questo effetto, che intuitivamente associamo alla tecnologia, va problematizzato. La vicenda che nel nostro tempo occupa a livello globale il centro della scena ce ne dà buon saggio. La “tecnologia vaccinale” ci sta consentendo di uscire velocemente dalla pandemia. Se nel recente passato la messa a punto dei rimedi vaccinali contro i virus più disparati ha richiesto in media dodici anni, questa volta, grazie ad uno sforzo straordinario e concentrico, abbiamo impiegato meno di un anno per produrre un esteso e variegato menù di antidoti al male. È un risultato straordinario che testimonia dell’elevato grado di avanzamento delle nostre società. Si fosse presentato solo un secolo fa, lo stesso virus avrebbe probabilmente mietuto un numero di vittime ben più alto e soprattutto sarebbe durato molti anni. Indubbiamente, siamo stati veloci. Il problema è capire: veloci rispetto a quale destinazione, a quale traguardo? Lo siamo stati sicuramente rispetto alla soluzione del problema specifico, dando ad esso una replica istantanea e diretta: l’antidoto al virus. Ma se guardiamo le cose da un’altra altezza, la scena cambia. Scopriamo che la tecnologia può anche giocare un ruolo regressivo, diventando – come, a nostro avviso, in questo caso – un fattore di rallentamento della società. Il vaccino ne ha bloccato l’evoluzione verso un assetto più avanzato.

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officinaprimomaggio

Debito, finanza, spesa pubblica: il mondo dopo la pandemia

di Lorenzo Esposito

Liberiamoci dal debito 720x465«Più hanno debiti meno i lavoratori possono scioperare» A. Greenspan

Già dalle prime settimane del 2020, è stato chiaro che la pandemia di Covid-19 avrebbe cambiato il corso della storia mondiale. Abbiamo assistito a un susseguirsi di fatti e reazioni mai sperimentati in decenni di evoluzione economica e sociale: un’incertezza macroeconomica sconosciuta nella storia contemporanea, una reazione senza precedenti da parte degli Stati, con molteplici strumenti che determineranno effetti a lungo termine sull’economia. L’emergenza ha anche provocato un rapido cambiamento delle agende politiche, con la revisione di priorità strategiche e il ripensamento di consolidate architetture istituzionali e politiche, a partire dall’Unione europea.

Fin dall’inizio l’emergenza ha imposto un nuovo modo di affrontare i problemi a livello mondiale; chi fino a ieri predicava austerity e mercato è rimasto senza punti di riferimento, ma ne mancano di nuovi. In questo articolo cercheremo di analizzare i profondi cambiamenti che la pandemia ha portato al dibattito sulla politica economica, e in particolare sul tema del debito pubblico e sul ruolo dello stato nell’economia.

 

Dal 2008 alla pandemia

La crisi finanziaria del 2007-2008 ha esposto le fragilità del modello di sviluppo basato sulla deregolamentazione dei mercati e l’iper-globalizzazione, costringendo a un precipitoso intervento delle banche centrali e dei governi per salvare il mondo dal crollo del sistema finanziario.

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coniarerivolta

Crisi ecologica e crisi sociale: il PNRR è il problema, non la soluzione

Tavola rotonda a Napoli

di coniarerivolta

alberogreenLa lunga coda della pandemia ha portato con sé, oltre alle tragiche conseguenze sanitarie, anche una situazione di prolungata crisi economica, che parte dalle centinaia di migliaia di contratti precari non rinnovati e arriva ai licenziamenti di massa messi in atto dai padroni un secondo dopo la rimozione del blocco dei licenziamenti. A fronte delle preoccupazioni quotidiane che attanagliano la stragrande maggioranza della popolazione del nostro Paese, una narrazione entusiastica e ottimista rimbalza dai principali mezzi di comunicazione agli esponenti di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, tutte, con qualche sfumatura, strette a coorte intorno al Governo Draghi. Niente paura, è il messaggio che ci bombarda ogni giorno, l’Europa solidale è al nostro fianco e il cosiddetto Recovery Fund – ufficialmente noto come Next Generation EU – è il veicolo che ci condurrà in un futuro più giusto, più inclusivo, più verde.

Non è particolarmente difficile demistificare la natura meramente propagandistica di questa narrazione. A fronte del fiume di denaro che ogni giorno ci viene promesso, la realtà dei fatti parla di un ammontare di risorse risibile. Al netto dei contributi che l’Italia apporterà, infatti, negli anni a venire al bilancio europeo, secondo le stime più ottimistiche riceveremo circa 50 miliardi di euro da spalmare, cioè da dividere, su sei anni. Una semplice comparazione con le risorse aggiuntive messe in campo dal Governo italiano nel 2020 e quindi in un solo anno, pari a circa 108 miliardi e del tutto insufficienti a tamponare le conseguenze della crisi economica che iniziava a mordere, vale più di tante chiacchiere.

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sinistra

Arriva la Grande Depressione?

di Visconte Grisi

Great DepressionCominciamo con alcune notizie sulla pandemia riportate sulla stampa. Il 20 maggio Adnkronos riporta la proposta avanzata dal presidente e amministratore delegato Pfizer Albert Bourla, di rinnovare anno dopo anno il vaccino contro il Covid-19, come per l'influenza stagionale. Gli fa eco Ugur Sahin, co-fondatore e amministratore delegato di BioNTech: “Ci sono prove crescenti che il Covid-19 continuerà a rappresentare una sfida per la salute pubblica per anni”[1]. Al netto degli evidenti interessi economici della multinazionale del farmaco, che comunque continua a fare il bello e il cattivo tempo sulla fornitura dei vaccini, non è improbabile che la previsione suddetta possa rivelarsi realistica, vista la proliferazione delle varianti del virus, di cui quella Delta si diffonde al momento attuale con grande rapidità. Del resto anche il vaccino per l'influenza stagionale deve essere ripetuto ogni anno per il manifestarsi di varianti del virus influenzale. E poi, anche al di là delle varianti del virus, non risulta che, nell'anno trascorso, si sia fatto qualcosa per rimuovere le cause della pandemia, e non è possibile che ciò avvenga in futuro rimanendo entro i limiti del modo di produzione capitalistico teso, come si sa, alla ricerca spasmodica di profitti in ogni angolo della terra, cosa che ha portato alla attuale devastazione ambientale. Per il momento comunque si parla già di una terza dose di vaccino da praticare in autunno quando, guarda caso, si ridurrà l’azione dei raggi solari Uva e Uvb che “nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2”, come ha dimostrato uno studio italiano pubblicato recentemente[2].

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sbilanciamoci

Navi, container, treni, metalli: il grande disordine

di Vincenzo Comito

Le catene di approvvigionamento merci e materiali – chip ma anche di rame, terre rare e altri minerali necessari alla transizione energetica – sono supercongestionate. Al fondo di questo caos che inciderà sui prezzi, gli obiettivi climatici della Cina, l’inadeguatezza delle reti di trasporto e la speculazione

barcellona spagna circa terminale di trasporto di carico di barcellona 86713621Prima la pandemia, poi la tendenziale e forte ripresa dell’economia, insieme ad alcuni incidenti casuali (quale il blocco del canale di Suez e il recente focolaio di pandemia che ha rallentato le operazioni del terminal container cinese di Yantan-Shenzhen), con sullo sfondo l’accelerarsi della transizione ecologica e il boom dell’elettronica, tutti questi fattori insieme hanno contribuito a portare una grande confusione in alcuni settori dell’economia a livello mondiale. Partendo da quello dei trasporti internazionali e da quello dei metalli, il marasma si è esteso alla rottura nelle catene di approvvigionamento delle merci e ad un aumento dei prezzi di alcuni prodotti a livello globale e comunque a scossoni violenti, persino stupefacenti, come ha indicato qualcuno, del sistema del commercio internazionale. Questa confusione dovrebbe durare ancora soltanto per qualche tempo su alcuni fronti, mentre su degli altri dovrebbe invece accompagnarci a lungo.

Così, per quanto riguarda il primo aspetto, quello transitorio, sembra ormai compromessa, almeno parzialmente, la consegna delle merci natalizie da parte della Cina al resto del mondo. Non solo, la carenza di rifornimenti di chip dovrebbe durare ancora un anno mentre dovremo probabilmente convivere a lungo con la carenza e con rilevanti aumenti dei prezzi di alcuni metalli.

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la citta futura

Aspetti economici della crisi attuale del capitalismo, II

di Alessandro Bartoloni

Seconda parte della relazione sugli aspetti economici dell’attuale crisi del capitalismo presentata alla Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti del 19 giugno scorso. In questa parte si spiegano i motivi teorici e pratici dell’abbandono delle politiche keynesiane da parte degli agenti del capitale e si indicano politiche alternative

c8f24334c9abeded4fd7b76527e411bb XLLa panoramica dei dati illustrati ci aiuta a capire la natura della crisi e le possibili rivendicazioni di politica economica.

Gli economisti keynesiani affermano che le crisi della fine del XX secolo furono il risultato della decisione delle autorità pubbliche di tutto il mondo di abbandonare le politiche di sostegno della domanda, e di regolamentazione del credito e della mobilità dei capitali avvenute durante i primi anni ’70. Ma perché gli strateghi del capitale hanno abbandonato la gestione e il controllo in stile keynesiano e hanno optato per l’esatto opposto se tutto funzionava così bene negli anni 50 e 60?

Si tratta dell’ennesima prova di miopia delle classi dominanti oppure, al contrario, le politiche keynesiane sono effettivamente inutili, da un punto di vista capitalistico, in un momento di crisi?

La ragione per cui i governi capitalisti si sono rivolti al monetarismo e alle politiche neoliberiste è che il keynesismo aveva fallito, e aveva fallito nell’elemento più importante per il capitalismo: quello di sostegno alla redditività del capitale.

In altre parole, è stato il crollo del tasso di accumulazione nelle principali economie (che portò a una serie di recessioni nel 1970, 1974 e poi nel 1980-2 ma, soprattutto, a una crescita media annua molto più bassa del ventennio precedente) a spingere gli economisti embedded e i responsabili politici a rompere con Keynes.

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contropiano2

Lo spauracchio dell’inflazione sulla “prossima crisi globale”

di Michael Roberts*

wall street121L’inflazione dei prezzi di beni e servizi è una buona o cattiva notizia a seconda del vostro rapporto con i mezzi di produzione. Per il lavoro, che non possiede i mezzi di produzione e si guadagna da vivere solo vendendo la sua forza lavoro, l’inflazione non è una buona notizia, perché divora i redditi reali aumentando i prezzi dei beni di prima necessità.

Attualmente, mentre le maggiori economie si affacciano fuori dal crollo pandemico, i datori di lavoro sempre più si lamentano di non riuscire a far tornare i lavoratori ai loro posti mal pagati, soprattutto nei servizi. Sono costretti ad alzare i salari per attirare persone in posti di lavoro poco soddisfacenti, senza sindacati, senza indennità di malattia, o ferie, etc.

La prospettiva di salari più alti suona come una buona notizia per le fasce di lavoratori che in precedenza godevano un salario minimo, o addirittura inferiore. Ma i salari più alti sono un’illusione monetaria se allo stesso tempo i prezzi del cibo e di altri beni di prima necessità cominciano a salire bruscamente.

E questo sta succedendo. Il tasso ufficiale d’inflazione degli Stati Uniti ha raggiunto il 5% anno su anno a maggio. Questa è il dato più alto dall’agosto del 2008. Stessa storia nel Regno Unito e in Europa. Anche se il livello di inflazione è solo del 2% circa all’anno, lì questo tasso è comunque il più alto da oltre sette anni.

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la citta futura

Crisi organica e sua narrazione

di Alessandra Ciattini

Relazione alla Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici comuniste tenutasi il 19 giugno 2021. Come viene narrata questa crisi sociale ed economica dalla classe dominante? Naturalmente si fa di tutto per sopire ogni forma di dissenso

4d7472c90eaf5c45d2964c8bb195b162 books 474x330Prima di toccare il tema vorrei fare una breve premessa teorica, mettendo insieme alcune riflessioni di Lenin e di Gramsci [1], che sono in sintonia con i vari dati statistici disponibili [2]. Direi che ci troviamo di fronte a una crisi organica o crisi di autorità, i cui caratteri sono sommariamente:

1. impossibilità per le classi dominanti di conservare il dominio senza modificarne la forma, necessità di riavviare una ristrutturazione, tenendo presente che il capitalismo è un sistema a equilibrio instabile caratterizzato da dinamismi e capacità di rinnovarsi;

2. aggravamento dell’angustia e della miseria delle classi oppresse, che possono incunearsi in questa crisi delle classi dominanti a loro vantaggio;

3. crisi di egemonia delle classi dominanti dimostrata statisticamente dalla sfiducia delle classi oppresse nei confronti delle istituzioni (in America latina è bassissima, il Italia complessivamente il 14,6% mostra fiducia nelle istituzioni, tuttavia Mattarella sembra essere amato almeno dal 55% con un leggero calo). Altro elemento importante è la separazione delle masse dai propri partiti, nel caso dell’Italia inesistenza di questi partiti. La crisi pandemica non ha fatto altro che squadernare dinanzi agli occhi di tutti i privilegi di alcuni, le disuguaglianze, le ingiustizie inerenti al sistema capitalistico, di qui l’idea che essa potrebbe avere esiti rivoluzionari, idea tutta da discutere.

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la citta futura

Aspetti economici della crisi attuale del capitalismo

di Ascanio Bernardeschi

Prima parte della relazione sugli aspetti economici dell’attuale crisi del capitalismo presentata alla Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti del 19 giugno scorso. In questa parte si analizzano di dati statistici per ricavarne l’indicazione che la crisi non è prodotta dalla pandemia ma dalle tendenze dell’accumulazione capitalistica

66e356113e5c1129f26a7eaa3ebbd45c XLPer avere un’idea dell’attuale crisi del capitalismo e del suo carattere sistemico è necessario guardare ai dati di lungo periodo. La sola informazione statistica sui cambiamenti di breve o brevissimo periodo può infatti distogliere l’attenzione dalle radici di una crisi che non nasce durante l’attuale pandemia e nemmeno nel 2007-2008, in occasione della crisi dei subprime scoppiata alla negli Stati Uniti e che ha investito tutto il mondo occidentale, ma compare molti anni prima e ha a che vedere con le tendenze dell’accumulazione capitalistica.

Con ciò non si nega che il Covid-19 abbia inferto un eccezionale accelerata alla crisi, ma occorre tenere presente che il corpo in cui si è abbattuta la la pandemia era già malato. E occorre avere chiaro quale fosse questa malattia.

Fra il 1950 e il 1973 le economie sviluppate crebbero, tra gli alti e bassi tipici del ciclo economico, a un ritmo medio del 5% annuo, cioè il doppio del periodo che andava dal 1870 all’inizio del primo conflitto mondiale. Tale crescita era stata trainata principalmente dagli investimenti in capitale fisso (+5,5% annuo). Ciò stava a significare che il rapporto fra il capitale fisso e il lavoro andava crescendo fino ad approssimare la marxiana composizione organica del capitale.

Per spiegare questa poderosa crescita non va sottovalutato il suo carattere imperialistico in quanto si concentrò in un’area ristretta del globo terrestre a scapito dei paesi del terzo mondo.

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lafionda

Paradigma Covid: collasso sistemico e fantasma pandemico

di Fabio Vighi

miwe6302jfA un anno e mezzo dall’arrivo di Virus, qualcuno forse si sarà chiesto perché la classe dominante, per sua natura senza scrupoli, abbia messo nel congelatore la macchina del profitto a fronte di un patogeno che si accanisce quasi esclusivamente contro i soggetti improduttivi – quegli ultra-ottantenni che, tra l’altro, da tempo mettono a dura prova il sistema pensionistico. Perché, improvvisamente, tutto questo zelo? Cui prodest? Solo chi non conosce le mirabolanti avventure di GloboCap (capitalismo globale) può illudersi che il sistema chiuda i battenti per spirito caritatevole. Ai grandi predatori del petrolio, delle armi, e dei vaccini, non frega proprio niente dell’umanità.

 

Quale emergenza?

Prima di entrare nel vivo della discussione facciamo un passo indietro all’estate 2019, quando l’economia mondiale, a 11 anni dal collasso del 2008, era di nuovo sull’orlo di una crisi di nervi.

Giugno 2019: La ‘Banca dei Regolamenti Internazionali’ (BRI), potentissima ‘banca centrale di tutte le banche centrali’, con sede a Basilea, lancia un grido d’allarme sulla sostenibilità del settore finanziario. Nel suo Rapporto Annuale la BRI evidenzia il forte rischio di “surriscaldamento [...] nel mercato dei prestiti a leva”, dove “gli standard del credito si sono deteriorati” e “sono aumentate le obbligazioni garantite da collaterale (CLO).” Si tratta di prestiti erogati a società iper-indebitate che vengono poi messi sul mercato come bond. In parole povere, la pancia dell’industria finanziaria è di nuovo piena di spazzatura.

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jacobin

Il prezzo della crisi

di Marco Bertorello e Danilo Corradi

Anche se gli addetti ai lavori sembrano non preoccuparsene più di tanto, dopo un lungo periodo di ristagno dei prezzi la crisi pandemica potrebbe costituire l’innesco di una impennata inflazionistica frutto della crisi del paradigma austeritario

inflazione jacobin italia 1320x481La crescita dei prezzi ad aprile negli Stati uniti ha riacceso il dibattito attorno alla possibilità di una ripartenza del fenomeno inflazionistico. Il dato registrato è stato pari a +4,2% su base annua, una percentuale superiore di quasi un punto rispetto a quella attesa. In Europa e in Cina l’inflazione al consumo è ancora sotto quota 2%, ma la tendenza è alla crescita e soprattutto appare superiore alle previsioni la risalita dei prezzi alla produzione in Cina, che sempre ad aprile ha fatto segnare un +6,8%. Questi due dati non potevano passare inosservati dopo un lungo periodo di parziale deflazione, ma complessivamente non hanno preoccupato gli addetti ai lavori. Sembra farsi strada l’idea che il fenomeno abbia natura sostanzialmente temporanea, un rimbalzo dei consumi e delle scorte nel quadro del superamento dei mesi più duri relativamente alle misure di contenimento della pandemia.

Pur non potendo vendere certezze di segno opposto, l’idea del semplice rimbalzo ci convince poco, tanto più che l’ipertrofia e le contraddizioni della finanziarizzazione, che hanno spinto David Harvey a parlare di «complessità assai contorte del sistema finanziario», inviterebbero a dismettere metodologicamente l’idea che possano esistere certezze granitiche. Il quadro dell’economia globale è incerto e assai aperto a varie possibilità, tra cui quella di una fiammata inflazionistica non va esclusa. Tale evenienza era stata da noi avanzata in tempi non sospetti proprio sulle pagine di Jacobin Italia al termine della scorsa primavera, cioè in piena pandemia e recessione. Un’ipotesi che all’epoca poteva apparire azzardata, ma che oggi deve perlomeno essere presa in considerazione seriamente.

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gliasini 

La tecnopolitica non salverà il mondo

di Marino Ruzzenenti

Monsoons bn 1 1024x1536La lettura di un testo non è mai stata per me così intrigante come Prevenire. Manifesto per una tecnopolitica, di P. Vineis, L. Carra, R. Cingolani (Einaudi 2020). Per svariate ragioni. Innanzitutto il titolo e il sottotitolo. Prevenire per chi ha una cultura ambientalista e democratica è un concetto quasi sacro, fondamentale per preservare la buona salute sia della natura che degli umani. Tecnopolitica, invece, presenta immediatamente delle ambiguità, perché da un canto evoca l’idea oligarchica del governo dei sapienti in alternativa alla democrazia implicitamente considerata governo dei mediocri, e dall’altro sembra proporre ancora una volta la tecnologia come chiave di volta per la soluzione dei problemi dell’umanità. Insomma, titolo e sottotitolo evocano risonanze di ossimoro. Gli interrogativi aumentano se poi si tiene conto che il libro è uscito l’anno scorso e che uno degli autori, Roberto Cingolani, è ora direttamente coinvolto in un ruolo preminente come tecnico nell’attuale inedito governo Draghi, il cui collante dovrebbe essere proprio una politica al di sopra e al di là delle ideologie e degli schieramenti partitici, in nome delle cose tecnicamente fondate da farsi per la salvezza del Paese. In questo senso un saggio apparentemente profetico che avrebbe anticipato (preparato?) di qualche mese gli eventi. Ma lo stupore non finisce qui. La firma di Roberto Cingolani, personaggio ormai troppo noto, è preceduta da due altre firme importanti.

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paginauno

Dove si pone il limite? Un sistema economico inaccettabile

di Giovanna Cracco

indexjyfg74Mettiamo insieme alcuni dati.

Il 26 gennaio il Fondo monetario internazionale aggiorna il World Economic Outlook sull’economia globale del 2020: nell’anno della pandemia da Covid-19, il Pil mondiale registra un calo del 3,5%. Un numero senza precedenti, evidenzia il documento. Con l’eccezione della Cina (e altre economie asiatiche, come il Vietnam), in territorio positivo, i dati sono negativi (vedi Grafico 1, pag. 7): si va dal -11,1% della Spagna al -7,2% dell’Eurozona al -3,4% degli Stati Uniti, e via a seguire. Per tornare ai livelli pre-pandemia, sottolinea il report, non basteranno né il 2021 né il 2022, e i numeri previsionali sono aleatori perché molto dipende dalle campagne di vaccinazione, da eventuali nuove ondate, dalle varianti del virus che si affacceranno. Una sola cosa è certa: la crisi economica lascerà povertà e diseguaglianza, e spingerà 90 milioni di persone in una indigenza estrema tra il 2020 e il 2021.

Il 25 gennaio l’Organizzazione internazionale del Lavoro (OIL) pubblica la settima edizione della “Nota OIL Covid-19 e il mondo del lavoro. Stime e analisi aggiornate sull’impatto del Covid-19 sul mondo del lavoro”. Lo studio (vedi Grafico 2, pag. 9) stima al 8,8% la perdita delle ore lavorate a livello globale nel 2020, pari a 255 milioni di posti di lavoro a tempo pieno (calcolati su una settimana lavorativa di 48 ore); è una perdita quattro volte superiore a quella registrata nella crisi del 2009.