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lindipendente

Perché quello israeliano è un genocidio

Andrea Legni intervista Francesca Albanese

francesca albanese ansaNei giorni scorsi, la Relatrice Speciale dell’ONU per i Territori Occupati Palestinesi, Francesca Albanese, ha presentato il proprio rapporto ufficiale nel quale si dettaglia come quello israeliano a Gaza sia da considerare, alla luce del diritto internazionale, un genocidio. Lo stesso report, che si intitola senza giri di parole Il genocidio come cancellazione coloniale, accusa i governi occidentali di aver garantito a Israele un’impunità che gli ha permesso di «diventare un violatore seriale del diritto internazionale». La relatrice italiana, ma che da molti anni vive all’estero, è stata attaccata con inaudita violenza: l’ambasciatrice statunitense all’ONU l’ha accusata di antisemitismo, mentre la lobby filo-israeliana UN Watch ha lanciato una campagna per cacciarla dalle Nazioni Unite con l’accusa di diffondere «antisemitismo e propaganda di Hamas». Accuse surreali alle quali risponde anche in questa intervista rilasciata in esclusiva a L’Indipendente. Lo fa senza arretrare di un millimetro, anzi dettagliando perché quella che Israele sta scrivendo a Gaza sia da considerare una delle pagine «più nere e luride della storia contemporanea» e denunciando il clima di intimidazione che colpisce sistematicamente chi, all’interno delle istituzioni internazionali, cerca di agire concretamente per inchiodare il governo israeliano alle proprie azioni.

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Poche settimane fa è stato ucciso il capo di Hamas Yahya Sinwar. I governi e i media occidentali hanno celebrato l’evento, affermando che la sua eliminazione abbia reso il mondo più sicuro e avvicinato la pace in Medio Oriente. Cosa ne pensa?

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perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo - 2. Kevin Ochieng Okoth

di Carlo Formenti

cabral 1170x658.jpgIl trittico africano, iniziato con le recensioni a due libri di Said Bouamama; prosegue con questo secondo post che anticipa la mia postfazione al libro Red Africa, di Kevin Ochieng Okoth che sarà in libreria per i tipi di Meltemi il prossimo 22 Ottobre. Ritroverete qui molti temi trattati nei lavori di Bouamama, come la critica dell’approccio “culturalista” (a partire dai miti della negritudine) al processo di emancipazione dei popoli post coloniali dal dominio imperiale dell’Occidente, e come il rifiuto del tentativo di liquidare il marxismo come “eurocentrico” e quindi inservibile per guidare le nazioni africane sulla via dello sviluppo autonomo. Rispetto a Bouamama, Okoth analizza più estesamente e a fondo il ruolo determinante che le lotte afroamericane hanno svolto nella formazione di uno spirito panafricanista rivoluzionario. Infine, come avrete modo di vedere, il punto di vista di Okoth appare più severo di quello di Bouamama nei confronti degli errori e delle scelte opportuniste delle élite che hanno guidato le lotte di liberazione nazionale (ma su questo tema tornerò in sede di conclusione dopo avere pubblicato la terza e ultima puntata di questo trittico, dedicata al pensiero di Cabral).

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Red Africa. Idee per riportare Marx in Africa

Mezzo secolo fa, una feroce controffensiva dell’imperialismo occidentale, guidata dagli Stati Uniti, stroncava la speranza dei Paesi non allineati, molti dei quali pervenuti da poco all’indipendenza, di imboccare la via dello sviluppo e della transizione al socialismo.

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lantidiplomatico

La strategia del caos

di Laura Ruggeri

Le risposte alla prima crisi dell’egemonia statunitense hanno scatenato forze che hanno finito per erodere il potere degli Stati Uniti

nbclou54so9Gene Sharp, considerato il padrino delle rivoluzioni colorate, pubblica il suo primo libro, The Politics of Nonviolent Action, nel 1973, in un momento in cui gli Stati Uniti attraversavano una serie di crisi — economiche, politiche, militari — che stavano erodendo la fiducia nel governo e costituivano un serio ostacolo alle ambizioni geopolitiche di Washington. Le risposte a queste crisi — espansione dell’egemonia attraverso guerre convenzionali e ibride spesso affidate ad attori non statali, la finanziarizzazione dell’economia e l’utilizzo del dollaro come arma — segneranno il corso dei decenni successivi. Ma a distanza di cinquant’anni è evidente che queste risposte, pur avendo sconvolto l’ordine globale del dopoguerra per aprire le porte al ‘momento unipolare’ degli Stati Uniti, non hanno fatto nulla per risolvere problemi di natura sistemica e strutturale. Semmai, queste “soluzioni” hanno creato ulteriori e più intrattabili problemi per l’egemone, culminati nella crisi di legittimità che gli Stati Uniti stanno attualmente affrontando.

The Politics of Nonviolent Action si basava su una ricerca, finanziata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che Sharp aveva condotto ad Harvard alla fine degli anni ’60, quando l’università era l’epicentro dell’establishment intellettuale della Guerra Fredda — vi insegnavano infatti Henry Kissinger, Samuel Huntington e Zbigniew Brzezenski. A prima vista potrebbe sembrare contraddittorio che il soggetto della ricerca di Gene Sharp attirasse l’interesse del Pentagono e della CIA. In realtà, non è affatto sorprendente: la sconfitta e le perdite subite in Vietnam avevano lasciato una profonda ferita nella psiche americana e a livello internazionale questa brutale aggressione imperialista aveva alimentato un forte sentimento antiamericano. Inoltre, mentre l’egemonia statunitense iniziava a perdere colpi, crescevano i timori per i costi economici della corsa agli armamenti con Mosca. La ricetta di Sharp prometteva di fornire la soluzione che Washington stava cercando per rafforzare il proprio potere minando quello dell’Unione Sovietica, suo principale rivale geopolitico, ideologico e militare.

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ilpungolorosso

La sola cosa grande che può fare l’Amerika di Trump è seminare altro caos e guerra nel mondo intero

di Il Pungolo Rosso

Trump Musk“I Trump, i Musk e simili grandi-uomini-spazzatura possono soltanto dare un epilogo tragico alla vecchia storia di sfruttamento e predazione di cui non se ne può più”.

Ci torneremo su, quando sarà di nuovo alla Casa Bianca. Ma qualcosa va detta subito. Ed è che la possibilità che la banda-Trump/Musk possa fare l’Amerika “great again” è esclusa. La nuova “età dell’oro” che questi truffatori spaziali promettono al proprio “popolo” non ci sarà. Non è possibile che ci sia, semplicemente perché l’età dell’oro dell’imperialismo statunitense, che c’è stata effettivamente, è stata fondata sull’enorme sviluppo della grande industria, della tecnologia di avanguardia e dell’industrializzazione capitalistica dell’agricoltura. Su queste basi, e su due guerre mondiali vinte grazie alla propria superiorità industriale e tecnologica e alla propria auto-sufficienza alimentare, si fondano le ultime due armi esiziali rimaste nelle mani dei Trump e dei Biden: il signoraggio mondiale del dollaro e la macchina bellica tuttora più potente del mondo. Che, di necessità, essendosi di molto ridotta la solida base su cui poggiavano, hanno preso a traballare.

L’Amerika di oggi, avendo perso una bella quota della propria grande industria di un tempo per la spasmodica ricerca dei sovraprofitti dei propri trust che hanno – a partire dagli anni ‘60 – delocalizzato una enorme quota di produzione, è in cronico deficit commerciale con l’UE e con la Cina (e non solo). Parliamo di centinaia di miliardi di dollari l’anno di importazioni di ogni tipo di merci, a iniziare dalle macchine per la produzione industriale. Anche l’agricoltura statunitense ha iniziato da tempo a declinare, e del suo storico, indiscusso primato mondiale non ci sono più tracce. Ormai l’Amerika primeggia solo nella produzione di petrolio e di gas (quindi come stato che si nutre di rendita fondiaria) e nelle industrie della rete e della guerra, ma lo fa a fronte di concorrenti e avversari sempre più agguerriti, e in molti casi relativamente, o ampiamente, indipendenti dal suo potere.

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perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo - 1. Said Bouamama

di Carlo Formenti

Con questo testo inauguro un percorso in tre tappe sulle lotte africane contro l’imperialismo e sul loro contributo allo sviluppo del marxismo. In questo primo articolo discuto due libri di Said Bouamama (intellettuale marxista di origine magrebina nato in Francia - a Roubaix - sessantasei anni fa): Pour un panafricanisme révolutionnaire (Syllepse, Parigi 2023) e Des classes dangereuses a l’ennemi intérieur (Syllepse, Parigi 2021). Nelle puntate successive mi occuperò, rispettivamente, di Red Africa dell’anglo-africano Kevin Ochieng Okoth (di imminente uscita presso l’editore Meltemi, con una mia Postfazione) e di un’antologia di testi del guineense Amilcar Cabral.

modalita di viaggio in africa 1820 da w hutton viaggi in africa 1821 da i clark dopo william hutton gli europei sono trasportati su lesulle lettiere un uomo africa.jpgI. Sul panafricanismo rivoluzionario

a) Le falsificazioni ideologiche occidentali per legittimare il colonialismo

La più diffusa mistificazione cui gli imperialisti occidentali hanno fatto ricorso per giustificare le proprie guerre coloniali di conquista, scrive Bouamama, è stata l’affermazione secondo cui l’Africa sarebbe un continente “senza storia”, che solo grazie all’integrazione negli imperi dei Paesi europei ha potuto fare il proprio ingresso nella storia “universale” (cioè europea). Questa tesi si fonda su una narrazione che presenta il continente africano come un insieme di società “primitive”, politicamente non strutturate, “senza stato”, una moltitudine di gruppi umani senza scambi reciproci, perennemente in guerra fra loro e incapaci di esprimere forme sociali più complesse della tribù e del clan famigliare (per inciso, vale la pena di sottolineare come l’immagine delle “società senza stato” evocata nelle narrazioni di alcuni antropologi occidentali, sia stata utilizzata “da sinistra” per criticare i processi di costruzione nazionale post indipendenza ed esaltare certe forme sociali premoderne in contrapposizione ai processi di modernizzazione imposti dall’esterno).

La realtà è che, prima della colonizzazione, contrariamente alle affermazioni propagandistiche occidentali, sia nell’Africa Settentrionale che nell’Africa Subsahariana, esistevano non solo stati ma addirittura veri e propri imperi per cui la colonizzazione, scrive Bouamama, non ha voluto dire l’ingresso dell’Africa nella storia, bensì l’interruzione violenta della sua storia (esattamente come la cosiddetta “scoperta” dell’America ha voluto dire l’interruzione violenta della storia di quel continente).

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analisidifesa

Il ritorno di Trump

di Gianandrea Gaiani

110624 President Donald Trump AP CMDonald Trump è il trionfatore nella corsa alla Casa Bianca sia per i voti incassati tra i “grandi elettori” e nel voto popolare sia per il successo del Partito Repubblicano nelle elezioni del Congresso. Prima ancora dell’Amministrazione Biden e di Kamala Harris, a uscire sconfitti dal voto americano è il circuito mediatico che ha dimostrato la sua totale inattendibilità e partigianeria.

Pronostici, valutazioni e sondaggi resi noti negli Stati Uniti ma anche in Europa e in Italia hanno dato fino all’ultimo i due rivali testa e testa con un leggero vantaggio per Kamala Harris. Previsioni rivelatesi talmente infondate da alimentare il sospetto che fossero indirizzate più a influenzare il voto degli americani che a fotografarne l’orientamento. Pura propaganda alimentata da media, mondo della cultura e dello spettacolo fin troppo chiaramente schierati con il Partito Democratico che però aveva sollevato ancora una volta un polverone per denunciare (complici anche diversi “zelanti” alleati europei) la “disinformazione russa” tesa a influenzare il voto a favore di Trump.

Difficile credere che coloro che davano Trump e Harris testa a testa nel voto americano si siano tutti sbagliati: appare quindi più probabile che la disinformazione (la nostra, non quella russa) abbia prevalso ancora una volta come è apparso chiaro seguendo alcune “maratone” televisive nostrane.

In queste come in altre elezioni il tema dell’inaffidabilità e dell’informazione (anzi, della disinformazione) attuata da gran parte del circo mediatico occidentale è emerso in modo talmente eclatante da rappresentare paradossalmente una minaccia per l’opinione pubblica e per la democrazia. Specie in un contesto in cui, dalle due sponde dell’Atlantico, si moltiplicano appelli e iniziative tese a limitare o sopprimere la libertà di espressione nel nome della “lotta alla disinformazione”.

In realtà, a determinare il successo del candidato repubblicano sembrano essere stati gli elementi emersi il 5 novembre in un sondaggio effettuato tra gli elettori dalla CNN che ha rivelato come solo il 5% ritenga che l’economia americana sia in uno stato di forma eccellente, mentre circa il 70% ritiene che non versi in buono stato.

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tempofertile

Poche tesi sulla rielezione di Trump

di Alessandro Visalli

hfidbukdIn attesa di poter svolgere un’analisi più dettagliata del voto americano, quel che appare al momento è l’ampiezza inusuale della vittoria di Donald Trump e James Vance sul ticket democratico. Vittoria che si è estesa a Camera e Senato e ha spostato significativamente i rapporti di forza dall’ormai tradizione ‘quasi pareggio’ presidenziale.

Una vittoria che si presenta quindici anni dopo il termine del ciclo Bush junior, e otto dopo quello di Obama. Ovvero sedici anni (quindici e mezzo) dopo la crisi-spia della finanziarizzazione esemplificata dal crollo del 2008. Se pure questa data simbolo del 2008 si colloca in effetti al termine di un ciclo di bolle alimentate politicamente che risale almeno a un decennio prima, fu il segnale della necessità di tornare a qualcosa che potesse, almeno per il grande capitale finanziario, come una sorta di ‘big state’. Il segno dei tempi fu il pacchetto di stimoli bipartisan promosso dalla coppia Bush-Obama e la ricerca costante di un nuovo ‘motore’ economico, oltre alla crescente consapevolezza della crisi della “mondializzazione” anni Novanta (avviata dalle crisi multiple degli anni ’97 e ’98, le cosiddette “Crisi asiatiche”, che poi furono anche del Messico della Russia, etc.) e delle “Classi medie”. Tentativi di riprendere il “Doha Round” del 2001, con il TIPP e TPP, in chiave sempre più chiaramente anti-cinese, ma anche anti-europea[1] (tentativi che vedono, forse per la prima volta, manifestarsi contro l’amministrazione democratica una coalizione sociale interna contro l’ulteriore potenziale invasione di prodotti a basso costo, e quindi l’ulteriore deindustrializzazione). Quindi velleitarie politiche per un milione di posti di lavoro nell’industria[2], oppure di rivitalizzare la formazione tecnica, poco dopo i vaniloqui della Clinton sulla lotta alla “società freelance” o la “gig economy”[3]. Si può anche ricordare il Discorso sullo Stato dell’Unione del 2015 di Obama[4], a metà del secondo mandato, quando avviene una significativa svolta ambientalista e nelle politiche energetiche, mentre continuano assolute macchie come Guantanamo e si sviluppa la politica delle “primavere arabe”.

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comedonchisciotte.org

Il resoconto di un genocidio

di Chris Hedges - chrishedges.substack.com

L'ultimo rapporto delle Nazioni Unite documente i progressi di Israele nel suo assalto genocida a Gaza. Israele è intenzionato, avverte il rapporto, a espellere i palestinesi, a ricolonizzare Gaza e a rivolgersi poi contro la Cisgiordania

bibimorte.jpgUn rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato lunedì, descrive con agghiaccianti dettagli i progressi compiuti da Israele a Gaza nel tentativo di sradicare “l’esistenza stessa del popolo palestinese in Palestina”. Questo progetto genocida, avverte minacciosamente il rapporto, “si sta ora diffondendo in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est”.

La Nakba o “catastrofe”, che nel 1948 aveva visto le milizie sioniste cacciare 750.000 palestinesi dalle loro case, compiere più di 70 massacri e impadronirsi del 78% della Palestina storica, è tornata con gli steroidi. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, ha pubblicato il rapporto, intitolato “Genocidio come cancellazione coloniale“, dove lancia un appello urgente alla comunità internazionale affinché imponga a Israele sanzioni e un embargo totale sulle armi fino a quando il genocidio dei palestinesi non sarà fermato. Chiede a Israele di accettare un cessate il fuoco permanente. Chiede che Israele, come richiesto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, ritiri i suoi soldati e i suoi coloni da Gaza e dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.

Come minimo, Israele, ormai fuori controllo, dovrebbe essere formalmente riconosciuto come Stato di apartheid e persistente violatore del diritto internazionale, afferma la Albanese. Le Nazioni Unite dovrebbero riattivare il Comitato speciale contro l’apartheid per affrontare la situazione in Palestina e l’appartenenza di Israele alle Nazioni Unite dovrebbe essere sospesa. In mancanza di questi interventi, l’obiettivo di Israele, avverte Albanese, probabilmente si realizzerà.

Potete vedere la mia intervista con la Albanese qui.

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lantidiplomatico

Il Secondo Olocausto e le Nazioni Unite

Alessandro Bianchi intervista Pino Arlacchi

l'AntiDiplomatico intervista l'ex vicesegretario delle Nazioni Unite: "Non ci sono qui camere a gas, ma sono all’ opera gli stessi infernali meccanismi del primo Olocausto"

ARLACCHI2 1100x1100.jpg"Sono diventato pessimista sull’esito della partita Israele-Palestina". Pino Arlacchi, ex vicesegretario generale e Direttore del programma antidroga e anticrimine dell’ONU torna a dialogare con "Egemonia". Uno dei più noti sociologi e criminologi a livello mondiale, cultore delle materie internazionalistiche e in particolare delle dinamiche delle Nazioni Unite, autore di saggi importanti su terrorismo e finanza, a Pino Arlacchi abbiamo chiesto di aiutarci a inquadrare il massacro israeliano in atto alla luce del diritto internazionale e, soprattutto, offrire proposte concrete che potrebbero essere prese per dare al regime di Tel Aviv una pressione internazionale che oggi manca.

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Sulla definizione del massacro in corso da parte di Israele si dibatte molto sul termine da utilizzare. Come lo definirebbe Lei alla luce del diritto internazionale?

"La rottura dell’ultimo tabù al riguardo è stata la delibera della Corte internazionale di giustizia che ha definito i massacri di Gaza un tentato genocidio. Pochi si sono accorti delle conseguenze di questa svolta. Media e governi occidentali -nonché il Palazzo di Vetro- hanno immediatamente calato il sipario sul tema. La svolta è stata, in realtà, il riconoscimento di un fatto talmente imbarazzante da non poter essere accettato, in precedenza, neppure da molti critici del sionismo. Non si può più negare che quanto avviene davanti ai nostri occhi è il tentativo di sterminare un popolo e non la vendetta per una catastrofe subita un anno fa. Non siamo di fronte a un eccesso di legittima difesa.

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ilpungolorosso

L’esercito sionista attacca le basi Unifil in Libano. Strano? E perché?

di Il Pungolo Rosso

Israele in LibanoS’è scatenato un gran baccano internazionale, in questi giorni, perché l’esercito sionista ha osato attaccare le basi Unifil, forte della sua assoluta storica impunità dovuta alla protezione incondizionata di cui gode da decenni. Un baccano insensato, e ipocrita. Forse è il caso di ricordare che il 22 luglio 1946 l’Haganah e l’Irgun non esitarono a far saltare in aria a Gerusalemme il King David Hotel in cui era ospitato il comando delle truppe britanniche in Palestina e Cisgiordania (facendo 91 morti e 46 feriti) – fu la punizione inferta ai loro protettori britannici per aver cercato, assai blandamente in verità, di porre un qualche argine all’immigrazione ebraica in Palestina – https://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_al_King_David_Hotel.

La banda Stern (il nome ufficiale era Lehi), autrice del feroce massacro di palestinesi nel villaggio di Deir Yassin e dalle esplicite simpatie per il nazismo, l’Irgun e l’Haganah si segnalarono per altri omicidi mirati ai danni dei loro mandanti (Lord Moyne, ad esempio, e fu assassinato da loro anche Lord Bernadotte, il mediatore ONU). Compirono attentati anti-britannici anche fuori dalla Palestina (uno avvenne a Roma), e – notate bene! – all’atto di fondazione dello stato di Israele tutti i membri di queste formazioni ultra-sioniste di rivendicata matrice terroristica (*) furono incorporati, previa amnistia generale, dentro l’esercito regolare e nella nomenklatura politica. I loro capi (Shamir, il “pacifista” Rabin, i macellai Dayan e Sharon, e via continuando) sono stati per decenni tra le massime autorità politiche e militari dello stato sionista.

Quindi, di cosa meravigliarsi? C’è da chiedersi, piuttosto, il perché dei recenti attacchi ad Unifil nel sud del Libano. E la risposta è piuttosto agevole. La trascriviamo paro paro dal Corriere della sera di ieri, 11 ottobre, certo non imputabile di sentimenti anti-sionisti:

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seminaredomande

Anniversari. Il 7 ottobre è accaduto l’11 settembre

Una parziale rassegna di analisti non allineati

di Francesco Cappello

bulldozergazawallAll’indomani del 7 ottobre è stato subito chiaro che non tutti i giornalisti e gli analisti avevano accettato l’interpretazione dei fatti come diffusi dal mainstream. Passerò in rassegna, più o meno in ordine di apparizione, quelle analisi che mi sono note e che hanno messo radicalmente in dubbio l’interpretazione corrente dei fatti di quel sabato 7 ottobre 2023, usati per “legittimare”, almeno agli occhi della maggioranza più sprovveduta, l’azione genocidiaria del governo israeliano, iniziata il giorno dopo, e che tragicamente continua, senza interruzione, da un anno a questa parte

Ecco come Grandangolo, la Rassegna stampa internazionale del venerdì su Byoblu, a cura di Manlio Dinucci, andata in onda venerdì 13 ottobre, presenta didascalicamente la propria versione dell’attacco di Hamas ai danni di Israele, avvenuto sabato 7 ottobre del 2023, nell’edizione dal titolo L’11 settembre del Medioriente:

Secondo la versione ufficiale, l’attacco di Hamas ha “colto di sorpresa” Israele. Vi è però una serie di fatti inspiegabili che non rende credibile la versione ufficiale.

Come è possibile che la barriera di Gaza sia stata sfondata con bulldozer senza che nessuno se ne sia accorto? La barriera che circonda Gaza, lunga 64 chilometri, è formata da un muro sotterraneo dotato di sensori, per impedire di scavare tunnel, e da una recinzione alta 6 metri con sensori, radar, telecamere e sistemi d’arma automatici collegati a un centro di comando, ed è presidiata da soldati.

Come è possibile che in quello stesso giorno si stesse svolgendo un festival musicale, con migliaia di giovani, nel deserto a pochi chilometri da Gaza, in una zona già ritenuta pericolosa perché nel raggio dei razzi di Hamas, per di più senza alcuna forza di sicurezza?

Come è possibile che, quando i militanti di Hamas hanno attaccato i centri abitati, non siano immediatamente intervenute con elicotteri le forze speciali israeliane, ritenute tra le migliori del mondo, e siano intervenute solo forze di polizia?

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sollevazione2

I sionisti stanno vincendo?

di Leonardo Mazzei

vittoria.jpgDomande e punti fermi ad un anno dal 7 ottobre

Un anno fa, a caldo, scrivemmo che la data del 7 ottobre sarebbe rimasta nella storia. Definimmo lo sfondamento del muro che recinge il lager di Gaza come il grido di libertà della Resistenza palestinese. Sapevamo pure che il significato e la natura di quell’eroica azione sarebbe stato infangato, distorto, infine rovesciato dalla narrazione nazi-sionista che pervade l’occidente.

Così scrivevamo, infatti, il 10 ottobre 2023:

«A Gaza, sabato scorso, un muro è stato abbattuto. È il muro che recinge da 16 anni il più grande campo di concentramento che la storia ricordi. Quello sfondamento è stata la vittoria di tutti coloro che amano la libertà delle persone e dei popoli. Ma quel coraggioso rilancio della lotta di liberazione è stato subito etichettato come “terrorismo”. Il linguaggio orwelliano si è imposto un’altra volta. Era inevitabile che così fosse nella nostra marcia società. Ma questa arroganza dei dominanti è pure il segno della loro straordinaria insicurezza. Hanno talmente paura del mondo così com’è, che lo raccontano a rovescio non solo agli altri ma pure a sé stessi».

Fu chiaro da subito che il 7 ottobre avrebbe segnato una svolta nella lotta di liberazione del popolo palestinese, così come non c’erano dubbi sull’estrema ferocia della reazione dell’occupante sionista.

In un anno di acqua ne è passata sotto i ponti, ed è giusto tentare un primo bilancio (sintetico e per punti) di quanto avvenuto, anche per provare a capire quel che ci aspetta.

 

  1. Israele stato criminale e genocida

In questi giorni i sionisti di tutto il mondo, gente disonesta e spudorata come tutti i razzisti che si rispettino, hanno cercato di venderci la storia di un 7 ottobre come riedizione dello sterminio nazista.

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carmilla

Laboratorio Palestina

di Nico Maccentelli

Antony Loewenstein: Laboratorio Palestina, Fazi Editore, 2024, pg. 336, € 20,00

laboratoriopalestina.jpgCome Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo

Per prima cosa due premesse. La prima: oggi più di ieri a fare qualsiasi critica a Israele si viene tacciati di antisemitismo. Nulla di più falso per quanto riguarda la gran parte di coloro, soggetti, movimenti od organizzazioni che sostengono la Resistenza Palestinese e il diritto del popolo palestinese ad avere una sua terra. Tanto più che i palestinesi sono semiti, per cui l’accusa oltre che essere falsa è pure demenziale, se non si sapesse che chi la formula è in perfetta malafede. Se l’hasbara, ossia quella rete ben organizzata dal sionismo per screditare e buttare fango su tali realtà solidali con il popolo palestinese e che è ramificata in ogni partito istituzionale, in ogni redazione mediatica, insomma ovunque viene prodotta informazione e politica, è così potente una ragione c’è.

E qui passiamo alla seconda premessa: la ragione sta nel fatto che senza Israele, l’Occidente collettivo, ossia quella parte di mondo dominata dall’unipolarismo atlantista a dominanza USA, avrebbe seri problemi di tenuta davanti all’avanzare di quell’altra parte di mondo che si sta affermando sul piano economico e geopolitico e con i conflitti in corso anche sul piano militare. La questione palestinese non è qualcosa di a sé stante ma è parte di quella guerra mondiale a pezzi, per parafrasare il papa, che rischia ogni giorno di più di diventare mondiale e nucleare. Per questa ragione, al di là degli appelli pelosi e ipocriti di tale Occidente a una tregua in Palestina e in Libano, la potenza militare di questo cane da guardia che non conosce limiti e regole, serve eccome.

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lantidiplomatico

Le trappole della democrazia borghese e la verità del socialismo bolivariano

di Geraldina Colotti

neirbfh“Mai ci è importato che alcuni fascisti europei votino una risoluzione senza nessun valore contro la sovranità del Venezuela”. Così, con la dignità e l’orgoglio di chi si sente erede del Libertador Simon Bolivar, il presidente dell’Assemblea venezuelana, Jorge Rodriguez, durante una conferenza stampa internazionale, ha commentato la decisione dell’Eurocamera di “riconoscere” come “presidente eletto” del Venezuela, l’ex candidato dell’estrema destra, Edmundo Gonzalez Urrutia.

Dello stesso tenore la reazione dell’ambasciatore all’Onu, Alexander Yánez, che ha definito un “ridicolo volantino” dettato da Washington la dichiarazione con cui, al Consiglio per i diritti umani, 40 paesi hanno “denunciato Nicolás Maduro”. In un successivo comunicato, il ministro degli Esteri venezuelano, Yvan Gil, ne ha precisato i termini, denunciando il tentativo di rieditare il fallito Gruppo di Lima, azionato ai tempi della precedente autoproclamazione, nel 2019.

Grottesco che a guidare all’Onu la condotta del gruppo sia stata la ministra degli Esteri argentina, Diana Mondino, portavoce di quel Javier Milei che sta calando quotidianamente la “motosega” sui diritti basici del popolo argentino. Insensato che i rappresentanti dei paesi europei definiscano una golpista dichiarata e confessa come Maria Corina Machado “leader delle forze democratiche”. Significativo, invece, che il magnate delle piattaforme digitali, Ellon Musk, abbia ricevuto in pompa magna Milei e che ora abbia dato un premio alla presidente del consiglio italiana, Giorgia Meloni, di estrema destra. Tutti, ovviamente, grandi campioni di democrazia. E altrettanto “democratiche” sono le minacce proferite dal capo di Black Water, Erik Prince, di riservare “sorprese” mercenarie al Venezuela, come poi è puntualmente accaduto, nel silenzio assordante dei media europei.

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jacobin

Imperialismi e rivalità economica

di Costas Lapavitsas

Il crescente conflitto tra blocchi diversi conferma che non esiste un'unica classe capitalista mondiale. E non c'è motivo di considerare migliori i capitalismi di Russia, Cina o India

imperialismo capitalismo jacobin italia 1536x560.jpgLa geopolitica mondiale è attualmente segnata da straordinarie tensioni e conflitti armati che fanno temere una guerra mondiale, soprattutto in Ucraina, Medio Oriente e Taiwan. Dall’inizio del 2010, la disposizione delle principali potenze statali ricorda sempre più gli anni precedenti alla grande conflagrazione imperialista del 1914. Una simile svolta sarebbe stata difficilmente immaginabile negli anni Novanta, quando l’ideologia della globalizzazione neoliberista dominava e gli Stati uniti regnavano come unica superpotenza.

Gli Usa restano senza dubbio il principale – e più aggressivo – attore sulla scena internazionale, come dimostra la loro posizione nei confronti della Cina. È importante notare che nessuno dei suoi potenziali sfidanti proviene dalle «vecchie» potenze imperialiste, ma tutti sono nati da quello che una volta era considerato il Secondo o il Terzo Mondo, con la Cina come principale concorrente economico e la Russia come principale concorrente militare. Ciò riflette la profonda trasformazione dell’economia mondiale negli ultimi decenni.

L’inasprimento delle tensioni avviene, inoltre, in un momento di storica performance negativa del nucleo centrale dell’economia mondiale, in particolare dopo la Grande Crisi del 2007-09. L’attività economica nelle aree centrali è notevolmente debole in termini di crescita, investimenti, produttività e così via, e non ci sono segnali evidenti di un nuovo rilancio. Il periodo successivo alla Grande Crisi del 2007-09 è un classico interregno nel senso di Antonio Gramsci, cioè del vecchio che muore e del nuovo che non nasce, solo che in questo contesto segnala l’incapacità del nucleo dell’accumulazione capitalistica di intraprendere una propria crescita sia a livello interno che internazionale.