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kamomodena

L’imperialismo nell’era Trump. Usa, Cina e le catene del caos globale

di Raffaele Sciortino

48162296741 1ca42cb727 o.jpgChe cos’è l’imperialismo oggi, nell’era di Trump?

Non è una domanda scontata, né una mera speculazione teorica; al contrario, siamo convinti che sia un nodo fondamentale, tanto per chi vuole comprendere il mondo, quanto per chi mira a trasformarlo – partendo, ancora una volta, da dove si è, da dove si è collocati. Un nodo che occorre sciogliere, se vogliamo porci all’altezza delle nuove questioni pratiche e politiche poste dal movimento reale e da questa fase storicamente determinata di guerra sempre più generalizzata. È la porta stretta da cui si è costretti a passare. Ma se vogliamo scioglierlo, crediamo che non possano bastare semplificazioni dottrinarie, facendoci bastare i “sacri testi” nella loro eterna immutabilità. Non ci possono bastare, ma non dobbiamo neanche cadere nell’errore opposto del “nuovismo”, convincendosi che è tutto cambiato, è tutto diverso rispetto a quando l’imperialismo è stato concettualizzato. Per noi, l’ortodossia e il nuovismo sono le due facce della stessa medaglia, le due facce dell’ideologia.

Riportiamo così, dopo l’intervento di Mimmo Porcaro su «L’Italia al fronte», la trascrizione del secondo incontro del ciclo «La fabbrica della guerra», con Raffaele Sciortino, compagno e ricercatore indipendente che non ha bisogno di presentazioni, già stato ospite a Modena. Da tempo lavora sui temi che stiamo discutendo: I dieci anni che sconvolsero il mondo (2019) e Stati Uniti e Cina allo scontro globale (2022) sono libri estremamente importanti perché hanno la peculiarità di riuscire a coniugare ambiti di analisi che di solito si trovano separati, ossia un ambito “alto” come la geopolitica, le politiche internazionali e la configurazione della globalizzazione, e la dinamica di classe, un livello “basso” solo in senso figurato.

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comedonchisciotte.org

Bibi chiederà a Trump di bombardare l’Iran? Scott Ritter dice di sì

di Mike Whitney - unz.com

w2.jpgSe l’Iran riprenderà l’arricchimento rifiutando le ispezioni dell’AIEA, Trump colpirà gli impianti sotterranei iraniani con un’arma nucleare B61-11 a basso potenziale.

Di solito si può dire quale parte ha vinto una guerra semplicemente osservando “cosa succede” dopo la fine delle ostilità. Dopo l’annuncio del cessate il fuoco tra Iran e Israele, milioni di iraniani si sono riversati per le strade di Teheran, intonando canzoni patriottiche e sventolando bandiere in una manifestazione spontanea di giubilo. Al contrario, non ci sono stati festeggiamenti o celebrazioni a Tel Aviv o a Gerusalemme, dove l’atmosfera era notevolmente più cupa e tetra. Ciò indica che la maggior parte delle persone crede che l’Iran abbia vinto la guerra.

Non stiamo ignorando il fatto che per Iran e Israele la soglia di successo nel conflitto era molto diversa. In qualità di aggressore, Israele doveva raggiungere i propri obiettivi strategici per poter dichiarare la vittoria, mentre l’Iran doveva solo resistere all’attacco, cosa che ha fatto con grande facilità. A prescindere dall’equità di questo parametro, il risultato è evidente: per 12 giorni, l’Iran ha tenuto testa a Israele, rispondendo colpo su colpo alla sua aggressione, fino a costringerlo a cercare un cessate il fuoco. In breve, l’Iran ha vinto.

Nel suo approccio all’Iran, Israele ha commesso diversi errori di valutazione, compromettendo le sue possibilità di successo. I suoi due errori più grandi sono stati l’eccessiva fiducia riposta nei propri sistemi di difesa aerea multilivello (Arrow 2, Arrow 3, David’s Sling, Iron Dome e THAAD), che si sono rivelati inadeguati a proteggere gli asset strategici del Paese. I pianificatori militari israeliani hanno inoltre sottovalutato in modo grossolano l’impressionante capacità missilistica di precisione di Teheran, che supera l’obsoleto arsenale israeliano e si colloca tra i migliori al mondo. La scorsa settimana, abbiamo fornito un elenco dettagliato delle principali strutture militari, di intelligence, industriali ed energetiche che sono state distrutte dai missili balistici a guida di precisione iraniani e che il sistema di difesa aerea israeliano non è riuscito a intercettare.

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tempofertile

Attraversando il continente nero. Letture di Carlo Formenti

di Alessandro Visalli

lumbumba.jpgTra il novembre 2024 e il marzo 2025, sul blog di Carlo Formenti, Per un Socialismo del Secolo XXI sono stati pubblicati una serie notevole di letture di testi relativi ad autori africani. Questi consentono di aprire una finestra su un enorme e storico dibattito legato alle trasformazioni del ciclo di lotte anticoloniali e al loro esito nell’età unipolare. Lotte che oggi potrebbero trovare l’occasione di una nuova stagione nell’era multipolare che si sta aprendo. Ciò a patto di comprendere gli errori, le compromissioni e le dimenticanze che si sono date.

Apre la serie, composta da sette post, l’analisi di tre autori caratterizzati dal loro impegno marxista: Said Boumama[1], Kevin Ochieng Okoth[2], Amilcare Cabral[3]. Segue la lettura della posizione di Walter Rodney[4], quindi la lettura di alcuni “classici”, ovvero intellettuali militanti della generazione precedente, come Du Bois, Padmore, Williams, James, Césaire[5], quindi la posizione di Cedric Robinson[6]. Infine, il marxismo nero e femminista di Angela Davis[7].

 

Due correnti: la prassi e la critica del discorso

L’insieme di queste letture illumina una tensione tra due modi di affrontare, dal punto di vista degli attori ‘periferici’, l’apertura critica determinatosi prima nella mobilitazione contro il colonialismo e razzismo occidentale (du Bois, Williams, Césaire, Fanon) e nel contesto delle lotte di liberazione nazionali, influenzate dal ‘socialismo arabo’ e dal marxismo (Okoth, Cabral, Rodney), da una parte, e l’ampia e maggioritaria corrente formatasi in seguito, soprattutto negli anni Novanta, intorno alla reazione alle delusioni e fallimenti della decolonizzazione (Said, Spivak, Bhabha, Hall, Mignolo, Quijano, Mbembe ed altri). Si tratta di una divaricazione su più piani: tra studi (decoloniali) che trovano la loro collocazione essenzialmente entro una svolta epistemologica (circa il modo di definire la verità) e politico-culturale che prende forza in quegli anni nel contesto dell’accademia americana e diventa particolarmente forte nei dipartimenti di letteratura, il post-modernismo; e, dall’altra, in contesti più impegnati nelle lotte contro il neocolonialismo e la sua base ‘razzialistica’ (in base alla distinzione di Cedric Robinson che vedremo tra breve).

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antropocene

La dottrina Trump e il nuovo imperialismo MAGA

di John Bellamy Foster

In questo articolo sul movimento MAGA, John Bellamy Foster esplora il drammatico cambiamento dell'imperialismo statunitense iniziato con la prima presidenza Trump e accelerato con la seconda. Il cambiamento, spiega Foster, non è guidato dall'antimperialismo e dall'antimilitarismo, ma rappresenta piuttosto un forte spostamento a destra, alimentato dall'ipernazionalismo e dall'obiettivo di riconquistare il potere degli Stati Uniti sulla scena mondiale

MR giu25.jpgIl drammatico cambiamento dell'imperialismo statunitense sotto la presidenza di Donald Trump, sia nel suo mandato iniziale che ancor più in quello attuale, ha creato una grandissima confusione e costernazione nei centri di potere istituzionali. Questa improvvisa modificazione della politica estera statunitense si manifesta nell'abbandono sia dell'ordine internazionale liberale costruito sotto l'egemonia statunitense dopo la Seconda Guerra Mondiale, sia della strategia a lungo termine di allargamento della NATO e della guerra per procura contro la Russia in Ucraina. L'imposizione di elevati dazi doganali e il mutamento delle priorità militari hanno persino messo gli Stati Uniti in conflitto con i suoi alleati di lunga data, mentre si sta accelerando la Nuova Guerra Fredda contro la Cina e il Sud globale.

Il cambiamento nella proiezione di potenza degli Stati Uniti è così estremo, e la confusione che ne è derivata è così grande, che persino alcune figure, da tempo associate alla sinistra, sono cadute nella trappola di vedere Trump come isolazionista, antimilitarista e antiimperialista. Per questo, il dissociato esponente della sinistra Christian Parenti ha sostenuto che Trump «non è un anti-imperialista nel senso che gli dà la sinistra. Piuttosto, è un istintivo isolazionista dell'America-First», il cui obiettivo, «più di qualsiasi altro recente presidente», è «smantellare l'impero globale informale americano» e promuovere una nuova politica estera «antimilitarista» «che si opponga all'impero».[1]

Tuttavia, lungi dall'essere anti-imperialista, il cambiamento globale nelle relazioni esterne degli Stati Uniti sotto Trump è dovuto a un approccio ipernazionalista al potere mondiale radicato in settori chiave della classe dirigente, in particolare nei monopolisti dell'alta tecnologia, così come nei sostenitori di Trump, in gran parte appartenenti alla classe medio-bassa. Secondo questa prospettiva neofascista e revanscista, gli Stati Uniti sono in declino come potenza egemonica e minacciati da nemici potenti: il marxismo culturale e gli immigrati "invasori" dall'interno, la Cina e il Sud globale dall'esterno, mentre sono ostacolati da alleati deboli e dipendenti.

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lantidiplomatico

Fame e speculazione a Gaza

Chris Hedges intervista Francesca Albanese

Vi presentiamo la trascrizione del colloquio – intervista tra il giornalista Premio Pulitzer, Chris Hegdes e la relatrice ONU per la Palestina, Francesca Albanese, sul genocidio di Israele nella Striscia di Gaza

720x410c5sg0.jpgQuando verrà scritta la storia del genocidio a Gaza, una delle figure più coraggiose e schiette nella difesa della giustizia e del rispetto del diritto internazionale sarà Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi. Albanese, giurista italiana, ricopre la carica di relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi dal 2022. Il suo ufficio ha il compito di monitorare e segnalare le “violazioni dei diritti umani” commesse da Israele contro i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza.

 

Albanese, che riceve minacce di morte e subisce campagne diffamatorie ben orchestrate da Israele e dai suoi alleati, cerca coraggiosamente di assicurare alla giustizia coloro che sostengono e alimentano il genocidio. Lei denuncia aspramente quella che definisce “la corruzione morale e politica del mondo” per il genocidio. Il suo ufficio ha pubblicato rapporti dettagliati che documentano i crimini di guerra commessi da Israele a Gaza e in Cisgiordania, uno dei quali, Genocide as Colonial Erasure, ho ristampato come appendice nel mio ultimo libro A Genocide Foretold.

Sta lavorando a un nuovo rapporto che smaschera le banche, i fondi pensione, le aziende tecnologiche e le università che aiutano e favoriscono le violazioni del diritto internazionale, dei diritti umani e i crimini di guerra da parte di Israele. Ha informato le organizzazioni private che sono “penalmente responsabili” per aver aiutato Israele a compiere il “genocidio” a Gaza.

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comedonchisciotte.org

Cessate il fuoco – La resa dei conti è rinviata

di Konrad Nobile

tris di capi.pngI sorprendenti sviluppi che hanno portato al cessate il fuoco tra Israele e Iran mi spingono a fare il punto della situazione e fare un bilancio di questa guerra dei 12 giorni e delle sue possibili conseguenze.

Ovviamente premetto che si tratta di considerazioni fatte a caldo e ancora sotto l’effetto di un forte coinvolgimento emotivo. Inoltre, mi rendo conto che dalla posizione di spettatore lontano, sicuro e privilegiato non si possa comprendere appieno la situazione reale.

Sicuramente per capire veramente quel che è successo e le sue ripercussioni ci vuole del tempo, calma e una lucidità e una profondità che mi mancano.

Qualche giorno or sono ho scritto un articolo per ComeDonChisciotte dal titolo “GUERRA ALL’IRAN: I NODI VENGONO AL PETTINE”, nel quale ho sostenuto che lo scontro apertosi in Asia occidentale sia da interpretare come uno scontro esistenziale (per tutte le parti coinvolte).

Nonostante lo sviluppo del cessate il fuoco, riconfermo questa lettura, per quanto lo scontro venga ora “congelato” e rinviato nuovamente.

Ad ogni modo, la soluzione trovata da Trump con la mediazione del Qatar è stata sorprendente: è stata smentita la tesi, espressa nel mio precedente articolo, che sosteneva che “Lo scontro apertosi il 13 giugno con l’aggressione israeliana alla Repubblica Islamica è ormai molto difficile possa rientrare per lasciare spazio a nuovi compromessi e negoziati.”.

Alla fine, invece, almeno per ora, è stata trovata proprio quella “improbabile de-escalation” che non ritenevo di facile realizzazione.

Ho l’impressione che la mossa di Trump, aiutata dalla Russia e dalla Cina, sia stata abilissima per tutelare i suoi interessi e salvaguardare il sistema economico-commerciale globale.

Il presidente americano è riuscito a venirne fuori alla grande, anche se i risultati finali si potranno trarre nel medio-lungo periodo.

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lantidiplomatico

Il resettaggio bellico del sistema-mondo

di Geraldina Colotti

720x410cr50.jpgDi fronte a un'escalation bellica che sta superando tutti i livelli di guardia, i richiami alle norme che regolano i conflitti a livello internazionale per evitare una guerra nucleare (tra i quali quello dello scienziato italiano, Giorgio Ferrari, e il tardivo ripensamento dei vertici dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica -Aiea -), sembrano destinati al vuoto, consegnati a un deserto, di sordità o di impotenza.

Intanto perché i due principali attori che spingono il mondo verso la catastrofe - gli Stati uniti e il regime sionista, il padrone imperiale e il suo cane da guardia, sempre scalpitante e ora senza freni - si considerano al di sopra delle regole, avendo rifiutato di firmare qualunque trattato che ne limitasse l'azione.

Né gli Usa né la sua rabbiosa propaggine, messa a guardia degli interessi occidentali in Medioriente, hanno infatti ratificato i Protocolli aggiuntivi del 1977 della convenzione di Ginevra, che vietano il bombardamento dei siti nucleari. “Israele” (al pari di India e Pakistan) non ha d'altronde firmato neanche l'originario Trattato di Non Proliferazione Nucleare (Tnp), entrato in vigore nel 1970 e sottoscritto da quasi tutti i paesi del mondo, e considerato il punto più alto del contenimento collettivo deciso nel secolo scorso. E ha continuato a sviluppare il suo arsenale nucleare e quello di menzogne, coperte dagli Usa, dalla Francia e poi dall'Unione europea.

L’Italia, per esempio, il cui governo erede del fascismo non ha votato per il riconoscimento dello Stato di Palestina, ritenendo che debba avvenire “nel quadro di negoziati diretti tra israeliani e palestinesi e non unilateralmente”, si è spesso astenuta nelle votazioni all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite su risoluzioni che avrebbero potenziato i diritti della Palestina come Stato osservatore. In concreto, fa grossi affari con il regime sionista, e gli fornisce elicotteri, cannoni navali ed altri armamenti, ma anche componenti dei caccia F-35, vettori di armi nucleari.

Bisogna ricordare che il Tnp, in uno dei suoi tre punti principali riconosce il diritto di tutti gli stati che fanno parte del trattato di sviluppare la ricerca, la produzione e l'uso dell'energia nucleare per scopi pacifici, con la supervisione dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) per garantire che tale tecnologia non venga deviata per scopi militari.

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sinistra

La natura deterministica di questa guerra

di ALGAMICA*

2G8GBW8 3.jpgDi fronte alla aggressione terrorista dello Stato di Israle contro l’Iran, che fa il lavoro sporco per conto dell’Occidente, e agli Stati Uniti, che dopo tanto tentennare, sono intervenuti con i loro bombardieri B-2, molti temono che si sia oltrepassata una linea rossa. Tutto sta precipitando improvvisamente verso gli scenari politici, sociali e militari del secolo scorso?

Prima di addentrarci su questa domanda vogliamo chiarire un punto. Israele aggredisce perchè insieme all’Occidente, si è ficcato in un vicolo cieco nel genocidio del popolo palestinese, nella deportazione di tutti i palestinesi da Gaza. In sostanza agisce in preda a una crisi esistenziale infiammando l’intera area mediorientale. Gli Stati Uniti, che non vorrebbero impantanarsi in guerre che non possono vincere fino in fondo – basta vedere come è andata a finire per l’invicibile armada contro lo Yemen degli Houthi – di fronte a un pazzo che getta una bomba dentro una sala dove stai negoziando, è assalito dal dubbio amletico: « vorrei rilanciare l’american dream smettendo di promuovere guerre infinite, ma la guerra infinita è arrivata a me, mi lascio trascinare o non mi lascio trascinare? Temporeggio due settimane oppure agisco immediatamente sperando di risolvere il tutto con un paio delle mie super bombe? »

Dietro alla retorica anche per gli Stati Uniti e, di conseguenza, per l’insieme dell’Occidente, si pone lo stessa dilemma esistenziale. Sotto i colpi di una crisi generale dell’accumulazione e una crisi demografica, la cosiddetta civiltà occidentale si trova a dover segnare il passo in Africa, in Medio Oriente in Asia e in America Latina. La questione palestinese, anch’essa irrisolvibile nell’attuale quadro. Nonostante questi mesi abbiano segnato passaggi a favore di Israele, nel genocidio di Gaza e nella frantumazione della Siria cannibalizzata, lo Stato sionista non è in grado di reinvertire il corso della sua crisi. Circa l’aggressione militare israeliana all’Iran, Steve Bannon lucidamente sintetizzava il dilemma che continua a logorare gli Stati Uniti attraverso una domanda rivolta all’establishment israeliano:

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lafionda

Perché gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iran?

di Paolo Cornetti

photo 2025 06 23 03 20 58.jpgAlla fine, è accaduto. Il solstizio d’estate di quest’anno ha segnato non soltanto un passaggio stagionale, ma l’inizio di una nuova e drammatica stagione bellica.

Alle 2:10 iraniane della notte tra il 21 e il 22 giugno, dopo nove giorni di continui bombardamenti israeliani, sono intervenuti i velivoli bombardieri B-2 americani che, trovandosi la strada del cielo completamente spianata, hanno agito in profondità nel territorio nemico e sganciato le loro bombe sui siti nucleari di Fordow e Natanz. Contemporaneamente i sottomarini nucleari della U.S. Navy posizionati nel Mar Arabico colpivano con una ventina di missili da crociera Tomahawk il sito di Isfahan, nel quale è presente l’impianto in cui l’uranio naturale viene processato per poi essere trasferito nelle centrifughe di Natanz e Fordow.

I B-2 hanno, invece, attaccato Fordow e Natanz con le ormai famigerate bunker buster bombs, sganciandone un totale di 14, in quello che è il più importante raid aereo mai svolto con questo tipo di armamento.

Questa particolare e potente bomba che può essere trasportata e sganciata solo dai B-2 statunitensi, ha capacità di distruzione nel sottosuolo ed è, infatti, stata impiegata sui siti di Fordow, costruito all’interno di una montagna una novantina di metri sottoterra, e di Natanz, costruito parte in superfice e parte sotto.

Se una valutazione più precisa dei danni effettivi può essere fatta soltanto con il passare delle ore, le dichiarazioni iraniane e americane tendono a contraddirsi. Secondo Donald Trump l’attacco avrebbe completamente distrutto le centrali nucleari iraniane; mentre secondo fonti iraniane non ci sarebbe stata nessuna fuoriuscita di radiazioni, come per il momento ha confermato anche l’AIEA, ma ci sarebbero alcuni feriti e nessuna vittima. Il numero dei feriti e delle loro condizioni non è stato invece divulgato.

Apparentemente ad avere subito i danni maggiori sembra essere stata la centrale di Natanz, mentre la posizione di Fordow è più complicata da valutare, anche se membri delle istituzioni iraniane hanno dichiarato che tutto il materiale pericoloso era stato preventivamente evacuato e che la contraerea che si è efficacemente attivata ha evitato danni importanti a tutto l’impianto.

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analisidifesa

Israele e Iran salvano la faccia, Trump vince (e anche Putin)

di Gianandrea Gaiani

54368057050 e0fd60e2a3 o(aggiornamento alle ore 17,00 del 24.6)

La tregua stabilita nelle scorse ore è stata annunciata da Donald Trump e poi dai governi di Teheran e Tel Aviv ha preso corpo troppo in fretta lasciando il dubbio che facesse parte di un piano già predefinito, probabilmente fin dall’avvio dei bombardamenti statunitensi sui centri nucleari iraniani.

Gli ultimi sviluppi del conflitto sembrano indicare che abbia trovato ampie conferme l’ipotesi formulata da Analisi Difesa di “un’ammuina” statunitense tesa a salvare la faccia a Benjamin Netanyahu offrendo una via d’uscita a Israele ormai a corto di armi antimissile.

USA e Israele hanno annunciato la “missione compiuta” dicendosi certi della totale distruzione del programma nucleare iraniano Trump nonostante non vi siano certezze circa i danni inflitti ai bunker sotterranei, alcuni dei quali peraltro non noti, e nonostante non vi sia traccia di oltre 400 chili di uranio arricchito.

Richard Nephew, ex funzionario statunitense esperto di Iran Usa, ha detto il Financial Times che nessuno sa dove siano finiti i 408 chili di uranio arricchito al 60 per cento. Gli Stati Uniti e Israele non hanno la capacità per riuscire a individuarlo a breve. L’intervento militare americano ha al più ritardato di qualche mese il programma atomico di Teheran.

Mohammad Eslami, capo dell’Organizzazione per l’energia atomica dell’Iran, ha dichiarato che Teheran sta “valutando la possibilità di riparare e rilanciare le parti danneggiate dell’industria nucleare. Abbiamo pianificato in modo che non ci fossero interruzioni nel processo produttivo”, ha aggiunto.

L’impianto nucleare iraniano di Fordow ha subito solo danni parziali a seguito dell’attacco statunitense di domenica sera e la situazione nell’area è tornata alla normalità” ha riferito ieri l’agenzia di stampa ufficiale iraniana Tasnim citando le autorità locali.

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seminaredomande

“Zeitenwende” il cambiamento epocale tedesco

di Francesco Cappello

La Germania lancia sassi alla Russia nascondendosi dietro l’articolo 5 della NATO. Perché il “pacifista” Trump permette pericolosissimi dislocamenti di truppe tedesche in Lituania?

photo 2025 06 09 17 14 49 818x641.jpgPer la prima volta dalla seconda guerra mondiale, la Germania manda truppe, in permanenza, nel territorio di un altro paese. L’ultima volta, come si ricorderà, fu nel caso della tentata invasione della Russia, la cosiddetta operazione Barbarossa che costò da 26 a 27 milioni di vittime tra civili e militari all’URSS.

Si tratta di cinquemila uomini di una divisione pesante (vedi scheda).

Come è noto, da sempre la Nato è sotto comando statunitense. Se Trump fosse realmente interessato alla distensione con la Russia, oltre che a smantellare le armi nucleari USA sul territorio europeo, piuttosto che aggiungerne di nuove (si pensi alle nuove bombe nucleari B61 13), bisognerebbe che si opponesse alla pericolosa dislocazione di truppe tedesche in Lituania.

Immaginiamo uno scontro tra lituani e russi, al confine tra Lituania e Russia. La Lituania confina con Kaliningrade, l’exclave russa, a due passi dal territorio continentale russo. Nel caso di una risposta militare ad una qualsiasi provocazione che coinvolgesse truppe lituane/tedesche scatterebbe la possibilità di far ricorso all’articolo 5 [1] del trattato Nord Atlantico che comporterebbe l’attivazione di 31 paesi membri in soccorso della Lituania contro la Russia. Si ricordi che sin dall’inizio i russi hanno avvertito che il giorno in cui il conflitto dovesse malauguratamente uscire dal territorio ucraino, e la Federazione Russa si trovasse a dove far fronte a tutta la NATO, diventerebbe inevitabile per la sua difesa il ricorso all’enorme arsenale nucleare di cui dispone, quale extrema ratio per difendersi a fronte di una minaccia ormai esistenziale.

 

L’arrivo di truppe tedesche permanenti in Lituania sarebbe un atto di difesa preventiva: non più se serve interveniamo, ma siamo già qui, pronti a reagire subito

Parlano, infatti, di “rafforzamento” dell’articolo 5 con riferimento al posizionamento militare reale, non solo simbolico. La NATO ha sempre avuto piani per la difesa dell’Europa orientale, ora però sta pensando e realizzando basi permanenti.

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acropolis

La gaza-izzazione dell’Occidente

di Christian Salmon

Mentre la narrativa occidentale presenta la politica genocida di Israele come semplici “operazioni militari”, a Gaza si sta in realtà sperimentando una tecnologia di dominio letale. L’Europa, più che spettatrice, è complice attiva di questa necropolitica; il suo silenzio rivela la vicinanza del suo immaginario a quello di uno Stato di Israele che non condanna, poiché entrambi condividono la stessa ossessione per il terrorismo islamista e il controllo biopolitico delle popolazioni immigrate.

2025 05 17T081435Z 1100640030 RC2JJEA6EAXC RTRMADP 3 ISRAEL PALESTINIANS GAZA.jpgNel teatro mediatico contemporaneo, Gaza si è trasformata in un laboratorio di storytelling geopolitico. Ogni immagine, ogni testimonianza, ogni cifra diventa un elemento narrativo in una battaglia di racconti che va ben oltre i confini geografici del conflitto. Ci sono i morti di Gaza e c’è la loro scomparsa programmata nei racconti dei media occidentali. Tra i due, una macchina narrativa di formidabile efficacia trasforma un genocidio in un «conflitto complesso», i carnefici in vittime e i testimoni in «antisemiti». Come può una potenza militare genocida e i suoi alleati massacrare un popolo e vincere contemporaneamente la battaglia delle narrazioni?

Nei think tank di Washington e nelle agenzie di Hasbara, un esercito di narratori lavora giorno e notte per capovolgere la realtà. Ogni scuola bombardata diventa un «covo di terroristi», ogni ospedale distrutto nascondeva «tunnel di Hamas», ogni giornalista ucciso era un «combattente travestito». Gaza non è più solo un territorio di 365 chilometri quadrati dove sono ammassati due milioni di esseri umani. Gaza è diventata una storia, o meglio un campo di battaglia di storie… Nei corridoi ovattati dei ministeri e delle agenzie di comunicazione non si parla più di «guerra» ma di «operazione», non più di «bombardamenti» ma di «attacchi chirurgici», non più di «civili morti» ma di «danni collaterali». Il vocabolario militare si è trasformato in un linguaggio marketing, modellato dagli “spin doctor” che trasformano la realtà in una storia formattata per l’opinione pubblica occidentale.

Se c’è una cosa che viene occultata dalla ricorrente esposizione mediatica delle “narrazioni” israeliana e palestinese (autodifesa e resistenza) e dalla falsa simmetria delle forze in campo, è proprio la natura di questa guerra che, nella sua estrema razionalità, sconvolge tutto ciò che pensavamo di sapere sulla guerra totale, la guerra civile o la guerra coloniale.

È una guerra multidimensionale, combattuta in aria, sulla terra e persino nei sotterranei della Striscia di Gaza.

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lantidiplomatico

Violati i segreti nucleari di Israele, inventati quelli iraniani

Il non detto dell'attacco israeliano all'Iran

di Fulvio Grimaldi

Tel Aviv distruz.jpgAttacco all’Iran. Just in time

Mentre scriviamo queste righe, ci troviamo in piena bagarre. Azioni, reazioni, risposte e controrisposte tra Israele e Iran, chiaramente sempre con Israele che, come da consuetudine, ha incominciato, hanno ormai assunto una loro cadenza quasi autonoma, sul cui andamento a fare previsioni si può essere certi solo di sbagliare.

Altra certezza è che per il futuro prevedibile ciò che ci capiterà sarà una caterva di bugie israeliane, con analoga improntitudine ripetute e rafforzate dallo schieramento dei gazzettieri ontologicamente embedded. I nostri. E una lunga consuetudine di manipolazioni, spesso solo molto più tardi rivelatesi tali, ci conforta sul fatto che tra versioni ucraino-occidentali e versioni russe, come tra le israelo-atlantiche e quelle dei nemici designati, hanno sistematicamente più rilevanti addentellati con la realtà i secondi.

Nel caso specifico a questo dato dà irreversibile consistenza il fatto che chi ha iniziato è colui che attribuisce alla controparte una colpa indimostrata per esso, ma assolutamente consolidata per se stesso: la disponibilità di armi atomiche e la facoltà di usarle. Facoltà agevolata dall’ulteriore dato che l’aggressore iniziale non ha firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, la vittima iniziale, sì. E che l’aggressore iniziale non consente ispezioni dell’agenzia ONU a ciò deputata, mentre la vittima iniziale, sì. Da decenni. Con risultati che fin qui lo hanno confermato innocente di qualsiasi violazione di quanto sottoscritto. Violazione pur accanitamente sostenuta dall’aggressore bomba-dotato.

In particolare risulta smentita da documenti, immagini e da testimonianze spesso dal sen sfuggite, la pervicace minimizzazione che l’ufficialità israeliana compie rispetto a vittime e danni subiti, sia nel corso degli attuali bombardamenti iraniani, sia nei quasi venti mesi di confronto con i combattenti di Hamas. Il ministero della Difesa, cuore e mente dell’apparato militare israeliano a Tel Aviv, centrato in pieno, risulta solo “lievemente danneggiato da esplosioni nelle vicinanze”.

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tempofertile

Appunti sul 13 giugno. Israele e Iran

di Alessandro Visalli

2025 06 13T043313Z 1657312682 RC2G1FA0CJZ1 RTRMADP 3 IRAN NUCLEAR 1 1.jpgNella tragica vicenda in corso, tra il 13 e il 15 giugno di questo 2025. Il 13 Israele ha attaccato unilateralmente, l’operazione “Rising Lion”, attaccando brutalmente l'Iran mentre si stava negoziando sul programma nucleare, e questi ha risposto poco dopo con l’operazione “True Promise III” che al momento si è materializzata in attacchi ibridi da più direzioni con centinaia di missili balistici di varia natura e modernità e droni. Questi hanno perforato a decine la difesa a quattro strati israeliana, probabilmente supportata anche da aerei e mezzi navali Nato, colpendo bersagli civili (fabbriche, aeroporti, porti, raffinerie) e militari (centri di comando e controllo).

L’attacco israeliano, che si pone nella posizione oggettiva dell’aggressore, è stato condotto con aerei (circa 200, la metà di quelli teoricamente disponibili) F-35, F-16 e F-15, dei quali almeno 3 abbattuti (pare F-35), e droni con partenza da prossimità (occultati come da esempio ucraino di poche settimane prima) e sabotatori. I bersagli sono stati, da parte israeliana, i siti nucleari e di ricerca iraniani (a Natanz, Fordow, Esfahan e Arak), gli aeroporti militari, i radar e silo di missili, l’importantissimo South Park gas Field, alcuni edifici residenziali ad alta densità a Teheran (es. il Nobonyad Square), alcuni stabilimenti industriali, poi Israele ha ucciso con attacchi mirati nelle proprie case, alcuni comandanti del IRGC come Hossein Salami, Mohammad Bagheri, Gholam Ali Rashid, Amir Ali Hajizadeh, Ali Shamkhani, e scienziati nucleari come Fereydoon Abbasi e Mohammad Mehdi Tehranchi.

Il contrattacco iraniano, sempre alla data di oggi, ha colpito Tel Aviv, Bat Yam, Rehovot, Gerusalemme e Tamra nella prima ondata, e Haifa, Rishot LeZion, Kiryat Ekron e di nuovo Tel Aviv e altre nella seconda. Gli attacchi si sono concentrati su basi militari e aeroporti, ma anche sulle infrastrutture energetiche, colpendo la raffineria Bazan di Haifa nella quale le attività sono parzialmente sospese e ci sono danni agli oleodotti, e sulle strutture portuali.

Ritengo i fatti solo occasionalmente connessi con il 'casus belli' del programma nucleare (civile) iraniano, ma da inquadrare in primo luogo nella Grande Strategia Israeliana di liberarsi degli avversari sciiti e di coloro che potrebbero ostacolare il piano, vitale per le prospettive di lungo termine, del “Patto di Abramo[1] un asse infrastrutturale ed energetico che parte dall'India per sboccare ai porti israeliani, passando per l'Arabia Saudita[2].

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lafionda

Il volto nudo dell’occupazione

di Michele Agagliate

occupazione palestina israele.jpgIl colonialismo sionista, l’ipocrisia occidentale e la verità negata: perché la Palestina oggi non ha futuro — e perché abbiamo il dovere morale di dirlo.

Non è (solo) Netanyahu. È Israele. È il suo sistema. È la sua ideologia fondativa. È l’impalcatura culturale, religiosa e militare che regge da decenni uno Stato costruito sulla rimozione sistematica del popolo palestinese e sulla trasformazione della propria identità da rifugio per un popolo perseguitato a potenza teocratica, fanatica e colonialista.

La narrazione dominante in Europa – e, in modo ancora più accentuato, negli Stati Uniti – racconta una favola rassicurante: che esisterebbe un “buon Israele” laico, democratico, pluralista, insidiato solo recentemente da un estremismo politico incarnato da Benjamin Netanyahu e dai suoi alleati ultranazionalisti e ortodossi. Ma questa narrazione è falsa. O meglio: è consolatoria, perché serve a scindere ciò che invece è organicamente unito.

La verità è che Netanyahu non è un incidente. Non è un’eccezione. Non è neppure una degenerazione. È l’espressione più efficace – e oggi più trasparente – del sionismo contemporaneo. E il sionismo, nel 2025, non è più una dottrina di autodifesa ebraica. È diventato, nella sua forma concreta e statuale, una dottrina suprematista, segregazionista, esclusivista. È l’unica ideologia politico-religiosa del mondo occidentale a essere ancora al potere in uno Stato armato fino ai denti, che gode dell’impunità diplomatica delle democrazie occidentali e del sostegno economico-militare di Washington.

Il problema non è la destra. Il problema è la maggioranza. Perché anche oggi, mentre i carri armati devastano Gaza e gli F-16 colpiscono il nord dell’Iran, meno del 20% degli israeliani dichiara di opporsi in modo netto alla politica estera e militare del proprio governo. Un dato in calo, secondo le rilevazioni del Israel Democracy Institute. La maggioranza della popolazione sostiene le operazioni militari, la retorica dell’annientamento del nemico, la giustificazione preventiva dell’uso della forza come unica grammatica geopolitica.