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ilpungolorosso

L’esercito sionista attacca le basi Unifil in Libano. Strano? E perché?

di Il Pungolo Rosso

Israele in LibanoS’è scatenato un gran baccano internazionale, in questi giorni, perché l’esercito sionista ha osato attaccare le basi Unifil, forte della sua assoluta storica impunità dovuta alla protezione incondizionata di cui gode da decenni. Un baccano insensato, e ipocrita. Forse è il caso di ricordare che il 22 luglio 1946 l’Haganah e l’Irgun non esitarono a far saltare in aria a Gerusalemme il King David Hotel in cui era ospitato il comando delle truppe britanniche in Palestina e Cisgiordania (facendo 91 morti e 46 feriti) – fu la punizione inferta ai loro protettori britannici per aver cercato, assai blandamente in verità, di porre un qualche argine all’immigrazione ebraica in Palestina – https://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_al_King_David_Hotel.

La banda Stern (il nome ufficiale era Lehi), autrice del feroce massacro di palestinesi nel villaggio di Deir Yassin e dalle esplicite simpatie per il nazismo, l’Irgun e l’Haganah si segnalarono per altri omicidi mirati ai danni dei loro mandanti (Lord Moyne, ad esempio, e fu assassinato da loro anche Lord Bernadotte, il mediatore ONU). Compirono attentati anti-britannici anche fuori dalla Palestina (uno avvenne a Roma), e – notate bene! – all’atto di fondazione dello stato di Israele tutti i membri di queste formazioni ultra-sioniste di rivendicata matrice terroristica (*) furono incorporati, previa amnistia generale, dentro l’esercito regolare e nella nomenklatura politica. I loro capi (Shamir, il “pacifista” Rabin, i macellai Dayan e Sharon, e via continuando) sono stati per decenni tra le massime autorità politiche e militari dello stato sionista.

Quindi, di cosa meravigliarsi? C’è da chiedersi, piuttosto, il perché dei recenti attacchi ad Unifil nel sud del Libano. E la risposta è piuttosto agevole. La trascriviamo paro paro dal Corriere della sera di ieri, 11 ottobre, certo non imputabile di sentimenti anti-sionisti:

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seminaredomande

Anniversari. Il 7 ottobre è accaduto l’11 settembre

Una parziale rassegna di analisti non allineati

di Francesco Cappello

bulldozergazawallAll’indomani del 7 ottobre è stato subito chiaro che non tutti i giornalisti e gli analisti avevano accettato l’interpretazione dei fatti come diffusi dal mainstream. Passerò in rassegna, più o meno in ordine di apparizione, quelle analisi che mi sono note e che hanno messo radicalmente in dubbio l’interpretazione corrente dei fatti di quel sabato 7 ottobre 2023, usati per “legittimare”, almeno agli occhi della maggioranza più sprovveduta, l’azione genocidiaria del governo israeliano, iniziata il giorno dopo, e che tragicamente continua, senza interruzione, da un anno a questa parte

Ecco come Grandangolo, la Rassegna stampa internazionale del venerdì su Byoblu, a cura di Manlio Dinucci, andata in onda venerdì 13 ottobre, presenta didascalicamente la propria versione dell’attacco di Hamas ai danni di Israele, avvenuto sabato 7 ottobre del 2023, nell’edizione dal titolo L’11 settembre del Medioriente:

Secondo la versione ufficiale, l’attacco di Hamas ha “colto di sorpresa” Israele. Vi è però una serie di fatti inspiegabili che non rende credibile la versione ufficiale.

Come è possibile che la barriera di Gaza sia stata sfondata con bulldozer senza che nessuno se ne sia accorto? La barriera che circonda Gaza, lunga 64 chilometri, è formata da un muro sotterraneo dotato di sensori, per impedire di scavare tunnel, e da una recinzione alta 6 metri con sensori, radar, telecamere e sistemi d’arma automatici collegati a un centro di comando, ed è presidiata da soldati.

Come è possibile che in quello stesso giorno si stesse svolgendo un festival musicale, con migliaia di giovani, nel deserto a pochi chilometri da Gaza, in una zona già ritenuta pericolosa perché nel raggio dei razzi di Hamas, per di più senza alcuna forza di sicurezza?

Come è possibile che, quando i militanti di Hamas hanno attaccato i centri abitati, non siano immediatamente intervenute con elicotteri le forze speciali israeliane, ritenute tra le migliori del mondo, e siano intervenute solo forze di polizia?

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sollevazione2

I sionisti stanno vincendo?

di Leonardo Mazzei

vittoria.jpgDomande e punti fermi ad un anno dal 7 ottobre

Un anno fa, a caldo, scrivemmo che la data del 7 ottobre sarebbe rimasta nella storia. Definimmo lo sfondamento del muro che recinge il lager di Gaza come il grido di libertà della Resistenza palestinese. Sapevamo pure che il significato e la natura di quell’eroica azione sarebbe stato infangato, distorto, infine rovesciato dalla narrazione nazi-sionista che pervade l’occidente.

Così scrivevamo, infatti, il 10 ottobre 2023:

«A Gaza, sabato scorso, un muro è stato abbattuto. È il muro che recinge da 16 anni il più grande campo di concentramento che la storia ricordi. Quello sfondamento è stata la vittoria di tutti coloro che amano la libertà delle persone e dei popoli. Ma quel coraggioso rilancio della lotta di liberazione è stato subito etichettato come “terrorismo”. Il linguaggio orwelliano si è imposto un’altra volta. Era inevitabile che così fosse nella nostra marcia società. Ma questa arroganza dei dominanti è pure il segno della loro straordinaria insicurezza. Hanno talmente paura del mondo così com’è, che lo raccontano a rovescio non solo agli altri ma pure a sé stessi».

Fu chiaro da subito che il 7 ottobre avrebbe segnato una svolta nella lotta di liberazione del popolo palestinese, così come non c’erano dubbi sull’estrema ferocia della reazione dell’occupante sionista.

In un anno di acqua ne è passata sotto i ponti, ed è giusto tentare un primo bilancio (sintetico e per punti) di quanto avvenuto, anche per provare a capire quel che ci aspetta.

 

  1. Israele stato criminale e genocida

In questi giorni i sionisti di tutto il mondo, gente disonesta e spudorata come tutti i razzisti che si rispettino, hanno cercato di venderci la storia di un 7 ottobre come riedizione dello sterminio nazista.

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carmilla

Laboratorio Palestina

di Nico Maccentelli

Antony Loewenstein: Laboratorio Palestina, Fazi Editore, 2024, pg. 336, € 20,00

laboratoriopalestina.jpgCome Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo

Per prima cosa due premesse. La prima: oggi più di ieri a fare qualsiasi critica a Israele si viene tacciati di antisemitismo. Nulla di più falso per quanto riguarda la gran parte di coloro, soggetti, movimenti od organizzazioni che sostengono la Resistenza Palestinese e il diritto del popolo palestinese ad avere una sua terra. Tanto più che i palestinesi sono semiti, per cui l’accusa oltre che essere falsa è pure demenziale, se non si sapesse che chi la formula è in perfetta malafede. Se l’hasbara, ossia quella rete ben organizzata dal sionismo per screditare e buttare fango su tali realtà solidali con il popolo palestinese e che è ramificata in ogni partito istituzionale, in ogni redazione mediatica, insomma ovunque viene prodotta informazione e politica, è così potente una ragione c’è.

E qui passiamo alla seconda premessa: la ragione sta nel fatto che senza Israele, l’Occidente collettivo, ossia quella parte di mondo dominata dall’unipolarismo atlantista a dominanza USA, avrebbe seri problemi di tenuta davanti all’avanzare di quell’altra parte di mondo che si sta affermando sul piano economico e geopolitico e con i conflitti in corso anche sul piano militare. La questione palestinese non è qualcosa di a sé stante ma è parte di quella guerra mondiale a pezzi, per parafrasare il papa, che rischia ogni giorno di più di diventare mondiale e nucleare. Per questa ragione, al di là degli appelli pelosi e ipocriti di tale Occidente a una tregua in Palestina e in Libano, la potenza militare di questo cane da guardia che non conosce limiti e regole, serve eccome.

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lantidiplomatico

Le trappole della democrazia borghese e la verità del socialismo bolivariano

di Geraldina Colotti

neirbfh“Mai ci è importato che alcuni fascisti europei votino una risoluzione senza nessun valore contro la sovranità del Venezuela”. Così, con la dignità e l’orgoglio di chi si sente erede del Libertador Simon Bolivar, il presidente dell’Assemblea venezuelana, Jorge Rodriguez, durante una conferenza stampa internazionale, ha commentato la decisione dell’Eurocamera di “riconoscere” come “presidente eletto” del Venezuela, l’ex candidato dell’estrema destra, Edmundo Gonzalez Urrutia.

Dello stesso tenore la reazione dell’ambasciatore all’Onu, Alexander Yánez, che ha definito un “ridicolo volantino” dettato da Washington la dichiarazione con cui, al Consiglio per i diritti umani, 40 paesi hanno “denunciato Nicolás Maduro”. In un successivo comunicato, il ministro degli Esteri venezuelano, Yvan Gil, ne ha precisato i termini, denunciando il tentativo di rieditare il fallito Gruppo di Lima, azionato ai tempi della precedente autoproclamazione, nel 2019.

Grottesco che a guidare all’Onu la condotta del gruppo sia stata la ministra degli Esteri argentina, Diana Mondino, portavoce di quel Javier Milei che sta calando quotidianamente la “motosega” sui diritti basici del popolo argentino. Insensato che i rappresentanti dei paesi europei definiscano una golpista dichiarata e confessa come Maria Corina Machado “leader delle forze democratiche”. Significativo, invece, che il magnate delle piattaforme digitali, Ellon Musk, abbia ricevuto in pompa magna Milei e che ora abbia dato un premio alla presidente del consiglio italiana, Giorgia Meloni, di estrema destra. Tutti, ovviamente, grandi campioni di democrazia. E altrettanto “democratiche” sono le minacce proferite dal capo di Black Water, Erik Prince, di riservare “sorprese” mercenarie al Venezuela, come poi è puntualmente accaduto, nel silenzio assordante dei media europei.

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jacobin

Imperialismi e rivalità economica

di Costas Lapavitsas

Il crescente conflitto tra blocchi diversi conferma che non esiste un'unica classe capitalista mondiale. E non c'è motivo di considerare migliori i capitalismi di Russia, Cina o India

imperialismo capitalismo jacobin italia 1536x560.jpgLa geopolitica mondiale è attualmente segnata da straordinarie tensioni e conflitti armati che fanno temere una guerra mondiale, soprattutto in Ucraina, Medio Oriente e Taiwan. Dall’inizio del 2010, la disposizione delle principali potenze statali ricorda sempre più gli anni precedenti alla grande conflagrazione imperialista del 1914. Una simile svolta sarebbe stata difficilmente immaginabile negli anni Novanta, quando l’ideologia della globalizzazione neoliberista dominava e gli Stati uniti regnavano come unica superpotenza.

Gli Usa restano senza dubbio il principale – e più aggressivo – attore sulla scena internazionale, come dimostra la loro posizione nei confronti della Cina. È importante notare che nessuno dei suoi potenziali sfidanti proviene dalle «vecchie» potenze imperialiste, ma tutti sono nati da quello che una volta era considerato il Secondo o il Terzo Mondo, con la Cina come principale concorrente economico e la Russia come principale concorrente militare. Ciò riflette la profonda trasformazione dell’economia mondiale negli ultimi decenni.

L’inasprimento delle tensioni avviene, inoltre, in un momento di storica performance negativa del nucleo centrale dell’economia mondiale, in particolare dopo la Grande Crisi del 2007-09. L’attività economica nelle aree centrali è notevolmente debole in termini di crescita, investimenti, produttività e così via, e non ci sono segnali evidenti di un nuovo rilancio. Il periodo successivo alla Grande Crisi del 2007-09 è un classico interregno nel senso di Antonio Gramsci, cioè del vecchio che muore e del nuovo che non nasce, solo che in questo contesto segnala l’incapacità del nucleo dell’accumulazione capitalistica di intraprendere una propria crescita sia a livello interno che internazionale.

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lindipendente

Lo strano caso del naufragio del Bayesian

di Salvatore Maria Righi

Bayesian.pngNon risulta che fosse un lupo di mare, il reverendo inglese Thomas Bayes, noto agli statistici per il suo teorema sulla probabilità condizionata, che in sostanza permette una ricerca a posteriori delle cause di un evento che si è verificato. Ma calcolare le probabilità di una causa nel provocare un evento è esattamente quello che in sostanza stanno facendo gli inquirenti della procura di Termini Imerese, per cercare di diradare la nebbia e i misteri calati sul tragico affondamento del Bayesian, il veliero inglese colato a picco nei giorni scorsi davanti a Palermo e che proprio del matematico e filosofo del ‘700 portava il nome, la prima delle tante strane coincidenze, o brutti presagi, di questa storia che ha colorato di nero il mare blu di Porticello.

 

Le vittime

Sette vittime, a cominciare dal proprietario e uomo d’affari Mike Lynch e dai suoi importanti e potenti ospiti, e per finire con sua figlia Hannah, 18 anni, l’ultima dei dispersi e l’ultimo corpo restituito dal relitto, studentessa modello e prossima a frequentare la Oxford University. 15 superstiti che sono arrivati a terra terrorizzati col tender messo a disposizione dal capitano Karsten Borner, nostromo del “Sir Robert Baden Powell”, la nave olandese che ha prestato soccorso ai naufraghi nei momenti immediatamente successivi al disastro. Curiosamente, la furiosa tempesta e relativa tromba marina che avrebbero causato l’affondamento del Bayesian, hanno lasciato intatto e pienamente funzionante lo scafo governato dal tedesco Borner, nonostante sia più o meno la metà del veliero inglese finito a oltre 50 metri di profondità sul fondale palermitano: 32 metri di lunghezza, sei di larghezza, e pesante meno di un quarto, 111 tonnellate. 

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pressenza

Elon Musk e un nuovo “Ruanda” per il Venezuela

di Geraldina Colotti

Venezuela 25.jpgIl Venezuela è di nuovo sulle prime pagine dei giornali, e a livello internazionale. Perché tanto interesse per le vicende di un paese lontano dal “primo mondo”, se la maggioranza di coloro che ne parlano non riescono a segnalarlo nemmeno sulle carte geografiche? Perché tanta furia e tante “dichiarazioni” sul sistema che governa il Venezuela, anche da parte di chi, in Europa, è totalmente disinteressato alla politica? Per quali meccanismi si scatenano queste “passioni”?

Cerchiamo di elencare brevemente alcuni punti a questo proposito, sia dal lato della borghesia che dal lato di coloro che cercano di combatterla.

Il Venezuela è un paradigma, un nuovo paradigma – economico, politico, simbolico – per il 21° secolo. Un laboratorio che dovrebbe essere preso in considerazione anche da chi tiene gli occhi fissi sul modello europeo.

Il Venezuela rappresenta il punto di frattura più alto che si sia verificato nel modello capitalista dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Un esempio concreto che le cose si possono cambiare non solo con le armi ma anche con il voto, purché si assumano i costi della difesa del programma proposto, anche se “limitato” ad alcune modifiche strutturali, coniugando i principi del socialismo con la democrazia popolare.

Non dobbiamo sottovalutare la forza dell’esempio, decisivo nel corso del XX secolo (il secolo delle rivoluzioni), in cui tutti gli oppressi dal sistema capitalista “volevano fare come in Russia”. La forza dell’esempio, che l’imperialismo ha cercato di distruggere, distorcere o nascondere dispiegando un gigantesco apparato multiforme, come si è visto e si vede contro Cuba, Nicaragua e Venezuela.

È necessario riflettere profondamente sul significato della motivazione data, nel 2014, dal “democratico” Obama per imporre “sanzioni” al Venezuela, definito come “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti”. La minaccia dell’esempio.

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lantidiplomatico

Il volto del fascismo, tra il Venezuela e l'Europa

di Geraldina Colotti

720x410c50.jpgImmaginate un volo cancellato, diretto a un paese d'Europa e i passeggeri alloggiati in un hotel del Venezuela. Immaginate un incontro casuale con una signora dai tratti caraibici che vive da decenni in una città europea, preoccupata di non poter dare risposte certe alla famiglia in merito alla data del rientro. E immaginate una conversazione fra due donne, con la prima che mostra la foto dei figli, e la seconda che s'interroga, da giornalista, in quale campo politico si situi la signora – una venezuelana proveniente da una zona ricca del paese, teatro di recenti disturbi post-elettorali, tornata per votare. E la conversazione si rivela interessante.

Risulta che la venezuelana fa parte dei “comanditos”, che è attiva tra l'Europa e il suo paese, e che abbia risposto – dice - a “qualunque cosa” le abbiano chiesto le aggruppazioni di estrema dal Venezuela: dalla raccolta di medicine - sottratte “a quei malati di cancro che non ne avevano più bisogno”, ai soldi che di certo non servivano a curare, ma a organizzare violenze e colpi di stato, alla propaganda e a chissà cos'altro.

Ha avuto qualche esitazione solo quando, ai tempi del poliziotto-attore, Oscar Pérez, che voleva tentare il golpe nel 2018, “una persona poi tornata nell'ombra” le aveva chiesto un coinvolgimento maggiore. Ora rimpiange che “il sacrificio” di Pérez non sia servito a far ribellare i militari “che nei ranghi bassi - afferma – sono tutti con noi, ma negli alti comandi no, perché stanno con Padrino e Diosdado”.

La donna si considera un'anti-chavista della prima ora. Come tanti oppositori ritiene di essere stata penalizzata “perché Chávez ha espropriato i terreni e le fabbriche e ha portato alla rovina il paese”. Una convinzione ben radicata in famiglia, ma con qualche eccezione nella prole. Il voto della signora, invece, alle ultime elezioni europee è andato all'estrema destra. E qui le cose sono chiare, considerata l'ammirazione di Machado per la motosega del torvo Milei e per le politiche genocide del boia Netanyahu.

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altrenotizie

Venezuela, il manuale di un golpe

di Lorenzo Poli

2verme.pngNel luglio 2024, il Woodrow Wilson International Center for Scholars (o Wilson Center) - uno degli United States Presidential Memorial, fondato a Washington DC come parte dello Smithsonian Institution, riconosciuto come uno dei primi dieci più importanti think tank al mondo - ha pubblicato un paper dal titolo “Venezuela Desk – How to stop a coup”, ovvero “come fermare un colpo di Stato in Venezuela”. Un titolo che potrebbe trarre in inganno, in quanto potrebbe far pensare ad un documento che voglia prevenire un colpo di Stato, ma in realtà si tratta del suo opposto: il dossier illustra i piani golpisti di stampo fascista che gli Stati Uniti avevano preparato per le elezioni presidenziali del 28 luglio contro il governo socialista di Nicolas Maduro. A scrivere il dossier è stato Mark Feierstein, già funzionario del Dipartimento di Stato dell’USAID e del National Democratic Institute, nonché elemento chiave nella “sporca guerra” contro la Rivoluzione Sandinista in Nicaragua negli anni Novanta, nel colpo di Stato contro Fernando Lugo in Paraguay e nel creare il noto piano strategico venezuelano per destabilizzare il governo di Nicolás Maduro da quando è entrato in carica nel 2013. In questo paper, Feierstein, presenta in sette pagine una sorta di tabella di marcia per programmare l’ennesima “rivoluzione colorata”, come teorizzata da Gene Sharp, al fine detronizzare Maduro rivelando e dando conferma di questo.

Il documento ammette che il raggruppamento dell’opposizione venezuelana anti-Maduro è una strategia degli Stati Uniti; che Washington ricatta il governo bolivariano con le sanzioni e con il blocco economico; che la sua intenzione è quella di coinvolgere i governi europei, di Colombia e del Brasile per fare pressione prima e dopo le elezioni del 28 luglio e che gli Stati Uniti vogliono penetrare il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE).

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carmilla

E allora Hamas? La violenza degli oppressi e i dilemmi della sinistra occidentale

di Fabio Ciabatti

Enzo Traverso, Gaza davanti alla storia, Editori Laterza, 2024, pp. 95, € 12,00

Palestina.jpgLa violenza è l’unico modo per affermare la propria umanità da parte di chi subisce una brutale oppressione. Inutile fare appello alla sua essenza umana astratta, sferrare un pugno al volto del suo carnefice è l’unico mezzo per riacquisire la propria dignità. La violenza repressiva è la negazione dell’uguaglianza e quindi dell’umanità stessa. La violenza vendicatrice, all’opposto, crea uguaglianza, ma questa è soltanto negativa, un’uguaglianza nella sofferenza. Per questo, non bisogna mai dimenticarlo, uno dei compiti più difficili è trasformare la violenza sterile e vendicativa in violenza liberatoria e rivoluzionaria. Credo che questo sia un buon punto di partenza per chi vuole esprimere la doverosa e piena solidarietà con la lotta del popolo palestinese mantenendo allo stesso tempo uno sguardo lucido sulle posizioni in campo.

Queste considerazioni sulla violenza si possono trovare nel pamphlet Gaza davanti alla storia di Enzo Traverso, sebbene non appartengano direttamente all’autore che le riprende da Jean Améry, un sopravvissuto ai campi di sterminio della Seconda guerra mondiale. Si tratta di riflessioni che partono proprio dalla condizione dei prigionieri nei lager nazisti. Se qualcuno si scandalizzasse per il paragone tra i palestinesi perseguitati dal colonialismo sionista e gli ebrei vittime del genocidio hitleriano si deve notare che è lo stesso Améry che, riflettendo sugli scritti di Fanon, accosta “l’oppresso, il colonizzato, il detenuto del campo di concentramento, forse anche lo schiavo salariato sudamericano” nelle sue considerazioni sulla violenza.1

Il rovesciamento tra la vittima di ieri e il carnefice di oggi non è l’unica inversione di cui prende atto Traverso riflettendo sulla tragedia di Gaza.

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lantidiplomatico

Il "piano di pace" di Trump: scaricare la guerra ucraina all'Europa per il vero obiettivo

di Clara Statello

bliv.jpgLa guerra in Ucraina è una guerra per il nuovo ordine globale. L'Occidente ha trasformato un conflitto locale nella lotta tra democrazia e autocrazia, tra Bene e Male, cioè in uno scontro di civiltà. La guerra sarebbe potuta finire dopo poco più di un mese, con l'accordo negoziato a fine marzo a Istanbul, che prevedeva condizioni vantaggiose per Kiev, se Boris Johnson e altri leader occidentali non l'avessero sabotato.

Ciò a dimostrazione che il sostegno militare all'Ucraina non è motivato dalla nobile difesa dei diritti fondamentali dei popoli. La NATO combatte una guerra fino all'ultimo ucraino contro la Russia per mantenere il proprio primato. I Paesi occidentali sacrificano Kiev sull'altare della supremazia del blocco imperialista a guida statunitense.

Se Putin vincesse, non si limiterebbe a colpire la Georgia, ma l'intero vicino estero russo, nel tentativo di ricostruire l'Unione Sovietica. La fine della deterrenza NATO, inoltre, incoraggerebbe l'iniziativa della Cina su Taiwan e di Hezbollah in Israele.

Questo è il timore dei leader europei, espresso in modo chiaro dall'ex premier inglese Johnson in un editoriale pubblicato sabato sul Daily Mail.

Su una cosa i vassalli di Washington hanno ragione: il mondo unipolare è al tramonto. Le nuove potenze emergenti, sempre più presenti sui mercati internazionali, chiedono un maggior protagonismo decisionale; chiedono un ordine internazionale dominato dalle regole del diritto, non dai veti statunitensi e dai doppi standard; chiedono pari dignità ai popoli del mondo.

Ma non sarà la Cina o l'Iran o la Russia ad attaccare militarmente l'Occidente, per imporre un ordine che è già reale.

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lantidiplomatico

Il “Destino Manifesto” degli Stati Uniti, i Nativi Americani e il resto del mondo

di Raffaella Milandri

owenguogNel XIX secolo si fece strada negli Stati Uniti il concetto di “Destino manifesto” (in inglese Manifest destiny), una sorta di credo nella naturale superiorità di quella che allora veniva chiamata la “razza anglosassone”: espandersi era considerata una missione, per diffondere la loro forma di libertà e democrazia. Per i sostenitori del Destino manifesto l'espansione non era solo buona, ma anche ovvia (manifesta) e inevitabile (destino). Tutti concetti legati all'eccezionalismo americano e al nazionalismo romantico, e precursori dell’imperialismo americano e dell’americanismo. Oltre alle ovvie (anzi manifeste) riflessioni sul fatto che questo concetto sopravviva anche oggi, approfondiamone l’influsso nefasto, facciamo una visione d’insieme. Chiuderemo attenendoci al tema di questa rubrica: i Nativi Americani, che sono un ottimo esempio per analizzare la politica e la storia contemporanea. Disse Alexis de Tocqueville: “La storia è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e molte copie”.

 

Il Destino Manifesto

Vorrei dare un breve quadro geopolitico d’insieme.

Secondo lo storico William Earl Weeks, alla base del concetto del Destino Manifesto c'erano tre principi fondamentali:

1)L’assunto della virtù morale unica degli Stati Uniti;

2)L'affermazione della sua missione di redimere il mondo attraverso la diffusione della democrazia repubblicana e più in generale dello “stile di vita americano”;

3)La fede nel destino della nazione, stabilito in modo divino, di riuscire in questa missione.

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ilpungolorosso

La Palestina nel suo contesto. Israele, gli Stati del Golfo ed il potere americano nel Medio Oriente

di Adam Hanieh

iychrhjIl saggio del ricercatore di Exeter Hanieh, che proponiamo in traduzione, offre una lettura di ampio respiro della questione israelo-palestinese inerendola nel contesto della vicenda del Medio-Oriente a partire dal secondo-dopoguerra. Hanieh ricostruisce le dinamiche politiche nell’area, divenuta, anzitutto per la dotazione di risorse petrolifere, un luogo strategico della storia del capitalismo contemporaneo. Richiama dunque l’azione spoliatrice e violenta dell’imperialismo occidentale a guida statunitense, che, con lo Stato di Israele come punta di diamante, mostra appieno il suo volto reazionario con la repressione del movimento di lotta anticoloniale, animato dal pan-arabismo, al cui interno, benché in subordine, sono vissute istanze di emancipazione sociale delle masse sfruttate. Hanieh si propone così di scardinare la lettura asfittica e astratta della questione israelo-palestinese, centrata su Israele, Gaza e la Cisgiordania soltanto, la quale priva la lotta dei palestinesi del suo enorme significato storico-politico e induce a credere che il legame tra Occidente e Israele sia un accidente da attribuirsi al semplice lavorio della “lobby ebraica”. Hanieh mostra come in Medio Oriente, viceversa, l’indomita resistenza palestinese costituisca storicamente, e a tutt’oggi, un macigno nella scarpa ferrata dell’imperialismo, e abbia dunque un significato generale di emancipazione dal giogo occidentale.

Una maggiore considerazione delle dinamiche sociali avrebbe ulteriormente avvalorato la tesi secondo cui, per usare un’espressione a noi cara, la Palestina è la patria degli oppressi di tutto il mondo. O meglio, Hanieh pone sotto la sua lente la società israeliana. Evidenzia come, al pari del Sud-Africa dell’Apartheid, sia nella natura delle colonie di insediamento, veri “centri di organizzazione del potere occidentale”, di diventare un concentrato di violenza militarista, a misura che rafforzano le proprie “strutture di oppressione razziale, di sfruttamento di classe e di espropriazione”, con il risultato che “una parte consistente della popolazione trae vantaggio dall’oppressione delle popolazioni indigene e intende i propri privilegi in termini razziali e militaristici.”

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giubberosse

American dystopia - La maschera della propaganda e la sindrome dell'utopia (revisited)

di Larry Romanoff per Blue Moon of Shanghai

nouvvc.pngIn un articolo del NYT sulla “democrazia razziale” (o democrazia razzista) dell’America [1], Jason Stanley e Vesla Weaver hanno osservato che “la filosofa Elizabeth Anderson ha sostenuto che quando gli ideali politici divergono molto dalla realtà, gli ideali stessi possono impedirci di vedere il divario. Quando la storia ufficiale differisce molto dalla realtà della pratica, la storia ufficiale diventa una sorta di maschera che ci impedisce di percepirla”.

Ciò significa che se la propaganda non solo è incessante e pervasiva, ma se i suoi principi sono troppo lontani dalla verità fattuale, le vittime di questa propaganda perdono la capacità di separare i fatti dalla finzione e diventano incapaci di riconoscere la discrepanza tra le loro credenze e le loro azioni, credendo che le loro azioni corrispondano ai principi di ispirazione religiosa della loro propaganda anche quando palesemente e ovviamente non corrispondono. La teoria non è intuitivamente ovvia, ma è fortemente supportata dai fatti. Forse è per questo motivo che gli americani sono colpevoli di quella che io chiamo “la sindrome dell’utopia”, in quanto si confrontano non con il mondo reale delle loro azioni ma con qualche standard utopico che esiste solo nella loro immaginazione, un mondo di fantasia e di illusioni in cui loro soddisfano gli standard ma tutti gli altri no. In quest’ottica, è possibile che molto di ciò che attribuiamo all’ipocrisia americana sia in realtà dovuto a un tipo di follia di massa peculiarmente americana.

I dizionari definiscono generalmente “l’aberrazione” come una deviazione dal normale o dal tipico, un evento o una caratteristica che può essere sgradevole o addirittura criminale, ma che si incontra raramente.