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ilblogdim.consolo

Sul fallito golpe in Bolivia

di Marco Consolo

Bolivia golpe.jpgIl 26 giugno scorso il mondo è stato testimone dell’ennesimo tentativo di golpe nello Stato Plurinazionale della Bolivia, per il momento fallito.

Da subito si sono susseguite interpretazioni più o meno interessate a costruire una matrice di opinione (auto-golpe del Presidente Luis Arce) o fantasiose ricostruzioni sulla rivalità tra Evo Morales e Luis Arce in base alle rispettive “simpatie” per la Russia o la Cina, le cui imprese hanno firmato contratti con il governo boliviano. Mi sembra importante evitare le ricostruzioni sempliciste, superficiali o manichee. Come sempre accade, i tentativi di golpe sono complessi e con molte varianti, con diversi ballon d’essai, tentativi in progress, esperimenti. E non tutte le ciambelle riescono col buco.

Ma andiamo con ordine.

 

Una prima ricostruzione dei fatti

La mattina del 26 giugno, alla testa di un manipolo di soldati e diversi autoblindo, il Gen. Juan José Zuñiga, fino ad allora a capo dell’Esercito, appare in Plaza Murillo, sede del palazzo presidenziale al centro della capitale La Paz. Il generale Zuñiga cerca di entrare nella Casa Grande del Pueblo (sede del Governo), con le truppe d’élite nascoste dietro i passamontagna e armate fino ai denti.

Nelle ore precedenti, in un’intervista televisiva, il generale aveva accusato di qualsiasi nefandezza l’ex-presidente Evo Morales, e aveva minacciato di “arrestarlo” (senza nessun tipo di sentenza giuridica) se si fosse candidato alla presidenza nel 2025. Il giorno prima, nonostante quelle dichiarazioni, Zuñiga non era stato destituito ipso-facto dal Presidente Arce per la violazione della legge boliviana sulle FF.AA., la cosiddetta LOFA.

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tpi

“In Italia si fa disinformazione su Gaza. Rai e La7 non mi vogliono perché accuso Israele di genocidio”

Enrico Mingori intervista Francesca Albanese

“L’Olocausto non ci ha insegnato niente: abbiamo sconfitto Hitler ma non le su idee razziste. In Occidente c’è una forte lobby pro-Israele, un sistema di suprematismo bianco che intimidisce e punisce chiunque osi criticare lo Stato ebraico. E in Italia questo sistema è particolarmente forte: nei miei confronti c’è una conventio ad excludendum. Vi spiego perché quello di Israele è un genocidio e quello di Hamas no”. Intervista alla Relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati

1200x675 cmsv2 5313e609 21f3 5892 905b 4262989d40c3 8158592Francesca Albanese, 44 anni, originaria della provincia di Avellino, dal 2022 è Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. Laureata in Giurisprudenza a Pisa, si è specializzata fra Londra e Amsterdam in diritti umani e in diritto internazionale dei rifugiati. TPI l’ha intervistata per parlare dell’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza e del modo in cui il conflitto viene raccontato in Occidente.

* * * *

Albanese, in cosa consiste il suo lavoro di Relatrice speciale Onu per i territori palestinesi occupati?

«Il mio lavoro è sostanzialmente cambiato dallo scorso 7 ottobre. Prima c’era, sì, una violazione costante dei diritti umani nella Palestina occupata, ma non era tanto esasperata quanto adesso. La situazione è stata sempre grave, certo, ma ora è in atto un vero e proprio assalto costante nei confronti della popolazione sotto occupazione. Il mio lavoro consiste nella documentazione delle violazioni che hanno luogo a Gaza, ma sto raccogliendo informazioni anche su quello che succede in Cisgiordania e a Gerusalemme. Israele, infatti, sta approfittando del fatto che in questo momento l’attenzione è tutta rivolta su Gaza per accelerare con l’annessione di terre palestinesi in Cisgiordania, dove intere comunità pastorali sono state scacciate: fino a una decina d’anni fa incontrare tali comunità, incluso beduini nell’Area C della Cisgiordania (60% della terra che Israele controlla interamente) era un fatto comune, mentre oggi sta diventando sempre più difficile. Addirittura è documentata la vendita di proprietà e di terre palestinesi a compratori occidentali, con maggioranza di statunitensi o canadesi. È tutto abbastanza surreale».

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analisidifesa

Media, censure e facce di bronzo

di Gianandrea Gaiani

x1080.jpgHa suscitato reazioni aspre quanto ingiustificate in Europa la decisione resa nota il 25 giugno dalle autorità russe di imporre restrizioni nei confronti di 81 media europei impedendone l’accesso tv e internet al territorio della Federazione Russa.

Tra i media europei presi di mira figurano i siti di RAI, LA7, La Stampa e Repubblica, come spiega l’agenzia di stampa Ria Novosti ma anche i giornali tedeschi Der Spiegel, Die Zeit e Frankfurter Allgemeine Zeitung, i quotidiani francesi Le Monde, La Croix e l’agenzia France Presse (AFP) oltre a Radio France Internationale. La Russia ha imposto restrizioni anche ai quotidiani spagnoli El Mundo ed El Pais, all’agenzia di stampa EFE, all’emittente statale austriaca ORF e ai giornali web Politico ed Euobserver.

L’iniziativa russa costituisce una “rappresaglia” sul fronte mediatico rispetto alla decisione assunta il 17 maggio dal Consiglio Europeo di vietare sul territorio dell’Unione la diffusione video e internet dell’agenzia Ria Novosti e dei giornali Izvestia e Rossiyskaya Gazeta: divieto che ha preso il via proprio il 25 giugno.

”In risposta alla decisione presa dal Consiglio della Ue il 17 maggio di vietare ‘qualsiasi attività di trasmissione’ su tre media russi che entra in vigore oggi, 25 giugno, vengono adottate contro-restrizioni all’accesso introdotte dal territorio della Federazione Russa alle risorse radiotelevisive di numerosi media degli Stati membri dell’Ue e degli operatori di tutta Europa, che diffondono sistematicamente false informazioni sullo svolgimento dell’operazione militare speciale” in corso in Ucraina, si legge nel comunicato del ministero degli Esteri russo.

I russi, prosegue la nota, hanno ripetutamente e a vari livelli avvertito che ”le molestie politicamente motivate nei confronti dei giornalisti e i divieti infondati nei confronti dei media russi nella Ue non passeranno inosservati”.

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intelligence for the people

Dal 7 ottobre a oggi – Scivolando verso l’abisso

di Roberto Iannuzzi

Dal rischio di deflagrazione del conflitto tra Israele e Hezbollah, ai fantasmi del 7 ottobre che ancora aleggiano sul governo Netanyahu (con qualche stralcio tratto dal mio nuovo libro)

3965ff37 a12e 4bb8 9e09 f091feb6099d 1074x673.jpgIl protrarsi dell’operazione militare israeliana a Gaza, e l’intensificarsi dello scontro fra Israele e Hezbollah al confine libanese, hanno definitivamente sancito la saldatura delle due crisi o, se vogliamo, una sorta di “principio dei vasi comunicanti”.

Tradotta in altri termini, l’equazione è la seguente: 1) non ci sarà pace sul confine libanese se non verrà decretato un cessate il fuoco a Gaza.

2) Quanto più aumenterà il rischio di genocidio della popolazione palestinese nella Striscia, tanto più lo scontro al confine libanese rischierà di deflagrare in un conflitto su vasta scala, in grado di far impallidire la catastrofe di Gaza.

Per certi versi, questo esito era scritto fin dai primi giorni successivi al 7 ottobre. Allorché si è compreso che quella avviata da Israele a Gaza non era una semplice rappresaglia, per quanto dura, ma un’azione volta ad annientare Hamas sia militarmente che politicamente (se non addirittura a compiere una vera e propria pulizia etnica della Striscia), è parso evidente che questo conflitto avrebbe avuto pericolose ripercussioni regionali.

Come ho scritto nel mio libro “Il 7 ottobre tra verità e propaganda”,

Se c’è una cosa che i primi cento giorni del tragico conflitto di Gaza hanno dimostrato è che esso non sarebbe rimasto confinato a Gaza.

 

Asse filo-iraniano

Ciò è fondamentalmente dovuto al fatto che Hamas non è un attore isolato, ma fa parte del cosiddetto asse regionale filo-iraniano, che oltre a Teheran include le milizie sciite irachene (e alcuni raggruppamenti politici sciiti a Baghdad), la Siria del presidente Bashar al-Assad, Hezbollah in Libano, e il gruppo degli Houthi nello Yemen.

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jacobin

Il laboratorio Israele

Chiara Cruciati intervista Enzo Traverso

Dialogando con Chiara Cruciati, Enzo Traverso spiega perché la posta in gioco della guerra a Gaza ha una portata che va ben al di là del Medio Oriente

israele palestina traverso jacobin italia 1536x560.jpgQuesta intervista di Chiara Cruciati, vicedirettrice del manifesto, a Enzo Traverso è avvenuta il 16 giugno nell’ambito del festival Contrattacco organizzato da Edizioni Alegre. All’iniziativa, durata due ore, hanno assistito quasi 200 persone. Qui la trascrizione del colloquio, rivista dagli autori.

* * * *

L’8 giugno 2024, un’operazione israeliana per la liberazione di 4 ostaggi ha ucciso 276 palestinesi. Nei giorni successivi sono usciti dettagli sul modo in cui l’operazione è stata compiuta, nel cuore del campo profughi di Nuseirat. Eppure sui media occidentali e nelle dichiarazioni pubbliche dei leader politici si è parlato di «successo». La narrazione dell’offensiva israeliana passa da mesi per la sotto-rappresentazione se non l’occultamento dei crimini di guerra israeliani, eppure stavolta si è raggiunto un nuovo apice: definire una carneficina «un successo». Un massacro ampiamente anticipato dalle leadership europee che all’indomani del 7 ottobre dichiararono il sostegno «incondizionato» a Israele, dando di fatto la benedizione a qualsiasi forma di reazione.

In Gaza davanti alla storia dedichi un capitolo prezioso all’Orientalismo, più forte scrivi dell’eredità dell’Illuminismo. Dare valore diverso a una vita e a una comunità sulla base della presunta superiorità morale e culturale del mondo bianco occidentale è un tratto essenziale dell’Orientalismo. Possiamo leggere dentro a questo però anche una deriva necropolitica e, di rimando, fascista?

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contropiano2

L’imperialismo e il conflitto tra aree valutarie

di Carla Filosa - Francesco Schettino

1200x630c50.jpgImperialismo transnazionale e aree valutarie

La concatenazione transnazionale che ha cambiato la configurazione della lotta interimperialistica, ormai da molto non più rigidamente suddivisa per prevalente appartenenza statuale, appare nella richiesta di un’accresciuta capacità di penetrazione del capitale nel mercato mondiale. Perciò la predeterminazione di aree valutarie di riferimento supera in importanza la mera collocazione storica geografica dell’investimento.

Sarebbe perciò un grave errore ritenere, com’è diffuso costume, che gli elementi monetari e valutari siano soltanto una questione separata dalle strategie industriali produttive.

Da un lato, si pongono in risalto i caratteri di una rincorsa dell’“economia reale”, disperata perché in crisi, nell’attuale nuova divisione internazionale del lavoro – ovverosia, filiere di produzione, dislocazioni, esternalizzazioni, subfornitura a scala mondiale, “corridoi” energetici e altro, “vantaggio competitivo”, centralizzazione e trasformazione degli assetti proprietari internazionali, con rovesciamento del ruolo tra organismi sovrastatuali e stati nazionali, privatizzazioni se reputate efficaci, ecc.

D’altro lato, si evidenziano quelli di un’“economia monetaria” che cerca di procedere alla ridefinizione egemonica delle suddette aree valutarie di riferimento significativo per il mercato mondiale “unificato”.

La tematica delle aree valutarie si pone per individuare nel dettaglio quali elementi di costo siano espressi in dollari, in euro o nelle valute asiatiche, rublo, yuan e yen, e in quale valuta quindi si presentino in divenire anche i prezzi di vendita. Da quanto precede si possono dedurre alcuni argomenti chiave.

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sulatesta

Fermare il genocidio e smascherare le cattive narrazioni che lo giustificano

di Paolo Ferrero

035.jpgDa oltre 6 mesi lo stato israeliano sta massacrando i palestinesi a Gaza. Un tempo lunghissimo in cui un giorno segue l’altro in una brutalità che ha assunto un tratto burocratico, pianificato, normale… Un tempo infinito che ci dice quattro cose:

1. Quella di Israele non è una guerra contro Hamas, ma un genocidio contro il popolo palestinese. In ogni guerra vi sono vittime civili, hanno addirittura inventato la definizione di “danni collaterali” per darne conto. In questo caso non vi è alcun danno collaterale: il centro dell’azione militare dell’esercito israeliano è rivolto contro la popolazione di Gaza con decine di migliaia di morti di cui oltre 13.000 bambini. Le bombe sugli ospedali, sul parlamento, sull’università, sul complesso delle infrastrutture che permettevano la vita a Gaza di due milioni di persone, non sono danni collaterali ma la drammatica normalità di una brutale azione genocida.

2. L’obiettivo del genocidio che lo stato israeliano sta compiendo, non è lo sterminio di tutti i palestinesi ma la pulizia etnica della striscia di Gaza. Israele vuole rendere impossibile la vita a Gaza a due milioni di palestinesi, terrorizzandoli con i bombardamenti, distruggendo le loro case e le infrastrutture, in modo da poterli sgombrare e occupare quel territorio con nuovi insediamenti illegali di coloni israeliani. Siamo dinnanzi a un genocidio finalizzato alla “sostituzione etnica” nel territorio di Gaza.

3. La strumentazione che lo stato di Israele sta utilizzando per realizzare i suoi obiettivi a Gaza non è solo militare. Oltre alle bombe, man mano che passa il tempo, la strategia terroristica dello stato israeliano si esprime sempre più attraverso il blocco dell’ingresso a Gaza dei generi alimentari, dell’acqua, nei medicinali e di quant’altro sia necessario per permettere la nuda vita ai palestinesi intrappolati in quell’immenso campo di concentramento che è Gaza.

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collettivomillepiani.jpg 

La Resistenza palestinese e i movimenti antimperialisti 

di Jacques Bonhomme 

palestina 11.jpg1. Perché la Palestina resiste 

Perché la Palestina resiste? È questa la domanda che, riemersa da un vecchio titolo, si fa strada in molti di noi. Il vecchio titolo, giova ritornarci, era quello di un piccolo volumetto sulla lunga e travagliata storia anticoloniale del popolo vietnamita, scritto da Jean Chesneaux. La stessa domanda dopo sessant’anni, con altri luoghi e un altro popolo, con un popolo, quello palestinese, che già allora si specchiava in quello vietnamita, come del resto in quelli dell’Africa e dell’America latina; la stessa domanda, certo, ma con un mondo dove le restaurazioni sembrano subentrate alle rivoluzioni che allora scuotevano e percuotevano la catena imperialistica mondiale e che nella moltiplicazione dei Vietnam avevano la loro metaforica parola d’ordine. Ed è una domanda, inoltre, che avvicina i mondi complementari delle masse metropolitane dell’Occidente, disarmate dalla scomposizione tecnologica dei luoghi dell’unità di classe, e dei popoli delle periferie coloniali, anch’essi derubati dei progetti di liberazione del secolo scorso, di quei progetti che, dapprima, furono interrotti e soffocati da una controrivoluzione imperialistica mondiale e che, successivamente, o a volte contemporaneamente, vennero disarticolati dal neocolonialismo.

La domanda, quindi, riunisce umanità sfruttate, svalutate e respinte – i sottouomini di Sartre, per intendersi – e fa riascoltare voci antiche nelle nuove, apre una prospettiva sulle forze che, nei mutevoli contesti storici, ridanno costantemente vigore alle lotte antimperialistiche. Infine, questa domanda, come avviene in ogni buona filosofia, avvia un’indagine e chiede repliche e proseguimenti, e, soprattutto, non sollecita una risposta che stringa in mano elementi saldi e univoci, poiché questi, mentre gli aerei israeliani bombardano rabbiosamente i palestinesi e i loro fedayyin, non sono afferrabili.

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lantidiplomatico

Il prossimo Novus Ordo Seclorum: il cambiamento è necessario, non c’è scelta!

di Alastair Crooke

720x410c50nkhufykDurante una visita a Oxford alcune settimane fa, Josep Borrell, l'Alto Rappresentante dell'UE, ha fatto un'osservazione interessante: "La diplomazia è l'arte di gestire i doppi standard". Walter Münchau ha illustrato l'ipocrisia intrinseca di questo concetto, confrontando l'entusiasmo con cui i leader dell'UE hanno sostenuto la decisione della Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di arresto contro Putin lo scorso anno e "il rifiuto di accettarla quando colpisce un membro del proprio team" (cioè Netanyahu).

L'esempio più eclatante di questo doppio standard riguarda la gestione occidentale delle realtà create. Un doppio standard – una 'narrazione' di noi che 'vinciamo' – viene costruito e poi contrapposto a una narrazione di 'loro che falliscono'.

L'uso della creazione di narrazioni di vittoria (invece di ottenere effettivamente la vittoria) può sembrare piuttosto astuto, ma l'incertezza che causa può avere conseguenze potenzialmente disastrose. Ad esempio, le minacce deliberatamente confuse del Presidente Macron di inviare forze NATO a servire in Ucraina – che hanno solo contribuito a preparare la Russia per una guerra più ampia contro tutta la NATO, accelerando le sue operazioni offensive.

Invece di scoraggiare – come probabilmente intendeva Macron – ha portato a un avversario più determinato, con Putin che ha avvertito che la Russia eliminerebbe qualsiasi 'invasore' della NATO. Non è stato così astuto, dopo tutto...

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laletteraturaenoi

La distruzione delle università di Gaza

di  Michele Sisto

Universita Gaza c39e04d8Tra gli aspetti più rivelatori del genocidio in corso a Gaza c’è quello che l’ONU definisce scolasticidio e alcuni studiosi educidio: la distruzione sistematica di scuole e università.

Non è la prima volta. Come scrive Norman G. Finkelstein, nel 2008-2009 «nel corso dell’operazione Piombo Fuso Israele ha distrutto o danneggiato 58.000 abitazioni (6.300 sono state completamente distrutte o hanno subito gravi danni) e 280 tra scuole e asili»: tra questi ultimi «6 edifici universitari sono stati rasi al suolo». E Max Blumenthal ha descritto come, durante il «venerdì nero» del 2 agosto 2014, l’aviazione israeliana ha bombardato gli uffici amministrativi e il Dipartimento di Inglese dell’Università Islamica di Gaza.

Dal momento che Israele impedisce ai giornalisti l’accesso alla striscia di Gaza e uccide i giornalisti palestinesi che soli potrebbero documentare la distruzione, è difficile raccogliere informazioni precise su quanto è accaduto. Fin da ottobre, tuttavia, si potevano vedere sui social media le immagini del bombardamento dell’Università Islamica di Gaza e dell’Università Al-Azhar, e più tardi quelle dell’abbattimento dell’Università Al-Israa (a proposito del quale i giornalisti hanno chiesto al governo degli Stati Uniti una presa di posizione, mettendo in imbarazzo il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller). Da novembre, poi, sono apparse le prime denunce, su organi di stampa specialistici come «University World News» o generalisti come il «Guardian».

Solo il 20 gennaio 2024, però, dopo quattro mesi dall’inizio della campagna dell’IDF, un’organizzazione non governativa con sede a Ginevra, Euro-Mediterranean Human Rights Watch, ha pubblicato i risultati di un’indagine che consentiva di fare un primo un bilancio dell’entità della distruzione. Poiché per mesi la stampa internazionale, da «Al-Jazeera» al «manifesto», ha fatto riferimento a queste cifre, le uniche disponibili, vale la pena citare qualche brano del documento (le traduzioni, di questo e dei successivi brani, sono mie).

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effimera 

Javier Milei presidente: il caso argentino

Resoconto di 40 giorni a Buenos Aires

di Angelo Zaccaria

Questo contributo è prodotto di una recente permanenza di circa 40 giorni in Argentina, svoltasi fra la seconda metà di Marzo e fine Aprile di questo anno

Dal governo Milei qua 18995462 1200x800.jpgParlo di un “caso argentino” perché colpisce che un paese come l’Argentina, che nel cosiddetto “Occidente Allargato” vanta fra i più alti livelli di conflitto sociale , sindacale e politico organizzato e dal basso, il paese delle Madri di Plaza de Mayo, l’unico paese della regione latinoamericana che il suo dittatore (uno dei vari, Jorge Videla), lo ha fatto morire in carcere, colpisce che proprio un paese del genere si ritrovi ora col presidente forse più a destra, Javier Milei.

Cominciamo dai numeri. Nel primo turno delle elezioni presidenziali, svoltosi il 22 di ottobre del 2023 i risultati raggiunti dalle forze principali sono i seguenti: Sergio Massa (Peronismo) 36.69%, 9.645.983 voti.

Javier Milei (La Libertad Avanza) 29.99%, 7.884.336 voti.Patricia Bullrich (destra tradizionale) 23.84%. 6.267.152 voti. Il restante 6,79% viene raccolto da un altro candidato peronista ancora più moderato, più il 2,7% del candidato della sinistra variamente trotskista. Gli aventi diritto al voto sono 35.410.080, e quindi la partecipazione al voto è del 76,53%.

Al secondo turno di ballotaggio, svoltosi il 19 di Novembre, i risultati invece saranno questi: Javier Milei 55.69%, 14.476.462 voti. Sergio Massa 44.31%, 11.516.142 voti. La partecipazione al voto è quasi uguale a quella del primo turno.

Una prima osservazione. Premesso che stiamo comparando due risultati elettorali in paesi con sistemi istituzionali diversi, presidenziale quello argentino e parlamentare (per ora) quello italiano, il consenso reale sul totale della popolazione col quale al secondo turno è stato eletto presidente Javier Milei, è notevolmente più alto di quello sul quale si basa l’attuale governo di Destra-Centro italiano.

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Il Vertice Putin-Xi e l’iniziativa strategica a tutto tondo della Repubblica Popolare Cinese

di Gianmarco Pisa

pisa cina russiaAl culmine di un’iniziativa diplomatica di ampia portata (Germania, Francia, Serbia, Ungheria), la Repubblica Popolare Cinese, all’indomani della visita di Stato del presidente della Federazione Russa, rilancia il proprio profilo politico-diplomatico a tutto tondo, in uno con l’impegno della sua direzione politica nel concretizzare un rinnovato multilateralismo e un inedito mondo multipolare, nonché con il ruolo-guida del Partito Comunista nel definire un innovativo “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”.

Si è trattato della prima visita ufficiale all’estero del presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, dopo l’inaugurazione, avvenuta lo scorso 7 maggio, del suo quinto mandato presidenziale, che ha fatto seguito all’ampio successo conseguito alle recenti elezioni del 15-17 marzo, quando, a fronte di un’affluenza alle urne pari al 77%, Putin ha superato l’87% delle preferenze. E, da questo punto di vista, non potrebbe assumere significato, politico e strategico, più rilevante il fatto che la prima visita di Stato sia stata effettuata proprio nella Repubblica Popolare Cinese, in un clima, peraltro, come lo stesso presidente russo ha avuto modo di mettere in evidenza, di amicizia e di cooperazione tra i due grandi Paesi.

E si è trattato, al tempo stesso, del culmine di una iniziativa politica e diplomatica di ampia portata avviata dal presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, che lo ha portato prima in Francia (5-7 maggio), nel contesto della quale, insieme con l’evidente significato politico di una visita di Stato presso uno dei due attori chiave, insieme con la Germania, della politica europea, è stata annunciata l’estensione a tutto il 2025 della politica di esenzione dal visto per undici Paesi europei, tra cui i quattro maggiori (Francia, Germania, Italia e Spagna).

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lantidiplomatico

Gaza (e Cisgiordania), tra massacri e doppi standard

di Paolo Arigotti

720x410c5qx0.jpgQuello di oggi non sarà un argomento semplice da trattare, se non altro perché sappiamo bene – basterebbe leggere alcuni giornali o assistere a qualche approfondimento curato dal cosiddetto mainstream – che parlare in modo critico di Israele, prima e dopo il 7 ottobre 2023, non è facile, e può costare facilmente l’infamante accusa di “antisemitismo”.

Il 7 ottobre 2023 un attentato terroristico di Hamas, organizzazione politica palestinese sunnita impegnata nel conflitto in Medio Oriente, avrebbe provocato, con una serie di azioni partite dalla striscia di Gaza, la morte di 1.200 cittadini israeliani. La reazione dello stato ebraico non si è fatta attendere e fin dal giorno successivo, su di un territorio esteso più o meno come la provincia di Prato e dove si concentravano due milioni e duecentomila persone, ha scatenato una spirale di bombardamenti e azioni militari, che avrebbero causato finora la morte di oltre 35mila persone (e quasi il doppio di feriti[1]), la maggior parte delle quali donne e bambini, quasi tutti civili. A ciò si aggiunge il fenomeno degli sfollati: si calcola che circa due milioni abbiano già abbandonato le proprie case, per dirigersi in prevalenza verso sud, a Rafah, dove sono da poche settimane iniziate le operazioni militari[2].

E la conta delle vittime, purtroppo, non finisce qui. Uno studio[3] curato dal Centro per la Salute Umanitaria della Johns Hopkins University e dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine ha formulato previsioni ancora più fosche sul numero dei decessi potenziali, provocato non soltanto dalle operazioni militari, ma anche dalla mancanza di cure e dalle condizioni igienico sanitarie ogni giorno più disastrose; si parla perfino dei primi morti per fame[4], dovuti alla difficoltà negli approvvigionamenti, spesso ostacolati dagli stessi israeliani[5]. In base a questi studi, il numero di morti potrebbe arrivare fino a 85mila.

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ilpungolorosso

Israele: dalla rissa tra gli assassini in capo saltano fuori due parole inattese: abisso, disfatta…

di Il Pungolo Rosso

netanyahu gantz manifesto elezioni 2 fg ipaNel contesto di un movimento internazionale di solidarietà con la resistenza palestinese e di condanna senza appello di Israele per il genocidio in atto che non accenna a esaurirsi, le crescenti difficoltà che l’esercito israeliano incontra sul territorio palestinese di Gaza, tanto a Sud quanto a Nord, stanno facendo esplodere i contrasti all’interno della cupola sionista apparsa finora piuttosto coesa.

Per primo è uscito allo scoperto il ministro della guerra Gallant, a nome – così pare – dei comandi militari al completo e, forse, di un settore dell’amministrazione statunitense. In genere, si sa, nelle situazioni di guerra i leader politici sono più oltranzisti degli stessi capi militari: vuoi per inesperienza, vuoi perché inseguono una vittoria sul campo a tutti i costi per glorificare sé stessi o, più spesso, per evitare di venire travolti e fatti fuori dalla sconfitta, anche parziale. Netanyahu non fa eccezione, avendo fissato per l’attuale operazione-genocidio il più oltranzista degli obiettivi: l’espulsione da Gaza dei suoi due milioni di palestinesi e il definitivo controllo israeliano su Gaza, insomma la “soluzione finale” della questione palestinese. Data l’enorme disparità di mezzi militari tra apparati sionisti e guerriglia palestinese, la banda Netanyahu immaginava di compiere a Gaza qualcosa di simile a una passeggiata, da concludere in poche settimane con il gran finale del ritorno a casa di tutti gli “ostaggi” del 7 ottobre liberati manu militari dall’“invincibile” esercito. Le cose stanno andando in modo assai lontano dalle previsioni, se appena quattro giorni fa il comando delle Brigate Al-Qassam poteva dichiarare, con il suo portavoce Abu Obaida, quanto segue:

*I nostri combattenti sono riusciti a prendere di mira 100 veicoli militari sul fronte di battaglia di Gaza in 10 giorni.

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contropiano2

La crisi dell’imperialismo Usa, dall’interno e dall’esterno

di Pasquale Liguori

Crisi dell’imperialismo Usa. Israele avamposto imperialismo. Cina, Russia, Iran, Asse della resistenza: multipolarismo delle formazioni sociopolitiche versus Impero. Intervista a Matteo Omar Capasso

statua della liberta.jpgA più di sette mesi di distanza dal 7 ottobre di Al-Aqsa Flood, continua lo sforzo titanico di media mainstream per una spiegazione mite, edulcorata degli immani crimini compiuti e ancora in corso a Gaza. Non sembrano sufficienti le quarantamila vittime palestinesi e la totale devastazione urbana nella Striscia a scuotere la coscienza dei produttori di informazione al soldo dell’atlantismo.

Segnali più autentici di rifiuto e contrasto a quest’ordine di cose provengono dall’imponente movimento degli accampamenti universitari che si oppone a programmi collaborativi con Israele, esprimendo sostegno all’indomita resistenza palestinese.

Una delle sfide comunicazionali più rilevanti da quel sabato mattina di ottobre è stata una normale opera di contestualizzazione storica e politica di quegli atti resistenti. Contro di essa si è attivato infatti l’ampio uso di una narrativa che di colpo cancellava un secolo di occupazione, crimini, reati, apartheid operati da Israele. Ancor più sfocata è apparsa la collocazione delle crisi contemporanee all’interno del quadro geopolitico con il protagonismo degli interessi imperialisti degli Stati Uniti d’America per un mondo unipolare sottoposto al loro dominio.

Ritornano perciò utili, profetiche, le parole che vent’anni fa pronunciava il politologo ed economista Samir Amin “Il progetto di dominio degli Stati Uniti – con l’estensione delle dottrine Monroe all’intero pianeta – è sproporzionato. Questo progetto che, sin dal crollo dell’Urss nel 1991, individuo come Impero del caos si scontrerà fatalmente con l’insorgere di una crescente resistenza delle nazioni del vecchio mondo indisponibili a essere assoggettate. Gli Stati Uniti dovranno allora comportarsi come un “Stato canaglia” per eccellenza, sostituendo il diritto internazionale con il ricorso alla guerra permanente (a partire dal Medio Oriente, ma puntando oltre, alla Russia e all’Asia), scivolando sulla china fascista”.