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sbilanciamoci

La società "post-sindacale"

di Lelio Demichelis

Se sono morte le grandi narrazioni del passato, oggi trionfano le narrazioni d’impresa e di brand, lo storytelling d’impresa e di rete. Alienazione, mascherata da comunità e da collaborazione

consiglioChe il sindacato fosse in crisi lo sapevamo da tempo. Ma pensare di essere già entrati nella società post-sindacale, questo ancora non lo avevamo immaginato, né lo ritenevamo possibile. Eppure, se ha ragione Dario Di Vico (Più tutele in cambio di produttività. Benvenuti nella società post-sindacale, nel Corriere della sera del 27 settembre) questo è quanto si starebbe verificando e questo è negli obiettivi (o nei sogni) degli industriali – ma un incubo per la società e per la democrazia, perché se viene meno uno dei soggetti forti della rappresentanza del lavoro, se si scioglie anche il sindacato insieme alla società civile, se il sistema non ha più corpi intermedi, se viene meno il bilanciamento del potere dell’impresa, allora entriamo non solo in una società post-sindacale ma, e peggio in una società (non tanto post-democratica quanto) non-più-democratica. E allora vediamo di capire cosa sia o cosa potrebbe essere questa società post-sindacale e soprattutto se sia una rottura/cesura col passato o non sia invece, e piuttosto l’ultimo pericolosissimo stadio di un processo di incessante divisione/scomposizione del lavoro per la sua successiva totalizzazione/integrazione in un apparato d’impresa, di rete, di consumo. Un processo iniziato con la prima rivoluzione industriale (la fabbrica di spilli di Adam Smith, per semplificare), transitato per fordismo e taylorismo e organizzazione scientifica del lavoro, arrivato al toyotismo e ora alla rete.

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blackblog

Esiste un "altro" movimento operaio?

di Paul Mattick

mattickoperai6Quella che segue, è la recensione critica di Paul Mattick, scritta nel 1975, al libro di Karl Heinz Roth, "L'altro movimento operaio: storia della repressione capitalistica in Germania dal 1880 a oggi" (pubblicato in Italia, da Feltinelli, nel 1976). Si tratta di un importante punto di vista su alcune questioni ricorrenti in quegli anni nell'ambito dell'operaismo italiano, quali l'aristocrazia operaia e la designazione stessa di classe operaia, il riformismo ed il burocratismo sindacale.

L'analisi svolta da Roth nel suo libro, così come più generalmente quella della corrente detta "operaista", intende porsi dal punto di vista dei lavoratori più sfruttati ed oppressi; quel punto di vista, la cui resistenza costringerebbe il capitale a rispondere, a sua volta con la violenza, la repressione ed il progresso tecnologico. Si propongono quindi (gli "operaisti") di mettere in rilievo la condotta, presente e passata, di un soggetto rivoluzionario misconosciuto e denigrato ("l'operaio-massa") e di restituire significato radicale sia alle sue lotte selvagge, spontanee, autonome, che alla sua ostilità nei confronti di quell'ideologia del lavoro, produttivista e pro-capitalista, che anima le correnti dominanti del marxismo ufficiale. Una prospettiva, questa, che sfocia conseguentemente in una critica, altrettanto radicale, delle organizzazioni operaie tradizionali, sia riformiste che rivoluzionarie, e della separazione di cui esse si nutrono: l'economia e la politica, la coscienza e l'azione, la teoria e la pratica.

Ora, la critica svolta da Mattick alle tesi di Roth non si colloca in alcun modo nel quadro della difesa delle organizzazioni operaie tradizionali, né esprime paura o preoccupazione a fronte della spontaneità delle masse, dei movimenti autonomi, degli scioperi selvaggi.

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clashcityw

La truffa del Jobs Act

Ovvero come lo Stato sta regalando soldi alle imprese che licenziano e riassumono per accedere agli sgravi fiscali della Legge di Stabilità

scritto da Clash City Workers

Tante imprese hanno licenziato lavoratori assunti a tempo indeterminato per riassumerli dopo sei mesi con il nuovo contratto a "tutele crescenti" ed avere 8.000€ in regalo dal Governo sotto forma di sgravi fiscali. I lavoratori si trovano così con un contratto più precario del precedente e il Governo può esultare per l'aumento dei contratti a tempo indeterminato. Di seguito vi spieghiamo come è successo, i tentativi di lotta dei lavoratori per bloccare la truffa e perché è necessaria una risposta collettiva a quest'attacco. Qui invece potete riascoltare la diretta con Radio BlackOut

lavoroA inizio 2015 il governo ha varato i primi decreti che riformano il mercato del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, con lo scopo dichiarato di aumentare l'occupazione stabile mediante un nuovo contratto a tempo indeterminato, denominato a “tutele crescenti”. In sostanza, chi è stato assunto col nuovo contratto in vigore dal 7 marzo, non dispone più della protezione contro i licenziamenti illegittimi garantito dal discusso articolo 18 che non tutelava i lavoratori da tutti i licenziamenti, ma soltanto da quelli riconosciuti come illegittimi in sede giudiziale. Col nuovo contratto, invece, si potrà essere licenziati anche senza giusta causa o giustificato motivo, perché a crescere non sono le tutele, ma soltanto l'indennizzo cui si ha diritto: due mensilità dell'ultima retribuzione considerata per il Tfr per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità. Un lavoratore può dunque venire licenziato in qualunque momento, senza una motivazione valida. Una volta avrebbe potuto ricorrere contro il licenziamento e, constatata l'illegittimità del provvedimento, poteva avere diritto al reintegro nelle vecchie mansioni, oltre al ricevimento degli arretrati. Ora, invece, anche nel caso in cui il giudice accertasse l'illegittimità del licenziamento, il lavoratore avrebbe soltanto diritto all'indennizzo, ma non ritornerebbe mai al suo posto. Un bel regalo per i padroni che potranno così liberarsi di lavoratori indesiderati, ad esempio perché particolarmente combattivi nel far rispettare i diritti loro e dei loro compagni sul luogo di lavoro.

Per altro, per ricevere l'indennizzo, il lavoratore dovrebbe intentare una causa all'azienda con tempi e costi crescenti che non tutti potrebbero sostenere, tanto più in assenza del reddito da stipendio.

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manifesto

Il velo alzato sul mondo dei morlock

Benedetto Vecchi

«Il regime del salario», le analisi di un gruppo di ricercatori e attivisti raccolte in un volume. Dal jobs act al job sharing, la discesa negli inferi della condizione lavorativa. Dai quali uscire senza sperare in facili scorciatoie

10clt biennale 4 e1444416019481L’inferno degli ate­lier della pro­du­zione non è neces­sa­ria­mente un luogo dove ci sono forni accesi, rumori assor­danti, caldo insop­por­ta­bile e dove gli umani sono ridotti a bestie. Il lavoro può essere infatti svolto in ambienti lindi dove viene dif­fusa musica rilas­sante e pia­ce­vole; oppure in case dove la sovrap­po­si­zione tra vita e lavoro è la regola e non l’eccezione. L’immagine più forte del lavoro non è data certo da «Tempi moderni» di Char­lie Cha­plin. L’omino con baf­fetti, cap­pello e bastone risuc­chiato negli ingra­naggi delle mac­chine rap­pre­senta con lie­vità l’orrore della catena di mon­tag­gio. Strappa un sor­riso di fronte la disu­ma­nità dell’organizzazione scien­ti­fica del lavoro. Ma la rap­pre­sen­ta­zione del lavoro non è viene più nep­pure dalla folla rab­biosa di Metro­po­lis di Fritz Lang. Sono due film dove è pre­sente l’imprevisto dell’insubordinazione, della rivolta. Ma in tempi di pre­ca­rietà dif­fusa, occorre leg­gere le pagine o far scor­rere i foto­grammi del film tratto dal libro di Her­bert George Wells La mac­china del tempo per avere la misura di come è cam­biato il lavoro.

Il romanzo dello scrit­tore inglese è utile non tanto per­ché ci sono gli eloi, umani ridotti a ebeti che pos­sono con­su­mare di tutto in attesa di essere divo­rati dai mor­lock umani-talpa che vivono nel sot­to­suolo per pro­durre chissà cosa. La mac­china del tempo è un testo signi­fi­ca­tivo per­ché rap­pre­senta una società che ha occul­tato gli ate­lier della pro­du­zione, li ha sot­tratti allo sguardo pub­blico. Sono come le com­mu­nity gated delle metro­poli: zone dove lo stato di ecce­zione – limi­ta­zione dei diritti e della libertà per­so­nale — è la nor­ma­lità. Per gli atti­vi­sti e ricer­ca­tori del gruppo «Lavoro insu­bor­di­nato» sono espres­sione di un regime che non cono­sce faglie distrut­tive e dove la crisi è la chance che il capi­tale ha usato per affi­nare e ren­dere più sofi­sti­cate, e dun­que più potenti, le forme di assog­get­ta­mento e di com­pres­sione del sala­rio del lavoro vivo. Lo scri­vono in un ebook dal titolo pro­gram­ma­tico Il regime del sala­rio che può essere sca­ri­cato dal sito inter­net www​.con​nes​sio​ni​pre​ca​rie​.org.

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effimera

Francesco, Bentham e Jobs Act

di Joe Vannelli

A fine settembre, l’iter legislativo che valida il Jobs Act si è compiuto, nell’indifferenza più totale. Eppure con gli ultimi 4 decreti (immediatamente operativi) , si conclude il progetto di ristrutturazione completa del mercato del lavoro in Italia, si sancisce la precarietà come forma “normale” e “strutturale” del rapporto di lavoro, si ribadisce il primato del “padrone” (chiamiamo le cose con il loro vero nome) e si definiscono i contorni biopolitici del controllo diretto e indiretto sulla nostra vita. Mentre all’orizzonte, si prospetta la nuova fregatura del “divenire occupabile” e della diffusione del lavoro gratuto

cipputi11Completata la macelleria sociale

Sono stati pubblicati il 24 settembre ultimo scorso (immediatamente entrati in vigore) gli ultimi quattro decreti legislativi che completano il Jobs Act: portano numerazione dal 148 al 151. Il governo ha approvato i testi solo il 4 settembre e li ha trasmessi a Mattarella il 12 settembre; la firma pare sia del 14 settembre, con un esame lampo.
La legge fissava un termine, e quel termine era scaduto il 26 agosto, come hanno fatto inutilmente notare i parlamentari dell’opposizione (5 stelle). Ma l’ineffabile ministro Poletti ha liquidato ogni protesta spiegando che il problema, semplicemente, non esiste. Sarebbe in effetti pura ingenuità sperare che con queste eccezioni (fondate forse, ma pur sempre cavillose) si possa bloccare la macchina autoritaria del governo, in assenza di significative reazioni sociali e a fronte (sul fianco sinistro) di una piena connivenza comportamentale, di sostanziale complicità.

Il partito democratico, nella sua complessiva struttura, ha completato dunque l’operazione di macelleria sociale, eseguendo gli ordini trasmessi dalla cabina europea di comando. Naturalmente le nuove norme sono presentate come un progresso, come una riforma capace di attuare finalmente la flexicurity; ma dal vecchio partito comunista i parlamentari democratici hanno ereditato solo le caratteristiche peggiori, ovvero una grande disinvoltura nel falsificare i dati e nel mentire in pubblico, occupando le posizioni di controllo, promuovendo la delazione.

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ist onoratodamen

Riflessione sulle condizioni del moderno proletariato

scritto da Spohn

Après moi le deluge! E’ il motto di ogni capitalista come di ogni nazione capitalista. Perciò il capitale non ha riguardi per la salute e la durata della vita di un operaio, finché la società non la costringa ad averne

Il vigneto rosso van gogh analisiLa storia del progresso – ci viene detto- è una continua avanzata verso il benessere di tutti, di modo che il lavoro sarà il mezzo di emancipazione delle masse, non più intese come un mostro pericoloso ed ebbro di idee di rivoluzione, bensì come un insieme di individui isolati, caratterizzati sempre di più dall’utilizzo della tecnologia e da una religione del consumo quale reazione “naturale” rispetto al totale dominio dell’uomo sulla natura.

Invece, ripercorrendo le tracce lasciate da Marx e da Engels sul finire della prima metà dell’Ottocento ci si accorge che già allora i due maestri del socialismo ravvisavano i termini di una battaglia solo apparentemente storiografica: i mezzi dialettici con cui entrambi combatterono sul fronte del proletariato e contro la nascente borghesia industriale si rivelarono diversi ma complementari; Engels nel 1844 si recò in Inghilterra tra gli operai di Manchester e della zona di Liverpool, dove poté appurare personalmente le condizioni di vita misere e l’abbrutimento generale della classe appena nata; Marx nel primo libro del Capitale dedica un’ampia parte del suo studio alle legislazioni sul lavoro nelle fabbriche tra il 1833 e il 1864: ovvero, quella fase che egli stesso definisce come “paradigmatica” per un’efficace comprensione della ferocia e della sete di plusvaloro che animarono da principio la borghesia industriale inglese. Dicevamo, che i mezzi dialettici furono parzialmente diversi: perché Engels redasse un resoconto che oggi definiremmo “etnografico” mentre Marx si dedicò a un vero trattato economico e giuridico con gli inevitabili prelievi storici e documentari forniti dalla documentazione scritta allora esistente sulla vita delle classi popolari a contatto con l’industria cotoniera, manifatturiera, della panificazione e così via.

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effimera

Lavoro cognitivo e industrializzazione

di Salvatore Cominu

ifcimmlab4Questo contributo, che trae spunto da alcune ipotesi formulate nel corso degli anni Ottanta e Novanta da Romano Alquati sulla società iperindustriale, intende riprendere e problematizzare la categoria di lavoro cognitivo e porla in tensione con alcune tendenze che potrebbero legittimare l’ipotesi esplorativa di una contraddittoria (e “discutibile”) tendenza all’industrializzazione del cognitivo.

Allo scopo di situare il tema sono necessarie alcune avvertenze preliminari. La prima è di metodo. Il contributo, focalizzato su ciò che continuiamo a chiamare processo di produzione immediato, è consapevolmente parziale, poiché assume questo punto d’osservazione senza preoccuparsi d’inquadrarlo nella molteplicità delle contraddizioni del capitalismo dei giorni nostri, rischiando dunque di restituirne una visione estremamente semplificata. E’ tuttavia questo livello della realtà che s’intende indagare.

In secondo luogo, allo scopo di fugare eventuali ambiguità sull’uso del termine industriale, si premette che nel testo esso sarà utilizzato con due significati differenti. Nel primo paragrafo per indicare una specifica forma dell’accumulazione, la “classica” produzione di beni o servizi venduti sul mercato per la realizzazione di un profitto. Industriale è da questo punto di vista giustapposto ad altre forme di realizzazione del valore (finanziaria, da rendite speculative, ecc.), ma non indica in alcun modo uno specifico settore merceologico; non è contrapposto, in altre parole, a terziario o a servizi. Nei paragrafi successivi, ed è questa seconda accezione che presiede all’ipotesi esplorativa proposta, industriale sarà inteso in senso ancora più ampio, come modalità trasversale diorganizzare la produzione e l’agire umano, anche nella sfera riproduttiva, dei consumi, dell’amministrazione.

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micromega

La lotteria del lavoro

di Domenico Tambasco

Il lavoro ridotto a vincita di qualche lotteria patronale. Il salario diventato premio di una gara tra aspiranti lavoratori. Cosa si cela dietro la recente “ludizzazione” del lavoro? La lettura dell’illuminante saggio dal titolo “Ego. Gli inganni del capitalismo” di un grande intellettuale tedesco recentemente scomparso, Frank Schirrmacher, può aiutarci a trovare una sorprendente e inquietante risposta

estrazione lotteria ior 2014Il lavoro è diventato un gioco. Sembra quasi uno slogan, ma la realtà quotidiana ci fornisce un’immediata e tangibile conferma.

L’ultimo caso balzato agli onori delle cronache risale a questa estate, ed arriva dalla provincia di Piacenza, precisamente da Ponte dell’Olio. In occasione della festa patronale, infatti, un salumificio ha organizzato una tombola[1]. Primo premio, manco a dirlo, un posto di lavoro. E non si tratta di un caso isolato. Altre “lotterie del lavoro”, negli ultimi anni, sono state organizzate in Italia, da Nord a Sud, regalando ai più fortunati dei veri e propri contratti di lavoro, a tempo indeterminato o a termine.

E quando non è oggetto di una lotteria, allora la retribuzione (scopo primario del lavoro) si trasforma nel premio concesso al vincitore della gara organizzata tra una pluralità di aspiranti lavoratori: siamo dinanzi al crowdsourcing, moderna forma di “cottimo digitale” che abbiamo già incontrato sulla nostra strada[2].

Cosa significa questa trasposizione del lavoro nella forma ludica ora della lotteria ora della vera e propria gara? E’ forse espressione dell’homo ludens, per utilizzare una felice espressione utilizzata nell’omonimo e storico saggio di Johan Huizinga? Sembrerebbe escluderlo lo stesso Huizinga che, in merito, ha espresso parole inequivocabili: “Salario è situato completamente fuori dall’ambito del gioco: significa l’equa ricompensa al lavoro prestato o ai servizi prestati. Non si gioca per un salario, si lavora per un salario”[3].

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conness precarie

Il Regime del salario. Prefazione

di Ferruccio Gambino

Uscirà domani [4 settembre, n.d.r.] Il regime del salario, l’ebook del collettivo Lavoro insubordinato che raccoglie tutti gli interventi pubblicati sul Jobs Act e le trasformazioni che esso produrrà sull’organizzazione del lavoro in Italia. Pubblichiamo oggi in anteprima la prefazione di Ferruccio Gambino

cipputi gallery cipputi02Questa premessa intende rilevare alcuni effetti della politica del lavoro nell’Eurozona (19 paesi nel 2015) e in particolare in Italia, in considerazione del processo di mercificazione del lavoro vivo in corso. Seguono poi undici articoli che esaminano in modo circostanziato aspetti cruciali del regime del salario e delle sue tendenze in Italia. Questa premessa vuole limitarsi a offrire qualche coordinata per rammentare che il fenomeno di frammentazione della forza-lavoro è in realtà una serie di tentativi che procedono da tempo e che vanno di pari passo con più aggressivi esperimenti in altri continenti e in particolare nell’Asia orientale. Dunque, nell’Eurozona vanno sostenute quelle forze che si oppongono ai disegni dell’odierno capitale industriale e dei servizi e che sono motivate a non cedere terreno.

Le politiche adottate negli scorsi 35 anni nell’UE hanno mirato e mirano a deteriorare i salari e di conseguenza le condizioni di lavoro. L’onda lunga della casualizzazione del lavoro salariato si era sollevata già alla fine degli anni 1970 negli Stati Uniti con la politica antinflazionistica di Paul Volcker alla guida della Federal Reserve (agosto 1979) e il conseguente aumento della disoccupazione oltre il 10% nel 1981. L’onda è ben lontana dal placarsi. Di solito, l’abbassamento dei livelli di occupazione prepara l’attacco alla busta-paga. Nell’Eurozona la crisi dell’occupazione ha comportato una continua pressione sulla massa salariale che poi si è aggravata con il rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro. Nell’ultimo quadriennio (2008-2011) degli otto anni di direzione di Jean-Claude Trichet alla Banca centrale europea (BCE) il numero dei disoccupati è schizzato nell’Eurozona, fino a raggiungere la cifra da primato di 19 milioni nel 2012 (più dell’11% delle forze di lavoro), poco dopo l’uscita di scena del banchiere francese; né si vedono segni di significativa flessione del fenomeno nello scorso triennio.

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euronomade

Il biopotere che scorre su Amazon

di Benedetto Vecchi

amazonprotestbigsignNon è mai troppo tardi. E’ la frase più facile da usare per quanto è accaduto dopo la pubblicazione di un reportage del quotidiano statunitense New York Times sulle condizione dei lavoratori del più grande shopping mall telematico presente in Rete. In un articolo Amazon viene passata al setaccio a partire dalle regole alle quali i lavoratori devono attenersi. Il giornalista ha raccolto i racconti, le invettive, le analisi di dipendenti e ex-dipendenti dove il giudizio più benevolo verso lo store digitale è: una caserma. Ma è il decalogo delle regole – doveri e obblighi, più che altro, visto che di diritti non ce ne è traccia alcuna – che tutti devono seguire che ha fatto gridare allo scandalo. Dal divieto di parlare di come e di cosa accade negli enormi capannoni di Amazon, all’invito-obbligo a esprimere giudizi sul comportamento di altri lavoratori e di capi e capetti, non c’è nulla che viene omesso dal giornalista. Neppure il costante controllo al quale è sottoposto il singolo, usando i badge e un geolocalizzatore che segnala posizione e tempo di percorrenza per trovare la merce da impacchettare, viene dimenticato. Grande rilevo viene dato alla divisione tra i buoni (gli iperproduttivi)   e cattivi (fanno ciò che devono senza dannarsi l’anima) lavoratori. Altrettanta enfasi è dedicata alla disponibilità “h24, sette giorni su sette” che i lavoratori devono garantire.

Il primo commento, in Rete, all’articolo ha equiparato quello di Amazon a un regime schiavistico, dove vige un comportamento inumano assieme all’assenza di compassione nelle relazioni lavorative e umane. Un imbarazzato Jeff Bezos, guru e padrone indiscusso di Amazon, ha affermato che quella non era la sua miliardaria impresa e che ogni persona di buon senso scapperebbe da quell’inferno.

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militant

Lavoro gratuito e «volontario»

Verso una forma legalizzata di schiavitù

Militant

timthumbCon l’improvvisa e disastrosa alluvione di Firenze della scorsa settimana è salita nuovamente agli onori delle cronache una di quelle proposte che dovrebbe far accapponare la pelle, provocando un moto generalizzato di rifiuto: quella di mettere a lavorare gratis – apparentemente come «volontari» – i cosiddetti «profughi» (o, usando una sineddoche, gli «immigrati»). Fautori della proposta – che tra l’altro si è concretizzata nei giorni successivi – sono stati questa volta il governatore della Toscana Enrico Rossi e il sindaco di Firenze Dario Nardella, un renziano di ferro. I due, subito dopo l’alluvione, hanno esaminato varie ipotesi, tra le quali c’era «anche la possibilità di utilizzare i profughi ospitati in Toscana per i primi interventi di pulizia e ripristino, utilizzando anche la convenzione attivata con Inail per l’assicurazione per lavori di pubblica utilità» (leggi). Poche ore dopo, Nardella ha dichiarato che «i profughi ospiti della Regione Toscana, e in particolare quelli che sono a Firenze e nei comuni limitrofi, da domani potranno essere di supporto alla Protezione Civile di Firenze […] e saranno utilizzati in particolare per il ripristino del verde pubblico» (leggi).

Nei giorni successivi,  mentre alcuni immigrati si offrivano volontari per aiutare nel ripristino della normalità a Firenze, Rossi in un’intervista si spingeva oltre:

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micromega

Il crowdsourcing e l’uomo digitale: siamo esseri umani, non algoritmi

di Domenico Tambasco *

Una riflessione su un rivoluzionario fenomeno in espansione in tutto il mondo grazie a Internet: il crowdsourcing, una sorta di “cottimo digitale” che alla classica equazione lavoro/salario sostituisce l’inedito e sconvolgente nesso lavoro/premio. Una forma estrema di precariato che rischia di trasformare i lavoratori in soggetti privi di diritti

crowdsourcing 510La “fine del lavoro” profetizzata alcuni anni orsono in un celebre libro di Jeremy Rifkin[1] non sembra così lontana, se solo si pensa alla “tenaglia tecnologica” che stringe sempre più da vicino il lavoro umano individuale. Una stretta operata da un lato dai progressi esponenziali dell’intelligenza artificiale, che va freneticamente sostituendo i lavori manuali ed intellettuali di natura ripetitiva (si pensi, ad esempio, alle operazioni di cassa delle banche o dei supermercati, ormai gestite da apparecchi completamente automatizzati) e dall’altro dall’emersione – attraverso le tecniche di connessione via web – dell’intelligenza umana collettiva, con funzione sostitutiva delle professioni e dei lavori intellettuali di natura non routinaria[2].

Ed è proprio dalla creazione tecnica di una sconfinata rete globale in cui si alimenta e si produce l’intelligenza umana collettiva che sono nate, per gemmazione naturale, la società del “Commons collaborativo”[3] e la “Crowdeconomy”, rispettivamente società ed economia della condivisione, nuovo modello socio-economico di cui il “Crowdsourcing” sembra essere, nell’ambito delle attività produttive, la più piena ed espressiva applicazione.

Allo scopo di comprendere il significato di questo inedito e rivoluzionario fenomeno sarà utile porre mente sia all’etimologia (composto da crowd – folla – e outsourcing – esternalizzazione) sia alla definizione data dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in un interpello del 2013, secondo cui “con tale locuzione si intende individuare un nuovo modello di business aziendale in forza del quale un’impresa affida la progettazione, ovvero la realizzazione di un determinato bene immateriale ad un insieme indefinito di persone, tra le quali possono essere annoverati volontari, intenditori del settore e freelance, interessati ad offrire i propri servizi sul mercato globale (cd. Community di utenti iscritti ai siti a titolo gratuito)”[4].

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commonware

Di lavoro non ce n’è più bisogno

di Franco Berardi Bifo

orario di lavoroAlla fine degli anni ’70, dopo dieci anni di scioperi selvaggi, la direzione della FIAT convocò gli ingegneri perché introducessero modifiche tecniche utili a ridurre il lavoro necessario, e licenziare gli estremisti che avevano bloccato le catene di montaggio. Sarà per questo sarà per quello fatto sta che la produttività aumentò di cinque volte nel periodo che sta fra il 1970 e il 2000. Detto altrimenti, nel 2000 un operaio poteva produrre quel nel 1970 ne occorreva cinque. Morale della favola: le lotte operaie servono fra l’altro a far venire gli ingegneri per aumentare la produttività e a ridurre il lavoro necessario.

Vi pare una cosa buona o cattiva? A me pare una cosa buonissima se gli operai hanno la forza (e a quel tempo ce l’avevano perbacco) di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Una cosa pessima se i sindacati si oppongono all’innovazione e difendono il posto di lavoro senza capire che la tecnologia cambia tutto e di lavoro non ce n’è più bisogno.

Quella volta purtroppo i sindacati credettero che la tecnologia fosse un nemico dal quale occorreva difendersi. Occuparono la fabbrica per difendere il posto di lavoro e il risultato prevedibilmente fu che gli operai persero tutto. 

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conness precarie

Epilogo del lavoratore pieghevole e prologo di uno sciopero necessario

di Lavoro Insubordinato

lavoratore pieghevole 300x225Abbiamo già parlato del modo in cui il Jobs Act sta mettendo in atto concretamente quella generalizzazione della precarietà che ne fa una norma e non una condizione specifica. Abbiamo anche visto come il contratto a tutele crescenti sia niente più che un gioco di prestigio per far salire le statistiche sull’occupazione mentre permette quella che possiamo definire a tutti gli effetti una legalizzazione del lavoro nero (se non fosse che stipendi e salari sono più bassi), facendo della flessibilità un requisito necessario e sufficiente della forza lavoro. Voucher, tutele crescenti, drastica riduzione delle prestazioni sociali e della previdenza: più che lavoratori e lavoratrici flessibili si potrebbe dire «pieghevoli», da riporre all’occorrenza, come la nuova normativa sui licenziamenti consente.

Con il Jobs Act scompare infatti perfino la reintegra nel posto di lavoro. Si impone così un salto all’indietro rispetto alla possibilità per il lavoratore di controbilanciare il rapporto di forza con il datore di lavoro, se non altro per contrattare la propria liquidazione. L’art. 18 consentiva infatti, com’è noto, la reintegra al lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa o, in alternativa, il dipendente poteva accettare un’indennità.

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conness precarie

Reddito, reddito delle mie brame, chi è il più povero del reame?

∫connessioni precarie

reddito delle mie brame 300x225Pochi giorni fa la Regione Friuli Venezia Giulia ha varato una legge che garantisce un reddito minimo alle famiglie che vivono sotto la soglia di povertà. Questo passo mostra come il problema del reddito sia ormai progressivamente assunto dal sistema politico che ne fa una forma di controllo di una povertà sempre più diffusa. Questo intervento istituzionale investe e sempre più investirà il significato politico tanto del reddito quanto della povertà. Che cosa significa rivendicare il reddito nel momento in cui esso diviene una delle risposte istituzionali alla crisi? Che cosa significa assumere la povertà come categoria universale attorno alla quale organizzare la rivendicazione di un reddito? La domanda è tanto più urgente visto che la manifestazione di Libera contro la povertà del prossimo 17 ottobre sarà assunta dalla nascente coalizione sociale e non è indifferente ad alcuni settori di movimento.

Con la sua misura la giunta friulana, presieduta dall’impagabile Signora Serracchiani, sembra aver tenuto in scarsa considerazione le recenti dichiarazioni del suo caporeparto Matteo Renzi, che solo qualche settimana fa ha definito il reddito di cittadinanza una misura «incostituzionale» e «assistenzialista».