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conness precarie

La leggenda delle merci volanti

Lusso low cost dal Veneto alla Campania

di Devi Sacchetto

Abiti sporchi1Cinque giorni dopo che lo stilista di punta ha finito di disegnare in qualche atelier parigino i nuovi modelli di Louis Vuitton, a Fiesso d’Artico (Venezia) si cominciano a produrre i prototipi che continueranno a fare la spola con la capitale francese su un aereo privato finché il campione non sarà pronto per entrare in produzione. La narrazione delle merci volanti, essenziale nella costruzione dell’immaginario del lusso esclusivo, oscura il lavoro che corre lungo tutta la filiera. La ricerca svolta per conto dell’associazione «Abiti puliti» e condotta con Davide Bubbico e Veronica Redini in tre aree di Veneto, Toscana e Campania ha cercato di rischiarare le trasformazioni nelle condizioni di lavoro nel cosiddetto sistema moda che, per quanto dimagrito, conta ancora complessivamente circa 500 mila addetti con una concentrazione in un pugno di regioni: Veneto, Toscana e Marche per le calzature e la pelletteria, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per l’abbigliamento. In Campania, che pure non è tra le regioni centrali per i due settori, permangono realtà produttive importanti, soprattutto nell’abbigliamento, con una forte incidenza di lavoro irregolare.

Negli ultimi dieci anni le filiere dell’abbigliamento e delle calzature hanno subito un profondo processo di riorganizzazione produttiva che è stato accelerato dalla crisi economica. Un ruolo chiave è stato assunto dai grandi gruppi internazionali detentori di brand grazie alle possibilità finanziarie di investimento sulla produzione e di gestione dei canali distributivi.

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conness precarie

Tecnologie dell’ubiquità

Prove tecniche di sfruttamento on-demand

di Eleonora Cappuccilli

uomo invisibileIn un recente articolo dell’Economist, la rivoluzione tecnologica dell’economia su richiesta è stata definita come il futuro del lavoro.

A San Francisco […] giovani professionisti che lavorano per Google e Facebook possono usare una app sul cellulare per trovare qualcuno che faccia le pulizie nei loro appartamenti per mezzo di Handy o HomeJoy; che faccia loro la spesa e gliela consegni attraverso Instacart; che lavi i loro vestiti con Washio e che spedisca i loro fiori con BloomThat. FancyHands offre loro assistenti personali che prenotano viaggi o contrattano con la loro compagnia telefonica. TaskRabbit manda una persona a scegliere un regalo last-minute e Shyp lo impacchetta e consegna. SpoonRocket porta direttamente a casa un pasto di qualità  in 10 minuti.

Nelle grandi metropoli nordamericane il fenomeno pare essere piuttosto diffuso e in espansione, come esemplifica lo sviluppo di Handy, impresa di pulizie nata nel 2011 e che impiega ora ben 5000 lavoratori autonomi «in 29 delle più grandi città degli Stati Uniti, come pure a Toronto, Vancouver e sei città britanniche».

Il luogo di nascita di queste imprese on-demand lascia immaginare che la geografia sia ancora una variabile importante e che, cosa non nuova, molto spesso lo stipendio può dipendere più dal luogo dove si abita che dal curriculum. Di fatto, queste società costituiscono una sorta di indotto pompato dalle spinte finanziarie dei grandi nodi del capitale globale, come pure dalle traiettorie della logistica, che portano alla concentrazione di manager e professionisti in punti del globo ben determinati.

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clashcityw

Jobs Act: un primo commento tecnico

Scritto da Clash City Workers

b 300 0 16777215 00 images 01 documenti commenti 2015 01 24 jobs actAlla vigilia dello scorso Natale il governo Renzi ha approntato i primi due schemi di decreto attuativo sulla seconda parte del Jobs Act, quella che riguarda la nuova tipologia di tutela dai licenziamenti illegittimi e la nuova indennità di disoccupazione.

Questi due schemi, al momento in cui scriviamo, non ancora pubblicati in Gazzetta Ufficiale e quindi non in vigore, insieme al decreto  Poletti dello scorso Marzo, che di fatto aboliva l'obbligo della causalità nella stipulazione di contratti a tempo determinato, ridisegnano drasticamente il mercato del lavoro in Italia, al fine di razionalizzare la risposta alla domanda pressante dei padroni, in crisi di valorizzazione dei capitali: abbassare il costo del lavoro per creare più profitto.

Analizziamoli entrambi.

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quaderni s precario

Il partito democratico getta la maschera

I primi due decreti attuativi del Jobs Act

di Joe Vannelli

Jobs-Act-2-1030x615Il 24 dicembre 2014 il governo Renzi ha approvato il testo dei primi due decreti attuativi collegati alla legge delega 10 dicembre 2014 n. 183, nota come Iobs Act. Il primo decreto riguarda i licenziamenti (sono 12 articoli); il secondo decreto (16 articoli) contiene invece le nuove norme sulla indennità legata alla disoccupazione (involontaria naturalmente, con esclusione delle dimissioni). Il meccanismo utilizzato non è di agevole comprensione per chi non sia un addetto ai lavori. In buona sostanza con il varo della legge delega l’esecutivo non ha più bisogno dell’approvazione parlamentare e dunque i decreti (una volta pubblicati in Gazzetta Ufficiale) sono ad ogni effetto in vigore. Ma va detto (ad evitare equivoci) che allo stato il percorso non è ancora concluso e che non possano escludersi modifiche (nel bene o nel male; più facile la seconda ipotesi vista la situazione politica). Nel seguito andrò ad esaminare le novità, per come attualmente codificate, senza poter escludere gli aggiustamenti di tiro che potenti gruppi di pressione richiedono in danno dei pur già bastonatissimi lavoratori (fissi e precari, autonomi e subordinati, tutti quanti). I due testi, varati con gran fretta, sono in discussione nelle commissioni lavoro della Camera e del Senato; in entrambe le commissioni gli unici a opporsi davvero sono i gruppi di Cinque Stelle (un po’ assottigliati) e di SEL (falcidiati, specie al Senato, dagli arruolamenti nelle furerie renziane, a partire dal capogruppo Migliore).

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e l

Pensioni, la manina che ha premiato i ricchi

Maurizio Benetti

Sul Corriere della Sera una denuncia di cui E&L aveva dato conto già nel 2012: Uno degli effetti della legge Fornero ha attribuito vantaggi ad alcune categorie (tra le quali magistrati e docenti universitari) con un costo di 2,5 miliardi in 10 anni. In origine nella legge si specificava che quei vantaggi non sarebbero scattati, ma in Parlamento qualcuno ha cassato proprio quelle righe

tutto sulle nostre spalleLo scorso 11 novembre Gian Antonio Stella sul Corriere della sera ha pubblicato un articolo su di un comma “sparito” nella legge Fornero di riforma del sistema pensionistico (L. 214/2011), legge, ricorda Stella, che si riprometteva secondo la Fornero di “togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Nel suo articolo Stella sostiene che l’eliminazione di quattro righe dalla formulazione definitiva della legge Fornero ha prodotto un regalo per le pensioni più ricche, in particolare di magistrati, professori universitari, altri burocrati pubblici, che costa alle casse dell’Inps-Inpdap circa 2,5 mld nell’arco di un decennio.

Questo specifico tema era stato rilevato e denunciato da E&L nel marzo del 2012 (Se 51 anni vi sembran pochi) sottolineando che “In definitiva le uniche categorie che possono sentirsi soddisfatte dalla riforma sono professori universitari e magistrati” in contrasto con quelli che Fornero indicava come “i principi ispiratori del provvedimento, l’abbattimento delle posizioni di privilegio e la presenza di clausole derogative soltanto per le fasce più deboli e le categorie dei bisognosi”.

La denuncia di E&L rimase inascoltata anche se portata a conoscenza di sindacati e giornali e temiamo che resterà inascoltata anche la denuncia-rivelazione di Stella, anche se è stato annunciato un emendamento in proposito. Vediamo cause ed effetti macro e micro del problema.

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quaderni s precario

Il jobs act è legge

Dal lavoro precario al lavoro gratuito passando per la destituzione del potere legislativo

di Andrea Fumagalli

jobsactapprovato1. Ha ragione Renzi quando afferma che con l’approvazione definitiva del Jobs Act l’Italia volta pagina. L’Italia cambia, e sicuramente in peggio.

2. Il Job Act segna la definitiva chiusura del processo di precarizzazione del mercato del lavoro in Italia. Nel momento stesso in cui la precarietà diventa condizione istituzionalizzata di lavoro e di vita e quindi fattispecie “tipica” dei rapporti di lavoro, essa smette di rappresentare un problema. Non essendo più eccezione ma norma si dà per risolta ogni contraddizione a essa correlata.

3. Si apre così un nuovo possibile fronte da sfondare sul mercato del lavoro. L’obiettivo non è più quello della precarizzazione generale ma quello del lavoro gratuito. “Risolto” il primo passaggio grazie alla sua generalizzazione e istituzionalizzazione, la nuova frontiera dei processi di sussunzione, subalternità, sfruttamento dell’essere umano al capitale diventa direttamente il “donarsi” al capitale stesso. Assistiamo a una metamorfosi, impensabile solo qualche anno fa, con il rischio che si ripetano tutti gli errori di incomprensione che hanno caratterizzato per un trentennio lo spostamento del confine della regolazione del rapporto dal lavoro stabile a quello precario.

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quaderni s precario

Lavoro bunkerizzato e necro-lavoro

Note sulla composizione di classe globale

di Franco Berardi

movimento dei forconiNel bunker

Alla fine del 2013 un gruppo di attivisti della Baia di San Francisco lanciò una protesta contro i Google bus che portano ogni giorni i lavoratori cognitivi dalla città a Mountain View, 60 chilometri di distanza. I Google bus sono degli ingombranti mezzi di trasporto che funzionano in realtà come uffici mobili per i lavoratori della net-corporation. A bordo del bus i nerd lavorano con l’allegra coscienza di essere i protagonisti della virtualizzazione finale e della bunkerizzazione definitiva. Al di là dei suoi aspetti immediati (difesa dello spazio pubblico dall’invadenza di mezzi privati) quella protesta illumina la nuova stratificazione del lavoro. Una stratificazione che richiede concetti nuovi.

La composizione della società globale contemporanea si articola intorno a una fondamentale separazione tra sfera sociale bunkerizzata e sfera sociale non bunkerizzata.

Il bunker è l’area tecno-produttiva e urbano-esistenziale in cui agiscono la classe finanziaria e i lavoratori cognitivi. E’ la sfera in cui si svolgono le due funzioni sociali connesse e ricombinanti: quella della decisione finanziaria che domina e sfrutta il ciclo del lavoro sociale complessivo, e quella del lavoro cognitivo prevalentemente precarizzato, ma parzialmente protetto dal bunker in quanto lavoro necessario all’accumulazione di capitale.

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faqts

Logistica e porto di Trieste

Anika Perrini-Ritschl intervista Sergio Bologna

rigass-258Prof. Bologna, tra qualche giorno Lei sarà a Vienna per partecipare come relatore al Rail Summit (Schienengipfel) e parlerà di collegamenti ferroviari tra porti e hinterland.  Vorrei farLe qualche domanda a questo proposito, prima però vorrei chiederLe di dirmi qualcosa in generale sulla logistica, perché Lei è reduce dal congresso di Berlino della BVL. Secondo Lei dove sta andando la logistica, vede degli sviluppi interessanti?

Se consideriamo la logistica come un settore a se stante, direi che ha raggiunto lo stadio della maturità, sistemi organizzativi e processi hanno ormai un elevato grado di standardizzazione, per cui non vedo da anni innovazioni di grande portata. 

Quello che è cambiato è il contesto in cui la logistica e le supply chain globali si muovono e per far fronte a questi mutamenti anche la logistica deve inventarsi qualcosa di nuovo. Per esempio nel risk management, segmento originariamente ancillare ma che sta diventando pian piano strategico. Oppure nell’integrazione tra attori diversi della catena, le stesse piattaforme informatiche sono sempre più “collaborative”. 

 Oppure nella comunicazione interculturale. Anche dal punto di vista tecnologico non vedo gran che dopo l’introduzione del RFID. Si tratta in genere di innovazioni incrementali, stimolate soprattutto dal fatto che le cause della cosiddetta supply chain disruption continuano a moltiplicarsi. Con un paragone calcistico potrei dire che dopo gli anni in cui la logistica ha giocato in attacco, oggi gioca in difesa.

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clashcityw

Perchè è importante e necessario andare a Livorno il 15?

Clash City Workers

20110226 livorno coop scioperoQuesto autunno ha ripreso vigore, sulla spinta delle lotte dei lavoratori, il dibattito sulla necessità di una rappresentanza politica del mondo del lavoro. Non che la conflittualità operaia, come quella di tante altre figure del lavoro dipendente, fosse mancata in questi anni.

Ogni anno innumerevoli vertenze sono state combattute nelle città italiane. Ma l’attacco arrogante ed esasperato portato dal Governo Renzi ha esteso la consapevolezza dell’esistenza di un fronte che divide capitale e lavoro e della necessità di resistenza della classe lavoratrice alle condizioni di vita e di lavoro che le vengono imposte.

Le questioni che allora si pongono sono: come trasformare questa conflittualità diffusa e questa consapevolezza crescente in un percorso di riconoscimento e di protagonismo politico della classe? Quali sono le strade per evitare che queste lotte non si riducano a una nuova opportunità di rilancio per le mediazioni a ribasso di un ceto politico e sindacale opportunista? Come, invece, cogliere l’occasione che offrono per stringere i legami tra le diverse categorie, tra i diversi settori, le diverse mansioni, i diversi inquadramenti contrattuali, le differenti origini e le differenti aspettative dei lavoratori, tutte sotto il fuoco di una medesima offensiva?

Quello che sta accadendo a Livorno ci mostra una strada che crediamo sia quella da percorrere senza indugi e a cui desideriamo dare tutto il sostegno possibile.

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alfabeta

Le pillole amare del Jobs Act

Andrea Fumagalli

freeskipper-jobs-act1. Sarebbe troppo facile paragonare la promessa di 800.000 posti stabili di lavoro del Ministro Padoan (grazie al Jobs Act) con l’analoga promessa (di poco superiore) di un milione di posti di lavoro fatta da Berlusconi esattamente 20 anni fa. L’analogia non sta solo nei numeri ma soprattutto nella non corretta informazione (quindi mistificazione) degli strumenti che si vorrebbero utilizzare per raggiungere l’obiettivo dichiarato.

2. Berlusconi all’epoca aveva affermato che era sufficiente che un imprenditore su cinque assumesse una persona e immediatamente si sarebbero creati un milione di posti di lavoro. Una banale constatazione che aveva il suo appeal comunicativo (ed elettorale) se il futuro nuovo governo operava a favore dell’economia di mercato e della stessa attività imprenditoriale, in un contesto di espansione economica. E infatti l’argomentazione ebbe il risultato sperato, mettendo in un angolo le scarse contro-argomentazioni dell’allora avversario Achille Occhetto. Peccato che nessuno (e men che meno Occhetto) aveva fatto rilevare che in Italia gli imprenditori non erano 5 milioni, ma solo 400.000 e quindi se uno su cinque (il 20%) assumeva una persona il massimo dell’occupazione possibile era di 80.000 unità. Per imprenditore si intende infatti colui che ha tre gradi di libertà (seppur vincolata): libertà di decidere come, quanto e a che prezzo produrre.

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marx xxi

Art. 18 e dintorni

di Giuliano Cappellini*

LavoroA quali condizioni del lavoro si riferiscono le riforme di Renzi?

Se nel nostro paese gli imprenditori si fossero conformati da molto tempo ad una prassi di rispetto della dignità del lavoratore e, dunque, non usassero l’arbitrio nei licenziamenti individuali, si potrebbe pensare che l’articolo 18 è una norma obsoleta che potrebbe essere cancellata, non foss’altro che per rispetto ad una categoria (gli imprenditori) di cittadini coscienziosi. Ma la realtà è un’altra ed il degrado raggiunto nei rapporti reali di lavoro dovrebbe essere ormai monitorato da un’apposita indagine conoscitiva parlamentare, sia perché l’ultima1 si riferisce alle condizioni del lavoro subordinato di circa 50 anni fa, sia perché senza un’indagine conoscitiva, la riforma Renzi che cancella l’art. 18 sembra rispondere solo ad una paranoia ideologica.


Spunti per ricomporre un quadro da una lista largamente incompleta

Volendo, tuttavia, ricostruire il quadro delle condizioni di lavoro nel nostro paese, i molti ma dispersi dati su quelle odierne e anche le evidenze empiriche, per la grande varietà dei casi che presentano, suggeriscono che sarebbe meglio non cercare definizioni sintetiche, categorie tipologiche cui assegnare delle cifre statistiche.

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economiaepolitica

Le flessibilità che non servono e lo scalpo dell’articolo 18

Paolo Pini

eclisse2904Introduzione

La rappresentazione dell’Ocse dello stato del mercato del lavoro italiano durante la crisi è drammatica. L’Employment Outlook del settembre 2014  lo attesta senza troppe ambiguità. Peraltro nell’intera eurozona la situazione non è molto diversa, se si fa una comparazione con gli Stati Uniti ma anche con i paesi europei fuori dalla moneta unica. L’Ocse giunge a rilevare che troppa flessibilità nel mercato del lavoro, troppi rapporti di lavoro non-standard, precari e mail retribuiti, abbassano la motivazione dei lavoratori ed il loro impegno, peggiorano anche le condizioni di lavoro nell’impresa, ed infine, creano addirittura problemi sulla crescita della produttività.

Anche Mario Draghi governatore della BCE nel suo intervento di fine agosto negli Stati Uniti ha espresso preoccupazione. Draghi ha posto il problema della carenza di domanda, ed ha avanzato anche alcuni importanti distinguo circa la dimensione della disoccupazione strutturale rispetto alla disoccupazione ciclica, giungendo ad affermare che le stime della Commissione Europea sono soggette a molta incertezza ed affidabilità quindi quando si prescrivono politiche economiche dal lato dell’offerta.

Ciononostante, le due istituzioni, OCSE e BCE, non sembrano trarre dalla loro analisi alcune conseguenze importanti, ovvero che insistere sul refrain delle riforme strutturali, sul mercato del lavoro in particolare, non è la politica più adatta per contrastare la crisi ed avviare un percorso di crescita.

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lostraniero

Lo Statuto dei lavoratori e l’articolo 18

di Francesco Ciafaloni

sinistra destraIl senso della protezione giuridica dei lavoratori stabili

Sembra, a leggere molti giornali, che la difesa giuridica dei lavoratori abbia a che fare col posto a vita, con gli inetti e sfaticati; che riguardi pochi privilegiati; che sia un intrigo di cavilli che esclude e costringe alla disoccupazione e alla precarietà giovani e meno giovani. Un residuo dei tempi del boom in cui c’è stato un eccesso di retribuzioni e garanzie che “non possiamo più permetterci”, come si usa dire. L’articolo 18 dello Statuto è diventato il simbolo del rifiuto del nuovo, della rigidità, del “conservatorismo sindacale”. Un simbolo da abbattere – o da difendere. Come fa un giudice a decidere se quel lavoratore è utile o no, se è capace o incapace? è il mercato che deve decidere, si sostiene.

E' utile ricordare che l’articolo 18, nella sua forma originaria, non attenuata, obbliga l’azienda al di sopra della soglia dei 15 dipendenti a reintegrare nel posto di lavoro solo chi sia stato ingiustamente licenziato per la sua fede religiosa, per la sua appartenenza politica o sindacale, perché  si è sposato/a, perché è incinta, per motivi razziali, per motivi di genere. L’elenco dei casi è facilmente accessibile nelle prime righe dell’articolo, con la sola fatica, in alcuni casi, di digitare il nome e il numero della legge che li precisa. Se non sono vietati i licenziamenti per questi motivi e non c’è il reintegro diventano parole vuote le norme a difesa della maternità. Diventano vuote per i lavoratori dipendenti le libertà religiose e politiche; diventa vuota la democrazia. Cosa se ne fa una lavoratrice incinta dei mesi di retribuzione in più se perde il lavoro?

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inchiesta

La vertigine neoliberista

Il datore di lavoro è più uguale del suo dipendente

Umberto Romagnoli

animal farm by damien brUn’autorevole storiografia attribuisce al diritto del lavoro un ruolo di pedagogia di massa sostenendo, non a torto, che avrebbe educato moltitudini di artigiani spiazzati dall’avvento della grande manifattura, e di contadini non più del tutto contadini, all’idea che la cosa più giudiziosa che si potesse fare era quella di smetterla di rincorrere il sentimento di giustizia offeso dalle forme di dipendenza imposte dal capitalismo moderno all’interno di luoghi di produzione estranei agli schemi cognitivi sedimentati nella memoria collettiva delle precedenti generazioni.

Piuttosto, conveniva inventarsi il modo di attrezzarsi per lottare contro la diseguaglianza ridicolizzata da George Orwell: rispetto al suo dipendente il datore di lavoro è “più” eguale. Sia nel momento in cui stipula il contratto sia nella fase di esecuzione del rapporto che ne scaturisce. Per questo, l’orizzonte di senso in cui si è sviluppato il diritto del lavoro del ‘900 era segnato dalla condivisione di un’esigenza propria dei più spaesati e riluttanti protagonisti della rivoluzione industriale: quella di attenuare gli effetti della strutturale asimmetria che è all’origine di una supremazia di fatto nemica del principio di eguaglianza caro alla cultura giuridica (non solo) liberal-democratica.

Adesso, invece, i neo-liberisti non possono sentirne parlare senza farsi prendere dalle vertigini.

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economiaepolitica

La favola dei superprotetti

Flessibilità del lavoro, dualismo e occupazione in Italia

Riccardo Realfonzo

articolo-18-cosa-cambia1. Ridurre le tutele non aumenta l’occupazione

Il governo intende procedere con il Jobs Act introducendo il contratto unico a tutele crescenti: una nuova tipologia contrattuale che potrebbe semplificare la normativa sul lavoro se si accompagnasse alla cancellazione della selva di contratti a termine e a una revisione degli ammortizzatori sociali. La questione più controversa è se questa nuova riforma debba o meno portare a una riduzione della precarietà del lavoro e, in particolare, se si debbano confermare – una volta che il lavoratore abbia maturato il massimo delle tutele – i livelli di protezione garantiti oggi dal contratto a tempo indeterminato, incluso il principio del reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa prescritto dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Esponenti del governo e alcuni studiosi ritengono che l’obbligo di reintegro generi una sorta di superprotezione dei lavoratori a tempo indeterminato, responsabile di accentuare il dualismo del mercato del lavoro italiano, cioè la compresenza di lavoratori superprotetti e lavoratori precari (non protetti), e sia quindi dannoso per gli investimenti e per l’occupazione.

Ma questa tesi suscita forti opposizioni. Proviamo allora a valutare dati alla mano la qualità delle analisi e delle proposte del governo. A questo scopo, facciamo ricorso al famoso database messo a disposizione dall’OCSE per calcolare l’Employment Protection Legislation Index (EPL), che misura il grado diprotezione generale dell’occupazione previsto dall’assetto normativo-istituzionale di ciascun Paese.