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sbilanciamoci

Il nuovo fordismo individualizzato

Lelio Demichelis

Davvero siamo felicemente usciti dal fordismo del 900? Oppure siamo semplicemente dentro a una nuova fase della Grande Narrazione tecnica e capitalista?

fordismDavvero il lavoro è cambiato, oggi, in tempi di terza (o già di quarta, con la digitalizzazione) rivoluzione industriale, rispetto alla prima di fine Settecento? Davvero siamo felicemente (e finalmente!) usciti dal fordismo greve e pesante del ‘900 per approdare al post-fordismo leggero, flessibile e virtuoso, alla produzione snella, all’economia della conoscenza e all’era dell’accesso, alla new economy degli anni ’90 e ora alla sharing economy e agli smart jobs – e qualcuno (Paul Mason) immagina persino un favoloso post-capitalismo? Oppure siamo semplicemente (e drammaticamente) dentro a una nuova fase della Grande Narrazione tecnica e capitalista?

Se carattere tipico e definitorio del fordismo era la produzione industriale di massa basata sull’impiego di lavoro ripetitivo e generalmente senza particolari qualifiche e specializzazioni («Io» – diceva Henry Ford – «non riuscirei mai a fare la stessa cosa tutti i giorni, ma per altri le operazioni ripetitive non sono un motivo di orrore. L’operaio medio desidera un lavoro nel quale non debba erogare molta energia fisica, ma soprattutto desidera un lavoro nel quale non debba pensare»), il post-fordismo si caratterizzerebbe invece per l’adozione di tecnologie e criteri organizzativi che pongono una particolare enfasi sulla specializzazione e sulla qualificazione del lavoro e delle competenze nonché sulla flessibilità dei lavoratori.

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blackblog

Sguardi incrociati sui luddisti ed altri distruttori di macchine

Il ruolo della tecnica nella problematica del mutamento sociale

di Michel Barillon

Quelli che ci trattano da "distruttori di macchine", dovremmo trattarli noi, in cambio, da "distruttori di uomini."
- Günther Anders [*1]

ludd16Per una rilettura della Rivoluzione Industriale

Recentemente, nello spazio di un anno, senza alcuna concertazione, le case editrici francesi hanno pubblicato quattro opere che riguardano la distruzione delle macchine [*2]. Fino ad allora, gli editori, riflettendo in questo l'attitudine della maggior parte degli storici, avevano dimostrato assai poco interesse alle rivolte contro le macchine avvenute all'alba della Rivoluzione industriale. Ciò era essenzialmente dovuto al fatto che quei movimenti venivano percepiti come la manifestazione di un "oscurantismo tecnologico", una reazione arcaica nei confronti di una dinamica storica che si presume si svolgesse sotto gli auspici del "Progresso". Lo attestano i manuali di storia: così, quando i fatti in questione non vengono puramente e semplicemente ignorati, vengono presentati come un "reazione primitiva" [*3]. Nell'arte della negazione, David S.Landes appare come un virtuoso: su circa 750 pagine di un libro consacrato alla nascita e alla crescita del capitalismo industriale, non dice niente dei disordini sociali che hanno segnato l'inizio dell'industria tessile in Inghilterra nei primi decenni del 19° secolo. Ai suoi occhi, "la Rivoluzione industriale insieme al matrimonio della scienza con la tecnica costituiscono il culmine di millenni di progresso industriale". E tale acme apre una nuova era di espansione illimitata, a partire da un "progresso cumulativo della tecnica e della tecnologia, un progresso autonomo" ancora più sfrenato dal momento che tradizioni e pregiudizi vengono abbandonati [*4].

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centrostudieiniz

La disoccupazione al di là del senso comune

di Giovanni Mazzetti

Quaderno Nr. 2/2016 a cura del Centro Studi e Iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e per la redistribuzione del lavoro sociale complessivo

showimg2.cgiPresentazione 

Poco meno di vent’anni fa, nel 1997, aprivamo il nostro Quel pane da spartire.  Teoria generale della necessità di redistribuire il lavoro sostenendo che “in quasi tutti i paesi economicamente sviluppati sta finalmente prendendo corpo un orientamento sociale embrionalmente favorevole ad una redistribuzione del lavoro. Ci sono titubanze, continui ripensamenti e aspre resistenze. C'è una grande difficoltà a concepire una riduzione d'orario che, al pari di quasi tutte quelle intervenute in passato, lasci il salario invariato o addirittura lo veda aumentare. Ma il problema sembra ormai essere stato comunque posto sul tappeto in modo irreversibile. L'elevata disoccupazione, che ha quasi ovunque raggiunto i più alti livelli dopo la crisi degli anni trenta, rafforza questa tendenza e sollecita qualche intervento pubblico diretto a favorire prime sporadiche redistribuzioni all'interno di singole aziende in crisi. In qualche raro caso sono le stesse parti sociali a concordare riduzioni del tempo di lavoro, come un espediente per evitare il puro e semplice licenziamento di una quota rilevante della forza-lavoro.”

Ma quella nostra anticipazione delle tendenze in atto era decisamente sbagliata.  Faceva affidamento su una ragionevolezza del senso comune che non ha preso corpo nemmeno col precipitare della crisi degli ultimi dieci anni.

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centrostudieiniz

Meno lavoro o più lavoro nell’età microelettronica?

Un problema annoso ancora irrisolto

di Giovanni Mazzetti

Quaderno Nr. 1/2016 a cura del Centro Studi e Iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e per la redistribuzione del lavoro sociale complessivo. Con questo saggio inizia l’attività di formazione on-line da parte del Centro Studi.  Si prevede la pubblicazione a cadenza almeno mensile di documenti che in qualche modo inquadrino in modo semplice il problema della necessità di redistribuire il lavoro

capture 20140518 114524 e1402909765684Il presente saggio, di marzo 2016, Meno lavoro o più lavoro nell’età microelettronica?, riprende un tema che è stato recentemente approfondito dal libro di Riccardo Staglianò Al posto tuo (Einaudi 2016), nel quale è stata fornita una forte conferma della tesi a suo tempo enunciata nelle ricerche del Centro.  In un serrato confronto con le tesi di Adam Schaff e di Paola Manacorda, si cerca di rispondere al quesito posto dal titolo, dimostrando che la società incontrerà crescenti difficoltà a riprodurre il rapporto di lavoro salariato.  Le vicende degli ultimi trent’anni dimostrano la fondatezza di questa ipotesi, ulteriormente suffragata della moltitudine di esempi contenuti nel lavoro dello Staglianò.

 

Una varietà di teorie, una contraddi­zione o un malinteso?

Possono due studiosi che fanno riferimento ad un medesimo sistema teorico, giungere a conclusioni addirittura opposte nell'analisi delle conseguenze di lungo periodo del diffondersi della micro­elettronica? In altre parole, è giusto che esistano molte e diverse teorie dell'età microelettro­nica o è possibile e necessario giunge­re ad un'unica teoria, pur con le inevitabili differenze di accento su questo o quell'aspetto del problema, su questa o quella mediazione? E cioè, il giungere a conclusioni anali­tiche opposte, pur battendo la stessa via, non è forse il segno di una contraddizione nella rappresentazione teorica che le sostiene?

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valigiablu

L'era dei robot e la fine del lavoro

Un bene o un male per l'umanità?

di Fabio Chiusi

robot e lavoroÈ un giorno qualunque, nell’era dei robot, e il lavoratore tipo esce di casa per recarsi in ufficio. Le macchine, per strada, si guidano da sole. Il traffico pure: si dirige da sé. Lo sguardo può dunque alzarsi sopra la testa, dove, come ogni giorno, droni consegnano prodotti e generi alimentari di ogni tipo – oggi, per esempio, il pranzo suggerito dal frigorifero “intelligente”. Sul giornale – quel che ne resta – gli articoli sono firmati da algoritmi. Giunto alla pagina finanziaria, il nostro si abbandona a un sorriso beffardo: il pezzo, scritto da un robot, parla delle transazioni finanziarie compiute, in automatico, da altri algoritmi.

Entrato in fabbrica, poi, l’ipotetico lavoratore di questo futuro (molto) prossimo si trova ancora circondato dall’automazione; per la produzione, ma anche per l’organizzazione, la manutenzione, perfino l’ideazione del prodotto: a dirci cosa piace ai clienti, del resto, sono ancora algoritmi. Quel che mi resta, pensa ora senza più sorridere, è coordinare robot, o robot che coordinano altri robot. Finché ne avranno bisogno.

Ma per quanto ancora? Per rispondere, basta tornare al presente. Nei giorni scorsi, l’intelligenza artificiale di Google chiamata ‘AlphaGo’ ha umiliato il campione Lee Sedol in uno dei giochi più complessi, astratti, e dunque tipicamente umani – così pensavamo – mai esistiti: il millenario Go.

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clashcityw

On vaut mieux que ça – Noi meritiamo di più!

Cosa succede in Francia e cosa ha a che vedere con noi

Scritto da Clash City Workers

2016 03 09 loi travailL'altro giorno in Francia sono scese in piazza quasi mezzo milione di persone. Si, avete capito bene, quasi 500 mila persone in piazza mentre uno sciopero generale e le proteste degli studenti bloccavano trasporti, aziende e scuole. Tutto questo nel silenzio generale dei media italiani. 

Un popolo in lotta, il “debutto di un movimento” come lo ha definito Le Monde, il secondo giornale di Francia, che si è scagliato contro la riforma del lavoro di Myriam El Kohmri, il ministro del Lavoro. Un intervento del Governo socialista che se dovesse essere approvato in primavera inciderà profondamente nel diritto del lavoro francese. Per il lettore italiano, tuttavia, tutto ciò risuonerà come un film già visto: le affinità con le riforme degli ultimi anni, dagli accordi di Pomigliano del 2011 fino al Jobs Act, sono sorprendenti. Chi sa che non sia per questo che i giornali di regime non danno notizia delle proteste francesi? D’altronde, se c’è un qualcosa che accomuna i paesi europei in questo momento storico, esso è stato pienamente riassunto da Myriam El-Khomri in un’intervista rilasciata al giornale Echos il 19 febbraio scorso: “L’obiettivo […] è quello di adattarsi ai bisogni delle imprese”.

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euronomade

Globalizzazione e crisi. Il lavoratore multinazionale

Girolamo De Michele

l43 lavoro cina 120403160224 mediumIl 4-5 febbraio si è svolto a Padova il convegno “Globalizzazione e crisi. Lavoro, migrazioni, valore” [qui la sua presentazione di Sandro Chignola e Devi Sacchetto]. Quello che segue è un report degli interventi, redatto sulla base dei materiali distribuiti e degli appunti presi. Ho scelto di far parlare una sola voce collettiva, per focalizzare l’attenzione sul quadro d’insieme piuttosto che sui singoli interventi, rimandando al programma, nella sua interezza, per il dettaglio degli argomenti [G.D.M.]

È probabile che la migliore sintesi di questo convegno sia stata l’affermazione di uno storico: «ho imparato più qui ascoltandovi per due giorni, che in tre mesi di studio e letture». Affermazione in apparenza paradossale: quale presa di parola può avere lo sguardo dello storico su un tentativo sincronico e orizzontale – o comunque definito da un arco temporale ben più ristretto di quello dello sguardo storico – di descrizione dell’intreccio fra migrazioni, lavoro e produzione di valore? Ad esempio, la messa in discussione dello “statocentrismo” implicito in alcuni studi migratori, nei quali il globale sembra essere considerato come qualcosa di esterno allo Stato; e la contestazione di quel “colpo di Stato linguistico” che derubrica e occulta i movimenti migratori locali rispetto a quelli a largo raggio: laddove questi ultimi emergono invece da un pulviscolo di movimenti locali.

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clashcityw

L'Atto del Lavoro

Il magro bilancio di un anno di interventi renziani e i loro veri obiettivi

Scritto da Clash City Workers

2016 03 06 JA1Premessa: quello che state per leggere è il nostro quarto o quinto contributo sul Jobs Act. Se la nostra è un'ossessione, lo è in misura speculare a quella del governo e dei suoi megafoni ambulanti che, nel corso dell'ultimo anno, ci hanno quasi quotidianamente edotto sui prodigiosi effetti delle politiche governative sul lavoro.

Arriviamo buoni ultimi a rivelarvi che, in realtà, di prodigi se ne sono visti pochi: ma l'ansia da prestazione dell'apparato di governo su questi temi è di per sé rivelatrice del fatto che l'attacco al mondo del lavoro non può essere oggetto di alcuna critica. Il complesso di interventi volti a rendere più incerta la continuità lavorativa, minore e più precario il salario non consentivano critiche di alcun tipo: la realtà, però, è più forte di ogni rappresentazione, anche di quella di chi controlla le leve del potere politico e influenza paurosamente il potere mediatico.

Nota di metodo: ascriveremo alla categoria Jobs Act molte cose diverse: gli esoneri contributivi stabiliti dalla legge di stabilità 2015; i decreti che costituiscono il Jobs Act vero e proprio (decreti Poletti del 2014, contratto a tutele crescenti, demansionamento e controllo a distanza); l'estensione della possibilità di utilizzo dei voucher.

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economiaepolitica

Le lacrime di Confindustria

di Antonella Stirati

klimt118In un recente documento del Centro studi di Confindustria (2015) si argomenta che:

“La quota del valore aggiunto che va al lavoro è ai massimi storici, mentre la redditività delle imprese è ai minimi, con un impatto negativo sulla dinamica degli investimenti e sulla crescita anche futura” (p.1)

La conseguenza di tale analisi è la richiesta di revisione delle retribuzioni, per tener conto della minore inflazione dei prezzi che si è verificata nell’economia rispetto a quanto previsto al momento dei precedenti rinnovi contrattuali, in modo da ridurre l’incremento del costo del lavoro in termini reali. Richiesta accolta nel caso del CCNL dei chimici e adesso in discussione nel caso dei metalmeccanici. Ma fino a che punto è giustificata l’affermazione concernente l’andamento delle quote distributive, e a cosa è dovuto tale andamento?

I dati portati a sostegno da Confindustria sono gli andamenti delle quote distributive nel settore manifatturiero e nel settore privato dell’economia al netto delle locazioni.[1] Nel calcolare la quota dei redditi da lavoro (al lordo delle imposte e degli oneri contributivi) viene aggiunta al costo del lavoro l’IRAP pagata dalle imprese, senza che tuttavia sia del tutto chiaro quale metodo venga adottato dal Centro Studi di Confindustria per imputare una quota del gettito IRAP al costo del lavoro.[2] Riproponiamo dunque una analisi dell’andamento delle quote distributive che non tiene conto del prelievo Irap, e che contribuisce dunque a fare chiarezza sul ruolo dell’andamento del costo del lavoro – a prescindere da quell’imposta – nel determinare tali quote.

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paginauno

Salari da fame, orari da pazzi

I nuovi Contratti Nazionali

Collettivo Clash City Workers

clash 23Recentemente sono stati rinnovati, o lo saranno a breve, molti contratti collettivi nazionali del lavoro (Ccnl),alcuni dei quali scaduti datempo. Qui entreremo neldettaglio di quattro Ccnl particolarmente significativi (Chimici, Metalmeccanici, Commercio e Trasporto pubblico), dopo aver provato a caratterizzare la cornice entro cui sono avvenuti questi rinnovi e quali linee di tendenza sono ormai emerse in maniera chiara.

 

Il problema dei Ccnl

Qual è il ruolo che il contratto collettivo nazionale sta giocando nello scontro ormai diretto e palese fra governo e associazioni padronali da una parte e lavoratrici e lavoratori dall’altra? Partiamo da alcuni spunti che ci fornisce il gruppo editoriale che esprime la voce della Confindustria. In una rivista del gruppo Il Sole 24 Ore troviamo scritto che il contratto collettivo “resta lo strumento privilegiato per la definizione di un punto di equilibrio dinamico fra gli interessi dei lavoratori […] e quelli delle aziende” (1). Se questo riconoscimento coglie elementi di realtà, è anche vero, però, che i Ccnl sono il frutto della stratificazione di decenni di mobilitazioni operaie e di accordi con le associazioni padronali, non un armonioso e dinamico “punto di equilibrio”.

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linterferenza

La classe sociale propulsiva del socialismo del XXI Secolo

Una possibile ipotesi

Riccardo Achilli

corda equilibrioSi registra l’emergere impetuoso, ma privo di rappresentanza politico/sindacale adeguata, di un proletariato del general intellect, le cui modalità di riproduzione e di sfruttamento non passano più tramite la “spremitura” di una energia lavorativa, con modalità di organizzazione del lavoro standardizzate e ripetitive, come succedeva all’operaio fordista, ma anche all’impiegato “di concetto” novecentesco (basta guardare un qualsiasi film di Fantozzi per vedere come, nel secolo scorso, anche il ceto impiegatizio fosse sottoposto ad una forma peculiare di taylorismo). Le modalità di sfruttamento di questo nuovo proletariato del general intellect passano per il tramite dello sfruttamento della propria intelligenza, della propria preparazione culturale e della propria capacità di elaborare in modo creativo e comunicare in modo efficace informazioni e conoscenze.

Lo sfruttamento e il disciplinamento di questo nuovo proletariato devono quindi passare tramite organizzazioni del lavoro diametralmente opposte rispetto a quelle neofordiste novecentesche (caratterizzate dalla stabilità del lavoratore sul posto di lavoro), che ne flessibilizzino gli orari ed i tempi di lavoro e di consegna del prodotto richiesto dal datore di lavoro, al fine di controllare l’appropriabilità dei risultati del suo lavoro, posto che le tradizionali tecniche dei “tempi e metodi” del fordismo non sono più applicabili adu n lavoro discontinuo, non standardizzato e creativo.

Dette organizzazioni del lavoro, inoltre, devono trovare l’equilibrio ideale fra autonomizzazione del singolo lavoratore intellettuale ed esigenza crescente di interazione di gruppo, unica forma attraverso la quale la creatività del singolo può trovare una espressione compiuta in un “prodotto intellettuale” perfettamente definito ed idoneo alla valorizzazione di mercato.

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militant

La lotta per il lavoro del XXI secolo

L’esperienza della lista disoccupati e precari del VII Municipio

di Militant

11146221 440735886093854 3301335292017730513 nSu di un metodo di lotta per il lavoro

Ormai è da più di un anno che stiamo supportando le attività della Lista dei Disoccupati e Precari del VII Municipio e del Coordinamento Disoccupati e Precari Organizzati nato tra le diverse liste esistenti sul territorio romano. Un breve – ma intenso – periodo di lotta, condiviso finora con compagni dei Carc, della Casa del Popolo Giuseppe Tanas, dell’Unione Sindacale di Base e di altre realtà e singoli provenienti da diverse esperienze politiche o di lotta. E, naturalmente, con precari e disoccupati di Roma e provincia. L’idea alla base di un movimento di disoccupati e precari nasce principalmente dalla constatazione che in una regione dove il tasso di disoccupazione supera il 12% e quello dei giovani è quasi il triplo, il tentativo di ricomposizione di una classe di lavoratori (occupati e disoccupati) sempre più frammentata, oltre che di organizzazione di un movimento politico e sociale capace di agire da controparte e alternativa all’establishment centrale e locale, non possa che passare – anche – dall’organizzazione di un movimento di lotta per il lavoro. Tanto più in territori periferici come quello del VII Municipio (Cinecittà) dove il livello di disoccupazione e di marginalità sociale raggiunge livelli ben più alti di quelli registrati su scala provinciale e regionale.

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contraddizione

Smart Working

Sfruttamento illimitato della costrizione al lavoro

di Carla Filosa

In realtà, il dominio dei capitalisti sugli operai non è se non dominio delle condizioni di lavoro autonomizzatesi contro e di fronte al lavoratore… cioè i mezzi di  produzione… e i mezzi d sussistenza,… benché tale rapporto si realizzi soltanto  nel processo di produzione reale,  che è essenzialmente processo di produzione di plusvalore; processo di autovalorizzazione del capitale anticipato. Marx, Il Capitale, libro I, cap. VI inedito.

smartworkMediaticamente coinvolti in questi ultimi tempi solo dai cosiddetti diritti civili, forse non ricordiamo nemmeno più quella proposta effettuata nel dicembre scorso dal ministro Poletti, sull’abolizione “tecnologica” della misurazione temporale dellagiornata lavorativa. Dopo l’impegno, in settembre, ad abbassare le pensioni a chi ne avesse anticipato la fruizione, l’ineffabile ministro del Lavoro si è messo all’opera per rosicchiare, non solo il salario differito sui binari della riforma Fornero, ma anche quello diretto, angustamente percepito solo come busta paga, ma in realtà di natura sociale. I diritti fondamentali, quelli conquistati entro il rapporto lavorativo vessatorio e fraudolento, sono così scivolati nell’inavvertita prassi governativa abile nell’elargire una progressiva dimenticanza da spargere su tutto il piano del reale. Sublimati su battaglie giuridiche, i conflitti sono stati spostati su piani ideologico-religiosi con altri soggetti di diritto, dal piano economico a quello sociale, più permeabile a compromessi. Il capitale rimane pertanto nel cono d’ombra, libero di far erodere anche il salario indiretto con il taglio delle spese sociali e i favori fiscali alle imprese.

Quando poi le “innovazioni” politiche non si vogliono far capire bene agli interessati, ormai si usa la lingua dominante sul mercato mondiale.

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conness precarie

Il virus del lavoro è ricombinante

di Devi Sacchetto e Sandro Chignola

Riprendiamo da «Il Manifesto» del 3 febbraio 2016 il testo introduttivo del convegno «Globalizzazione e crisi. Lavoro, migrazioni, valore» che si è svolto presso l’Università di Padova il 4-5 febbraio 2016

NewsExtra 257589Due fotografie, per cominciare. La prima mostra le lavoratrici marocchine in lotta a Monselice, nella bassa padovana, per difendere il proprio lavoro. La cooperativa per la quale operano la selezione della plastica nelle ecoballe di rifiuti a mani nude, con semplici guanti e mascherina, le ha licenziate per essersi sindacalizzate con l’Adl-Cobas. La seconda mostra i lavoratori migranti spagnoli che un’agenzia interinale tedesca ha selezionato per Amazon a Bad-Hersfeld, nell’Assia. Essi lavorano a salari molto più bassi di quelli che erano stati prospettati; non sono stati assunti a tempo indeterminato da Amazon come era stato loro promesso, ma solo per smaltire il carico di ordini di Natale e da una ditta subappaltatrice; vengono acquartierati in molti per camera in piccoli alberghi attorno ai magazzini di distribuzione controllati anche nel tempo libero o dedicato al riposo da una agenzia di security imbottita di neonazisti. Queste due fotografie evidenziano una serie di processi che marcano le condizioni del lavoro oggi e rendono problematiche le categorie con le quali l’Europa si autorappresenta. Migranti spagnoli in Germania per effetto del job on call; donne (marocchine) che lavorano tra i rifiuti a Monselice come se si trattasse di recuperadoras nelle discariche di qualche metropoli sudamericana.

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effimera

Gli orfani di Nizza

di Joe Vannelli

licenziactProprio quando avevo terminato la lettura del saggio pubblicato presso DeriveApprodi da Peppe Allegri e Papi Bronzini (Libertà e lavoro dopo il Jobs Act. Per un garantismo sociale oltre la subordinazione) mi sono imbattuto in una sentenza del Tribunale di Potenza che merita menzione e commento.

La motivazione è stringata. Sostiene il Giudice del Lavoro, dottoressa Isabella Tedone, che non esiste nel lavoro autonomo alcuna presunzione di onerosità della prestazione richiamando un (per la verità solo preteso) precedente di Cassazione in tal senso (2769/2014, basta scorrerla in motivazione per capire che in realtà parla d’altro). Pacifico, comunque, che il nostro fosse un collaboratore non subordinato e che avesse fornito ad un quotidiano on line (La Nuova del Sud) una serie numerosa di servizi giornalistici, nell’arco di un biennio, mai retribuiti. Ma il Giudice nega l’esistenza di un diritto al pagamento, chiarendo le ragioni che avevano rafforzato tale convincimento: all’epoca dei fatti il ricorrente aveva trent’anni e, come noto, nel settore in questione è tutt’altro che infrequente, magari nelle more del conseguimento del titolo di pubblicista, che il giornalista si presti a consentire, anche gratuitamente, la pubblicazione dei propri articoli, anche solo allo scopo di acquisire notorietà ed esperienza. Per rivendicare un compenso non basta, secondo il Tribunale di Potenza, dimostrare lo svolgimento di attività lavorativa in favore di un’impresa operante nel settore della comunicazione; il collaboratore autonomo deve farsi carico di provare anche un accordo con chi utilizza le sue prestazioni circa la retribuzione pattuita. In conclusione il povero cococo non ha preso un centesimo ed ha pure pagato tremila euro di spese processuali.