Il comunismo del sentire
R. Ciccarelli intervista Roberto Finelli
Comunismo17. Nuove antropologie. Intervista al filosofo Roberto Finelli sul progetto di un’utopia concreta post-capitalista. Come costruire una lotta politica e sociale a partire da un’idea più ampia di libertà. "Bisogna accedere a un ideale più ricco di libertà per il quale la libertà non è più solo la libertà liberale come libertà da, o la libertà comunista intesa come libertà di, ma libertà come affrancamento dalla paura di rimanere soli con se stessi. E quindi libertà anche, e direi soprattutto, come libertà di accedere senza terrorismi al proprio sentire

Un’utopia postcapitalista e postcomunista è alla base del ripensamento radicale del pensiero marxiano condotto da Roberto Finelli. Il filosofo romano propone una doppia strategia: da un lato, sganciare Marx, e il marxismo, dall’«antropologia della penuria» che vede la ricchezza nell’accumulo di beni e servizi legati al soddisfacimento di bisogni solo materiali e a un’autorappresentazione ancestrale e primitiva di sé; dall’altro lato, considerare il comunismo come un nuovo rapporto tra l’autonomia dei singoli e l’autorealizzazione dell’altro. La sua riflessione ha raccolto l’eredità della critica dell’autoritarismo e del pensiero della differenza e dialoga con un’originale lettura psicoanalitica del concetto di libertà e un materialismo spinozista fondato sul nesso corpo-mente.
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Con quali strumenti?In questa prospettiva qual è l’eredità della rivoluzione sovietica?
Al di là dell’ovvia constatazione dell’enorme importanza storica di questo primo tentativo di realizzare il comunismo, tutta l’esperienza sovietica, nelle sue diverse fasi, si è strutturata su un’antropologia monocolturale dell’eguaglianza.




Dopo millenni di illuminismo, il panico 
Étienne Balibar interverrà al La conferenza di Roma sul comunismo, il giorno 21 gennaio (ore 16, Esc Atelier Autogestito) su «Poteri comunisti». Essendo tra i filosofi marxisti più noti e autorevoli del dibattito europeo contemporaneo relativo ai temi della cittadinanza e della democrazia, abbiamo deciso di intervistarlo al fine di anticipare alcune delle questioni più salienti che verranno affrontate durante la conferenza romana.
Cercheremo qui di abbattere i muri che agli occhi di molti impediscono alla filosofia della prassi di introdursi nel regno del Marx più maturo. Il primo di questi muri è stato eretto tra le Tesi su Feuerbach e la critica dell’economia politica; un secondo tra il giovane Marx e il Marx maturo, con la conseguenza della nascita di una specie di dualismo marxologico; un terzo muro, infine, è stato costruito tra la società e la natura.
Nell'epoca della frantumazione e della dispersione del nostro patrimonio politico e culturale, la moltiplicazione delle voci in campo non è ricchezza ma sintomo della debolezza e della confusione oggettivamente esistenti. Oltretutto, questa frantumazione è favorita dalla rivoluzione tecnologica digitale, che estendendo al livello di massa la possibilità di diventare piccoli produttori indipendenti di contenuti intellettuali, sollecita inevitabilmente atteggiamenti e derive anarchicheggianti.
Il futuro di Althusser dura a lungo
L'operaismo e la Teoria critica francofortese non rappresentano soltanto due dei tentativi più stimolanti di rilancio del progetto marxiano della «critica dell'economia politica» negli anni 1960, ma costituiscono anche le due fonti d'ispirazione principali del «marxismo autonomo». Tuttavia, le divergenze così come i punti di incontro di queste due tradizioni raramente vengono studiate di per sé. Per Vincent Chanson e Frédéric Monferrand, un simile studio va svolto dal punto di vista di una teoria del capitalismo. Da
Il dibattito in seno al marxismo sulle origini del capitalismo rimanda in larga misura ad una valutazione dell'evoluzione del pensiero di Marx. Tuttavia, questo dibattito è ugualmente determinato dal contesto concreto in cui ha luogo. Ne L'Ideologia Tedesca e nel Manifesto del Partito Comunista, il giovane Marx ha presupposto le origini del capitalismo più che spiegarle
È un dato di fatto che, nelle sue diverse declinazioni, il marxismo è stato espunto dai programmi di insegnamento dei corsi di Economia Politica in Italia, ed è del tutto marginale nella ricerca scientifica. È anche un dato di fatto che il marxismo italiano, nel corso del Novecento, ha fornito contributi di massima rilevanza sul piano internazionale e che quella tradizione può considerarsi, allo stato dei fatti, sostanzialmente terminata. Per le motivazioni che verranno presentate a seguire, si è imposto un nuovo paradigma dominante che, per pura semplicità espositiva, possiamo definire neoliberista (si vedrà infra che tale definizione è alquanto riduttiva, sebbene diffusamente utilizzata).
Poche collaborazioni politiche ed intellettuali sono paragonabili a quella fra Karl Marx e Friedrich Engels. Non scrissero insieme solo 'Il manifesto comunista' del 1848, prendendo parte alla rivoluzione di quello stesso anno, ma anche due lavori precedenti, la 'Sacra famiglia' del 1845 e l'Ideologia tedesca' del 1846. Alla fine del decennio 1870, quando i due socialisti scientifici abitarono vicino e poterono conferire quotidianamente, erano soliti camminare avanti e indietro, ognuno su un lato della stanza, nello studio di Marx, lasciando segni sul pavimento quando si giravano sui tacchi, mentre discutevano di svariate idee, piani e progetti.
1. «Collettivismo della miseria, della sofferenza»
I. Nel gennaio 1868, armato della consueta mordacità, Marx confessa al sodale di sempre Friedrich Engels come il «Kerl» di turno, Privatdozent di filosofia ed economia politica a Berlino Eugen Dühring, abbia mancato il senso del I libro de Il Capitale. L’«intero segreto della concezione critica» – scrive Marx riferendosi proprio alla sua «Critica dell’economia politica» – sta nel fatto che «se la merce ha il doppio carattere di valore d’uso e valore di scambio, allora anche il lavoro rappresentato nella merce deve avere carattere doppio». Centrale è quindi la distinzione tra «lavoro astratto» e «lavoro concreto», sfuggita non solo a Dühring, ma secondo Marx anche agli stessi fondatori dell’economia politica: «la semplice analisi fondata sul lavoro sans phrase come in Smith, Ricardo ecc. deve sempre andare a sbattere in questioni inesplicabili»


L’autore del saggio che segue adotta un approccio rigorosamente diacronico. Partendo dalle analisi di Marx sulla Rivoluzione francese, egli dimostra come gli scritti di quest’ultimo, spesso associato a Engels riguardo a tale soggetto, siano sempre precisamente contestualizzati e legati al tentativo di comprendere il presente. È Jean Jaures, con la sua Storia socialista della Rivoluzione francese, a fornire per primo una lettura globale degli eventi rivoluzionari basata sulla griglia interpretativa proposta da Marx. Una forma di banalizzazione di questa lettura si produce in seguito, attraverso lo sviluppo della storia economica e sociale, ad opera di storici che, senza aver letto troppo Marx, conservano del suo pensiero l’idea dell’importanza determinante della realtà economica. Nel contesto della Guerra fredda, tale interpretazione «sociale» della Rivoluzione è oggetto di vigorosi attacchi e condanne, in quanto espressione di un marxismo riduttivistico. Una rimessa in causa che prende le mosse da letture privilegianti il fattore politico, le quali, tuttavia, si aprono nuovamente, dopo alcuni anni, a ricerche che ripropongono la questione delle appartenenze sociali.
Il 28 giugno 1956 le maestranze degli stabilimenti Zispo di Poznań sono riunite per discutere il contenuto degli accordi raggiunti tra la propria delegazione di ritorno da Varsavia e il governo centrale. Dall’assemblea si stacca un corteo spontaneo, raggiunge il centro della città ingrossandosi, i principali edifici della città sono assaltati. Il bilancio della giornata sarà drammatico: 38 morti e 270 feriti. La lettura degli eventi di Poznań costituisce per la sinistra italiana un primo banco di prova rispetto a un fenomeno molto complesso, che nell’imminente autunno ungherese assumerà dimensioni ben più drammatiche. Al comunicato pubblicato su l’Unità del 2 luglio in cui Di Vittorio invita a interrogarsi non solo sui provocatori, ma anche sulle ragioni del «profondo malcontento» serpeggiante tra gli operai polacchi, Togliatti risponderà l’indomani con una dura spalla intitolata La presenza del nemico. Lo stesso 28 giugno, a Budapest, Lukács tiene presso l’Accademia politica del Partito dei lavoratori la conferenza 
Quella che viene comunemente chiamata «la profezia» di Del Noce sulla inevitabile trasformazione in movimento radicalborghese, è spesso intesa come attribuita a tutto il marxismo. Per esemplificare, ecco come Vittorio Messori riassume una sua intervista col filosofo, i corsivi sono nostri:
Molte studiose femministe hanno avuto, nel migliore dei casi, un rapporto ambiguo con Marx e il marxismo. Una delle questioni oggetto di maggiore contesa riguarda il rapporto Marx/Engels.
1. La VI tesi di Marx
Questa mattina Effimera ripropone la lettura di una intervista davvero interessante all’economista Lapo Berti, che ha fatto parte del collettivo redazionale della rivista Primo Maggio e dell’area del postoperaismo italiano, realizzata da Paolo Davoli e Letizia Rustichelli. Ringraziamo il collettivo di ricerca indipendente
La questione europea ha rilanciato i dibattiti, in seno alla sinistra radicale, sull’internazionalismo. Si è progressivamente affermata la necessità di ripensare a un
Hamza & Ruda: Il tuo lavoro stabilisce una cruciale distinzione fra la critica del capitalismo dal punto di vista del lavoro e la critica del lavoro nel capitalismo. La prima implica una descrizione trans-storica del lavoro, mentre la seconda pone il lavoro come una categoria coerente - capace di "sintesi sociale" - del modo capitalista di produzione. Tale distinzione richiede che venga abbandonata ogni forma di descrizione ontologica del lavoro?
I. La legittimità teorica e pratica della critica radicale del lavoro
Karl Marx salta fuori nei posti più improbabili. Due decadi e mezza dopo che molti tra i noti intellettuali europei e statunitensi avevano gioiosamente annunciato che d'ora in avanti le idee di Marx sarebbero state irrilevanti, il Wall Street Journal ci offre un dibattito sorprendentemente misurato sul suo pensiero sotto il titolo "Il filosofo più mondano" (The Most Worldly Philosopher, 10.12.2016). L'autore, Jonathan Steinberg, rampollo emerito di Cambridge e professore all'Università di Pennsylvania, conclude così: "Marx ha lasciato un'eredità di idee potenti che non possono essere abbandonate come una obsoleta fantasia di un clima intellettuale scomparso" e ciò ha stimolato "… la crescita dei partiti Marxisti e di milioni di persone che hanno accettato quell'ideologia per tutto il corso del XX secolo. Quella era la filosofia certamente più in voga."
Introduzione

































