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Letame

di Augusto Illuminati

Il ruolo provocatorio assunto dai due organi casalinghi di Berlusconi, «Il Giornale» e «Libero» (i due carabinieri maneschi, mentre «Il Foglio» è quello buono) viene a volte ricondotto alla grande tradizione progressista statunitense dei Muckrakers di fine Ottocento e inizio Novecento. Niente di più erroneo. Quegli «spalatori di letame» denunciavano gli scandali e la corruzione delle amministrazioni locali e dei trust, nell’illusoria prospettiva di un capitalismo “puro” e magari sboccavano nel volenteroso comunismo di un Lincoln Steffens, mentre Feltri e Belpietro (a proposito, l’hanno poi trovato l’attentatore fantasma invisibile alle telecamere?) ricordano piuttosto le imprese dei fogliacci dell’estrema destra maurrassiana e collaborazionista francese degli anni ’30 e ’40, «Gringoire» e «Je suis partout». Curiosità: nella più sconcia delle campagne di calunnie, quella che nel 1937 portò al suicidio del Ministro degli Interni del Fronte Popolare, Roger Salengro, gli stereotipi diffamatori furono la passione per il ciclismo e l’accusa di omosessualità. Prodi e Boffo, rispettivamente, ne sanno qualcosa.

Tutti gli altri bersagli, ovvio, erano “giudei”, l’air du temps. «Je suis partout», durante l’occupazione nazista, si era invece specializzato nello scovare gli indirizzi dei resistenti clandestini e degli ebrei. Oggi si limitano ai Tulliani.

Ma non vogliamo fare del moralismo, oltre tutto smuovere il letame manda cattivo odore, piuttosto ci interessa capire perché certi metodi vengono applicati alla presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, all’indomani della sua doppia presa di posizione contro il governo Berlusconi e a favore di una riapertura dei rapporti con la Cgil (ai danni simmetrici di Bonanni e della Fiom). Un siluro, in tutta evidenza, contro l’ipotesi di un governo tecnico centrista appoggiato dalla sinistra moderata, con ruolo visibile della Marcegaglia stessa o di Montezemolo. Sorvoliamo anche sulla miseria esibita da tutti i protagonisti delle intercettazioni: il giornalista che ricatta con allusioni mafiose, l’interlocutore che ammette che la Confindustria ha chiesto l’assenso di Berlusconi e Letta per la nomina di Riotta a direttore del suo Sole-24 ore (che autonomia! che potenza!), la ricattata che ricorre piagnucolosa per avere uno sconto al braccio destro della proprietà, sgomenta di affrontare Feltri e ignorando il fantoccio Paolo Berlusconi...

Il vero fatto politico è che Feltri, in coppia splatter con Maria Vittoria Brambilla e in combutta con La Russa, Verdini e Sacconi, si muove in direzione opposta all’ultima linea ufficiale di Letta, Bondi e Frattini (appeasement con i finiani e cautela sulle elezioni anticipate), rivelando la sostanziale perdita di potere di Berlusconi, ridotto a oscillare fra opposte opzioni correntizie, appeso a sondaggi sempre meno incoraggianti e a calcoli improbabili sulla consistenza della propria maggioranza (soprattutto al Senato). Il nonnetto isterico è stato spedito in una sauna russa a folleggiare (con tante escort ma pare senza tuffo nel lago gelido), mentre qui gli industriali si incazzano di brutto e continuano ad arrivare salme dall’Afghanistan. Tremonti e Zaia, pensando al dopo-Berlusconi, fanno demagogia sui bangsters (i banchieri criminali) e sul ritiro delle truppe per accaparrare consensi alla Lega. Si tratta di morti alpini, di stanza in Veneto ma tutti e quattro “terroni” di nascita! Del resto, la valutazione sull’impegno afghano è diventato un’estensione del contrasto politico interno al centro-destra. Basti vedere come in Tv, da Lucia Annunziata, si sono coalizzati il direttore del «Giornale», Sallusti, e La Russa nel minimizzare le riserve “umanitarie” leghiste e ad alzare il tiro contro Giuliano Ferrara, fautore dell’appeasement e insieme legato all’isolazionismo repubblicano anti-Obama. Solo Fassino, che non capisce nulla, si è schierato in sostanza con La Russa, senza rendersi conto di appoggiare il partito di fine legislatura...

Mentre il gioco politico si incarta e nuvoloni neri percorrono il cielo dell’economia, qualcosa accade nel paese reale, quello sopra cui finora sono passate le case monegasche, le società off shore di Santa Lucia e le preoccupazioni processuali del Premier. La resistenza delle fabbriche aggredite da Marchionne (ma anche dalla Marcegaglia), la protesta del mondo della scuola e della ricerca, l’intollerabilità conclamata della sempre più assimilabile condizione precaria e migrante confluiscono verso la data altamente politica del 16 ottobre, quando tutte questa istanze di rifiuto e cambiamento si addensano intorno al corteo indetto dalla Fiom. Data altamente politica perché mette in gioco anche il rapporto dell’ala sindacale più radicale e sensibile alla dimensione della precarietà con la Cgil e la maggioranza del Pd –la minoranza veltronian-fioroniana è addirittura schierata con la Cisl e propone (senza incontrare grosse obbiezioni) la patente a punti per i migranti. L’incontro fra le componenti del precariato (metalmeccanici e addetti ai cantieri vi stanno precipitando attraverso il fragile ammortizzatore della Cig) è un fatto epocale, l’unico che rimette in discussione il declino socio-culturale della scena italiana e i propositi di ristrutturazione che animano il progetto tecnico-centrista, la vera alternativa ai colpi di coda berlusconiani e al nuovo e più duro regime con cui i poteri forti, sollecitati da Usa ed Europa, vogliono far penitenza dopo il carnevale berlusconiano. Penitenza, beninteso, per chi non ha fatto festa.

Peraltro le avvisaglie di resistenza e al limite di disperazione si infittiscono e sparigliano le carte dei cambi di maggioranza e aggiustamenti d’equilibrio. Tremonti ha dichiarato che la disoccupazione non è un problema grave. La Gelmini si è detta fiduciosa che Scuola e Università capiranno i benefici delle riforme. Bonanni invoca 10-100-1000 Pomigliano. Casini, Fini, Bersani si rimboccano le maniche in nome della responsabilità nazionale. Veltroni e Paola Concia propongono di selezionare i migranti come si fa per il bestiame. Avanti così e se ne accorgeranno.

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