Il regime di destra in costruzione, l’assenza dell’opposizione e il ruolo dei comunisti e delle forze anticapitaliste. Editoriale
di Fosco Giannini*
In uno scenario in cui manca una reale opposizione alle forze reazionarie e neofasciste, in cui destra e “sinistra” hanno la stessa agenda politica imperialista, filoatlantista e neoliberista, i comunisti hanno il compito di costruire il nuovo protagonismo delle masse di sfruttati oggi senza voce e depredati della coscienza politica, restituendo loro la speranza in un futuro di liberazione.
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Il governo Meloni entra in carica il 22 ottobre 2022 (la marcia su Roma è dell’ottobre 1922, che assonanze!). Quali sono gli elementi essenziali che lo caratterizzano? Parliamo di elementi essenziali, non di quelli fenomenologici, di superficie, come le apparenti discrasie tra Meloni, Salvini, Tajani, ma di quelli che ne determinano la natura politica e ideologica di fondo, che ne evocano la strategia, anche quella indicibile.
Cerchiamo di portare alla luce queste “essenze” del governo Meloni e dell’alleanza di centrodestra, di cui le forze più importanti sono Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, attraverso i principali fatti concreti che si sono concatenati in questa prima fase governativa, i principali “grumi” politico-ideologici che sono apparsi, come pustole in via di crescita sul corpo ripugnante del centrodestra e capaci di svelare la natura strategica di questa alleanza di governo.
Innanzitutto, sul piano internazionale: come nella più tradizionale e spudorata esperienza fascista storica, anche Giorgia Meloni, trascinando dietro sé tutto il suo partito e tutta la sua coalizione, ha rapidamente abiurato a ogni vago e residuo sussulto “sovranista”, inchinandosi servilmente all’imperialismo USA e alla NATO, al grande capitale transnazionale europeo e all’UE, divenendo tra le più “intrepide” paladine di Zelensky e di Netanyahu, trasformandosi nell’angelo sterminatore sia del popolo ucraino (tragicamente spinto a combattere e morire per Washington e per la causa occidentale) che del popolo palestinese, recuperando in questo caso, Meloni e i suoi, lo spirito e la prassi nazifascista che sono loro consustanziali e che segnano oggi l’attuale governo israeliano. La lunga via alle armi all’Ucraina, da parte del governo Meloni, non ha solamente messo a fuoco lo spirito imperialista protofascista che segna di sé Fratelli d’Italia e la sua leder, ma ha anche ratificato nella prassi il legame tra questo stesso spirito imperialista e protofascista e le grandi industrie capitalistiche belliche italiane.
L’attrazione fatale dannunziana e mussoliniana verso le armi e il riarmo, che ribolle sottopelle nel fascismo imborghesito e persino, a parole smozzicate, “ripudiato” ma pur tuttavia incoercibile, dei militanti e dei dirigenti di FDL, è riapparso come un fiume in piena in un recente intervento di Meloni in Senato alla vigilia di un Consiglio europeo: “Il governo non ha alcuna intenzione di fare dietrofront sull’aumento delle spese militari. L’Italia rispetterà gli impegni presi con l’Alleanza Atlantica e aumenterà la spesa militare fino al 2% del PIL. Questo governo è abituato a difendere l’interesse nazionale: non abbiamo mai fatto mistero di voler aumentare gli stanziamenti in spese militari, come hanno fatto i governi precedenti, magari di soppiatto, senza metterci la faccia. Noi la faccia ce la mettiamo, convinti che rispettare gli impegni sia vitale per tutelare la credibilità e la sovranità nazionale”.
Di buono, in questa intemperata imperialista, vi è solo il richiamo, vero, alle stesse politiche imperialiste e belliche del centrosinistra.
Il recentissimo ritiro della firma, da parte del governo in carica, sull’Accordo sulla “Belt and road” sancito nel 2019 tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, è un altro, fondamentale, elemento politico e ideologico diretto a collocare permanentemente la nuova destra italiana nel campo filoimperialista, nel campo della subordinazione totale agli USA e alla NATO e sul terreno, particolarmente popolato, anche da alcuni che insistono proditoriamente a definirsi comunisti, dei falsi “sovranisti”. Falsi, poiché l’unico sovranismo che conosciamo e che può essere ritenuto tale è quello che s’abbina all’internazionalismo, in un “unicum” che espunge da sé il nazionalismo imperialista pregno dei disvalori della destra e che interpreta la Patria come difesa degli interessi del paese, del popolo e della “classe”, che non tresca con Steve Bannon, già stratega di Donald Trump, con Alemanno ed il generale Vannacci, ma si rifà ai valori socialisti e a “liberatori” come Hugo Chàvez.
È vero che dobbiamo stare particolarmente attenti a definire “fascista” ogni politica reazionaria, col rischio che se tutti sono fascisti nessuno lo è più, ma la politica sociale del governo Meloni sembra davvero rievocare quella dei fascismi post “avanguardisti”, quando, esaurita la carica sovversiva “antiborghese”, tutto tornava e torna nell’alveo del più classico e feroce iperliberismo al servizio del capitale e del profitto, da Mussolini a Pinochet.
L’attacco oggettivo (al di là dei regalini di regime, i “bonus” al proletariato e alla prole di mussoliniana memoria) ai salari e ai contratti di lavoro, il sotterramento del salario minimo, l’offensiva contro i pensionati (le simulazioni dello SPI-CGIL mettono in luce che nel prossimo biennio vi saranno 962 euro in meno per chi ha un trattamento pensionistico di 2.300 euro lordi. Quasi 4.900 euro in meno per chi giunge a 3.800 lordi), tutto ci parla di una particolare linea antioperaia e filopadronale condotta dal governo Meloni. Una politica antisalariale e antipensionistica alla quale si aggiunge una vera e propria guerra contro la scuola pubblica ed il Servizio Sanitario Nazionale. Così come, quando enfatizza il riarmo, il governo Meloni dichiara in verità la propria amicizia e consustanzialità con le industrie belliche private, anche nel caso dell’attacco alla sanità pubblica la destra dichiara la propria netta propensione verso la sanità privata, peraltro in grande, incontrollata, spudorata e drammatica espansione, in ogni regione e in ogni città, attraverso un processo quasi segreto, quasi “notturno” (da tempo messo in cantiere dal centrosinistra) di apertura di ambulatori, cliniche, ospedali che come funghi velenosi crescono a dismisura anticipando l’americanizzazione sanitaria privata totale quale colpo sanguinoso contro la classe operaia e l’intero mondo del lavoro, dei pensionati, dei disoccupati, degli emarginati e dei poveri cristi, vero e proprio e prossimo “lumpenproletariat” di massa che non sarà certo in grado di accendere un mutuo in banca per operarsi e curarsi.
La politica economica del governo Meloni è oggi particolarmente apprezzata dalle agenzie di rating. Che cosa sono? Poiché l’originalità è un mito della piccola borghesia e ciò che invece conta è la divulgazione delle idee, lasciamo dire ad Adriana Bernardeschi, direttrice di «Futura Società», da Ascanio Bernardeschi e Federico Giusti che cosa sono queste società. Dicono i tre autori (in un articolo dal titolo: Se le società di Rating benedicono il governo Meloni… La manovra di bilancio premiata perché ritarda l’età della pensione): “Le società di rating sono istituti incaricati dal grande capitale finanziario di valutare la capacità di rimborso e l’affidabilità di governi e imprese, l’efficacia insomma dei loro strumenti finanziari quali ad esempio obbligazioni o titoli azionari. Esse sono considerate impropriamente organismi super partes incaricati di valutazioni imparziali attraverso analisi finanziarie dettagliate e modelli statistici. In realtà esse operano in base ai concetti liberisti e, essendo le loro previsioni, nonostante gli errori di valutazione, prese a base dalla massa degli investitori, si verifica che tali sentenze si autorealizzano in virtù dell’emulazione che determinano. Lo fanno però per un po’, fino allo scoppio della bolla. È significativo, per esempio, che le imprese fallite od oggetto di salvataggio durante la crisi del 2007 avevano ricevuto tutte un attestato di stabilità. Inoltre, è da rilevare il conflitto di interesse di queste agenzie. Infatti, con i loro giudizi condizionano le quotazioni dei prodotti finanziari ma allo stesso tempo operano in borsa potendo così lucrare sulle quotazioni da loro stesse influenzate”.
Andiamoci piano col fascismo, certo, parlando del governo Meloni. Il punto è che il fascismo non ha una forma precisa con la quale sempre si ripresenta, ma essendo una sorta di Idra a nove teste, sempre muta la propria forma e la propria “voce”. Ma vi sono delle costanti con le quali ognuna delle nove teste dell’Idra nera può presentarsi: la subordinazione all’imperialismo, le politiche antioperaie, antisociali, antisindacali, le politiche repressive, la pulsione razzista, la corruzione economica e politica, l’attacco generale ai diritti, da quelli sociali a quelli civili, lo stravolgimento in senso autoritario e antidemocratico delle istituzioni democratico-borghesi, l’attacco alla Giustizia.
Delle politiche asservite all’imperialismo, da parte del governo Meloni, abbiamo già visto: dai “sì” totali agli USA e alla NATO, a Kiev e Tel Aviv, si è passati, attraverso la rottura dell’Accordo per la Nuova Via della Seta voluta esplicitamente da Biden, a collocare l’Italia nel fronte che combatte, anche con le armi in mano, per il pieno ritorno, ultrareazionario, al mondo unipolare. Il governo ha politiche totalmente subordinate al neoimperialismo in costruzione dell’Unione Europea, ma su queste politiche stiamo vedendo, da parte dei vari esponenti del governo, delle ridicole, se non fossero socialmente drammatiche, variazioni sul tema: alcuni ministri “meloniani” omaggiano i sultani di Bruxelles, altri avanzano critiche, forti come lo scartare di una caramella, per poi, in verità, arrendersi tutti ai denari che verranno da Bruxelles per il PNRR (una montagna di euro che andrà rimborsata con gli interessi e si abbatterà come una mannaia sulle prossime generazioni), avviando una discussione tanto mielata e ipocrita, quanto già genuflessa alle politiche di Bruxelles, sul MES (Meccanismo europeo di stabilità o fondo salva-Stati), cosicché ogni pregressa critica della destra a queste politiche economiche dell’UE diviene un belato accondiscendente e subordinato al Consiglio europeo e alla Banca Centrale Europea.
Delle politiche antioperaie e antisociali abbiamo già detto e tutto è sintetizzabile nel voto in parlamento col quale la destra ha cancellato violentemente il salario minimo, mettendosi plasticamente in ginocchio di fronte ai padroni. Il gravissimo attacco allo sciopero generale (sciopero generale, peraltro, mai proclamato dalla CGIL di Landini, contraddizione che ha regalato al governo l’arma della critica e la possibilità della negazione dello sciopero, che davvero era solo, per pavidità, intersettoriale e non generale) e allo sciopero tout-court condotto da Salvini a nome dell’intero governo, è davvero un segnale dal carattere fascista e filopadronale. Un Donald Sutherland-Attila, Salvini, che raccoglie in chiesa le offerte dei latifondisti. Un Salvini, peraltro, che proseguendo lo spirito e la prassi dei decreti anti-rave del novembre 2022 voluti direttamente da Meloni, prosegue – come uno dal quale si liberino come fossero flatulenze gli spiriti animali reazionari – con le sue dichiarazioni omofobe, razziste, naziste alla Goebbels, dirette alla castrazione chimica. Un’inclinazione parossistica alla repressione, all’ingiuria e alla violenta cancellazione di diritti sociali e civili, peraltro, che in Salvini si sposa perfettamente con un’insopprimibile vocazione oggettivamente mafiosa, che bene è rappresentata dal limoso e oscuro progetto di liberalizzazione totale della pratica imprenditoriale e della gestione della forza-lavoro nei cantieri edili. Per non parlare della mitologia salviniana, tutta improntata alla pratica fascista del ministero della Cultura Popolare (MinCulPop, e mai acronimo fu tanto evocativo della realtà, anche per il leader della Lega) in relazione alla costruzione del Ponte sullo Stretto.
Un Salvini che blatera in forma razzista perenne, con una Meloni più controllata ma che il razzismo cinico e anticostituzionale lo pratica. Che altro è, infatti, l’accordo – tanto irregolare e pirata da essere attenzionato persino dall’UE – con il governo dell’Albania per costruire in terra albanese dei lager per immigrati sbarcati in Italia? Un lager a Shengijn e uno più nell’entroterra, a Gjader. Una politica, quella di Meloni, che unisce due segmenti tipici dell’imperialismo: il colonialismo (verso l’Albania, pagata dal governo italiano per trasformarsi in una sorta di Tunisia balcanica) e il razzismo, nella sua doppia forma di persecuzione dell’umanità sofferente ed eversione anticostituzionale.
Come nelle esperienze iperliberiste e fasciste, non manca, nel governo Meloni, la pratica reiterata della corruzione di Stato. Ben 17, e non è certo ancora finita, sono stati sinora i condoni e le sanatorie fiscali approvate dal governo in soli 15 mesi, un numero di nefaste eccezioni alla regola democratica mai visto prima così alto. Un premio reiterato e reso “statale” e ufficiale ai furbi, ai corrotti, agli evasori e ai mafiosi. “Soggetti sociali” tradizionalmente contigui alle destre reazionarie.
La proposta del premierato avanzata in prima persona da Meloni (princeps in pectore) è tra i più formidabili tentativi eversivi della democrazia italiana e della Costituzione, un furto con scasso che sta passando tra la fondamentale e complice accidia e ignavia delle opposizioni.
Il 19 giugno del 1925, l’allora ministro della Giustizia Alfredo Rocco lanciò dal suo scranno parlamentare il famoso e inquietante monito: “La magistratura non deve fare politica, di nessun genere. Non vogliamo che faccia politica governativa o fascista, ma esigiamo fortemente che non faccia politica antigovernativa o antifascista”. Per il creatore del famigerato Codice Rocco, un leviatano fascista, la magistratura doveva essere “apolitica”. Un ordine, quello di Rocco, che in verità richiedeva una magistratura asservita al regime.
Mai come in questo governo Meloni è stato duro, costante, inquietante (quanto sconosciuto alle masse) l’attacco alla Giustizia e alla magistratura. L’antico attacco di Berlusconi si è ora drammatizzato e incupito. Il progetto di Giustizia che ha in serbo questa destra al potere potrebbe essere, di nuovo, raccontato e denunciato dal Manzoni dei Promessi Sposi: una concezione della Giustizia del ’600 italiano.
Ma vi è un “oltre”, in questa destra italiana, qualcosa che va al di là di ciò che appare.
In questa fase, ciò che appare, ciò che si vuol far apparire, da parte di tutto il circo di destra, è una sorta di “lotta intestina” all’interno della coalizione di governo. Salvini alza la voce contro l’UE e Tajani spegne i fuochi. Salvini critica aspramente, quanto fintamente, il MES e il governo recita la parte più “razionale”, quella che permette alla Meloni di ottenere la promozione e gli abbracci da parte di Ursula von der Leyen e di Roberta Metsola. Mentre Salvini, a partire dal suo Gruppo al parlamento europeo (Identità e Democrazia), cerca l’unità di tutte le destre europee, da quella italiana governativa alle destre più estreme e fasciste, per il prossimo Parlamento europeo – dal Rassemblement National di Marine le Pen al partito nazifascista tedesco AFD, passando per il Partito olandese per la Libertà (estrema destra) di Geert Wilders – Tajani gli dice “no” sommessamente per non farlo arrabbiare e Meloni scuote il capo sorridendo. O sogghignando.
Ma è teatro, è la fanfara di destra che si sta preparando alle elezioni europee dividendosi il lavoro: più voti moderati e “democristiani” a Meloni, più voti al cardinal Tajani e voti dal mondo più populista, plebeo, qualunquista e reazionario alla Lega. In un gioco di squadra dove ognuno recita la sua parte per poi sommare i consensi in una seconda, più vasta e robusta coalizione governativa liberista, reazionaria, eversiva (nei confronti della democrazia borghese e della Costituzione) e filoimperialista, una squadra all’interno della quale Meloni recita la parte della grande mediatrice e della grande statista, un ruolo centrale per unire il fronte politico reazionario nell’obiettivo che esso si trasformi in un vastissimo fronte sociale: una nuova adunata oceanica per il XXI secolo. Per un regime di destra in costruzione e di lunga durata.
Non sarà fascismo, questo del governo Meloni. Non lo è. Ma certamente è una delle nove teste dell’Idra reazionaria.
Come si comportano, di fronte a tutto ciò, le forze dell’opposizione?
Il Partito Democratico di Elly Schlein, conturbato dalle cento “superfici di contatto” con la destra di governo (stessa politica filoamericana, filo-NATO, filo-UE e filopadronale), sembra come paralizzato e in ricerca disperata di punti critici per motivare la propria “opposizione”, che tuttavia non può che limitarsi – dato che sui “massimi sistemi” forti sono le analogie con le destre – alla battaglia per alcuni diritti sociali e alcuni diritti civili, un “programma” davvero minimo minimo che non ha e non può avere lo spessore politico e ideale per una lotta per l’alternativa. Un “programma” votato alla sconfitta.
Il M5S, dopo i fasti degli inizi, non ha ancora trovato (e trovarlo oggettivamente non poteva e più non può, data la sua estrema friabilità ideologica e ideale) un proprio profilo che lo traghetti fuori dalla propria –mortale – incertezza politica e teorica. Il punto è che alla prova dei fatti, alla prova sia del governo che dell’opposizione, il M5S ha sempre tradito e spento le proprie, scarlatte, parole d’ordine contro la NATO, contro l’UE e contro il grande capitale italiano, riducendosi, nella prassi, alla condizione di un mediocre partito socialdemocratico mal vestito, avendo cioè coperto il proprio corpo, ormai imborghesito e ben collocato nel sistema, con gli stranianti panni “radical”. Una scatoletta di tonno, il M5S, aperta e svuotata dal potere politico ed economico vero e irridente.
E pensare che alcuni “comunisti”, o ex comunisti, fanno oggi del M5S il perno di una possibile alternativa anche se, più probabilmente, consapevoli o meno, fanno in verità del M5S il perno della loro resa, della loro triste ritirata, il perno di un “escamotage” per sopravvivere politicamente.
Sono, questi, gli stessi comunisti, o ex comunisti, che oggi si sono innamorati di Michele Santoro, che sembra così passare dal ruolo di conduttore televisivo a conduttore di anime comuniste morte. Ma chi può davvero pensare che il riscatto del movimento operaio e del popolo italiano possa passare per Michele Santoro? È più facile credere, è più verosimile pensare, che con Santoro parlamentare europeo qualcuno possa sperare in uno strapuntino istituzionale.
In questo contesto come si muovono i tre partiti comunisti italiani?
Innanzitutto, sono sempre accuratamente divisi, come se la divisione dei tre gruppi dirigenti (ormai davvero consunti, incapaci di dare indicazioni politiche e lontanissimi, anzi totalmente sconosciuti alla “classe” e al popolo) dovrebbe essere una condanna e una punizione da infliggere anche ai quadri dirigenti intermedi e ai militanti, che al contrario, ne siamo certi, vivrebbero con entusiasmo una linea generale di unità comunista, a partire dall’azione e dalla lotta congiunta.
Ciò che ancora sorprende è come mai i dirigenti intermedi e i militanti dei tre partiti comunisti, di fronte a tanta, ostinata ed esiziale politica antiunitaria dei loro gruppi dirigenti nazionali non insorgano, non depongano le segreterie nazionali prendendo la guida (per un progetto comunista unitario, di lotta e di radicamento sociale) delle loro organizzazioni.
Oggi, di fronte alla possibilità molto realistica della costruzione di un regime di destra di lunga durata e di fronte alla fatiscenza politica e strategica delle “opposizioni”, occorre che una reale opposizione di classe e di popolo (che non si nutra, lungo la via Santoro – “sinistrina” frou frou – qualche stanco ex comunista, dell’illusione della conquista di qualche parlamentare quale unica via da perseguire “per il cambiamento”), inizi a tentare ostinatamente la strada dell’apertura di un nuovo ciclo di lotte sociali e di classe quale unica possibilità per la ricostruzione – di lunga durata, certo – del cambiamento. Un percorso di lotta, difficile ma inevitabile e insostituibile, entro il quale i comunisti dovrebbero agire uniti e potrebbero in quella lotta risorgere, partecipando al cambiamento, essendone protagonisti, rilanciando così in Italia “l’opzione comunista”, il partito comunista. Che questo obiettivo sia difficile non può però spingere, come accade ai neo-“santoriani”, alla resa, all’abbandono della lotta di classe e alla lotta antimperialista su larga scala, all’abbandono della stessa, per noi strategica, questione comunista, ripiegando miseramente verso l’obiettivo, davvero misero, di qualche minima conquista parlamentare.
A noi non sembra, francamente, che quella dell’opzione Michele Santoro sia una scelta, da parte dei comunisti, dettata dalla possibilità di una “resistenza” di massa alla destra, una scelta alternativa alla fatiscenza del centrosinistra. Santoro ha le stesse caratteristiche di tutti gli “arcobalenisti” e di tutti gli improvvisati “outsider” italiani degli ultimi decenni, da Di Pietro a Ingroia, da Grillo a De Magistris: piccoli populisti con la data di scadenza addosso e privi di spessore politico e strategia, privi di concezione del mondo, coscienza di classe e progetto e prassi socialista conseguente. Se volete, cari compagni neo-“santoriani”, affidatevi pure e ancora ai nuovi guru e ai suonatori di tamburo per una stagione. Noi rimaniamo comunisti.
Il Movimento per la Rinascita Comunista, costituitosi lo scorso 11 novembre a Roma nella Sala “Intifada”, come frutto di una prima e già vasta pratica unitaria nazionale tra comunisti e comuniste, non crede in queste acrobazie da tavolino tipiche di una settimana enigmistica, ma crede nella lotta come forma creatrice del futuro, e questa lotta prova a portare avanti.