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Quattro Futuri

Una cosa di cui possiamo esser certi è che il capitalismo finirà

di Peter Frase

Il testo che segue, di Peter Frase, è la traduzione dell'articolo originale, scritto nel 2011 e pubblicato su Jacobin, che poi servirà per il libro del 2016, dello stesso autore, dal titolo "Quattro futuri: la vita dopo il capitalismo"

4futuri4Nel suo discorso, all'accampamento di Occupy Wall Street a Zuccotti Park, Slavoj Žižek si lamentava del fatto che «È facile immaginare la fine del mondo, ma non riusciamo ad immaginare la fine del capitalismo.» Si tratta della parafrasi di una commento fatto da Fredric Jameson alcuni anni fa, quando ancora l'egemonia del neoliberismo appariva essere assoluta. Eppure l'esistenza stessa di Occupy Wall Street suggerisce che ultimamente la fine del capitalismo è diventata un po' più facile da essere immaginata. Dapprima, quest'immaginazione aveva preso una forma piuttosto tetra e distopica: all'altezza della crisi finanziaria, con l'economia globale che sembra essere apparentemente arrivata al collasso, la fine del capitalismo sembrava che potesse essere l'inizio di un periodo di anarchia, di violenza e di miseria. E potrebbe esserlo ancora adesso, con l'Eurozona che vacilla al limite del collasso mentre scrivo. Ma più recentemente, la diffusione della protesta globale, da Cairo a Madrid a Madison a Wall Street, ha dato alla sinistra qualche ragione per aver qualche speranza in più in un futuro migliore dopo il capitalismo.

Una cosa di cui possiamo esser certi circa il capitalismo è che esso finirà. Forse non presto, ma probabilmente prima di troppo; prima l'umanità non era mai riuscita a forgiare un sistema sociale eterno, dopotutto, ed il capitalismo è in maniera particolare il capitalismo è un ordine sociale più precario ed esplosivo della maggior parte di quelli che lo hanno preceduto. La domanda, allora, è che cosa verrà dopo. Rosa Luxemburg, reagendo all'inizio della prima guerra mondiale, citava una frase di Engels: «La società borghese si trova ad un crocevia, o la transizione al socialismo o la regressione alla barbarie.» In questo spirito, propongo un esercizio mentale, un tentativo di dare un senso ai nostri possibili futuri. Questi sono alcuni dei socialismi ai quali possiamo arrivare se il successo arriderà ad una sinistra risorgente, e alcune delle barbarie cui potremmo essere consegnati se falliamo.

Molte delle letterature sulle economie post-capitaliste sono preoccupate circa il problema della gestione del lavoro in assenza di padroni capitalisti. Tuttavia, lascerò da parte quel problema, per poter meglio illuminare altri aspetti della questione. Ciò può essere fatto semplicemente estrapolando le tendenze del capitalismo verso una sempre maggiore automazione, che rende la produzione ancora più efficiente, mentre simultaneamente mette in discussione la capacità del sistema di creare nuovi posti di lavoro e ad accogliere pertanto la domanda per quello che viene prodotto. Questo tema è emerso nel tardo pensiero borghese: nel settembre del 2011, Farhad Manjoo della rivista "Slate" ha scritto una lunga serie sulla "Invasione dei Robot", e poco dopo due economisti del MIT hanno pubblicato "Rage against the Machine", un e-book in cui sostengono che l'automazione sta sorpassando rapidamente molte delle più grandi aree che fino a poco tempo fa servivano da motore per la creazione di nuovi posti di lavoro. Dalla piena automazione delle fabbriche di automobili ai computer che possono diagnosticare le condizioni mediche, la robotizzazione sta superando non solo la produzione manifatturiera, ma anche gran parte del settore dei servizi.

Spinta alla sua logica estrema, questa dinamica ci porta al punto in cui l'economia non ha più bisogno assolutamente di lavoro umano. Questo non porta automaticamente alla fine del lavoro o del lavoro salariato, com'è stato falsamente predetto più volte in risposta ai nuovi sviluppi tecnologici. Ma significa che le società umane affronteranno sempre più la possibilità di liberare le persone dal lavoro involontario. Se cogliamo tale opportunità, e come lo facciamo, dipenderà dai due fattori principali, uno materiale ed uno sociale. La prima attiene alla scarsità delle risorse: la capacità di trovare fonti economiche di energia a basso costo, per estrarre o riciclare materie prime, e dipendere in generale dalla capacità del pianeta a provvedere ad un alto standard di vita per tutti. Una società che ha sia la tecnologia che sostituisce il lavoro, sia che ha abbondanti risorse, può superare la scarsità in una maniera decisiva che una società che possiede solo il primo dei due elementi non può fare. La seconda questione è politica: che tipo di società sarà? Una società in cui tutte le persone vengono trattate come esseri liberi ed uguali, con uguali diritti a condividere la ricchezza della società? O un ordine gerarchico in cui un'élite domina e controlla le masse ed il loro accesso alle risorse sociali?

Ci sono perciò quattro logiche combinazioni delle due coppie di opposti, abbondanza di risorse contro scarsità ed egualitarismo contro gerarchia.

Per mettere le cose in termini che siano in qualche modo volgarmente marxiste, la prima asse fornisce la base economica del futuro post-capitalista, mentre la seconda attiene alla sovrastruttura socio-politica. I  due futuri possibili sono i socialismi (dei quali solo uno chiamerò con questo nome) mentre gli altri due hanno sapori contrastanti di barbarie.

 

Egalitarismo e Abbondanza: Comunismo

Nel terzo volume del Capitale c'è un famoso passaggio, in cui Marx distingue fra "regno della necessità" e "regno della libertà". Nel regno della necessità, dobbiamo «lottare con la natura per soddisfare i [nostri] bisogni, per difendere e riprodurre la vita», per mezzo del lavoro fisico attraverso la produzione. Questo regno della necessità, dice Marx, esiste «in tutte le formazioni sociali e sotto tutti i possibili modi di produzione», presumibilmente compreso il socialismo. Allora, ciò che distingue il socialismo è che la produzione viene pianificata razionalmente ed è organizzata democraticamente, anziché funzionare secondo i capricci del capitalista o del mercato. Per Marx, però, questo livello di società non era il vero obiettivo della rivoluzione, ma solamente una pre-condizione di «quello sviluppo dell'energia umana che è un fine in sé, il vero regno della libertà, che, tuttavia, può sbocciare solo avendo alla sua base questo regno della necessità.»

Altrove, Marx suggerisce che un giorno saremo in grado di liberarci del tutto dal regno della necessità. Nella "Critica del Programma di Gotha", immagina che: «In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto di lavoro intellettuale e corporale; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo generale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze sociali scorrono in tutta la loro pienezza, - solo allora l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: - Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!»

Spesso i critici di Marx hanno rivolto questo passaggio contro di lui, interpretandolo con un'improbabile utopia senza speranza. Quale società possibile potrebbe essere così produttiva da far sì che gli esseri umani verrebbero del tutto liberati dal dover svolgere un qualche tipo di lavoro da fare controvoglia? Finora la promessa di un'automazione diffusa è che essa potrebbe decretare proprio una tale liberazione, o quanto meno avvicinarsi ad essa - cioè, se troviamo un modo per affrontare la necessità di generare energia e garantire risorse. Ma i recenti sviluppi tecnologici hanno avuto luogo non solo per quel che riguarda la produzione di beni, ma anche nel generare l'energia di cui c'è bisogno per far funzionare le fabbriche automatiche e le stampanti 3D del futuro. Perciò è possibile un futuro di post-scarsità che combini la tecnologia di risparmio del lavoro con un'alternativa all'attuale regime energetico, che in ultima analisi è limitato sia dalla scarsità fisica che dalla distruttività ecologica dei combustibili fossili. Questo è ben lungi dall'essere garantito, ma ci sono indicatori promettenti. Il costo per la produzione e l'installazione di pannelli solari, ad esempio, nell'ultimo decennio è sceso in maniera significativa; a questi ritmi, nel 2020 saranno più economici delle attuali fonti di corrente elettrica. Se l'energia a basso costo e l'automazione vengono combinati con i metodi per fabbricare in maniera efficiente o per riciclare materie prime, allora ci siamo veramente lasciati alle spalle "l'economia" in quanto meccanismo sociale per gestire la scarsità. Cosa c'è all'orizzonte?

Non è che tutto il lavoro cesserà, nel senso che ce ne staremo tutti seduti a far niente e a poltrire. Perché, come afferma Marx, «il lavoro è diventato non solo uno strumento per vivere ma un'esigenza fondamentale della vita». Qualsiasi attività e progetto si intraprenda, vi partecipiamo in quanto li abbiamo trovati intrinsecamente soddisfacenti, non in quanto avevamo bisogno di un salario o perché eravamo in debito di ore mensili con la cooperativa. Questo è plausibile, se consideriamo il grado secondo il quale le decisioni sul lavoro sono guidate da considerazioni non materiali, fra coloro che sono abbastanza privilegiati da averne la possibilità: milioni di persone scelgono di frequentare scuole, o scelgono di diventare assistenti sociali, o avviare piccole aziende biologiche, anche quando avrebbero aperte carriere molto più redditizie.

La scomparsa del lavoro salariato può sembrare oggi un sogno lontano. Ma c'era una volta un tempo - prima che il movimento operaio si ritraesse dalla richiesta di avere meno ore lavorative, e prima della stagnazione e dell'inversione del trend verso la riduzione della settimana lavorativa - in cui le persone erano effettivamente preoccupate circa cosa avrebbero fatto dopo che sarebbero state liberate dal lavoro. In un saggio sulle "Possibilità economiche per i nostri nipoti", John Maynard Keynes aveva predetto che entro poche generazioni, «l'uomo si sarebbe trovato di fronte il suo reale, permanente problema - su come usare la sua libertà dalle preoccupazioni economiche, come impiegare il tempo libero che la scienza e l’interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza.» E in una discussione del 1956, pubblicata recentemente, Max Horkheimer osserva casualmente rivolto a Theodor Adorno che «oggiorno abbiamo abbastanza per via delle forze produttive; è ovvio che potremmo rifornire di beni tutto il mondo e potremmo quindi tentare di abolire il lavoro come necessità per gli esseri umani.»

E Keynes e Adorno vivevano in un mondo in cui l'industria sembrava fosse possibile solamente su larga scala, sia nelle fabbriche che nelle imprese statali; quella forma di industria implicava gerarchia a prescindere dalla formazione sociale. Ma i recenti progressi tecnologici suggeriscono la possibilità di tornare ad una struttura meno centralizzata, senza dover abbassare drasticamente gli standard materiali di vita: il diffondersi delle stampanti 3D e dei "laboratori di fabbricazione" su piccola scala rende sempre più possibile ridurre quanto meno la scala di una certa produzione senza sacrificare completamente la produttività. Quindi, nella misura in è ancora richiesto un qualche lavoro umano nella produzione, nel nostro futuro comunista immaginato, potrebbe assumere la forma di piccoli collettivi, piuttosto che quella di imprese capitalistiche o statali.

Ma superare economicamente il lavoro salariato significa anche superarlo socialmente, e questo comporta dei profondi cambiamenti nelle nostre priorità e nel nostro stile di vita. Se vogliamo immaginare un mondo dove il lavoro non sia più una necessità, è più proficuo attingere alla narrativa letteraria piuttosto che alla teoria. Infatti, molte persone hanno già familiarità con l'utopia di un comunismo post-scarsità, dal momento che è stato rappresentato in una delle opere più famose della cultura popolare: Star Trek. L'economia e la società di quella serie tv si basava su due elementi tecnici fondamentali. Uno era quello della tecnologia del "replicatore", il quale è in grado di materializzare nell'aria un oggetto solo per mezzo della pressione di un pulsante. L'altro elemento viene descritto in maniera confusa come una sorgente di energia gratuita (o quasi gratuita), la quale fa funzionare i replicatori, così come ogni altra cosa nella serie tv.

La qualità comunista dell'universo Star Trek viene spesso oscurato dal momento che il film e la serie tv sono incentrate sulla gerarchia militare della Flotta Stellare, la quale esplora la galassia ed entra in conflitto con razze aliene. Ma anche questo appare essere in larga misura una gerarchia volontariamente scelta, che attrae coloro i quale cercano una vita di avventure e di esplorazione; nella misura in cui intravvediamo scorci di vita civile, ci appaiono per lo più non affetti dalla gerarchia o dalla costrizione. E nella misura in cui la serie tv si allontana dall'utopia comunista, lo fa perché gli autori introducono la minaccia esterna di razze aliene ostili o la scarsità di risorse al fine di produrre sufficiente tensione drammatica.

Ad ogni modo, non è necessario evocare navi spaziali ed alieni per immaginare i problemi di un futuro comunista. Il romanzo di Cory Doctorow, "Down and Out in the Magic Kingdom", immagina un mondo post-scarsità che viene situato in una riconoscibile estrapolazione degli attuali Stati Uniti. Proprio come in Star Trek, in questo mondo la scarsità materiale è stata superata. Ma Doctorow si rende conto che all'interno della società umana, alcuni beni immateriali saranno sempre intrinsecamente scarse: reputazione, rispetto, stima fra uguali. Quindi il libro gira intorno ai tentativi da parte di vari caratteri di accumulare "whuffie" (che sono una sorta di "punti virtuali", un indicatore che rappresenta la "buona volontà" che hai accumulato dagli altri). A loro volta, i Whuffie vengono usati per determinare che abbia autorità rispetto a qualsiasi impresa collettiva - tipo, come avviene nel romanzo, far funzionare Disneyland.

Il valore del libro di Doctorow, a differenza di Star Trek, consiste nel trattare un mondo post-scarsità come un mondo in cui ci sono le sue gerarchie e conflitti, piuttosto che un mondo in cui tutti vivono in perfetta armonia e la politica non c'è più. La reputazione, come il capitale, può essere accumulata in maniera ineguale ed auto-perpetuante, dal momento che quelli che sono già popolari  acquisiscono l'abilità a fare cose che fanno loro ottenere maggior attenzione e li rendono più popolari. Tali dinamiche sono facilmente osservabili oggi, dal momento che blog ed altri social media producono dei misuratori che sono in grado di determinare ci ottiene attenzione e chi no, in un modo che non è del tutto in funzione di chi abbia soldi da spendere. Organizzare la società in base a chi ha più "mi piace" su Facebook ha alcuni inconvenienti, a dir poco, anche quando li è stato rimosso il suo rivestimento capitalista.

Ma se non è una visione di una società perfetta, questa versione di comunismo è quanto meno un mondo nel quale il conflitto non è più basato sull'opposizione fra lavoratori salariati e capitalisti, o su una lotta per le scarse risorse. È un mondo in cui in definitiva non tutto proviene dal denaro. Una società comunista avrebbe certamente delle gerarchie di status - come in tutte le società umane, e come avviene nel capitalismo. Ma nel capitalismo, tutte le gerarchie di status tendono ad essere allineate, sebbene imperfettamente, con uno status gerarchico principale: quello dell'accumulazione del capitale e del denaro. L'ideale per una società post-scarsità è che i vari generi di stima e di rispetto siano indipendenti, cosicché la stima in cui uno è tenuto, ad esempio, in quanto musicista è indipendente dal rispetto che uno ottiene in quanto attivista politico, e non si può fare uso di un tipo di status al fine di acquistarne un altro tipo. Allora, in certo senso, si tratta di un nome errato per riferirsi a questa come ad una configurazione "egualitaria", dal momento che non è un mondo di non-gerarchie, ma un mondo di molte gerarchie, nessuna delle quali è superiore a tutte le altre.

 

Gerarchia e Abbondanza: Rentismo [*]

Data la premessa tecnica della completa automazione e dell'energia gratuita, l'utopia Star Trek del puro comunismo diventa una possibilità, ma difficilmente come inevitabile. L'élite borghese di oggigiorno non gode meramente dell'accesso privilegiato agli scarsi beni materiali, dopo tutto; gode anche di un elevato status e di potere sociale sulle masse lavoratrici che non viene scontato come fonte di motivazione capitalista. Dopo tutto, nessuno oggi spende un miliardo di dollari per sé stesso, eppure ci sono gestori di fondi speculativi che lo fanno in un solo anno e poi tornano a farlo. Per tali persone, il denaro è una fonte di potere sugli altri, un indicatore di status, e un modo per mantenere il punteggio in graduatoria - non poi così diverso dai Whuffie di Doctorow, tranne per il fatto che questa è una forma di status che si basa sulla privazione materiale degli altri. È pertanto prevedibile che anche se il lavoro dovesse diventare superfluo per la produzione, le classi dominanti cercherebbero di preservare un sistema che si basa sul denaro, sul profitto e sul potere di classe

In un'economia post-scarsità, la forma embrionale del potere di classe la si può trovare nel nostro sistema del diritto di proprietà intellettuale. Mentre i difensori contemporanei della proprietà intellettuale amano parlare di essa come se fosse abbastanza analoga agli altri tipi di proprietà, essa in realtà si basa su un principio completamente differente. Come osservano gli economisti  Michele Boldrin e David K. Levine, il diritto di proprietà intellettuale va oltre la concezione tradizionale della proprietà. Tali diritti non assicurano meramente «il tuo diritto a controllare la tua copia della tua idea», nel modo in cui proteggono il mio diritto a controllare le mie scarpe o la mia casa. Piuttosto, danno ai titolari la capacità di dire agli altri come devono usare le copie di un'idea che essi "posseggono". Come dicono Boldrin e Levin. «Questo non è un diritto ordinariamente o automaticamente garantito ai possessori degli altri tipi di proprietà. Se produco una tazza di caffè, io ho il diritto di scegliere di venderla o di non venderla a te, oppure di usarla per bere. Ma il mio diritto di proprietà non è automaticamente il diritto sia di venderti la tazza di caffè sia dirti come devi berla.»

Il cambiamento della forma di proprietà, da reale ad intellettuale, catalizza la trasformazione della società in qualcosa che non è riconoscibile come capitalismo, ma è nondimeno altrettanto ineguale. Il capitalismo, alla sua radice, non è definito dalla presenza di capitalisti, bensì dall'esistenza del capitale, che a sua volta è inseparabile dal processo di produzione di merci per mezzo del lavoro salariato, M - C - M'. Quando il lavoro salariato scompare, la classe dirigente può continuare ad accumulare denaro solo se conserva la capacità di appropriarsi di un flusso di rendite [rents], le quali derivano dal loro controllo della proprietà intellettuale. In questo modo emerge una società rentista, piuttosto che una società capitalista.

Supponiamo, ad esempio, che tutta la produzione avvenga per mezzo del replicatore di Star Trek. Per poter fare soldi attraverso la vendita di oggetti replicati, dev'essere in qualche modo impedito alle persone di fabbricare gratis quello che vogliono, ed è questa la funzione della proprietà intellettuale. Un replicatore viene reso disponibile solo da parte di una compagnia che ti dà in licenza il diritto di usarne uno, dal momento che chiunque cerchi di darti un replicatore, o tu provi a farne uno con il tuo replicatore, lo farà in violazione dei termini della sua licenza. Inoltre, ogni volta che tu crei qualcosa con il replicatore, devi pagare una tassa a chi possiede i diritti su quella particolare cosa. In questo mondo, se il capitano di Star Trek, Jean-Luc Picard, volesse replicare il suo amato "“tè, Earl Grey, ben caldo" dovrebbe pagare la compagnia che ha registrato il copyright per il tè Earl Grey caldo.

Questo risolve, almeno in superficie, il problema di come fare a mantenere un impresa per il profitto. Chiunque cerchi di provvedere ai propri bisogni per mezzo del proprio replicatore senza dover pagare il cartello del copyright diventerebbe un fuorilegge, come avviene per gli odierni condivisori di file online. Malgrado la sua assurdità, questa disposizione troverebbe difensori fra alcuni dei critici contemporanei della cultura di condivisione su Internet; ad esempio, "You are not a gadget" di Jaron Lanier richiede esplicitamente che venga imposta la "scarsità artificiale" al contenuto digitale, in modo di ripristinarne il valore. Le conseguenze di un simile argomento sono già evidenti per quel che riguarda il settore discografico e le cause legali nei confronti di chi scarica gli mp3, e la continua intensificazione della sorveglianza statale sotto il pretesto della lotta alla pirateria. L'estensione di questo regime alla micro-fabbricazione di oggetti fisici renderà soltanto il problema peggiore. Ancora una volta, la fantascienza è illuminante, in questo caso per quel che riguarda l'opera di Charles Stross. Il suo romanzo "Accelerando" ci mostra un futuro in cui coloro che infrangono il copyright vengono perseguiti da killer professionali, mentre "Arresto di Sistema" ci mostra nei vicoli furtivi "fabbricanti" che fanno girare le loro stampanti 3d sempre un passo davanti alla legge.

Ma un'economia basata sulla scarsità artificiale non è soltanto irrazionale, è anche qualcosa di disfunzionale. Se tutti sono costantemente costretti a pagare soldi per le licenze, allora hanno bisogno in qualche modo di guadagnare soldi, e questo genera un nuovo problema. Il problema fondamentale del rentismo è il problema della domanda effettiva: vale a dire, come far sì che la gente sia in grado di guadagnare abbastanza soldi per poter pagare quelle licenze da cui dipende il profitto privato. Certo, questo non è poi così tanto diverso dal problema che ha dovuto affrontare il capitalismo industriale, ma diventa più grave nella misura in cui il lavoro umano viene sempre più estromesso dal sistema, e gli esseri umani diventano superflui come elementi della produzione, anche se rimangono necessari come consumatori. Quale tipo di posti di lavoro esisteranno in quest'economia?

Ci sarà ancora bisogno di alcune persone per sognare nuove cose che devono essere replicate, e così rimarrà un posto per una piccola "classe creativa" di designer ed artisti. E mentre le loro creazioni si accumulano, il numero di cose che possono essere replicate ben presto supererà largamente il tempo ed il denaro necessari per poterne fruire. La più grande minaccia per i profitti di ogni data compagnia non sarà il costo del lavoro o delle materie prime - entrambi minimali oppure inesistenti - quanto piuttosto la prospettiva che le licenze che posseggono perderanno in popolarità rispetto a quelle della concorrenza. Perciò, marketing e pubblicità continueranno ad impiegare numeri significativi. Accanto ai venditori ci sarà anche un esercito di avvocati, dal momento che le odierne controversie in materia di brevetti e violazione di copyright gonfiano fino ad inglobare ogni aspetto dell'attività economica. Ed alla fine, come avviene in ogni società gerarchica, deve esistere un apparato repressivo per poter impedire ai poveri e a quelli che non hanno potere di riprendersi dai ricchi e dai potenti una parte di ciò di cui sono stati defraudati. Imporre in maniera draconiana la legge sulla proprietà intellettuale richiederà grandi battaglioni di quelli che Samuel Bowles e Arjun Jayadev chiamano "lavoro di guardia": «Gli sforzi di controllori, guardie, e personale militare... rivolti non alla produzione, ma al rafforzamento delle richieste derivanti dallo scambio e dal perseguimento penale o alla prevenzione dei trasferimenti unilaterali dei diritti di proprietà.»

Tuttavia, mantenere la piena occupazione in un'economia rentista sarà una battaglia costante. È improbabile che le quattro aree appena descritte possano sostituire completamente tutti i posti di lavoro perduti in seguito all'automazione. Inoltre, questi posti di lavoro sono essi stessi soggetti alle innovazioni risparmia-lavoro. Il marketing può essere svolto per mezzo del "data mining" (estrazione dei dati) e degli algoritmi; gran parte delle attività legali di routine possono essere sostituite dal software; il lavoro di guardia può essere svolto dai droni di sorveglianza piuttosto che dalla polizia umana. Anche alcuni dei lavori legati all'invenzione del prodotto, potrebbero essere assegnati ai computer che posseggono una qualche rudimentale creativa intelligenza artificiale.

E se l'automazione fallisce, l'élite rentista può colonizzare il nostro tempo libero in maniera da estrarne lavoro gratuito. Facebook si affida già ai suoi utenti per creare contenuti in maniera gratuita, e la recente mania per la "gamification" suggerisce che le corporazioni sono molto interessate a trovare modi per trasformare il lavoro dei propri dipendenti in attività che le persone troveranno piacevoli, e che quindi svolgeranno gratuitamente durante il loro tempo libero. L'informatico Luis von Ahn, ad esempio, si è specializzato nello sviluppare "giochi con uno scopo", applicazioni che si presentano agli utenti finali con divertenti passatempi, mentre allo stesso tempo svolgono utili compiti computazionali. Uno dei giochi di Ahn chiede agli utenti di identificare degli oggetti nelle foto, e i dati vengono riportati poi in un database che viene usato per cercare immagini. Questa linea di ricerca evoca il mondo del romanzo di Orson Scott Card, "Il mondo di Ender", dove i bambini combattono a distanza una guerra interstellare per mezzo di qualcosa che loro credono sia un videogioco.

Tutto questo significa che la società del rentismo potrebbe probabilmente essere soggetta ad una tendenza persistente verso la sotto-occupazione, che la classe dirigente dovrebbe trovare un modo di contrastare per poter tenere insieme il sistema. Questo comporta realizzare la visione della società post-industriale che aveva avuto l'ultimo André Gorz: «la distribuzione dei mezzi di pagamento deve corrispondere al volume della ricchezza socialmente prodotta e non al volume del lavoro svolto.» Ciò potrebbe comportare la tassazione dei profitti delle imprese redditizie e la redistribuzione del denaro ai consumatori - possibilmente sotto forma di un reddito garantito senza alcun requisito, e possibilmente in cambio dello svolgimento di qualche tipo di lavoro senza senso, solo per mantenere occupate le persone. Ma anche se la redistribuzione è desiderabile dal punto di vista della classe nel suo complesso, emerge un problema di azione collettiva; ogni società individuale o persona ricca sarà tentata di ottenere un pagamento dagli altri, e tuttavia resisterà agli sforzi per mettere in atto una tassa redistributiva. Il governo potrebbe anche stampare semplicemente soldi da dare alla classe operaia, ma l'inflazione che ne risulterebbe sarebbe solo una forna indiretta di redistribuzione e anche qui ci sarebbe resistenza. Infine, c'è la possibilità di finanziare il consumo per mezzo dell'indebitamento dei consumatori - ma i lettori dell'inizio del ventunesimo secolo presumibilmente non hanno bisogno di ricordare i limiti inerenti a tale soluzione.

Considerati tutti questi problemi, ci si potrebbe chiedere perché mai la classe dei rentier si dovrebbe preoccupare di trarre profitto dalle persone, dal momento che potrebbero semplicemente replicare comunque qualsiasi cosa vogliono. Cosa impedisce alla società semplicemente di dissolversi, dalla precedente sezione, nello scenario comunista? Potrebbe darsi il caso che nessuno abbia abbastanza licenze per soddisfare tutte le sue esigenze, cosicché ciascuno avrebbe bisogno di entrate per poter pagare i propri costi di licenza. Si potrebbe possedere il replicatore con il modello per poter creare le mele, ma essere in grado di fare solo mele non basta per poter sopravvivere. In questa versione, la classe dei rentier sono solo coloro che posseggono abbastanza licenze da poter coprire tutte le loro spese per le licenze.

O forse, come osservato in precedenza, la classe dirigente difenderebbe la propria posizione privilegiata per garantire il potere a quelli che si trovano al vertice della società divisa in classi. Questo suggerisce un'altra soluzione al problema della sottoccupazione del rentismo: assumere persone per svolgere servizi personali potrebbe diventare un segnalatore di status, anche se l'automazione lo rende inutile. L'ascesa, annunciata in pompa magna, dell'economia dei servizi evolverebbe in una versione futuristica dell'Inghilterra del XIX secolo o di una parte dell'India attuale, dove le élite possono permettersi di assumere una gran numero di servitori.

Ma questa società può continuare ad esistere solo fino a quando la maggior parte delle persone accettano la leggittimità della loro gerarchia governativa. Forse il potere dell'ideologia può essere abbastanza forte da indurre le persone ad accettare lo stato di cose qui descritto. O forse le persone comincerebbero a chiedersi perché l'abbondanza di conoscenza e di cultura è stata limitata per mezzo di leggi restrittive, quando, per usare uno slogan popolare recente, "un altro mondo è possibile" oltre il regime della scarsità artificiale.

[*: N.d.T:  Il rentismo non si fonda sulla proprietà dei beni, ma sul loro usufrutto, dietro il pagamento di una licenza o abbonamento: esattamente il modo in cui attualmente “consumiamo” la maggior parte dei prodotti digitali. In un modello del genere il lavoro rimane necessario per il singolo individuo, che deve guadagnare per pagare le licenze d’uso, ma inutile sul piano della produzione di beni e servizi (infinitamente replicabili a costo zero), provocando una continua crescita del tasso di disoccupazione.]

 

Egalitarismo e scarsità: Socialismo

Abbiamo visto che la combinazione di produzione automatica e di generose risorse ci dà o la pura utopia del comunismo o l'assurda distopia del rentismo; ma cosa accade se l'energia e le risorse rimangono scarse? In questo caso, arriviamo in un mondo caratterizzato contemporaneamente sia dall'abbondanza che dalla scarsità, in cui la liberazione della produzione avviene a lato di una pianificazione intensificata e accanto ad una gestione dei suggerimenti a tale produzione. Il bisogno di controllare il lavoro è scomparso anche qui, ma la necessità di gestire la scarsità permane.

La scarsità nei suggerimenti fisici alla produzione dev'essere intesa come qualcosa che comprende molto più che merci particolari come il petrolio o il minerale di ferro - gli effetti maligni del capitalismo sull'ambiente minacciano di danneggiare in maniera permanente il clima e l'ecosistema da cui dipende gran parte della nostra attuale economia. Il cambiamento climatico ha già cominciato a mandare all'aria il sistema alimentare mondiale, e le generazioni future guarderanno alla varietà di prodotti alimentari oggi disponibili come ad un'insostenibile età dell'oro. (Precedenti generazioni di scrittori di fantascienza hanno immaginato talora che un giorno avremmo potuto scegliere di consumare tutto il nostro nutrimento sotto forma di pillole insapori; oggi potremmo doverlo fare nuovamente, per necessità.) E secondo le proiezioni più severe, molte aree oggi densamente popolate potrebbero diventare inabitabili, imponendo forti costi di ricollocazione ai nostri discendenti.

Il nostro terzo futuro, quindi, è un futuro in cui nessuno ha bisogno di lavorare, eppure le persone non sono libere di consumare quanto vorrebbero. Si richiede un qualche tipo di governo, e come possibilità è escluso il puro comunismo; quel che invece otteniamo è una versione di socialismo, ed una qualche forma di pianificazione economica. Contrariamente a quanto è avvenuto con la pianificazione del XX secolo, tuttavia, la pianificazione vincolata alle risorse è preoccupata prevalentemente di gestire il consumo, piuttosto che la produzione. Vale a dire, abbiamo ancora il replicatore; ma l'affare è quello che riguarda la gestione degli input che lo alimentano, il replicatore.

Tutto questo potrebbe sembrare non proprio promettente. Il consumo, dopo tutto, è stata proprio l'area in cui la pianificazione stile soviet è risultata essere la più carente. Una società che può affrontare una guerra contro i nazisti, ma che si trova poi soggetta ad avere una scarsità senza fine e le code per il pane, difficilmente riesce ad essere un modello di ispirazione. Ma la vera lezione che ci viene dall'Unione Sovietica e dai suoi imitatori è che il tempo della pianificazione non era ancora arrivato - e quando stava cominciando ad arrivare, la sclerosi burocratica e le carenze politiche del sistema comunista si sono rivelate incapaci di farsene carico. Negli anni Cinquanta e Sessanta, gli economisti sovietici avevano tentato eroicamente di ricostruire la loro economia in una forma più funzionale - in questo sforzo, una delle figure principali era il premio Nobel Leonid Kantorovich, la cui storia ci è stata raccontata in forma romanzesca nel recente libro di Francis Spufford, "Red Plenty". Lo sforzo non si è arenato perché la pianificazione era impossibile in linea di principio, ma perché era tecnicamente e politicamente impossibile nell'USSR di quel tempo. Tecnicamente, perché non era ancora disponibile un sufficiente potere di calcolo da parte dei computer, e politicamente in quanto l'élite burocratica sovietica non voleva separarsi dal potere e dai privilegi che le venivano garantiti sotto l'attuale sistema.

Ma gli sforzi di Kantorovich, e quelli dei teorici contemporanei della pianificazione come Paul Cockshott e Allin Cottrell, suggeriscono che una qualche forma efficiente e democratica di pianificazione sia possibile. E diverrà necessaria in un mondo di scarse risorse: mentre la produzione capitalista privata ha avuto molto successo nell'incentivare l'innovazione tecnologica che fa risparmiare lavoro, si è dimostrata terribile per quanto attiene alla conservazione dell'ambiente o il razionare le scarse risorse. Anche in un mondo capitalista post-lavoro, é necessario un qualche tipo di coordinazione che assicuri che gli individui non minaccino il pianeta in un modo che è, globalmente, insostenibile. Come ha detto Michael Löwy , quello di cui c'è bisogno è una qualche sorta di "pianificazione democratica globale" che si radichi nel dibattito democratico e pluralista, anziché essere dominata dai burocrati.

Ad ogni modo, dovrebbe essere fatta una distinzione fra pianificazione democratica ed un'economia completamente non di mercato. Un'economia socialista potrebbe impiegare una pianificazione razionale mentre ancora rappresenta uno scambio di mercato di qualche genere, insieme a denaro e prezzi. Questa, infatti, era una delle intuizioni di Kantorovich; anziché sbarazzarsi dei cartellini con sopra il prezzo, voleva rendere i prezzi con un meccanismo che trasformasse gli obiettivi della produzione pianificata in realtà economiche. Gli attuali tentativi di mettere un prezzo alle emissioni di carbonio per mezzo di schemi di controllo delle emissioni puntano in questa direzione: mentre usano il mercato come meccanismo di coordinazione, sono anche una forma di pianificazione, dal momento che la chiave è decidere, fuori dal mercato, a quale livello l'emissione di carbonio è accettabile. Quest'approccio potrebbe sembrare piuttosto differente da quello odierno, si generalizzato e implementato senza relazione alla proprietà capitalista e alle disuguaglianze di ricchezza.

Supponiamo che tutti ricevano un salario, non come un ritorno al lavoro ma in quanto diritto umano. Il salario potrebbe non comprare i prodotti del lavoro altrui, ma piuttosto sarebbe il diritto ad usare una certa quantità di energia e di risorse, come se si usassero i replicatori. I mercati si potrebbero sviluppare nella misura in cui le persone scelgono di scambiare un tipo di permesso di consumo con un altro tipo, ma questo sarebbe ciò che il sociologo Erik Olin Wright chiama "capitalismo fra adulti consenzienti", anziché partecipazione involontaria al lavoro salariato motivato dalla minaccia della fame.

Data la necessità di determinare e stabilire livelli di consumo - e quindi fissare i prezzi - lo Stato non può estinguersi, come avviene nello scenario comunista. E dove c'è scarsità, ci sarà sicuramente conflitto politico, anche se non si tratta più di conflitto di classe. Conflitti fra località, fra generazioni, fra quelli che sono più preoccupati per la salute a lungo termine dell'ambiente e quelli che preferiscono un maggior consumo materiale nel breve periodo - nessuno di questi conflitti sarà semplice da risolvere. Ma almeno saremo arrivati dall'altra parte del capitalismo e lo avremo fatto in quanto società democratica, e più o meno in maniera unita.

 

Gerarchia e Scarsità: Sterminismo [*]

Ma se non arriviamo come uguali, e i limiti ambientali continuano a premere contro di noi, arriviamo al quarto e più inquietante dei nostri possibili futuri. In un certo senso, rassomiglia al comunismo con cui abbiamo cominciato - ma è un comunismo per pochi.

Una verità paradossale che riguarda l'élite globale che abbiamo imparato a chiamare "uno per cento" è che, mentre essi vengono definiti a partire dal loro controllo di un'enorme quota della ricchezza monetaria mondiale, sono allo stesso tempo quel frammento di umanità le cui vite quotidiane sono meno dominate dai soldi. Come ha scritto Charles Stross [ http://www.antipope.org/charlie/blog-static/2011/10/a-cultural-experiment.html ] coloro che sono molto ricchi conducono un'esistenza nella quale la più parte dei beni mondano sono, in effetti, gratuiti. Vale a dire, la loro ricchezza è talmente grande relativamente al costo del cibo, dell'alloggio, dei viaggi, ed altre amenità, che raramente avviene che debbano considerare il costo di qualcosa. Qualsiasi consa vogliono, possono averla.

Vale a dire che per i molto ricchi, il mondo è di già qualcosa che assomiglia al comunismo precedentemente descritto. La differenza, certamente, è che la sua condizione di post-scarsità è resa possibile non solo dalle macchine, ma da lavoro della classe operaia globale. Ma una visione ottimistica dei futuri sviluppi - il futuro che ho descritto come comunismo - è quella secondo cui arriveremo eventualmente ad una situazione nella quale si trova, in un certo senso, tutto quell'uno per cento. Come recita la famosa frase di William Gibson: «il futuro è già qui; solo che è stato distribuito in maniera diseguale.»

Ma cosa succede se le risorse e l'energia sono semplicemente troppo scarse per poter permettere a tutti di godere dello standard di vita materiale

dei ricchi di oggi? Che succede se arriviamo in un futuro che non richiede più per la produzione il lavoro delle masse del proletariato, ma non è in grado di fornire a tutti uno standard arbitrariamente elevato di consumo? Se arriviamo in quel mondo come società egualitaria, allora la risposta è il regime socialista di condivisione descritto nella sezione precedente. Ma se, invece, rimaniamo in una società polarizzata fra un'élite privilegiata ed una massa oppressa, allora la traiettoria più plausibile ci conduce a qualcosa di molto più cupo; lo chiamerò con il termine usato da E.P.Thompson per descrivere una diversa distopia, nel corso del picco della Guerra Fredda: sterminismo.

Il grande pericolo posto dall'automazione della produzione, nel contesto di un mondo di gerarchie e di scarse risorse, è che essa, dal punto di vista dell'élite dominanti, rende superflua la grande massa delle persone. Questo in contrasto con il capitalismo, dove l'antagonismo fra capitale e lavoro era caratterizzato sia da uno scontro di interessi che da una relazione di reciproca dipendenza: i lavoratori dipendono dai capitalisti fino a che non controllano i mezzi di produzione essi stessi, mentre i capitalisti hanno bisogno dei lavoratori per far funzionare le loro fabbriche ed i loro negozi. È come nel testo della canzone "Solidarity Forever": «Si sono impossessati di milioni senza aver mai lavorato per guadagnarseli / Ma senza il nostro cervello e i nostri muscoli non può girare nemmeno una sola ruota.» Con l'ascesa dei robot, la seconda riga smette di essere vera.

L'esistenza di una folla impoverita, economicamente superflua costituisce un grande pericolo per la classe dirigente, la quale naturalmente teme l'imminente esproprio; di fronte a questa minaccia, si presentano loro diverse linee di condotta. Le masse possono essere comprate con un certo grado di redistribuzione delle risorse, in quanto i ricchi possono condividere la loro ricchezza sotto forma di programmi di assistenza sociale, quanto meno, se le restrizioni dovute ai limiti delle risorse non sono troppo vincolanti. Ma oltre a reintrodurre potenzialmente la scarsità nelle vite dei ricchi, questa soluzione è suscettibile di poter portare ad una crescente ondata di richieste da parte delle masse, facendo quindi agitare di nuovo lo spettro dell'espropriazione. Ciò è essenzialmente quello che è successo di fronte alla crescita dello stato sociale, quando i padroni hanno cominciato a temere che sia i profitti che il controllo sul posto di lavoro stessero scivolando via dalle loro mani.

Se l'acquisto della folla arrabbiata non è una strategia sostenibile, un'altra opzione è semplicemente quella di scappare e nascondersi da loro. Questa traiettoria è quella che il sociologo Bryan Turner chiama "enclave society", un assetto nel quale «i governi e le altre agenzie cercano di regolare gli spazi e, ove necessario, bloccare i flussi di persone, beni e servizi» per mezzo di «recinti, barriere burocratiche, esclusioni legali e schedature.» Comunità segregate, isole private, ghetti, prigioni, paranoia del terrorismo, quarantene biologiche; tutto questo insieme forma un gulag globale a rovescio, dove il ricco vive in queste piccole isole di ricchezza circondate da un oceano di miseria. In "Tropic of Chaos: Climate Change and the New Geography", Christian Parenti sostiene la tesi che noi stiamo già costruendo questo nuovo ordine, dato che il cambiamento climatico porta a ciò che egli chiama la "convergenza catastrofica" fra distruzione ecologica, disuguaglianza economica, e fallimento dello Stato. L'eredità del colonialismo e del neoliberismo sta nel fatto che i paesi ricchi, insieme alle élite di quelli poveri, hanno facilitato la disintegrazione in una violenza anarchica, nella misura in cui fazioni tribali e politiche combattono per ecosistemi danneggiati che valgono sempre meno. Di fronte a questa squallida realtà, molti ricchi - che, in termini globali, includono anche molti lavoratori dei paesi ricchi - hanno finito per barricarsi nello loro fortezze, protetti da droni senza equipaggio e da contractor militari privati. Il lavoro di guardia, che abbiamo visto nella società rentista, riappare sotto una forma ancora più maligna, dal momento che pochi fortunati vengono impiegati come sgherri e protettori per i ricchi.

Ma anche questo è un equilibrio instabile, fondamentalmente per le stesse ragioni per cui lo è quello dell'acquisto delle masse. Finché esistono orde immiserite, c'è il pericolo un giorno possa diventare impossibile tenerle a distanza. Nella misura in cui il lavoro di massa è stato reso superfluo, resta in agguato la soluzione finale: la guerra genocida del ricco contro il povero. Molti hanno definito il recente film con Justin Timberlake, "In Time", un film marxista, ma si tratta, più precisamente, di una parabola sulla strada che porta allo sterminismo. Nel film, una minuscola classe dirigente vive letteralmente per sempre rinchiusa nelle sue enclavi grazie alla tecnologia genetica, mentre tutti gli altri sono programmati per morire all'età di "25", a meno che non possano giocare, prendere in prestito o rubare per ottenere più tempo. L'unica cosa che salva i lavoratori è che i ricchi hanno bisogno del loro lavoro [per costruire le macchine che servono a conteggiare il tempo]; quando questo finirà, presumibilmente finirà anche la stessa classe operaia.

Da qui lo sterminismo, come descrizione di questo tipo di società. Un simile fine genocida può apparire come un bizzarro livello di barbarie da fumetto; forse è irragionevole pensare che un mondo che è stato sfregiato dall'olocausto del XX secolo potrebbe nuovamente affondare in una simile depravazione.

[*] "Sterminismo", quello che E.P. Thompson definiva come una combinazione di ricerca astratta e sviluppo tecnologico diretta verso l'assassinio di massa - vedi "E.P. Thompson et al (a cura di) - Exterminism and Cold War, London 1982.

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Queste quattro visioni sono tipi ideali astratti, essenze platoniche di una società. Esse lasciano fuori molti dettagli confusi della storia, ed ignorano la realtà per cui la scarsità/abbondanza e la uguaglianza/gerarchia non sono semplicemente delle dicotomie, ma che attengono piuttosto ad un grado su una scala che può essere posizionato su molti diversi possibili punti. Ma la mia ispirazione, nel dipingere questi semplici quadri, è stato il modello della società puramente capitalista inseguita da Marx nel Capitale: un ideale che non si può mai riflettere perfettamente nell'insieme complesso della storia economica reale. I socialismi e le barbarie qui descritti andrebbero pensati come strade lungo le quali l'umanità può viaggiare, anche se sono destinazioni che non raggiungerà mai. Con una certa conoscenza di ciò che può essere trovato alla fine di ciascuna strada, forse saremo maggiormente in grado di evitare di prendere la direzione sbagliata.


Pubblicato su Jacobin il 13 dicembre 2011 -

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