La nuova pandemia: il tifo da stadio nel conflitto russo-ucraino
di Roberto Bonuglia
Vagliando le più diverse e accreditate chiavi di lettura geopolitica del conflitto russo-ucraino perchè la realtà fattuale suggerisce un’analisi leggermente diversa
Disclaimer. Attenzione, spoiler: le scorciatoie mentali del lettore acritico e resistente al cambiamento di opinione potrebbero funzionare male una volta attivata la modalità di ragionamento del sistema in virtù del reframing proposto in questo articolo.
Le più accreditate chiavi di lettura geopolitica del conflitto russo-ucraino ‒ una su tutte, quella del The New York Times [1] ‒ hanno iniziato a tessere le lodi di un’Europa che, grazie alla vicenda, si sia ricompattata liberandosi dell’approccio weimariano che ha, da sempre, contraddistinto la sua politica estera de facto inesistente dal punto di vista dell’unitarietà e della coerenza. Ma la realtà fattuale suggerisce un’analisi leggermente diversa.
D’altra parte, un paio d’anni fa, un articolo su La Stampa lo ricordava agli smemorati siberiani [2]: «la politica estera dell’Ue non esiste e mai s’è vista. Per i capi di Stato e di governo che ne parlano ai vertici e nei Parlamenti è ‒ a seconda della geografia e delle vocazioni storiche ‒ una vanagloriosa foglia di fico sulla volontà di far da sé («Si parli con una voce sola»); una scusa per guadagnare tempo nei giorni peggiori («Chiediamo una missione comunitaria»); un aiuto per frenare sul processo d’integrazione («L’Ue è un pozzo per soldi dei contribuenti»)» [3].
Possibile, quindi, che oltre a far dimenticare il Covid-19 ‒ come risulta dal ribaltone nel web delle interazioni e delle ricerche sulla pandemia [4], nonché l’abbandono dei tormentoni “vax/no-vax” e “Gp/no-Gp” nei talk show televisivi ‒ il «baffone 2.0 del Terzo millennio» [5] che in molti incensano abbia avuto anche il taumaturgico merito di dare all’Ue uno straccio di linea coerente in politica estera? Quell’Ue, insomma, che solo qualche mese fa non è stata neppure informata da Biden delle decisioni strategiche degli USA in Afghanistan e ai cui Stati membri «impone di continuare a perseguire linee di politica economica “neo liberiste”, mentre […] gli USA […] sperimentano linee “neo-keynesiane” per sorreggere l’occupazione» [6]?
Mentre osservatori e analisti si dispongono sulle barricate delle opposte fazioni prendendo una delle due parti manco fossero a Forum, la crisi contingente suggerisce altre considerazioni in controtendenza visto che, a quanto pare, oggi come ieri, entro gli italici confini l’intera società civile si ritrova attraversata da divisioni frontali ben riconducibili «a contrasti di tipo etico-ideologico, ossia religiosi» [7].
La cosa non sorprende. È un male antico e non solo italiano: la tendenza in base alla quale “alla concezione critica si sostituisce una concezione dogmatica”, l’aveva già denunciata un certo Karl Marx quando, il 15 settembre 1850, si «separò da quei comunisti che volevano continuare con le cospirazioni» [8].
Sorprende ‒ pur avendone viste di tutti i colori ‒ che la narrazione di questo conflitto si sia cristallizzata in due spalti fatti da ultras che hanno in comune solo un aspetto: l’ortodossia acritica di assumere una posizione preconfezionata e di difenderla a tutti i costi: da una parte i Mughini che intessono le lodi del battaglione Azov ‒ ai suoi occhi fatto «dei “buoni”, degli eroi» [9] ‒, dall’altra i «neofiti della Stella Rossa» imprigionati nel loro «linguaggio binario» [10].
Viene da chiedersi, in primis, la ragione di questa faciloneria nel calzare nuove maglie da stadio che ha contagiato ‒ molto più del Covid-19 ‒ da una parte, i protagonisti del mainstream e, dall’altra, i fondamentalisti del complottismo. Gente, insomma, che “da sinistra” come “da destra” ha ceduto alla tentazione revisionista di giungere «alla revisione del loro medesimo revisionismo» [11].
L’humus è comune. E non si tratta della madre degli stolti sempre incinta: è l’analfabetismo funzionale, per dirla con Tullio De Mauro [12] ‒ aggravato dall’infodemia da social ‒ a renderli lettori illusoriamente informati, con la condivisione compulsiva, al limite della patologia, di verità ufficiali o di fake news. Ignare vittime, inoltre, delle filter bubbles [13] (bolle di filtro) che Google e Facebook creano ad hoc e che portano gli utenti a perdersi ‒ stavolta volontariamente ‒ in epistemic bubble (bolle epistemiche) [14].
Di cosa si tratta? Del fatto che queste piattaforme limitino l’esposizione a notizie e altre informazioni utilizzando algoritmi che danno la priorità ai contenuti che corrispondono al profilo demografico e alla cronologia online dell’ignaro paladino ucraino o del complottista che prima era “no vax” e ora, orgogliosamente, si ricicla come filo-Putin o filo-russo (due concetti, tra l’altro, di cui si è persa la rilevante differenza sostanziale).
I risultati di ricerca di Google e il flusso di notizie di Facebook ‒ entrambi personalizzati ‒ sono due esempi perfetti di questo fenomeno: gli utenti, infatti, ottengono un contatto significativamente minore con punti di vista contraddittori, rendendoli intellettualmente isolati.
L’esempio principale è proprio quello di Google che, nel 2009, introdusse la personalised search modificando il sistema di ricerca per mostrare i risultati in base alla cronologia di navigazione web di ogni singolo utente. Così, i negazionisti del riscaldamento globale cercando “riscaldamento globale”, trovano in primis siti negazionisti, quelli delle foibe gli articoli di Eric Gobetti, i barbari neoconversi all’eurasiatismo quelli di Aleksandr Gel’evič Dughin e via di seguito con altri esempi di miserie umane che ci evitiamo di citare.
Un fenomeno che spiega, dunque, il fatto che solo il 5% degli utenti Facebook adulti «dichiara di leggere sul social network opinioni molto diverse dalle proprie» [15]. Quelli che… insomma, consultano Google come fosse l’oracolo di Delfi e hanno sui social il “blocco facile” disconnettendosi dalle persone con opinioni opposte alle loro o che si iscrivono solo a canali di notizie/blog che confermano le loro convinzioni pre-esistenti e pre-giudiziali.
Pare quindi il caso di rivolgerci a quel 5% ‒ se siete arrivati fin qui, probabilmente ne fate più che dignitosamente parte ‒ che non teme l’irritazione del dubbio e si volge con coraggio e fatica nelle dinamiche di affannosa ricerca per «conseguire un nuovo stato di […] quiete» [16] che solo l’adozione di una credenza “differente” può regalare.
Ma torniamo al conflitto in corso ‒ che affonda le sue radici nell’espansione dell’Ue verso Est e il sostegno di Bruxelles al movimento democratico ucraino originatosi con la “rivoluzione arancione” del 2004 [17] ‒ che tanti animi sta accendendo, manco fosse la finale dei mondiali di Calcio.
Della strana telefonata Biden-Zelenskyy che ha preceduto l’inizio dell’invasione russa abbiamo già scritto [18]. Giova ora mettere a fuoco altre cose che non tornano.
In primis, la questione delle sanzioni alla Russia che ha superato, ormai, l’Iran e la Corea del Nord diventando il Paese più sanzionato al mondo [19]. Alcune delle misure adottate dagli USA e dai suoi alleati europei includono, infatti: il congelamento di quasi la metà delle riserve finanziarie da 640 miliardi di dollari della Banca centrale russa [20]; l’espulsione di molte delle più grandi banche russe dal sistema di pagamento globale SWIFT [21]; l’imposizione di controlli sulle esportazioni volti a limitare l’accesso della Russia a servizi avanzati tecnologie ‒ già in fase di studio un mese prima del conflitto [22] all’epoca della “famosa” telefonata‒, chiudendo il loro spazio aereo e porti ad aerei e navi russi istituendo sanzioni personali contro alti funzionari russi e affaristi di alto profilo [23].
Misure senza precedenti, visto che il blocco dei pagamenti tramite Apple Pay e PayPal ha colpito non solo i magnati del rublo, ma anche comuni cittadini russi [24] senza colpa alcuna e, magari, residenti in Europa proprio per essere ostili al regime di Putin che, è utile ricordarlo, di democratico ha ben poco.
Misure che, però, finora non hanno avuto l’effetto sperato ossia quello di colpire il rublo e l’immagine di Putin. Sul primo flop diremo più avanti, sul secondo, basti citare due sondaggi: quello dell’agenzia ВЦИОМ [25] in base al quale risulta che il 74% dei russi sostenga la cosiddetta “operazione militare speciale” rispetto al 17% contrario ad essa e che la quota di russi i quali si fidano di Putin sia aumentata dal 67,2% del 20 febbraio all’80,6% del 20 marzo. E poi c’è il sondaggio del Levada-Center [26] il quale ha rilevato che il 60% dei russi sia convinto che gli Stati Uniti e la NATO siano i principali responsabili delle tensioni intorno all’Ucraina rispetto a solo il 3% che ha incolpato il Cremlino.
Lecito iniziare a chiederci, quindi: le sanzioni occidentali potrebbero, alla fine, causare abbastanza danni economici e fomentare abbastanza malcontento pubblico da costringere Putin a ritirare le truppe dall’Ucraina? «Forse. Ma potrebbero anche avere l’effetto opposto, soprattutto se rimangono indefinitamente» [27].
Sta di fatto, invece, che finora le sanzioni abbiano colpito, in pratica, più che la Russia o Putin, molto più l’Europa visto che la maggior parte degli Stati membri dipende, in buona misura, dal gas proveniente dalla Russia: «come effetto a cascata, il costo dell’energia ha fatto aumentare quello di tutti gli altri beni e servizi. L’inflazione non era così alta da quasi trent’anni» [28].
Un triste deja vu di quanto accadde nel 2014 in Italia ‒ al secondo posto tra i partner europei della Russia ‒ quando «con uno scontato “effetto boomerang”, l’apparato sanzionista ha colpito duramente alcuni settori chiave della già terremotata economia peninsulare: il comparto agroalimentare, con un danno di duecento milioni di euro, il ramo delle “grandi opere, l’industria della moda e dell’arredamento, quella automobilistica, la cantieristica, il turismo» [29]. D’altra parte, il nostro Paese importa il 43% del gas dalla Russia e lo utilizza per produrre circa il 60% dell’elettricità. Il primo trimestre 2022 è iniziato con un aumento della bolletta del 55%. Un fatto senza precedenti, basta controllare lo storico dei vostri consumi.
Ma se l’Italia piange, l’euro (e quindi l’Ue) non ride. E vediamo il perché.
Dal 24 febbraio l’euro ha perso terreno rispetto tutte le principali valute degli attori in gioco: il dollaro americano, dopo i minimi storici toccati proprio prima della crisi russo-ucraina del 2014 (0,70), è passato da 0,87 a 0.92; lo yuan cinese dagli stessi minimi (0,12 nel febbraio 2014) è salito dallo 0,14 allo 0,146, livello che non toccava dal 2015; il tasso di conversione della sterlina nella prima settimana di aprile è salito dallo 1,18 al 1,21; il real brasiliano dallo 0,17 si scambia ora per 0,19 e persino il siclo israeliano si è apprezzato sull’euro passando dal 0,273 ‒ del 24 febbraio ‒ all’attuale 0,287.
Ciò significa, come evidenziano i dati monetari di xe.com, che la crisi russo-ucraina abbia colpito, in primis l’eurozona. Esattamente come aveva fatto, prima, il Covid-19.
A questo punto viene da chiedersi…
Come mai Putin abbia condotto l’operazione del 24 febbraio al fine di farla durare il più possibile ‒ impiegando solo 200.000 uomini a fronte degli 850.000 a disposizione ‒ e non attaccando Kiev dalla Bielorussia? Come mai le sanzioni che Biden ha obbligato l’Ue a prendere colpiscono alla fine proprio quest’ultima tra l’altro esponendola e obbligandola nella gestione dei poveri profughi ucraini con ulteriore dispendio di energie?
Come mai ci si continua a dividere, ‒ come giustamente sottolineato da Antonio Li Gobbi ‒ sulla base di informazioni che «sono tutte, […] incomplete e tendenziose, da una parte e dall’altra. Anche quelle rilasciate con una certa abbondanza dall’intelligence USA a supporto dell’Ucraina che vengono comprensibilmente rese disponibili a fini propagandistici, essendo gli USA schierati e non neutrali» [30]?.
Perché quasi nessuno ricorda che proprio la Russia abbia «compiuto diverse manovre insieme alla Nato di cui è stata fino a poco tempo fa membro associato, tant’è che ancora oggi in alcuni siti ufficiali non aggiornati se ne trova traccia»[31]?.
Non è che USA e Russia, alla fine, stiano giocando entrambe con la mano sinistra ‒ quella del diavolo [32] ‒ una partita «per mettere in ginocchio la competitività dell’industria europea e il benessere delle famiglie» [33] come già il Covid-19 aveva contribuito in modo rilevante?
E se la Russia volesse «solo affermare il suo primato imperialista sull’Europa in perfetta osmosi con gli americani» [34] alla faccia dei “soggetti radicali” pronti a bersi la storiella che «il progresso dell’esercito russo è lento perché le truppe (russe N.d.R.) hanno ricevuto l’ordine di non colpire i civili», mentre «i civili sono colpiti dai nazionalisti ucraini per dare la colpa ai russi» [35] come propagandisticamente affermato da qualcuno?
Domande lecite che servono, innanzitutto, per iniziare a rompere le bolle in cui molti sono imprigionati visto che il mondo online «ha dato alle persone accesso a una quantità di informazione sterminata, ma allo stesso tempo ha creato il problema di come poter selezionare ciò che è rilevante e utile per ciascuno» [36].
Un problema che si risolve, prima di tutto, non dimenticando che senza continua verifica e accertamento le versioni ufficiali, da qualsiasi parte vengano, rischiano di ipostatizzarsi, diventando «dogma, ideologia dogmatica» [37]. Di cui proprio non c’è bisogno, se si vuole capire, davvero, dove sta andando la geopolitica del (dis)ordine mondiale.
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