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sbilanciamoci

Karl Polanyi oggi: un nuovo volume dedicato a suoi scritti editi e inediti

di Michele Cangiani

Karl Polanyi, L’obsoleta mentalità di mercato. Scritti 1922-1957, a cura di M. Cangiani, Trieste, Asterios Editore, 2019, pp. 330, €19,00

9788893131292 0 0 514 7524 saggi, articoli e manoscritti di Polanyi raccolti in questo volume dal 1922 al 1957 possono giovare alla comprensione di un autore sempre più citato, non senza semplificazioni e distorsioni del suo pensiero. All’analisi della “trasformazione” nel periodo fra le due guerre mondiali è dedicato il paragrafo conclusivo dell’Introduzione, qui in buona parte riprodotto.

* * * *

Partendo dalla crisi del capitalismo liberale ottocentesco, Polanyi ci offre una chiave interpretativa dello sviluppo susseguente, fino ai giorni nostri. Una volta escluso il cambiamento in direzione della democrazia socialista, l’inevitabile trasformazione […] non poteva consistere che nel passaggio a un diverso assetto istituzionale del capitalismo. Economia e politica dovevano cessare comunque di fungere da baluardi contrapposti della lotta di classe: dovevano ritrovare una coerenza, un’“integrazione”. Ciò implicava, secondo Polanyi, che la democrazia, anche dove non veniva abolita da regimi fascisti o autoritari, rispettasse i vincoli imposti dall’organizzazione capitalistica del sistema economico. […]

In articoli e manoscritti degli anni Venti e Trenta, e infine nella Grande trasformazione (1944), Polanyi analizza le diverse modalità della trasformazione ovvero “il capitalismo nelle sue forme non liberali, cioè corporative,” che gli consentono di “continuare indenne la sua esistenza assumendo un nuovo aspetto” (Polanyi, “L’essenza del fascismo”, 1935). I due articoli del 1928, tradotti nel cap. 3 di questo libro, analizzano la riorganizzazione corporativa proposta in Inghilterra dal Rapporto della Liberal Industrial Enquiry, commissionato dall’ala sinistra del Liberal Party. Collaborò all’Inchiesta anche Keynes, che ne aveva suggerito alcuni temi nel famoso articolo “La fine del laissez faire” del 1926.

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ospite ingrato

Gramsci e l’idea di critica

di Marco Gatto

antonio gramsci 770x430Nella Italia più culta, e in alcune città della Francia ho cercato ansiosamente il bel mondo ch’io sentiva magnificare con tanta enfasi: ma dappertutto ho trovato volgo di nobili, volgo di letterati, volgo di belle, e tutti sciocchi, bassi, maligni; tutti. Mi sono intanto sfuggiti que’ pochi che vivendo negletti fra il popolo o meditando nella solitudine serbano rilevati i caratteri della loro indole non ancora strofinata.
Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802)

La lezione di Gramsci in materia di critica letteraria e di critica della cultura risiede nel proporre un’alternativa teorica e politica all’idea, non solo romantica e non solo crociana, di un’autonomia dell’arte e della sfera estetica. E la rilevanza – per non dire l’attualità – di questa lezione sta nell’allestimento di una produttiva dialettica tra il riconoscimento della specificità dei problemi letterari e artistici, e dunque della necessità di un terreno di comprensione disciplinare, e il loro inserimento nel quadro di una proposta politica complessiva, che contribuisce a ridefinirne i contorni, se non a potenziarne i presupposti. Lontano dalla logica schematica dei “distinti” di Croce, anche e soprattutto nel processo critico, Gramsci stabilisce una compenetrazione (ovviamente, non pacificata, ma costantemente dinamica) tra una dimensione, per così dire, settoriale dell’agire intellettuale e una dimensione appunto pubblica, dunque ideologica e politica, dell’intrapresa culturale. Cosicché, nei termini restituiti dai Quaderni, il giudizio su un testo, su una categoria estetica o su un problema culturale si muta, al netto di una sua analisi condotta attraverso lo strumentario della disciplina di riferimento (la filologia, ad esempio), nell’occasione politica di una trasformazione: da una nuova idea dell’arte promana un’idea nuova di civiltà, e dunque un nuovo modo di intendere i rapporti sociali.

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lanatra di vaucan

L’accumulazione e la donna. Storie di genere e di oppressione

Una lettura di “Calibano e la Strega” di Silvia Federici

di Massimo Maggini

calibanostrega 931x1024Il capitalismo è il paradosso di un onere straordinario permanente. Si trattava di convertire l’intero processo riproduttivo sociale in un unico processo di «creazione di denaro» o di «moltiplicazione del denaro» e gli uomini in astratte macchine da lavoro e rendimento astratto di questa «legge» inizialmente esteriore e imposta. Questa mostruosità si rappresentava come stato di necessità costituente o come lo stato di eccezione che funzionò da levatrice del capitalismo, la cui funzione fu quella di spezzare una volta per tutte la volontà di autonomia sociale. La storia di questa brutalizzazione delle relazioni sociali, senza precedenti nella storia dell’umanità, nonostante il capitolo del Capitale di Marx sull’«accumulazione originaria» e le ricerche del primo Foucault, è ancora ben lungi dall’essere stata scritta”

-Robert Kurz, Weltordungskrieg

Nella forma del proto-mercato mondiale, nel contesto del sistema coloniale il capitale fu davvero il «dio straniero» (Marx) che sopraggiunse attraverso le società mentre simultaneamente si sviluppavano, in queste stesse società, la statalità centralizzata, la struttura della dissociazione sessuale moderna e le corrispondenti ideologie (protestantesimo); nel senso di un orientamento degli individui e di una fondazione anche simbolico-culturale del nuovo rapporto complessivo capitalistico, la dissociazione sessuale marcò una dimensione profonda, eclissata, assolutamente non a caso, dalle riflessioni più tarde

-Robert Kurz, das Weltkapital

È apparsa nell’estate 2015, per merito ancora una volta della casa editrice Mimesis, la riedizione di un libro fondamentale per aiutare a comprendere la genesi del capitalismo: Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria.

Questo libro, partorito dalla vitale e generosa mente di Silvia Federici, cui va il nostro riconoscimento e plauso per aver tratteggiato le linee di una storia misconosciuta ma quanto mai centrale per la nascita di uno dei più feroci – se non il più feroce – fra i sistemi sociali che l’umanità abbia mai conosciuto, rappresenta un contributo estremamente prezioso per approfondire il meccanismo attraverso il quale questo sistema si è insediato e ha preso possesso delle nostre vite.

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tysm

Sad by design. Il nichilismo digitale e il lato oscuro delle piattaforme

di Marco Dotti intervista Geert Lovink

finger 2081169 1280 608x400Distrazioni, meme culture, fake news, narcisismo e violenza. La “cultura della rete” sembra aver imboccato una strada senza uscita. E se prima di sognare alternative o altri mondi possibili provassimo a capire il qui e ora in cui ci troviamo? Se ci armassimo di un’analisi lucida, prima che di giudizio?

La cultura di internet mostra chiari segni di crisi. Come ha scritto Julia Kristeva, «non c’è nulla di più triste di un dio morto». Il senso di novità è svanito e ha lasciato il vuoto dietro e davanti a sé. A differenza della nostalgia degli anni Novanta, spiega Geert Lovink, teorico dei media e della rete, fondatore dell’Institute of Network Cultures, «qui gli anni felici della gioventù non ci sono mai stati: siamo passati direttamente dall’infanzia al matrimonio, con tutte le limitazioni che ciò comporta». Chi ha più il coraggio di parlare di “nuovi” media? Quest’espressione, un tempo tanto promettente, ormai viene usata solo da qualche ingenuo neofita». Eppure c’è ancora tutto da capire.

Geert Lovink parte proprio da questo nodo irrisolto nel suo ultimo libro, Nichilismo digitale (Egea, 2019), per rilanciare la sfida di nuove alternative. Lo abbiamo incontrato.

* * * *

Il titolo inglese del suo ultimo libro è Sad by design e ci rimanda a una dimensione “ingegneristica” della tristezza.

Non vendo tristezza. Se sei felice, tanto meglio. Come sapete, i telefoni sono una parte intima della nostra vita. Ci accompagnano 24 ore su 24, 7 giorni su 7. L’uso a lungo termine dei social media, specialmente da parte dei “nativi digitali” che si identificano con la tecnologia, richiede un investimento emotivo che può essere estenuante. Diventa difficile, se non impossibile, dimenticare il telefono.

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coku

Althusser: l'innocenza dell'avvenire

di Leo Essen

althusserNel febbraio del 1968 Louis Althusser partecipa al seminario di Jean Hyppolite con una comunicazione sul rapporto tra Hegel e Marx. I punti intorno ai quali ruota il suo discorso sono tre: 1) la lettura di Hegel (umanista) fatta da Feuerbach; 2) l'anti-umanesimo della dialettica di Hegel; 3) la teleologia della dialettica hegeliana.

Feuerbach ha avuto una grande influenza sui giovani radicali hegeliani. Li salvò dalle contraddizioni insolubili nelle quali erano immersi, fornendo loro una teoria dell’alienazione dell’uomo. Questa teoria ha avuto molto successo. Lukács la innestò sulle analisi sociologiche di Weber; e tale arrivò, tramite la Scuola di Francoforte, siano ad oggi.

Nell’Essenza del Cristianesimo, Feuerbach, dice Althusser, realizzò lo sforzo prodigioso di mettere fine alla filosofia classica tedesca, di buttar giù (più precisamente di «capovolgere») Hegel, l’ultimo dei filosofi, in cui si riassumeva tutta la sua storia, con un filosofia retrograda, in rapporto alla grande filosofia idealista tedesca. Con Feuerbach, dice, dal 1810 si ritornò al 1750, dal XIX secolo al XVIII secolo.

Ottenebrato dalla sua ossessione per l’Uomo e per il Concreto, Feuerbach immise in Hegel e nel suo sistema qualcosa che non c’era: l’Uomo.

Il sistema hegeliano, dice Althusser, non poggia assolutamente sull’Uomo, né sulla sua testa, né sui suoi piedi. Dunque, non si tratta di capovolgere Hegel, di riportare in Terra ciò che lui aveva messo in Cielo.

Come aveva osservato Hyppolite, dice Althusser, nulla è più estraneo al pensiero di Hegel di questa concezione antropologica della Storia. Per Hegel, dice, la Storia è certamente un processo di alienazione, ma questo processo non ha l’uomo come Soggetto.

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ragionipolitiche

I dilemmi di un’autonomia difficile: la cultura tra economia e politica

Intervista a Carlo Galli

Giacomo Bottos, Lorenzo Mesini, Francesco Rustichelli intervistano Carlo Galli

ph 335 1Con questa intervista vorremmo approfondire la questione dei nessi tra cultura, politica ed economia. Iniziamo col constatare come il nesso tra cultura e politica appaia oggi in crisi, mentre da più parti si pone l’accento sul legame tra cultura e mondo economico. Un rapporto che si declina sia in termini di ‘utilità’ della cultura – e quindi di giustificazione dell’investimento in cultura – sia di una concezione della cultura intesa come attività economica in senso stretto. Essa deve rivendicare una propria autonomia? Al tempo stesso sembra necessario che essa entri in relazione con queste sfere. Quali sono le forme specifiche in cui questo può avvenire?

Dobbiamo guardarci dal rischio di reificare la cultura, anche solo definendola ‘cultura’ come se fosse un ambito a sé stante, completamente autonomo e composto da specifiche pratiche. In realtà la cultura è il modo con cui l’uomo sta nel mondo. Vi sono dunque infinite gamme di cultura, dalla costruzione di utensili primitivi fino alla creazione della Cappella Sistina. Quando diciamo cultura oggi, però, intendiamo di solito forme di elaborazione particolarmente sofisticate, non immediatamente volte all’utilità o, se volte all’utilità, finalizzate anche a trascendere l’utilità stessa. Attenendoci a questa definizione ristretta di cultura ci troviamo di fronte a forme di elaborazione, costruzione, rappresentazione e narrazione che si confrontano con canoni prefissati – adeguandosi ad essi o superandoli – compiendo una serie di operazioni che trascendono l’orizzonte immediato.

Partendo da questa riflessione comprendiamo facilmente che nella produzione di cultura in una qualche dimensione – prima, dopo, davanti, dentro – deve darsi anche una produzione di utilità. L’utilità può essere intrinseca all’oggetto: un tempio, ad esempio, è allo stesso tempo utile e bello.

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azioni parallele

Dallo spettacolo alla falsificazione

Tra Walter Benjamin e Guy Debord

di Antonio Mastrogiacomo

benj debordIl presente contributo rilegge le indicazioni elaborate dal movimento situazionista – ineludibile il riferimento a Guy Debord – in aperta sintonia con la chiusa del testo benjaminiano dedicato alla fotografia e al cinema, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica1. A partire da questa singolare prospettiva saranno indagati i rapporti tra il movimento situazionista e le teorie dell’arte a lui contemporanee: la corrispondenza biunivoca tra opera e artista delimita dunque i contorni dello spettacolo derivabili dal sistema di produzione capitalistico di accumulazione delle merci come occorso a partire dal Novecento storico: sul palcoscenico la vita quotidiana individuata a motivo permanente della realizzazione dell’arte  e della rivoluzione. Nel solco dell’iniziazione benjaminiana, il movimento situazionista viene riletto altresì come concretizzazione della politicizzazione dell’arte individuata quale alternativa all’estetizzazione della politica fascista riflessa icasticamente nello specchio futurista; al netto della distanza cronologica, questi due movimenti dialogano in qualità di matrici possibiliste delle avanguardie storiche. Il riferimento al movimento situazionista anticipa infine il ricorso alla manipolazione delle immagini come occorre nella scrittura audiovisiva, emancipata dalla sola riproduzione e proposta come nuova linearità narrativa.

 

1. Tra Walter Benjamin e Guy Debord

Il testo sulla riproducibilità tecnica è caratterizzato da un andamento la cui segmentazione ricorda la scansione dei brani di un qualsiasi long play di popular music. Diviso, a seconda delle diverse edizioni, tra diversi paragrafi, proprio l'ultimo custodisce il riferimento diretto al futurismo, individuato quale rovesciamento tra mezzi e fini nella tecnica.

“Fiat ars – pereat mundus”, dice il fascismo, e, come ammette Marinetti, si aspetta dalla guerra il soddisfacimento artistico della percezione sensoriale modificata dalla tecnica. È questo, evidentemente il compimento dell’arte per l’arte.2

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blackblog

Alcuni punti essenziali della Critica del Valore

di Anselm Jappe

divoraIl sistema capitalista è entrato in una grave crisi. Questa non è solamente una crisi ciclica, bensì finale, e va vista non nel senso di un collasso imminente, ma come disgregazione di quello che è un sistema plurisecolare. Non si tratta della profezia di un evento futuro, ma della constatazione di un processo diventato visibile nei primi anni '70, le cui radici risalgono alle origini stesse del capitalismo. Quella cui assistiamo, non è una transizione che ci porta ad un altro regime di accumulazione (come avvenne nel caso del fordismo), né coincide con l'avvento di nuove tecnologie (come avvenne nel caso dell'automobile), e non si tratta neppure di uno spostamento del centro di gravità e della sua dislocazione verso altre regioni del mondo, ma dell'esaurimento di quella che è la fonte stessa del capitalismo: la trasformazione del lavoro vivente in valore.

Le teorie fondamentali del capitalismo, così come le analizza Karl Marx nella sua critica dell'economia politica, sono il lavoro astratto e il valore, la merce e il denaro, e che vengono riassunti nel concetto di feticismo della merce.

Una critica morale basata sulla denuncia dell'«avidità» eviterebbe di prendere in considerazione ciò che è essenziale. Non si tratta di essere marxisti o post-marxisti, o di interpretare l'opera di Marx, o integrarla per mezzo di altri contributi teorici. Ma, piuttosto, va ammessa la differenza tra il Marx «essoterico» ed il Marx «esoterico», tra il nucleo concettuale e lo sviluppo storico, tra l'essenza ed il fenomeno. Marx non è «obsoleto», come sostengono i critici borghesi. Anche se ci si concentra soprattutto sulla critica dell'economia politica,e all'interno di quella che è la teoria del valore e del lavoro astratta, ciò costituisce tuttora il contributo più importante per comprendere il mondo in cui viviamo.

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tempofertile

Leo Huberman, Paul Sweezy, “La controrivoluzione globale”

di Alessandro Visalli

2560460298389 0 0 0 768 75Edito da Einaudi nel 1968 il libroLa controrivoluzione globale” include una raccolta di articoli dalle annate 1963-68 di Monthly Review, tutti firmati da Leo Huberman e da Paul Sweezy, intorno ad alcuni temi aggreganti: “la guerra coloniale interna”, ovvero gli scontri ed i disordini razziali; l’analisi di congiuntura dell’economia interna ed internazionale in una fase cruciale; la “guerra coloniale esterna”. Le due “guerre coloniali” sono tenute insieme dall’analisi dell’economia, o meglio delle esigenze interne del funzionamento economico.

 

La guerra coloniale interna

La prima parte prende avvio dalla “guerra alla povertà” lanciata da Johnson, che nel programma dell’Amministrazione avrebbe dovuto interessare 1/5 delle famiglie americane (mentre sarebbero dovute essere almeno il doppio), e destinava quindi una somma di un miliardo di dollari, nove volte insufficiente. Insomma, come capita, “l’intera faccenda è da cima a fondo una truffa politica”, che in realtà cercava di mettere un tampone ad un problema di eccesso di capacità dell’industria americana, rispetto al livello della domanda di beni e servizi che una società nella quale si estendono la povertà da una parte (per la maggioranza) e l’abbondanza dall’altra (per una stretta minoranza), esprimeva sempre di più.

Questo è l’ambiente nel quale, nell’articolo del 1964 “La guerra coloniale interna”, si dà conto della rottura tra Eliah Muhammad e Malcom X (che morirà l’anno dopo, ucciso da sicari probabilmente del primo), e della radicalizzazione del movimento dei neri. Il “vecchio movimento” (quello di Martin Luther King, ucciso a sua volta nel 1968) avanzava infatti delle tradizionali richieste di partecipazione. Secondo la loro analisi i neri erano semplicemente ed immoralmente privati dei loro diritti fondamentali, e non strutturalmente costretti in un sistema che ne richiedeva, per sua natura, l’oppressione, al fine di farne la classe-paria necessaria per il suo equilibrio.

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sinistra

Pianificabilità, pianificazione, piano

di Ivan Mikhajlovič Syroežin

II parte – Pianificazione

Capitolo 4. L’autoregolamentazione nei sistemi economici (parte II)

bimbiemacchina

Introduzione di Paolo Selmi

Affinità, per certi versi, sorprendenti, quelle che legano Robert Doisneau a un certo tipo di fotografia sovietica: nulla di strano, in realtà, ma semplice amore, adesione appassionata e incondizionata, oggi come allora, a descrivere il mondo da un certo punto di vista, tipizzato al punto da renderlo immediatamente riconoscibile, attraverso un linguaggio che personalmente preferisco a molti altri modi di “scrivere con la luce”: semplice e, al tempo stesso, talmente ricco di suggestioni da passare, in una stessa immagine, dall’ironia alla tenerezza, attraverso variegate sfumature intermedie, tante quante ne possono imbrigliare le diverse, possibili, concentrazioni di sali d’argento su una pellicola di celluloide.

Fotografo amato in URSS, Doisneau vi si recò anche per lavoro, in periodi diversi e qualcosa, sicuramente, “seminò” se, nel cercare immagini relative a un semplice distributore automatico di acqua gasata, mi sono imbattuto in questo piccolo capolavoro anonimo; immagine molto probabilmente costruita, come del resto – per sua ammissione – faceva spesso anche lo stesso Doisneau, nel creare le sue opere immortali lungo le strade parigine; al tempo stesso, l’immagine ritratta trabocca di quella spontaneità, di quella freschezza, di quel coinvolgimento, che trasfigurano, in ogni bambino, l’istante prima di azionare con una monetina quel misterioso meccanismo davanti a sé. In questo caso, peraltro, il meccanismo tanto misterioso non sembra, i due bimbi appaiono ormai abbastanza esperti e la loro tecnica combinata altrettanto “rodata”. Non potevo non omaggiare il lavoro di questo anonimo fotografo sovietico.

Accostare poi questo scatto alla teoria di Fiat 124, pardon, di Žiguli appena uscite dalla linea di montaggio, amplifica ulteriormente suggestioni e associazioni di idee, in presenza di quello che Gianni Rodari chiamava “binomio fantastico” nella sua “Grammatica della fantasia”: una strana coppia che sembra quasi evocare un futuro utopico, dove le macchine usciranno fuori dalle linee di produzione con una monetina, dove il processo produttivo sarà così facile da gestire che lo potrà fare anche un bambino, oppure dove l’intera economia nazionale sarà al servizio di tutti, persino dei più piccoli.

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sinistra

Il “paradosso di Lenin”, la politica-struttura e l’effetto di sdoppiamento

di Roberto Sidoli

Di seguito la relazione di Roberto Sidoli all'assemblea del Centro Culturale Concetto Marchesi, tenuta il 14 settebre 2019

140 008 1Voglio focalizzare l’attenzione sul collegamento esistente tra lo schema generale dell’effetto di sdoppiamento e il “paradosso di Lenin”, avente per oggetto il rapporto generale tra la sfera politica e quella economica, oltre che sullo sdoppiamento della stessa sfera politica in politica-sovrastruttura e politica-struttura, ossia politica intesa come espressione concentrata dell’economia.

Secondo la tesi dello sdoppiamento, dopo il 9000 a.C. e con l’inizio della rivoluzione tecnologica neolitica, non solo il genere umano è entrato nell’era del surplus, costante e accumulabile, ma altresì si è creato e consolidato un campo di potenzialità alternative, di matrice produttiva e politico-sociale, determinando quindi la simultanea genesi e cristallizzazione plurimillenaria – fino ad arrivare ai nostri giorni e all’inizio del terzo millennio – sia di una “linea rossa” collettivistica, gilanica e cooperativa (a partire dalla protocittà egualitaria di Gerico, 8500 a.C.) che invece di una variegata e alternativa “linea nera” di matrice classista, militarista e patriarcale, come nel lontano caso di quei predoni Kurgan che, con le loro sanguinose invasioni, infestarono l’Eurasia dal 4000 a.C. e per molti secoli.

Giorgio Galli recentemente si è chiesto: “la teoria dello sdoppiamento è compatibile con la teoria marxista? A me pare di si”.

Il celebre studioso milanese ha ragione e coglie nel segno.

La teoria dell’effetto di sdoppiamento risulta infatti compatibile con la concezione marxista anche perché costituisce uno sviluppo creativo di quest’ultimo, sviluppo basato su una miriade di fatti concreti che purtroppo in gran parte non risultavano a disposizione del geniale Karl Marx, morto nel lontano 1883: un Karl Marx che, per fare un solo esempio, non aveva (senza colpa alcuna) neanche il minimo sentore della fase di riproduzione plurimillenaria della “rossa” e collettivistica protocittà di Gerico, a partire dall’8500 a.C. e quindi dieci millenni or sono.

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bollettinoculturale

Le innovazioni teoriche di Immanuel Wallerstein

di Bollettino Culturale

Wallerstein by Brennan Cavanaugh is licensed under CC BY NC 20Parte I

Se osserviamo tutto il lavoro di Immanuel Wallerstein, e anche l'insieme globale di linee in cui ha sviluppato questa prospettiva dell'analisi dei sistemi-mondo, possiamo renderci conto che questo lavoro e detta prospettiva sono fondamentalmente visualizzati attorno a quattro assi tematici principali, assi che si articolano l'un l'altro in modi diversi, ci danno l'architettura completa dell'edificio concettuale e teorico da questa stessa prospettiva dell'analisi dei sistemi-mondo.

Quattro assi che, a volte sovrapposti, e altri che si intersecano trasversalmente, contengono anche le chiavi principali dell'originalità di questa analisi dei sistemi-mondo, nonché la loro eccezionale irradiazione all'interno delle più diverse sfere accademiche e intellettuali di tutto il mondo

Perché quando attraversiamo attentamente l'opera di Immanuel Wallerstein, è evidente che un primo asse è quello storico critico, che cerca di spiegare, in modo nuovo, l'intera storia del capitalismo e della modernità all'interno della quale viviamo ancora, avendo iniziato la sua esistenza storica nel "lungo sedicesimo secolo" cruciale e decisivo, postulato da Fernand Braudel, in un’onda che arriva fino ai nostri giorni.

L’asse storico-critico di una storia globale del capitalismo moderno, dal XVI secolo ad oggi, che non era solo la matrice originale dell'intera prospettiva dell'analisi dei sistemi-mondo, ma è stata anche concretizzata, parzialmente, nell'opera di Immanuel Wallerstein, che è senza dubbio la sua opera più tradotta e conosciuta in tutto il mondo: Il Moderno Sistema-Mondo.

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illatocattivo

Rivoluzione e controrivoluzione

di Intervention Communiste

[Révolution et contre-révolution, Parigi 1974]

latocattivo11La coerenza della società capitalista ha come base il vigore e l'estensione della legge del valore. Se è attorno a quest'ultima, in quanto trasforma qualsiasi manifestazione umana in merce e l'uomo stesso in merce forza-lavoro, che si costituisce la comunità materiale del capitale, questa comunità non acquisisce la propria stabilità che attraverso la trasformazione dell'uomo in merce, in questo senso la comunità non è fondata sul valore, ma più precisamente sul valore in processo, sul valore che si valorizza.

Fondato sul valore non nella sua accezione statica, ma sul ciclo delle sue metamorfosi, il capitale erode la propria base: il valore. Il capitale lavora senza sosta alla distruzione del valore, il movimento proprio della sua accumulazione funge da base al momento in cui si presenta esso stesso come creatore di valore; il plusvalore diviene profitto, il valore diviene prezzo di produzione. Tutto sarebbe perfetto se il capitale potesse liberarsi dal valore, esso stravolge il proprio funzionamento: separazione della forma prezzo e della forma equivalente generale; produzione di un movimento di capitalizzazione nel quale una data parte dell'accumulazione di capitale non corrisponde ad alcun valore (cfr. le azioni); estensione del sistema di credito nel quale il capitale anticipa sé stesso. Il capitale frantuma la legge del valore. Ma più tende a liberarsi dal valore, più rafforza la violenza tutelare di quest'ultimo. Quando, sviluppandosi, il capitale si presenta come la sola fonte del profitto, non fa in realtà che diminuire quello stesso plusvalore in cui, ciclicamente, è costretto ad ammettere riassumersi il profitto.

Quindi il movimento stesso della messa a valore del capitale, della valorizzazione, è il processo di distruzione del valore, della devalorizzazione. L'abolizione del valore costituisce la necessità storica del capitale, ma costituisce altresì la possibilità della sua negazione.

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tempofertile

Paul Sweezy, “La teoria dello sviluppo capitalistico

di Alessandro Visalli

teoria dello sviluppo capitalisticoIl libro di Paul Sweezy è una esposizione elementare della teoria marxiana edita per la prima volta nel 1942 e che qui si legge nella edizione introdotta da Claudio Napoleoni per la Boringheri (la prima edizione era di Einaudi) che omette solo la parte sull’imperialismo. Del resto, come bene dice Napoleoni, sul tema del capitalismo monopolistico e dell’imperialismo l’autore, con Paul Baran, tornerà durante tutti gli anni cinquanta e sessanta.

Il testo curato da Napoleoni include anche numerosi contributi successivi alla “teoria del valore” ed in particolare ad uno dei punti sui quali Sweezy si sofferma di più: il problema della trasformazione in prezzi del valore-lavoro incorporato nelle merci (ma da “realizzare” nella circolazione). In merito sono presenti i contributi di Dobb, Winterniz, Seton e Meek. L’economista italiano nel suo commento valorizza lo schema proposto da Sraffa, per il quale è necessario, al fine di impostare la trasformazione, conoscere anche il modo in cui ogni merce include i diversi input di lavoro (esempio per l’intervento delle macchine, o dell’istruzione dei lavoratori) e la loro relativa distribuzione nel tempo al quale sono stati rilasciati, uno per uno. Resta il fatto che mentre all’origine di ogni produzione c’è sempre il lavoro (tutto dipende dal lavoro dell’uomo sulla natura), per il marxismo questo si annulla, viene sussunto, in un altro da sé, costituendo il ‘capitale’ che è ciò in cui si trasferisce la forza produttiva. Ne deriva che ciò che è in realtà produttivo non è il lavoro, ma il capitale.

Il secondo tema messo in evidenza da Napoleoni nel testo è il trattamento delle crisi produttive, sul quale sono descritte (e rigettate) le critiche di Bohm-Bowerk e Pareto, ma anche di Lange e Samuelson. Sweezy farebbe, in tal caso, una distinzione troppo netta tra tre generi di crisi presenti nel testo marxiano: “crisi da caduta del saggio di profitto”, crisi da “sproporzioni” e crisi da “sottoconsumo”.

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orizzonte48

Quelli che... "La Repubblica parlamentare" e l'inarrestabile frattura democratica

di Francesco Maimone

tema riv dem“… (terzo) aspetto essenziale di questo concetto di sovranità è il problema della partecipazione permanente. Il popolo è composto da tutti i cittadini e se la decisione sovrana deve intervenire con il concorso di tutti i cittadini, è necessario che tutti i cittadini abbiano possibilità di partecipare non saltuariamente ma continuamente al governo della cosa pubblica… In un ordinamento democratico ci dev’essere corrispondenza continua fra la volontà degli elettori e quella degli eletti… il nostro ordinamento conosce alcuni meccanismi volti a questo scopo, e precisamente:… d) lo scioglimento anticipato delle Camere da parte del Presidente della Repubblica che dovrebbe essere pronunciato quando fosse constatata un’aperta frattura fra Parlamento e Paese.

[L. BASSO, Per uno sviluppo democratico nell’ordinamento costituzionale italiano, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, IV, Aspetti del sistema costituzionale, Firenze, Vallecchi, 1969, 10-36]

1. Nelle stesse ore in cui mi accingo a confezionare questo intervento, si sta consumando - a mio sommesso avviso – l’ennesima violazione sostanziale del dettato costituzionale che non è escluso venga portata a termine in modo repentino. Ed infatti, la crisi di governo agostana, che ha condotto alle dimissioni del Presidente del Consiglio, ha innescato il conferimento di un nuovo incarico nonché le frenetiche consultazioni del Colle all’esito delle quali dovrebbe essere sancito lo sciagurato amplesso tra forze politiche accomunate dalla devozione indefessa verso L€uropa, senza che ciò suoni in alcun modo sorprendente (in particolare per i malcelati apritori di scatole di tonno rivelatisi appartenenti a pieno titolo al partito del PUD€). Posticcio “Fogno di una nott€ di m€zza estat€” in salsa italica (scelga il lettore a chi attribuire, tra gli esponenti politici di spicco protagonisti del probabile sodalizio, il ruolo di Ermia e quello di Lisandro).

 

2. Ci si chiede, tuttavia,se la tragicomica vicenda istituzionale, alla quale per l’ennesima volta è costretto ad assistere il Sovrano buggerato, trovi legittimazione nella nostra Carta Costituzionale, ciò soprattutto (ma non solo) alla luce degli avvenimenti che hanno scandito la vita politica repubblicana quantomeno negli ultimi tre anni.