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Come la Cia ha preso possesso dell'Ucraina golpista
di Adam Entous e Michael Schwirtz - New York Times
Un segreto strettamente custodito per un decennio." Con un lungo reportage di Entous e Schwirtz, che come l'AntiDiplomatico abbiamo tradotto nella sua interezza per l'importanza, il New York Times svela esplicitamente come dopo il golpe di Maidan del 2014 la Cia ha preso possesso dell'Ucraina golpista e preparato tutte le scelte aggressive contro la Russia.
Quello che per il NYT era un "segreto custodito", per chi ha fatto informazione senza le veline di Washington ma cercando di capire le dinamiche era palese dall'inizio. L'AntiDiplomatico ve lo ha raccontato sin dall'inizio. 10 anni dopo ci arriva anche il New York Times. Repubblica e il Corriere quando?
Segue la traduzione completa del testo del Nyt (per le foto e le fonti citate si rimanda al link originale)
* * * *
Immersa in una fitta foresta, la base militare ucraina appare abbandonata e distrutta, il suo centro di comando è una carcassa bruciata, una vittima di un bombardamento missilistico russo all'inizio della guerra.
Ma questo è quello rimasto sopra il suolo.
Non lontano, un passaggio discreto scende verso un bunker sotterraneo dove team di soldati ucraini tracciano i satelliti spia russi e intercettano conversazioni tra comandanti russi. Su uno schermo, una linea rossa seguiva il percorso di un drone esplosivo che si insinuava attraverso le difese aeree russe da un punto nell'Ucraina centrale a un obiettivo nella città russa di Rostov.
Il bunker sotterraneo, costruito per sostituire il centro di comando distrutto nei mesi successivi all'invasione russa, è un centro nervoso segreto delle forze armate ucraine.
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Due anni di guerra in Europa
di Gaetano Colonna
In questi due anni di conflitto fra Russia e Ucraina, non si è fatto altro che parlare di fake news e di disinformazione. Telegiornali e quotidiani, intanto, si sono ogni giorno riempiti di notizie che avevano ed hanno il sapore di pura propaganda: vivendo in un Paese occidentale, ovviamente, questa propaganda è stata sviluppata costantemente in senso anti-russo.
Abbiamo pensato sia giusto e necessario mettere semplicemente in fila alcuni punti che la propaganda del mainstream occidentale dimentica di ricordare, e che un buon europeo, invece, non deve dimenticare.
1. Motivazione della guerra
Secondo la propaganda occidentale, l’aggressione di Putin dimostra la volontà della Russia di conquistare l’Ucraina, e quindi rappresenta un minaccia diretta per l’Occidente.
Non è così: risulta oramai evidente che Putin ha concepito l’intervento militare come una operazione speciale il cui scopo era, in prima battuta, il rovesciamento del regime di Zelensky; contemporaneamente, l’acquisizione delle province russofone del Donbass, che l’Ucraina ha tenuto per lunghi anni in condizioni di guerra civile (2014-2022).
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Il mondo dopo il 24 febbraio
di Paolo Cornetti
Sono passati due anni dalla fatidica data. Prima che accadesse non avevamo intuito quanto il mondo che conoscevamo potesse cambiare da un momento all’altro, chiusi come eravamo nella nostra bolla che aveva le pareti composte di un equilibrio internazionale basato sulla potenza militare ed economica degli Stati Uniti.
Non ci si può nascondere, il 24 febbraio 2022 ha modificato la Storia. È intervenuto come un pugno a sfondare un muro ideale eretto da almeno tre decenni.
Quel giorno è il segno, infatti, dell’inizio della guerra alla pervasiva egemonia americana nel mondo. Il momento in cui gli Stati che si sentivano penalizzati dal peso di Washington hanno iniziato a elaborare strategie per liberarsene, anche con la forza.
Non possiamo essere sicuri che Putin il giorno che ha dato l’ordine di invadere i territori ucraini partendo dalle zone autonome e filo-russe del Donbass avesse esattamente ciò in mente, ma questo è stato sostanzialmente l’effetto. Nella lunga onda del 24 febbraio 2022, che probabilmente ci porteremo dietro per molto tempo, va anche inserita senz’altro l’attuale situazione del Medio Oriente, dove vari attori hanno iniziato in maniera disordinata, dall’Arabia Saudita all’Iran, a pretendere chi maggiore autonomia, chi completa libertà d’azione rispetto agli Stati Uniti.
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La spada di Damocle
di Giorgio Agamben
È bene non dimenticare la leggenda di Damocle, che Cicerone racconta nelle sue Dispute Tusculane. Un giorno, Damocle, un cortigiano di Dionisio, tiranno di Siracusa, lo elogiava «per le sue ricchezze, per la maestà della sua potenza, per la magnificenza della sua reggia». «Damocle –gli rispose il tiranno – poiché ti piace questa vita, voglio dartene un assaggio e farti provare la mia sorte». Lo fece sedere su un divano ricoperto da un drappo finemente ricamato, gli mise davanti vasellami preziosi e mise al suo servizio giovani di straordinaria bellezza pronti a eseguire ogni suo cenno. Damocle si credeva felice, finché non si accorse che dal soffitto gli pendeva sul capo una spada acuminata sospesa a un crine di cavallo. A quel punto l’incauto encomiasta rinunciò a ricchezze e potere e scongiurò Dionisio di lasciarlo andar via, perché non voleva più essere felice in quel modo.
Oggi vediamo che la spada sospesa sul capo dei tiranni sta per cadere, il crine che sostiene quella sospesa sul capo di Zelensky è ormai liso e consunto e forse, domani, anche quella che pende su altri, a lui complici o avversi, potrà cadere.
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Due anni di guerra tra Russia e Ucraina: così i nostri governanti mentono e distorcono la realtà
di Paolo Ferrero
Dopo otto anni di guerra civile nel Donbass, due anni fa, il 24 febbraio 2022, è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina. In questi due anni è cambiato il mondo e, tra le altre cose, è cambiata la comunicazione pubblica in occidente. Non che i media prima fossero un esempio di obiettività e di informazione pluralista, ma in questi anni di guerra la situazione è peggiorata in modo clamoroso e la manipolazione dell’opinione pubblica è diventata la norma.
Ovviamente non tutta la manipolazione dell’opinione pubblica passa attraverso bugie. Sovente basta il non detto, oppure illazioni che vengono ripetute così tanto da apparire vere. In altri casi ancora ci troviamo dinnanzi a bugie che producono un grande impatto e che poi vengono smentite debolmente, ma solo molto tempo dopo. In questo modo nella memoria delle persone rimane il falso, ma il potere può sempre vantarsi di saper correggere i propri errori. Qui di seguito alcuni esempi giusto per segnalare il problema.
Informazioni pilotate
Due anni fa in occidente questa guerra è stata presentata come un fulmine a ciel sereno dovuto alle manie di grandezza del folle autocrate russo.
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Due anni di conflitto ucraino: la sconfitta dell’Europa
di Roberto Iannuzzi
La prospettiva di un’Europa teatro di una nuova guerra fredda con la Russia, sebbene al prezzo di diventare più insicura e impoverita, è quanto si augurano gli strateghi americani
Mentre si chiude il secondo anno di guerra in Ucraina, l’apparente stallo che caratterizza questo sfibrante conflitto di logoramento nasconde cambiamenti decisivi sul campo di battaglia e nel panorama internazionale.
Mosca ha riorganizzato le proprie forze, mobilitato nuovi uomini e mezzi, e preme su diversi punti del fronte. Dopo un estenuante assedio, la cittadina di Avdeevka, nell’oblast di Donetsk, è caduta in mani russe. Gli ucraini, fiaccati dalla carenza di soldati e munizioni, sono ormai nettamente sulla difensiva.
Nel frattempo, il fardello del sostegno economico e militare all’Ucraina è passato dagli Stati Uniti all’Europa. Tra aiuti finanziari e fornitura di armi, il contributo europeo è ormai il doppio di quello americano.
Complessivamente, però, l’appoggio occidentale mostra evidenti crepe. Chiare divisioni sono emerse nell’establishment statunitense, ma anche fra i diversi stati europei, e nel governo di Kiev.
Dopo mesi, il Congresso USA non ha ancora approvato il promesso pacchetto di 60 miliardi di dollari in aiuti militari. E in ogni caso, l’industria occidentale della difesa non è in grado di tenere il passo con l’intensità dello scontro bellico in Ucraina.
Da Washington giungono chiaramente pressioni, dirette e indirette, verso l’Europa affinché si assuma responsabilità ancora maggiori nella guerra, dando ossigeno finanziario a Kiev e aumentando le spese militari.
La zavorra del conflitto, e della riconfigurazione degli scambi commerciali e delle fonti di approvvigionamento energetico, dovuta alla rottura dei rapporti con Mosca, ha tuttavia inciso pesantemente sulle economie europee, in evidente difficoltà.
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Le controversie di una “storia sociale” del lungo Sessantotto italiano*
di Alessandro Barile - Università "La Sapienza" di Roma
Nel secondo Novecento italiano gli anni Settanta occupano un posto di assoluto rilievo storico, per molteplici e ovvie ragioni. Sono gli anni dell’assalto al cielo1 o del «paese mancato»2, a seconda dei giudizi, delle sensibilità, degli obiettivi della ricerca storica che si intreccia con l’impegno civile. Sono anni, dunque, su cui si è scritto tanto. La lotta armata, che di quegli anni ne è un poco l’epitome, ha vissuto le alterne stagioni di una pubblicistica intrisa di attualità, e quindi di passioni ancora brucianti, di ferite non rimarginate nell’uno e nell’altro campo3. La ricostruzione si è avvalsa spesso della testimonianza del “reduce”, poi della testimonianza della “vittima”. Vi è poi stata la sua “funzionalizzazione” attraverso la categoria del terrorismo, e quindi della criminalità politica4. Un taglio storiografico che, insieme a una sempre più raffinata (talvolta esasperata) precisione documentaria, ha portato con sé lo sfocarsi progressivo dei motivi generali che hanno reso possibile la durata, la profondità e la radicalità del lungo Sessantotto italiano. Non vi è (più) un deficit di informazione, quanto un (nuovo) deficit di interpretazione. Lungo questa parabola ora ascendente ora discendente, si è inserita dapprima la storia sociale5, poi lo sguardo “microstorico”6 a complicare ulteriormente il quadro attraverso spiegazioni antropologiche, se non direttamente psicologiche. Il trascorrere del tempo e l’inevitabile distanziarsi dagli eventi ha comportato il paradossale indebolimento della dimensione compiutamente politica della vicenda. Un fatto che distingue non solo la storia degli anni Settanta, interpretata secondo le categorie della devianza (una devianza ora irrisa, ora intrisa di pietas), ma l’intera storia del movimento operaio organizzato. E quindi – almeno in Italia – anche la storia del Pci, che di fatto prosegue lungo la china funzionalista che la riduce, da tempo, all’interno di una “politologia delle élite” che fa aggio su ogni caratterizzazione ideologica.
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Verso tempi di chiarificazione
di kamo
0. Impercettibili sfrigolii nell’aria di elettricità statica. Vibrazioni di energia cinetica che rompono l’immobilità ristagnante. Attività elettrica che ionizza l’atmosfera, creando le condizioni per scaricarsi a terra.
Si sta muovendo qualcosa. I cani fiutano il temporale.
1. È la guerra. Non le guerre: d’Ucraina, di Palestina. La guerra, unica e indivisibile: operazione di senso non scontata. Sono i fronti di un unico conflitto, che ci vede già coinvolti, questa volta da vicino, questa volta non senza conseguenze. Non è il Kosovo, l’Afghanistan, l’Iraq: sono l’Europa, il Mediterraneo – trincee più avanzate degli Stati Uniti. L’Italia al centro di entrambi: pedina dell’impero americano, legata industrialmente alla Germania, dipendente dalle rotte medioceaniche. In un conflitto ibrido che si combatte su più livelli, la cui posta in gioco sono i nuovi equilibri del sistema-mondo.
2. Come retrovie, siamo già in guerra. Prima ce ne rendiamo conto meglio sarà. Loro, quelli che decidono e comandano, lo sanno. È la guerra dei nostri tempi, che scuote, rimescola, mobilita tutto: processi di polarizzazione sociale sono già in atto, altri di radicalizzazione politica bussano alle porte, mezze classi e ceti medi – barometri sociali che registrano il cambiamento delle correnti nell’atmosfera – entrano in agitazione: recentemente, in tutto il Vecchio Continente, col trattore in tangenziale.
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Assange per noi, Navalny per loro e Regeni per l’MI6
di Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=lmaf7rSqlHY
https://t.me/debitoedemocrazia/3137
Byoblu-Mondocane 3/15: “DEMOCRAZIA, MA CHE, DAVVERO?!”. In onda domenica 21.30. Repliche, lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00 (e poi provate a dire che non capita un giorno utile!)
Un Mondocane corredato da qualche mia riflessione video in occasione del presidio all’ambasciata britannica in difesa e per la salvezza di Julian Assange, della Palestina e della verità.
Che sollievo per i gazzettieri embedded della nostra (Occidente politico) stampa potersi armare e partire, al comando del demente senile Biden, contro l’assassino Putin - apoditticamente tale, a prescindere - del più importante, amabile, maestoso, invitto, oppositore dello zar. Oltre alla malvagità intrinseca del tiranno, se ne poteva rilevare anche la cretinaggine per aver ucciso uno che, da morto, gli si sarebbe ritorto contro mille volte più di quanto non abbia mai fatto in vita.
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Come immaginiamo una dittatura sanitaria?
di Daniele Ioannilli
Come immaginiamo una dittatura sanitaria?
Come ci viene sovente proposta, ovvero personale medico in tuta anticontaminazione a ogni angolo di strada che impone controlli fisici aiutato dall’esercito, coprifuoco e divieti di parlare con altre persone per la strada? Forse trent’anni fa, oggi la dittatura moderna si modella sulla necessità, vuole essere richiesta, vuole essere vista come portatrice di sicurezza e libertà.
Dal Covid in poi il Potere sta preparando il terreno affinché questo succeda. Piccoli passi, dettagli che “sì vabbè è sempre la stessa cosa”… Guardiamo i passi fatti:
- Nuovo virus dato per estremamente mortale;
- Propaganda affinché tutti se ne convincano;
- Si dà un unica soluzione, pena la morte certa. L’obbiettivo è quello di far vaccinare quanta più popolazione possibile;
- C’è troppa confusione, gli Stati nazionali non sono in grado di coordinarsi tra loro e lavorare in sinergia. Bisogna spostare tutta la gestione di futuri virus mortali a un unico organo con poteri sovranazionali. In questo caso l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità);
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Tramonto dell’occidente?
di Giorgio Agamben
Nei testi pubblicati in questa rubrica è spesso questione della fine dell’Occidente. È bene qui non fraintendere. Non si tratta della rassegnata – anche se lucida e amara – contemplazione dell’ultimo atto di un tramonto che Spengler e altri pseudoprofeti avevano annunciato fin troppo tempo fa. A costoro non interessava null’altro che quel tramonto, ne erano in fondo complici e persino compiaciuti, perché nei tascapani e nelle casseforti del loro spirito non era rimasto proprio niente, quella era per così dire la loro unica ricchezza, della quale non volevano a nessun costo essere defraudati. Per questo Spengler poteva scrivere nel 1917: «io ho il solo desiderio che questo libro possa stare vicino senza esserne completamente indegno alle imprese militari della Germania».
Per noi, al contrario, la morte dell’Occidente è la felice utopia, qualcosa come la gleba smossa e il deserto di sabbia, di cui la nostra speranza ha bisogno non per trovarvi qualche nutrimento, ma per poggiarvi sopra i piedi, in attesa di gettarla alla prima occasione negli occhi dei nostri avversari.
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Repressione Democratica
di Francesco Cappello
Con una mano aiutiamo a sparare sui bambini e le loro famiglie con l’altra li curiamo amorevolmente. Questo è legale. Se manifesti contro il genocidio sei fuorilegge
A seguire le parole del Ministro della Difesa Guido Crosetto in una nota stampa a commento dell’arrivo in Italia, dall’Egitto, del volo militare, con a bordo 11 piccoli pazienti destinati alle strutture sanitarie nazionali e 14 accompagnatori [1]:
Benvenuti in Italia! Al termine dell’operazione saranno circa 100 i bambini con le loro famiglie che saranno curati nei nostri migliori ospedali pediatrici. Sono vittime innocenti di questa guerra. Vogliamo fare di tutto per alleviare le loro sofferenze. Siamo stati i primi a portare aiuti alla popolazione civile di Gaza. Abbiamo inviato una nave ospedale, siamo pronti a installare un ospedale da campo e continuiamo con il ponte aereo per portare minori palestinesi in Italia e curarli nei nostri ospedali. Siamo amici di Israele e lavoriamo per l’unica scelta di pace possibile che prevede due popoli e due Stati.
Leggendole, risulta inevitabile pensare al coinvolgimento, ormai strutturale, del nostro Paese nelle operazioni belliche israeliane su Gaza.
Da vent’anni li aiutiamo a compiere i peggiori crimini [2]. La cooperazione tra l’industria militare italiana e quella israeliana è stata, infatti, ratificata dal terzo governo Berlusconi che codificò un precedente accordo generale nella forma di memorandum di intesa, risalente al 2003, sulla cooperazione militare tra Italia e Israele, con la Legge 94 del maggio 2005.
Facile ipotizzare che quegli stessi bambini siano stati feriti da armi ed esplosivi italiani come ad esempio nel caso dei cannoni prodotti in Italia dall’OTO Melara e venduti a Israele.
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L'ultimo appello di Julian Assange
di Rossella Fidanza
Martedì Assange presenterà il suo ultimo appello ai tribunali UK per evitare l'estradizione. Se verrà estradato, sarà la morte delle indagini sui meccanismi interni del potere da parte della stampa
LONDRA. Se a Julian Assange verrà negato il permesso di appellarsi alla sua estradizione negli Stati Uniti davanti a una commissione di due giudici dell'Alta Corte di Londra questa settimana, non gli resterà altro che ricorrere al sistema legale britannico. I suoi avvocati possono chiedere alla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) una sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'articolo 39, che viene concessa in "circostanze eccezionali" e "solo quando esiste un rischio imminente di danno irreparabile". Ma è tutt'altro che certo che il tribunale britannico sarà d'accordo. Potrebbe ordinare l'estradizione immediata di Julian prima di un'istruzione ai sensi dell'articolo 39 o decidere di ignorare la richiesta della Corte europea dei diritti dell'uomo di permettere a Julian di essere ascoltato dal tribunale.
La persecuzione di Julian, che dura da quasi 15 anni e che ha avuto pesanti ripercussioni sulla sua salute fisica e psicologica, avviene in nome dell'estradizione negli Stati Uniti, dove verrebbe processato per la presunta violazione di 17 capi d'accusa della legge sullo spionaggio del 1917, con una potenziale condanna a 170 anni.
Il "crimine" di Julian è quello di aver pubblicato nel 2010 documenti classificati, messaggi interni, rapporti e video del governo e delle forze armate statunitensi, forniti dalla whistleblower dell'esercito americano Chelsea Manning. Questo vasto materiale ha rivelato massacri di civili, torture, assassinii, l'elenco dei detenuti di Guantanamo Bay e le condizioni a cui erano sottoposti, nonché le regole di ingaggio in Iraq. Coloro che hanno perpetrato questi crimini - compresi i piloti di elicotteri statunitensi che hanno abbattuto due giornalisti della Reuters e altri 10 civili e ferito gravemente due bambini, tutti ripresi nel video Collateral Murder - non sono mai stati perseguiti.
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A Monaco si è decisa la rottura della NATO che conoscevamo
di Giuseppe Masala
Mai come quest'anno è stata di cruciale importanza la Conferenza sulla sicurezza di Monaco (Münchner Sicherheitskonferenz MSC) che si è svolta la settimana scorsa nella città bavarese e che ha visto le élites dei paesi più importanti sotto l'aspetto diplomatico e militare dibattere sui temi d'attualità della sicurezza mondiale. Inutile sottolineare che ovviamente la Russia non è stata invitata in ossequio alla strategia che vorrebbe trasformare Mosca in un paria mondiale.
Naturalmente i mass media generalisti si sono concentrati sugli aspetti ormai quasi folkloristici dei vertici internazionali, come per esempio il solito - trito e ritrito - discorso del Presidente ucraino Zelenskij a caccia di armi e finanziamenti dai cosiddetti paesi “donatori” e alleati.
Comunque, dietro il palcoscenico spesso accadono le cose più importanti. A mio avviso è stato così anche in questa conferenza di Monaco. Aleggiava infatti nei discorsi pubblici e nelle interviste ai giornalisti, un Convitato di Pietra, innominato e innominabile, ma non per questo meno importante. Si tratta dell'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Fantasma reale e palpabile, non foss'altro che per il semplice fatto che è candidato – e grande favorito – nelle elezioni presidenziali di fine anno.
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I veri attori sono le lobby d'affari, non gli stati
di comidad
È davvero commovente lo zelo con il quale i nostri media e i nostri politici cercano di convincerci che Putin è un tipo poco raccomandabile. Magari i suoi supporter ancora credono che Putin abbia preso il potere in Russia, e lo abbia mantenuto per quasi un quarto di secolo, grazie alla sua qualità di essere il più lesto ad aiutare le vecchiette ad attraversare la strada. In realtà nessuno pensa che Putin sia uno stinco di santo e sono altri i motivi per cui è diventato popolare tra i cosiddetti “populisti” o “sovranisti”.
Le attuali oligarchie euro-americane sono sempre più sradicate e ostili nei confronti delle proprie popolazioni, che trattano come cavie e immondizia. Si parte da questo dato oggettivo, ma poi scatta nuovamente il senso di gerarchia, la reverenza culturale nei confronti delle classi superiori. Invece di constatare che queste bolle oligarchiche sono composte da cleptocrati parassiti e pupazzi animati dal movimento dei soldi, si prendono sul serio le distopie globaliste e transumaniste dei vari Forum di Davos, che sono in realtà prodotti dei loro addetti alle pubbliche relazioni, cioè pubblicità confezionata con materiali eterogenei.
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L’icona Navalny e l’ingrato Assange
di Norberto Fragiacomo
Ogni morte va pianta e quelle avvenute in prigione sono ancor più tragiche delle altre, ma la prematura scomparsa di Aleksey Navalny non è di certo un “affare” vantaggioso per il Presidente Vladimir Putin, la cui immagine internazionale era stata appena rilanciata dalla clamorosa intervista firmata Tucker Carlson (cioè, in primis, dai contenuti espressi dall’intervistato), oltre che dalla brillante conquista di Avdiivka. A un mesetto dalle elezioni presidenziali, con un’economia in salute e una ritrovata popolarità interna, il leader russo non aveva di sicuro bisogno di uno scandalo enfatizzabile a piacere dal nemico esterno né di eliminare un oppositore metamorfico, screditato e ormai pressoché inoffensivo, che soltanto per media embedded, opachi sponsor d’oltreoceano e politicanti occidentali costituiva una minaccia al suo potere.
Tralasciamo il particolare che il presunto delitto di Stato ha già un colpevole per “fatto notorio”: per condannare senza appello la Russia non occorrono prove e nemmeno indizi, come ampiamente dimostrato dalla vicenda North Stream e dall’operato di una sedicente corte internazionale messa in piedi per compiacere l’Occidente e agevolare spudoratamente le sue politiche aggressive, alle quali va addebitato il deflagrare della crisi ucraina (e non solamente di questa: serbi, iracheni, afghani, libici, siriani e gli stessi palestinesi hanno provato sulla propria pelle cosa comporti, in termini di lutti e distruzioni, la cosiddetta “esportazione della democrazia”).
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Quello che non capiamo del conflitto in Ucraina
di Francesco Dall’Aglio*
Quello che viene continuamente nascosto dal sistema mediatico per portare avanti la narrazione che vede un piccolo paese resistere a una potenza e dunque favorire l’incessante flusso di armamenti è che l’esercito ucraino, al momento, è una delle più formidabili macchine da guerra che esista al mondo, per quantità di effettivi, esperienza di combattimento e quantità di equipaggiamenti. Ed è la NATO a tutti gli effetti per comandi, logistica, spionaggio, e non solo
Si continua a parlare delle perdite russe in Ucraina – il più delle volte solo a scopo di propaganda - ma per trattare l’argomento seriamente occorre fare due valutazioni: la prima specifica, per posti come Avdiivka o Ugledar, la seconda generale.
Iniziamo dal primo punto. Mi sembra che gli osservatori di questo conflitto sottovalutino, o ignorino del tutto, quanto poderoso e complesso sia il sistema di fortificazioni messo in piedi dal 2014 in poi, e quanto le fortificazioni siano estremamente difficili da superare anche bombardandole fino allo sfinimento.
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Gli Stati Uniti d'Europa sarebbero o impossibili o reazionari
di Domenico Moro
Recentemente Marco Travaglio ha pubblicato un editoriale sul Fatto quotidiano, giornale di cui è direttore, intitolato “Il regalo di Trump”[i]. Nell’articolo Travaglio tocca il tema della costituzione di un unico esercito europeo, da porre al servizio di una politica estera europea indipendente dagli Usa. In pratica non sarebbe altro che la riduzione ulteriore della sovranità degli stati europei in un campo, quello delle Forze Armate e della politica estera, che rappresenta il nocciolo stesso dell’esistenza di uno Stato. Infatti, secondo i maggiori filosofi e sociologi, tra cui Max Weber[ii] e Frederick Engels[iii], lo Stato si caratterizza in primo luogo per il monopolio della forza su un dato territorio. Di conseguenza, la formazione di Forze Armate europee, unitamente a una politica estera comune, prefigurano la costruzione di un nuovo super-stato europeo, gli Stati Uniti d’Europa.
L’opinione di Travaglio è particolarmente interessante perché il direttore del Fatto quotidiano ha assunto sulla guerra tra Russia e Ucraina una posizione molto più equilibrata della stragrande maggioranza dei direttori dei quotidiani nazionali. Travaglio, inoltre, viene considerato di “sinistra”, malgrado il fatto che sia un liberale, che come giornalista si sia formato con Indro Montanelli e che si sia sempre collocato ideologicamente a destra. Ma questa sorta di confusione è del tutto naturale in un mondo in cui la maggior parte della sedicente sinistra, a partire dal Pds-Ds-Pd, ha attuato politiche di destra sul piano economico, comprendenti privatizzazioni e liberalizzazioni del mercato del lavoro (dal “pacchetto Treu” al jobs act), che hanno prodotto una diffusa precarizzazione. Un analogo spostamento a destra è stato attuato anche riguardo alla politica estera: il Pds-Ds-Pd è stato in Italia il maggiore paladino della Nato e delle regole del Patto di stabilità europeo, incluso il pareggio di bilancio, anche più di Berlusconi.
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La polarizzazione ideologica negli Usa e il ruolo dei «Neocon» nell’America di oggi
di Tommaso Di Caprio
«Il potere genera responsabilità sia negli affari internazionali, che negli affari domestici e persino nei propri affari privati. Rifiutare o abdicare queste responsabilità è una forma di abuso di potere»[1]. È con questa breve frase che nel 1968 Irving Kristol riassumeva il senso della missione dei neoconservatori nel forgiare il futuro grandioso dell’America come guida del mondo libero.
A un primo fugace sguardo, il neoconservatorismo appare, ancora oggi, come un movimento intellettuale e politico dal perimetro estremamente variabile e indefinito, incapace di darsi una qualsivoglia strutturazione o di agire come effettivo gruppo di pressione, oltreché invariabilmente mutevole nelle simpatie politiche dei suoi esponenti più significativi.
E sebbene a coniare il lemma “neoconservatore” non fu Kristol, ma Michael Harrington all’inizio degli anni Settanta in un articolo intitolato “The Welfare State and Its Neoconservative Critics”, è al primo che si deve il successo del termine.
Nel tentativo di provare a identificare in modo netto un gruppo di intellettuali che pur dichiarandosi liberals (liberali) avevano smesso di riconoscersi nel partito democratico, sempre Kristol era solito definire il neoconservatorismo un «termine descrittivo più che normativo», in grado di cogliere il realismo che regna nel mondo.
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A partire da Gershom Scholem, “Il nichilismo come fenomeno religioso”, la questione dell’elitismo e del messianismo politico
di Alessandro Visalli
Gershom Scholem fu, probabilmente, il migliore e più stabile amico di Walter Benjamin ma la sua vita si svolse, dopo un avvio comune, su strade e sentieri molto diversi. Filosofo, teologo e semitista proveniente da una famiglia ebraica tedesca, si trasferì molto presto in Israele e qui rimase fino alla morte, a ottantacinque anni, a Gerusalemme nel 1982. Nel percorso della sua ricerca fu uno studioso della storia delle religioni e, in particolare, della cabala oltre che dei movimenti mistici ebraici. In particolare del movimento sabbatiano (da Shabbĕtay Ṣĕbī). Vicino in gioventù al sionismo laico e socialisteggiante degli anni Dieci ne giudicò in modo severo l’evoluzione. In Walter Benjamin. Storia di un’amicizia[1], il suo libro sull’amico, dichiaro che “il sionismo si è ucciso vincendo”[2], distinguendo tra una versione mistico-religiosa e una ‘pratica’ mirante alla soluzione politica ben nota. Una pratica che evoca da sé le forze della sua distruzione spirituale e precipita nella “disperazione del vincitore [che] è ormai da anni la demonìa peculiare del sionismo”. Il quale con Buber, e tanto più quando si fa materia in Palestina, si vuole come ‘sangue e vita vissuta’ e quindi razza.
Di questo complesso autore leggeremo ora solo una piccola, ma interessante, conferenza, tenuta in Svizzera nel 1974, Il nichilismo come forma religiosa[3], nella quale l’autore riassume la storia di alcune forme del misticismo ereticale e messianico ebraico e cristiano. Per cominciare vediamo intanto cosa definisce come ‘nichilismo’: l’atteggiamento di colui che contesta per principio qualsiasi autorità, che quindi non accetta alcun principio per fede, a prescindere da quanto sia essa seguita. Si tratta di un atteggiamento invero oggi molto familiare. Per questo vale la pena ripercorrere il racconto di Scholem.
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Siena. Polemica sul boicottaggio universitario a Israele. Botta e risposta tra attivisti e Montanari
di Redazione
Lunedì 19 febbraio, il comitato Palestina Siena è intervenuto alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università per Stranieri di Siena, contestando la ministra dell’Università e Ricerca.
Gli attivisti del comitato, tra cui alcuni studenti dell’università per stranieri di Siena, dopo aver esposto bandiere palestinesi e cartelli invocanti la fine del genocidio, hanno contestato alla Ministra Bernini la complicità del governo nel genocidio del popolo palestinese, chiedendo la fine immediata di ogni rapporto accademico con le università israeliane, partecipi al sistema di occupazione e di apartheid nella Palestina occupata.
A margine della contestazione è passato di là, mentre la DIGOS identificava i contestatori, il Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, cui è stata contestata la vicinanza al console onorario d’Israele Carrai e che ha pilatescamente sviato le sue responsabilità.
Al Rettore Tomaso Montanari, il comitato ha ribadito come la posizione da lui espressa su boicottaggio universitario non tenga conto da un lato del contesto storico, se così vogliamo chiamare il genocidio in atto dal 1949 a oggi, e dall’altro del ruolo delle Università israeliane nel sistema di Apartheid e di sfruttamento della Palestina.
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Gaza, il doppio gioco di Washington
di Mario Lombardo
L’agenzia di stampa Reuters ha scritto questa settimana che l’amministrazione Biden starebbe preparando, per la prima volta dal 7 ottobre scorso, una risoluzione da sottoporre al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in cui si chiede un cessate il fuoco a Gaza. Questa iniziativa, che arriva in contemporanea con l’ennesimo intervento americano per bloccare una tregua umanitaria nella striscia, è stata subito giudicata come una netta inversione di rotta da parte di Washington e il segnale della crescente impazienza nei confronti del regime di Netanyahu. Le motivazioni della Casa Bianca non sono probabilmente così nobili come possono apparire a prima vista e, comunque, gli unici provvedimenti che sarebbero realmente in grado di fermare il genocidio palestinese continuano a essere esclusi in maniera categorica.
Gli Stati Uniti hanno già messo il veto su due risoluzioni all’ONU che avrebbero potuto imporre la fine dell’aggressione militare, mentre in altre due circostanze avevano optato per l’astensione, anche se in questi ultimi casi il punto centrale era l’accesso a Gaza di aiuti umanitari. Nella giornata di martedì è arrivato il terzo intervento USA a favore di Israele, con il veto a una risoluzione presentata dall’Algeria e appoggiata da 13 membri su 15 del Consiglio di Sicurezza.
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Er putiniano de fero (se il livello ha toccato il fondo si può sempre scavare)
di Il Chimico Scettico
Doverosa premessa: con la "scienza" siamo sempre lì...
Franco Prodi ha passato una vita a fare fisica dell'atmosfera. Si può essere d'accordo o no con le sue posizioni attuali ma non si può dire che quello che ha fatto fino al pensionamento non c'entri niente con il clima.
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Elettriche ma non libere
di Tiziana Miano
In quest’era del “post”: post covid, post-contemporaneo, post-verità, in breve del post – umano, i discorsi sul potere, le sue manifestazioni e molteplici implicazioni nelle nostre vite, mai come adesso hanno occupato spazi fisici e di pensiero. Riflettere sulle cose però, impone un’attenta osservazione delle cose stesse e suggestioni e interrogativi presenti nei romanzi distopici aiutano a cogliere, più spesso di quanto si possa credere, quelle “avvisaglie di futuro”, quei processi non manifesti, ma già in atto, che diversamente rimarrebbero celati alle menti dei più.
Parziale, se non perfino ingenuo, sarebbe però affrontare tal genere di letture senza guardare (qui il terzo occhio è d’obbligo!) al “come” e al “perché” certe pubblicazioni hanno il potere di sollecitare precisi settori delle società odierne che, prontamente, si affannano a celarne, quando non a manipolarne, i preziosi “rimandi” all’oggi. Infine, ma non ultimo, ecco arrivare certa cinematografia che, più di tutti, si è assunta l’arduo compito di “mettere a posto le cose” con sapienti operazioni di profondo restyling, paragonabili solo alla migliore chirurgia estetica, e garantire così soddisfacenti quote di politicamente corretto.
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Per un New Deal europeo
di Ernesto Screpanti*
C’è un problema che assilla la sinistra europea fin dagli anni della crisi del debito greco: come deve agire un governo popolare per evitare che l’UE faccia fare a un’altra nazione la fine che ha fatto fare alla Grecia? Le scelte effettuate all’epoca dai governi greci (sia quello di Papandreu, 2009-11, sia quello di Tsipras, 2015) causarono non solo una grande sofferenza economica ai loro cittadini, ma anche un grave danno politico alla sinistra europea. Secondo molti osservatori avrebbero dimostrato che i socialisti e i comunisti non hanno la soluzione ai problemi che le politiche e i trattati dell’Unione hanno causato ai popoli europei.
Io invece credo che la soluzione ce l’abbiano, e per dimostrarlo voglio proporre un esercizio di fantapolitica in cui ipotizzo che un governo di vera sinistra vada al potere in Italia.
Non bisogna essere un profeta per prevedere che, appena si sa nel mondo che c’è un ministro dell’economia di sinistra, i “mercati” cominciano a giocare al ribasso sul debito pubblico italiano. Le agenzie di rating declassano il nostro debito a spazzatura, la speculazione alza la testa e la situazione diventa difficile da gestire.
A quel punto interviene la Commissione Europea proponendo di usare la troika per salvare l’Italia dal default, chiedendo però che il governo somministri politiche che tranquillizzino i mercati, cioè propini al popolo una medicina “lacrime e sangue” fatta di tagli alla spesa pubblica, aumento delle tasse, riforme delle pensioni, abbassamento dei salari, aumento della disoccupazione e della povertà. Un governo di sinistra non può accettare queste condizioni.
Dovrebbe piuttosto approfittare della crisi per lanciare un forte programma di new deal. Ecco cosa dovrebbe fare secondo me.
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