L’Unione bancaria europea e i problemi delle banche italiane
di Vladimiro Giacché
Con piacere pubblichiamo la traduzione dell’articolo di Vladimiro Giacché sulla crisi bancaria italiana uscito sul sito dell’Institute for New Economic Thinking, con delle modifiche non sostanziali da parte dell’Autore, che ha anche aggiunto alcune note sul tema delle Banche di Credito Cooperativo. La tesi, documentata con rigore, è che la crisi bancaria italiana sia il frutto delle normative europee, che hanno generato enormi asimmetrie e condizioni inique sopratutto per il nostro paese. Normative aggirate dalla Germania, che da un lato ha proceduto prima della loro entrata in vigore a salvare con interventi pubblici le proprie banche, e poi ha ottenuto di esentare dalla supervisione bancaria europea le proprie Sparkasse, legate a filo doppio alla politica locale e oggi a rischio sistemico, data l’entità degli impieghi. Insomma, l’Italia ha ben poco da rimproverarsi sulle proprie banche, se non l’arrendevolezza della classe politica che ha accettato regole contrarie all’interesse nazionale.
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L’obiettivo con cui l’Unione bancaria europea è nata era quello di ridurre la balcanizzazione finanziaria dell’Eurozona. La balcanizzazione – la frattura del sistema bancario transfrontaliero che avviene quando creditori nervosi si ritirano verso i sicuri porti nazionali – è stata percepita a ragione come uno dei maggiori pericoli per la stabilità e la sussistenza stessa della moneta unica.
Infatti, all’indomani della crisi finanziaria, gran parte delle ricerche disponibili evidenziavano come il sistema – che sino al 2008/2009 si presentava così interconnesso da essere apparentemente inestricabile – si era andato ridisegnando secondo linee “nazionali”. I prestiti transfrontalieri nell’eurozona erano crollati all’incirca alla metà dei valori pre-crisi, e ingenti capitali erano stati rimpatriati da molte banche e investitori nei paesi core (Germania e Francia).